N. 339 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 maggio 2008

del  26  maggio  2008  emessa  dal  Giudice  di  pace  di  Genova nel
procedimento  civile  promosso da Bogetti Ermete contro Prefettura di
Genova

Sanzioni  amministrative  - Riscossione coattiva delle somme dovute a
  titolo  di  sanzione  amministrativa  pecuniaria  - Ricorso avverso
  cartella  di  pagamento priva dell'indicazione del responsabile del
  procedimento  -  Sopravvenuta  disposizione  di  legge  secondo cui
  l'indicazione  del  responsabile  del  procedimento di iscrizione a
  ruolo  e  del  procedimento  di  emissione e di notificazione della
  cartella  di  pagamento  e'  prescritta  a  pena  di nullita' della
  cartella  stessa  - Prevista applicabilita' della detta sanzione di
  nullita'  alle  sole  cartelle  di pagamento emesse in relazione ai
  ruoli  consegnati  agli agenti della riscossione a decorrere dal 1°
  giugno  2008  -  Denunciata  lesione  degli inviolabili principi di
  uguaglianza e di ragionevolezza - Incidenza sul diritto di difesa -
  Asserita violazione dei canoni di buon andamento e di imparzialita'
  della pubblica amministrazione.
- Legge  28  febbraio  2008,  n. 31,  art.  36,  comma  4-ter [recte:
  decreto-legge  31  dicembre  2007,  n. 248,  art.  36, comma 4-ter,
  aggiunto dalla legge di conversione 28 febbraio 2008, n. 31].
- Costituzione, artt. 2, 3, 24 e 97.
(GU n.45 del 29-10-2008 )
                         IL GIUDICE DI PACE
   Ha emesso la seguente ordinanza.
   E'  proponibile  la questione di legittimita' costituzionale, qui,
incidentalmente,  sollevata,  perche'  consegue alla concretizzazione
del  presupposto  processuale richiesto dall'art. 1, legge 9 febbraio
1948,  n. 1, e dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87: l'iniziativa
del rimettente e' esplicata nel corso di un giudizio (Corte cost., 28
gennaio 1991,n. 33 ex multis);
   Sussistono i requisiti per la sua proposizione, ossia:
     la rilevanza;
     la non manifesta infondatezza;
     l'impossibilita'  -  all'esito del tentativo del Rimettente - di
pervenire  ad  un'«interpretazione  adeguatrice»  ovvero  «conforme a
Costituzione».
   Quanto alla rilevanza:
     essa,  intesa  come probabilita' che l'eventuale pronuncia della
Corte  sia in grado di incidere/influire, concretamente, sul processo
principale (c.d. «assenza del difetto relativo di rilevanza»), viene,
sempre  piu'  -  considerata  sotto  l'aspetto  dell'accertamento del
requisito    relativo    all'applicabilita'    della    norma    (nn.
115-125-149-180-255/2001, 240/2002), e, solo dopo, sotto quello della
«concreta  rilevanza in senso stretto»: da cio' deriva la valutazione
della  rilevanza  sotto  due  aspetti:  come  applicabilita'  e  come
influenza  (sent.  n. 65/1999),  richiedendo all'uopo: 1) una congrua
motivazione  in  fatto (sentt., nn. 194/1999 e 255/2003, ex plurimis,
e, in diritto, sia dell'una sia dell'altra, a pena d'inammissibilita'
(nn.              19-25-37-53-72-93-211-282-300-317-450-455-460/1999,
97-131-139-147-170-171-181-222-236-279-28191/2000,21-151/2003,ecc.);
     tenuto  conto del carattere «istantaneo» dell'accertamento della
rilevanza,  e' preferibile ritenere che il giudice a quo sia convinto
-   almeno   -   della   ragionevole   probabilita'   che  la  norma,
costituzionalmente,  dubbia,  venga applicata,e, motivi, in tal guisa
(nei termini infra delineati dallo scrivente), la propria decisione:,
per  cui  la  Corte costituzionale parla, a riguardo, di «ragionevole
possibilita» sent. 277/1998;
     il  momento  determinante,  per la rilevanza della questione, va
valutato  al  momento  della  decisione  della  Corte  (C.  cost., 22
dicembre  182,  n. 235,  Corte cost., 18 aprile 1983, n. 95), la qual
cosa  acquista,  ancor  piu', spessore nel caso in discussione, vista
l'incidenza  che  la  cartella  di  pagamento  puo',  effettivamente,
determinare  in  odio  del percusso, per la particolare procedura, di
estremo aggravio per il l'amministrato passibile di vedere «staggiti»
i   propri   beni,  a  garanzia  del  credito,vantato,  dall'ente  di
riscossione coattiva, a quo;
     la  lettura  dell'art. 23, secondo comma, legge n. 1953/1987, fa
esplicito riferimento all'ipotesi che il caso non possa essere deciso
indipendentemente dalla risoluzione della questione principale.
   Quanto alla manifesta infondatezza:
     dapprima essa era circoscritta entro i termini che richiamano il
dubbio,  carico  di  sospetto ed incertezza (sent. n. 161/1977), come
condizione «psicologica», pur minima, per l'emanazione dell'ordinanza
di  rinvio:  successivamente  la  predetta  nozione  si  e'  ampliata
modulandosi  secondo  le  locuzioni:  «evidente»,  «certo», «palese»,
«insanabile contrasto con i principii costituzionali, che paiono piu'
idonee ad esprimere una certezza anziche' un dubbio;
     cio'  ha  portato  la  Corte  ad  «esigere»  dal «giudice a quo»
l'indicazione  della  «soluzione»  del  problema di costituzionalita'
(sentt.   n. 566-1987,189-240/1991,  234-357-425/1992,  357-437/1996,
185-418/1997,       265-279-378-397-425-458/1998,       333-372/1999,
201418/2000, 153-342/2001).
   Quanto all'impossibilita' di configurare una «norma adeguatrice» o
«conforme a Costituzione»:
      il rimettente ha accolto l'invito della Corte ad quem a tentare
interpretazioni    «adeguatrici»    (sentt.    n. 57-89-237-322/2001,
3-315/2002),  ma,  in  presenza  di un ius superveniens non ha potuto
rinvenire  quella  «non  implausibile» (sentt. n. 375/2002, 64/2003),
capace  di  evitare il ricorso al Giudice delle leggi, tanto piu' che
il   sottoscritto   ha   evitato,   per  rispetto  del  principio  di
«nomofiliachia»,  a  suo  carico,  di  trovare/inventare norme (sent.
n. 364/1997).
   Quanto al parametro e all'oggetto del giudizio delle questioni qui
sollevate:
     a)  il  primo,  nella sua struttura interna e' costituito non da
elementi  di natura, propriamente, normativa, bensi', pure, di quelli
di  ordine  fattuale,  ugualmente  idonei  ad  incidere  sul processo
costituzionale,   sulla   norma   (contenuto   di  significato  della
disposizione  di  legge,  ossia risultato dell'interpretazione) e non
sulla  disposizione (enunciato della fonte legislativa, ossia oggetto
dell'interpretazione).
   Quanto agli elementi necessari per il giudizio di comparazione:
     il  rimettente  significa  le  condizioni  acconce a sostanziare
l'asserto  formale  vergato  in ogni quesito sottoposto alla Consulta
(sent. 1° febbraio 1983, n. 15, ord. 8 febbraio 1991, n. 66).
   Cio'   premesso,   indica,  fin  d'ora,  quanto  oggetto  del  suo
provvedimento,  ossia solleva di ufficio la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  36,  comma  4-ter  della legge 28 febbraio
2008,   n. 31   «Conversione   in   legge,   con  modificazioni,  del
decreto-legge  31  dicembre  2007,  n. 248 recante proroga di termini
previsti da disposizioni legislative e disposizioni legali in materia
finanziaria» in relazione agli artt. 2, 3, 24 e 97 Cost., nella parte
in  cui  dispone:  «...la  mancata  indicazione  del responsabile del
procedimento   nelle   carteller   di  pagamento,  relative  a  ruoli
consegnati  prima  di  tale  data,  non  e'  causa  di nullita' delle
stesse».
   In linea di fatto risulta:
     che  al  ricorrente: e'  stata  notificata cartella di pagamento
N0482007  emessa  da  .....................  in  data non accertata e
notificata    al    ricorrente    in    data    per    l'importo   di
euro: .........................         oltre         a         euro:
.........................  per un totale di euro: ...................
in  generale  la  questione  di  costituzionalita'  pone problemi che
attengono  i  principii,  intesi quali proposizioni normative ad alto
grado  di  genericita' a fattispecie aperta, applicabili nella forma:
«piu'  o  meno», ossia con la massima estensione o restrizione (artt.
2,  3 Cost.), e, le regole, definibili come proposizioni normative ad
elevata specificita', a fattispecie chiusa, secondo il modello: «Se A
allora  segue  B», applicabili nella forma del «tutto-niente», quindi
destinate  ad  essere  attuate  oppure no (art. 111 Cost., in tema di
formazione della prova nel contradditorio);
     il  caso  oggetto  di  giudizio  non puo' comprendersi se non in
riferimento  alla norma, ed essa deve a quello riferirsi, perche' non
solo  il  caso  si orienti alla norma, ma, anche, la seconda al primo
(c.d.  «concretizzazione  del  diritto»),  il  che  significa come il
giudice,  di  fronte  ad  un  accadimento  problematico  (nel caso in
questione   l'aggravio   di   una   cartella  di  pagamento  mancante
dell'elemento    identificativo   saliente,   anzi,   della   massima
importanza:   l'indicazione   dell'identita'   del  responsabile  del
procedimento),  sollevi  il  problema,  in tanto per comprenderlo, in
quanto  per  risolverlo  possa  (per effetto del principio del «dover
essere»,  il  quale  comportando una modificazione dell'«essere», non
puo' essere rappresentato come un elemento «a priori», dato per certo
ed  acquisito  nel  contesto  della  realta',  bensi'  deve  avere la
capacita'   di   essere  «realmente»,  nella  sua  posizione  di  far
sperimentare al destinatario un senso di dovere nei confronti di tale
intimazione-ingiunzione),  stornare il rischio di appropinquarsi alla
deriva  dell'«indecidibilita»  inibita, comunque e dovunque si cerchi
la «norma» applicanda alla res litigiosa, sfociata in res iudicanda.
   I cardini della questione pertengono:
     la nozione di validita' dell'atto amministrativo;
     il valore dell'asserto: «giusto procedimento amministrativo»;
     il  significato  del  principio  di «eguaglianza sostanziale» in
relazione  all'effettiva estrinsecazione di quest'ultima, vietando al
giudice  di  porre  in  essere  una  disciplina  che direttamente, o,
indirettamente,  dia  vita  ad una - non giustificata - disparita' di
trattamento delle situazioni giuridiche (Corte cost., 1966/25); tutto
quanto  serva  a dire che, il rimettente, muove dalla convinzione che
la  questione  scrutinanda dall'ecc.ma Corte adita, involgano diversi
profili  rispetto  a  quelli  esaminati  in sentenze (Corte cost., 26
giugno  1974,  n. 189,  Giur.  Cost.,  1974,  1632,  Corte  cost., 13
febbraio  1974,  n. 32,  ivi,  1974,  117),  giacche' oggi si dibatte
sull'assenza  di  giustificazione di una norma che «lungi dall'essere
un  inutile  adempimento,  ha  lo  scopo di assicurare la trasparenza
dell'attivita'  amministrativa,  la  piena informazione del cittadino
(anche  ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e
la  garanzia  del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del
buon  andamento  e dell'imparzialita' della pubblica amministrazione,
predicati  dall'art. 97, primo comma, Cost.», citando l'ecc. ma Corte
adita:  ordinanza  2007/377,  del  5  novembre  2007,  depositata  in
Cancelleria  il 9 novembre 2007, pubblicata in Gazzetta Ufficiale del
14 novembre 2007.
   In  particolare,  dalla decisione suddetta il g.d.p. rimettente ha
accolto  ricorsi,  in subiecta materia e aventi ad oggetto proprio il
tema  oggetto  dell'odierna q.l.c., tra cui citasi quello riguardante
il  Proc.  n. 3987/07  R.G.  Affari  Cont., nanti cotesto ufficio del
g.d.p., ove ha costitutito parte integrante della motivazione, quanto
segue:   l'inapplicabilita'   dell'ipotesi   di   nullita'  dell'atto
amministrativo, afferente:
     1) l'invalidita' dell'atto, della divergenza grave dal paradigma
legale,  dalla  sua  sanabilita' a mezzo della conversione dell'atto;
che
     2)  si  riflette  nella  fattispecie della nullita' che non puo'
essere  astretta  alla  nozione  fondata sulla «causalita» secondo il
principio: quod nullum est nullum producit effectum, ne' e' libera di
svolgersi  secondo  il  dettame di quella «realistica» che conferisce
alla  fattispecie autonoma rilevanza, tenuto conto che, tra rilevanza
ed  efficacia non esiste intima connessione, ne' e' astretta a quella
dell'autonomia:  perche'  un  fatto  sia  giuridicamente rilevante e'
sufficiente  che  il medesimo sia qualificato da una norma giuridica,
ma,   una   fattispecie  puo'  essere  definita  come  giuridicamente
rilevante  a  prescindere  dalla sua efficacia, bastando che il fatto
materiale  sia  sussumibile nella fattispecie astratta prevista dalla
norma; e che non e'
     3)  intesa  come l'esito di un processo dove il soggetto e' leso
un atto concreto che produce conseguenze pratiche (cosi' come il
     dicere
senza  ius non e' iudicum, lo ius senza dicere non e' ius, per cui il
rapporto  tra  ius  e  iudicium  e' il medesimo che tra pensiero e la
parola:  un rapporto circolare), sicche' puolsi dire come la dinamica
giuridica  poggi  su  un  saldo  collegamento  tra realta' sociale ed
ordinamento, di talche' gli effetti giuridici non sono prodotti dalla
norma   astratta,   bensi'   dalle   concrete   valutazioni  compiute
dall'ordinamento:   la  fattispecie,  con  un  moto  circolare,  vive
indipendentemente  dagli  effetti,  dappoiche'  possono  riscontrarsi
fenomeni  che  si concretano nella determinazione di effetti conformi
al  risultato  pratico, perseguito dagli autori dell'atto, e risposte
negative,  che  si  risolvono  nel collegamento di effetti contrari a
valere come rifiuto di effetti; onde per cui
     4)  da  cio'  consegue  che  l'ordinamento, in tema di nullita',
compiva  quella  valutazione  diretta  a  negare  la produzione degli
effetti  giuridici,  ossia, sussumendo quella norma che assuma quella
precisa  posizione  consistente  nel  rifiuto  di collegare lo stesso
trattamento previsto per gli atti validi, sicche',
     5)  in  tal  modo  viene  risolto  il  problema,  non altrimenti
superabile,  mediante  la  separazione,  completa,  del momento della
rilevanza  da quello dell'inefficacia, in questi termini: riferendola
rilevanza  al  rapporto  che  si  instaura  tra fatto e fattispecie e
l'efficacia  riferendo  la  al  rapporto  che si instaura tra realta'
materiale   e   statuizione   normativa   (corrispondente,  in  senso
metaforico,  all'«ideato»  e  l'«attuato»);  cio'  e' rigettato dallo
scrivente, per l'incapacita' di detta teoria di delineare il rapporto
che  viene  ad  instaurarsi  tra  il momento della rilevanza e quello
dell'efficienza.
   Da  cio'  deriva  come  tale  vizio  non  sia rilevabile in questa
procedura,  essendo  limitato  il  potere del G.O. ex art. 4 legge 20
marzo  1865,  n. 2248,  All.  E,  avendo  la pronuncia sulla nullita'
valore erga omnes.
   Inoltre  non  si  appunta - all'atto in questione - il vizio della
sua annullabilita', una volta assodato che:
     la  nozione  di  «annullabilita»  va  enucleata secondo il modus
ponens di cui alla C.C., su, 1973/2273), ossia:
      il    Pretore,    che    in   sede   di   opposizione   avverso
ordinanza-ingiunzione  irrogativa di sanzione pecuniaria ha il potere
di  conoscere  incidenter tantum, dell'invalidita' del provvedimento,
puo'  sindacare  l'atto nei limiti della prefata legge, solo sotto il
profilo  dei  vizi  di  legittimita'  incluso l'eccesso di potere per
sviamento  di  potere, - che consiste nella violazione dei due limiti
fondamentali   posti   all'esercizio   di   una   qualsiasi  potesta'
amministrativa  (interesse  pubblico  e  causa  tipica)  :C.d.S., VI,
1970/198 -, mediante l'istituto della disapplicazione.
   Quest'ultima,  come  infra  si  dira', e' l'ipotesi applicabile in
detta   controversia;  l'annullabilita'  del  provvedimento  opposto,
inteso come:
     strutturato  secondo  le  leggi  di depenalizzazione : 1967/317,
1975/706,  fino  a quella regolanda, in oggi, ossia 1981/689, per cui
mutua  i  caratteri  peculiari  del  procedimento  di  opposizione al
decreto  penale  di  condanna,  ex  art. 509 ss., r.d. 1930/1399, ora
disciplinato  ex art. 461 c.p.p. ex d.P.R. n. 1988/447, si configura,
non  gia' in termini di impugnazione dell'atto, bensi' quale giudizio
ordinario  di  cognizione  sulla  pretesa fatta valere dalla p.a. con
l'atto opposto (C.C. 1999/1122, C.C. sez. lav., 1989/5721);
     esso  devolve  al  G.O.  il  potere-dovere di esaminare l'intero
rapporto,  con  cognizione  piena  che  non e' limitata alla verifica
della  legittimita'  formale  dell'atto,  ma  si stende - nell'ambito
delle  deduzioni  delle  parti  - all'esame completo del merito della
pretesa stessa (C.C. 1998/9433);
     in tale giudizio le vesti sostanziali di attore e convenuto sono
assunte,  anche ai fini dell'onere della prova, rispettivamente dalla
p.a.  e  dall'opponente,  sicche'  l'opposizione puo' esaurirsi anche
nella  sola  contestazione della pretesa della p.a., mentre l'obbligo
di  motivazione  dell'ordinanza-ingiunzione,  stabilito dall'art. 18,
legge  n. 689/1981,puo' essere soddisfatto anche per relationem ossia
con riferimento al rapporto di denuncia (C.C. sez. lav., 1997/7779);
     nel  giudizio  in questione vige il principio di cui all'art.112
c.p.c. - corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato - di talche',
al  G.O.  e' inibito, fuori dalle strette deduzioni delle parti (C.C.
1995/5446), ogni potere officioso,eccetto il caso d'inesistenza. Cio'
spiega  l'inapplicabilita',  in  cotesta  vertenza,  del principio di
annullamento,  mentre,  di contro, liceizza il giudicante ad adottare
quello per inesistenza dell'atto.
   La  soluzione  del problema, nei termini di accoglimento suddetti,
era   sta   individuata   nell'ottica   della  c.d.  «imputazione  di
risultati»,  che  disegna  quell'ipotesi  di  «invalidita' radicale»,
ossia 1'«inesistenza», avuto riguardo che:
     solo  l'imputazione  puo'  spiegare fenomeni, che, diversamente,
fuoriescono  dal  mondo  del diritto: per cio' l'imputazione non vien
relegata  al  ruolo di «realta' di fatto», avendo una propria valenza
giuridica:   se   dalle   fattispecie  derivano  precise  conseguenze
giuridiche,  le  medesime non possono essere considerate come un quid
facti, bensi' comportano risultati tali da integrare se non la natura
propriamente attribuita alla categoria degli «effetti giuridici» veri
e   propri,quanto   meno   quelli,   forieri   di  pur  significative
ripercussioni  in  capo  al destinatario di essi, individuabili quali
«conseguenze giuridiche»;
     la funzione tipica del potere non si esaurisce con la produzione
di   determinati  effetti  giuridici  connessi  con  la  sua  formale
emanazione,   bensi'   con   la   traduzione   nella   realta'  delle
determinazioni  che  vi  sono  contenute: per cio' e' il risultato il
criterio  di  connotazione  della fattispecie rilevante a distinguere
l'ipotesi   di   nullita'   da   quella   dell'inesistenza,  per  cui
l'inesistenza e':
      il  carattere  che  connota il fatto improduttivo di risultati,
irrilevante  per il diritto, o, al contrario di effetti materiali che
non  sono oggetto di giudizio da parte dell'ordinamento (sia nel caso
provvedimento  materialmente  inesistente, pseudo atto, sia in quello
di provvedimento abnorme, sia in quello di carenza di potere), avente
l'effetto,  a  differenza della misura della sospensiva si accertare,
in  forma  stabile  e  non  interinale,  che il risultato (ovviamente
limitato  al  solo  caso  dedotto  in giudizio) non ha la forza ed il
valore di effetto giuridico.
   Al provvedimento disapplicatorio si era giunto atteso che:
     fin dalla sentenza della Cass., S.U., 1965/842, la suprema Corte
indirizzava  il  G.O.  a  non  tener  solo conto della qualificazione
giuridica  data  dalla  parte  alla domanda, e con quella della Cass.
1988/5267,  si esplicitava come sussistesse giurisdizione del g.o. in
relazione al petitum sostanziale della sottostante pretesa di merito,
non rilevando, conversivamente, il tipo di provvedimento acclamato;
     la  difficolta'  di  inquadrare l'istituto della disapplicazione
nell'area  in  cui  situasi il sindacato del g.o. in tema di sanzioni
amministrative,  opera  solo,  come,  infra, si dira' in chi segue il
criterio    d'interpretazione    della    legge    in    senso   c.d.
«concettualistico  dogmatico», proprio di chi persegue l'attivita' di
«sistematizzazione»  del diritto, a differenza di quanti, come questo
g.d.p.,enunciano il criterio discretivo: obiettivo-teleologico;
     in  vero  il legislatore ha attribuito un potere disapplicatorio
al  G.O., in conformita' alla ratio legis e, nel rispetto della legge
cui e' tenuta la pubblica amministrazione;
     intervenendo   in   senso   disapplicatorio  il  g.  o.  rifiuta
obbedienza  e legittima il rifiuto di obbedienza di fonte ad un atto,
che,  riconosce,  giudizialmente,  non  conforme  alla legge, con una
pronuncia,  esclusivamente,  limitata  al  caso  da  lui  vagliato  e
correlata al solo effetto risarcitorio e non restitutorio.
   Nello  specifico  era  stato  valutato come l'obbligo di indicare,
nella  cartella  di pagamento, il responsabile del procedimento fosse
conforme  a  quanto  statuito dall'ecc. ma Corte adita, risolvendo il
problema,    dell'applicabilita'   ex   officio   del   provvedimento
amministrativo in ragione del dato che:
     ogni atto di un procedimento (quale attiene la cartella de qua),
alla  pari della titolarita' dei provvedimenti giudiziali, assunti in
forma  scritta,  necessitano  della  firma  del suo autore, a pena di
inesistenza dell'atto;
     un atto e' valido quando e' riconducibile al suo autore;
     un atto quando e se e' valido, e' pure efficace ed applicabile;
     un (non atto) quando e se non e' valido, non e' nemmeno efficace
e non e' applicabile;
     il  provvedimento  amministrativo si differenzia, assolutamente,
dal  provvedimento  amministrativo:  il  primo  mira ad assicurare la
controllabilita'  e  l'accessibilita', da parte del suo destinatario,
allo  svolgimento dell'iter che eo ipso lo riguarda, il secondo e' un
atto  imperativo, «tipizzato», ed a «forma vincolata, il cui onere di
motivazione, per l'autorita' emanante, si esaurisce con l'indicazione
della norma posta alla base della sua emissione»;
     i  riferimenti  giudiziali  su  cui  poggiava  la conclusione di
questo   g.d.p.   trovavano   riscontro   nei   principii  comunitari
riconosciuti  dalla  Corte  di  Giustizia  europea (sentenze 9 giugno
1988,  W. Serie A/1384C, 7 luglio 1989, Soering, Serie A/161), la cui
valenza costituisca un motivo di pari grado a quelli pregressi.
   Tale  officioso  intervento  e'  insostenibile alla luce dello ius
superveniens,  ossia, a seguito dell'entrata in vigore della legge 28
febbraio  2008,  n. 31: «Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge  31  dicembre  2007, n. 248, recante proroga di termini
previsti  da  disposizioni  legislative  e  disposizioni  urgenti  in
materia  finanziaria.», pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 47/L, del
29  febbraio  2008,  all'art.  36  4-ter  leggesi:  «La  cartella  di
pagamento  di  cui  all'art.  25  del  decreto  del  Presidente della
Repubblica   29   settembre  1973,  n. 602  e  successive  modifiche,
contiene,   altresi',   a   pena   di   nullita',  l'indicazione  del
responsabile  del  procedimento  di iscrizione a ruolo e di quello di
emissione  e  di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni
di  cui  al  periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli
agenti  della  riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008; la mancata
indicazione  dei responsabili dei responsabili dei procedimenti nelle
cartelle  di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data
non e' causa di nullita' delle stesse.».
   Le ragioni dell'intervento del rimettente sono dettate:
     il valore precettivo, non programmatico, dell'art. 2 Cost., deve
trovare  riscontro  nel  fatto che esso e' caratterizzato dall'essere
espressione  di  «una clausola aperta» (sul principio generale: Corte
cost.,  24 marzo 1983, n. 77), che si sostanzia con il riempimento e,
non,  con  il  toglimento,  dalla Carta dei diritti, di una norma «di
protezione»  in  capo al cittadino, e che, l'espressione del «diritto
soggettivo», va riconosciuta e garantita dal diritto oggettivo, ossia
dalla legge;
     l'art.  3  Cost.,  non  esprime  la  concettualizzazione  di una
categoria  astratta,  staticamente elaborata in funzione di un valore
immanente dal quale l'ordinamento non puo' prescindere, ma, definisce
l'essenza  di  un  giudizio  di  relazione  che, come tale, assume un
risalto   necessariamente   dinamico;  il  giudizio  di  eguaglianza,
pertanto,  e'  in  se'  un  giudizio  di  ragionevolezza, o meglio di
apprezzamento  di  conformita'  tra  la regola introdotta e la «causa
normativa» che la deve assistere.
   Se  l'analisi  di  tale  motivazione rende manifesta la carenza di
«causa»   o   «ragione»  della  disciplina  introdotta,  sortisce  la
conseguenza  che  la scelta legislativa si palesi arbitraria per aver
omologato,  tra  loro,  situazioni  diverse,  o,  al  contrario, come
apparso  allo  Stilante,  per  avere  differenziato il trattamento di
situazioni analoghe (Corte cost., 25-28 marzo 1996, n. 89):
     dalla non «ragionevolezza» della scelta del legislatore di usare
un  trattamento diverso tra cittadini, in base al mero dato temporale
ut  supra  indicato, che si trovino in eguali situazioni (C. cost. 29
maggio 1960, n. 15, Giust. Cost., 1960,147);
     dal   costituire   il   predetto  principio  di  eguaglianza  di
trattamento tra eguali posizioni l'espressione dei canoni di coerenza
dell'Ordinamento  giuridico  (Corte  cost.,  30  novembre 1982, Giur.
Cost., 1982,I, 2146);
     l'obbligo di assicurare la parita' di trattamento - da parte del
Legislatore  - va osservato ogni qualvolta siano eguali le condizioni
soggettive ed oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscano
per  la  loro applicazione (Corte cost., 26 gennaio 1957, nn. 3 e 28,
Giur. Cost., 1957,5 e 598);
     il  diritto  di  difesa  (art.  24 Cost.), inteso nel suo nucleo
essenziale,   strettamente  collegato  al  caso  in  discussione,  va
riconosciuto, per sancire la non pobliterazione del principio ius est
ars  boni  et aequi, in quanto il procedimento di cui trattasi non e'
soggetto   alla   discrezionalita'  amministrativa  (Corte  cost.,  2
febbraio 1982, n. 18, in Giur. Cost., 1982,I,138): nel caso di specie
la  disposizione  che  proroga  il  termine  a  favore della p.a. per
omettere  di  menzionare  il  nome  del responsabile del procedimento
della  cartella  di  pagamento, rende, alla luce delle considerazioni
gia'  espresse  in  sentenza  precisata  dell'ecc.  ma  Corte ad quem
l'esercizio  del  diritto  di  difesa  del  cittadino; infatti la non
riferibilita'    dell'atto    al    suo    autore,    nominativamente
indicato,rientra  in  quell'ipotesi  che  configura  l'esercizio  del
diritto  di difesa estremamente difficile (Corte cost. 9 luglio 1974,
n. 214,  Giur.  cost.,  1974,  1740;  Corte  cost., 22 dicembre 1989,
n. 368,  Foro it., 1990, I, 2141);
   il  principio  di  «buona  amministrazione»  sancito  dall'art. 97
Cost.,  si  assume  dallo  scrivente  violato  dal Legislatore a quo,
supposto   che   ricorre   la   forma   paradigmatica   di  manifesta
irragionevolezza  della  differente  condizione  di trattamento tra i
destinatari  di cartelle di pagamento redatte e/o consegnate in tempi
diversi  tra  loro (Corte cost., 30 gennaio 1980, n. 10, Giur. cost.,
1980, I, 67, Corte  cost. 15 febbraio 1980, n. 16, Giur. it. 1980, I,
137,  Corte  cost.  22  dicembre 1988, n. 21, Foro it. 1989, I, 1370,
Giur. it. 1989, I, 1, 1271, Corte cost. 19 giugno 1990, n. 295, Corte
cost. 25 luglio 19990, n. 369);
     nell'ambito  dei  «Diritti  del  cittadino  dell'Unione», di cui
all'art.1-10, paragrafo 2, lettera d) del Trattato-Costituzione (gia'
contemplato  nell'art. 21 del Trattato CE),correlato all'art. III-398
vigente,  e'  stato  enunciato piu' volte (conclusioni degli Avvocati
generali  Jacobs nella causa n. C-270/99, Z c. Parlamento europeo del
22   marzo   2001,   paragrafo  40;  Stix-Hackl,  causa  n. C-224/00,
Repubblica  italiana  c.  Commissione  delle  Comunita' europee del 6
dicembre  2001,  paragrafo  58;  Kokott,  cause  nn.  C-361/02, Stato
Ellenico  c.  Nikolaos  Tsapalos  e  Kostantinos  Diamantakis, del 19
febbraio  2004, nota 23; sentenze Corte di Giustizia CE,: T-54/99 max
mobil  Telekommunikation Service c. Comm. CE, del 30 gennaio 2002, in
Racc. 2002, p. 11-313, paragrafi 48 e 57);
     la   codificazione  dei  nuovi  principii  generali  dell'azione
amministrativa:   «L'attivita'   amministrativa   persegue   i   fini
determinati  dalla  legge  ed e' retta da criteri di economicita', di
efficacia,  di  pubblicita'  e  di  trasparenza  secondo le modalita'
previste   dalla  presente  legge  e  dalle  altre  disposizioni  che
disciplinano    singoli    procedimenti,    nonche'    dai   principi
dell'ordinamento  comunitario»  (art.  1,  legge n. 241 del 1990 come
novellato  dall'art.  1, lett. a) della legge n. 15 del 2005),enuncia
ragioni  di:  legalita',  imparzialita',  dell'azione amministrativa,
mossa da fini di: economicita', efficacia, celerita', efficienza, che
rendono   conto  del  principio  di  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione,    nonche'    di    trasparenza,   controllabilita',
accessibilita', che assicurano il miglio contemperamento di interessi
senza  implicare detrimento dei diritti dell'amministrato, bensi' con
il   garantire   il  minor  danno  per  il  destinatario  dell'azione
amministrativa  il  che  significa  che  l'art.  97  non  e' norma di
carattere  programmatico  ma immediatamente precettiva (Corte cost. 7
marzo  1962, n. 14) e si traduce nell'esigenza di assicurare non solo
l'organizzazione  degli uffici, bensi' investe il funzionamento della
p.a. (Corte cost. 10 marzo 1966, n. 22);
     gia'  la legge n. 1997/59 prevede all'art. 20 che tra i principi
informatori dell'ampia attivita' di delegificazione e semplificazione
di   procedimenti   amministrativi  vi  sia  «...l'adeguamento  della
disciplina  sostanziale  e procedimentale dell'attivita' e degli atti
amministrativi ai principi della normativa comunitaria»;
     la  cartella  di  pagamento  gravida  di  aggravio  e  nocumento
rilevante  in  capo  al percusso deve essere contrassegnata da quelle
forme di garanzie, riconosciute:
      quanto   all'obbligo  di  motivazione  e  sottoscrizione  dalla
sentenza del 26 settembre 2002 della Commissione TRIBUTARIA REGIONALE
di Venezia;
      quanto alla mancata indicazione, in cartella di pagamento,delle
modalita' per fare ricorso, dalla sentenza n. 7897/2003 delle sezioni
unite  della  Corte di cassazione, decidendo su un ricorso del Comune
di  Firenze  avverso  la sentenza n. 1008/2002 del giudice di pace di
Firenze  che  aveva  sindacato l'inadempimento della p.a. a riguardo,
entrambe   si  innestano  nel  solco  delineato  dallo  «Statuto  del
Contribuente» di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212;
      considerato   che  per  cio'  e'  adottabile  la  misura  della
sospensione del giudizio (ex art. 23, legge n. 1953/87, 295 c.p.c.).
                              P. Q. M.
   Dispone la sospensione del presente giudizio.
   Solleva  di  ufficio  la  questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  36,  comma  4-ter  della  legge  28  febbraio 2008, n. 31,
«Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del  decreto-legge  31
dicembre  2007,  n. 248,  recante  proroga  di  termini  previsti  da
disposizioni   legislative   e   disposizioni   urgenti   in  materia
finanziaria»  in relazione agli artt. 2, 3, 24, 97 cost., nella parte
in   cui  dispone:  «la  mancata  indicazione  dei  responsabili  del
procedimento  nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati
prima di tale data non e' causa di nullita' delle stesse.».
   Manda   la  cancelleria  di  notificarla  alle  parti  nonche'  al
Presidente  del Consiglio dei ministri e di comunicarla al Presidente
della   Camera   dei  deputati  e  al  Presidente  del  Senato  della
Repubblica.
     Genova, addi' 16 maggio 2008
                     Il giudice di pace: Cattani