N. 350 SENTENZA 22 - 24 ottobre 2008

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Telecomunicazioni - Regione Lombardia - Norme per l'insediamento e la
  gestione  di  centri  di  telefonia  in  sede  fissa - Questioni di
  legittimita'   costituzionale   sollevate   sotto  piu'  profili  -
  Insufficiente  descrizione  delle fattispecie oggetto dei giudizi a
  quibus  -  Impossibilita'  di  attingere elementi di conoscenza dal
  fascicolo  di  causa,  in  virtu'  del principio di autosufficienza
  dell'ordinanza   introduttiva   -   Carenza  di  motivazione  sulla
  rilevanza - Manifesta inammissibilita' delle questioni.
- Legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6, artt. 1; 3; 4; 8,
  comma  1,  lettere  e),  f),  h)  e i), e comma 2; art. 9, commi 1,
  lettera c), e 2; e art. 12.
- Costituzione, artt. 3, 15, 41 e 117; d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259,
  artt. 2, 3, 4 e 25.
Telecomunicazioni - Regione Lombardia - Norme per l'insediamento e la
  gestione  di  centri  di  telefonia  in  sede  fissa  - Requisiti e
  prescrizioni  igienico-sanitarie  -  Applicabilita'  retroattiva  -
  Lamentata  incidenza  sui  principi  di affidamento, di liberta' di
  comunicazione  e  di  liberta'  di  iniziativa  economica  privata,
  nonche'  violazione  della  normativa  comunitaria  in  materia  di
  concorrenza  -  Omessa specificazione, da parte del rimettente, dei
  requisiti  igienico-sanitari  accertati in concreto come mancanti -
  Difetto di motivazione sulla rilevanza - Manifesta inammissibilita'
  delle questioni.
- Legge  della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6, art. 8, comma 1,
  lettere e), f), h) e i), e comma 2.
- Costituzione, artt. 3, 15, 41 e 117; d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259,
  artt. 2, 3, 4 e 25.
Telecomunicazioni - Regione Lombardia - Norme per l'insediamento e la
  gestione  di centri di telefonia in sede fissa - Riconduzione della
  materia,  ad  opera  del  legislatore  regionale, «nel quadro delle
  competenze  della  Regione  e dei comuni in materia di commercio» -
  Introduzione   di   un   vero   e   proprio  autonomo  procedimento
  autorizzatorio  per  lo  svolgimento  dell'attivita'  dei  predetti
  centri - Contrasto con le scelte operate dal legislatore statale in
  tema di liberalizzazione dei servizi di comunicazione elettronica e
  di  semplificazione  procedimentale  -  Violazione  dei  criteri di
  riparto  delle  competenze di cui all'art. 117 della Costituzione -
  Illegittimita'   costituzionale   -   Assorbimento  delle  restanti
  censure.
- Legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6, art. 1.
- Costituzione,  art.  117  (artt. 3, 15, 41); d.lgs. 1° agosto 2003,
  n. 259, artt. 2, 3, 4 e 25.
Telecomunicazioni - Regione Lombardia - Norme per l'insediamento e la
  gestione  di  centri  di  telefonia  in sede fissa - Previsione, da
  parte  del  legislatore  regionale,  di un sistema generalizzato di
  autorizzazione  comunale per l'esercizio dell'attivita' - Contrasto
  con   le   scelte  operate  dal  legislatore  statale  in  tema  di
  liberalizzazione  dei  servizi  di  comunicazione  elettronica e di
  semplificazione  procedimentale - Violazione dei criteri di riparto
  delle   competenze   di  cui  all'art.  117  della  Costituzione  -
  Illegittimita'   costituzionale   -   Assorbimento  delle  restanti
  censure.
- Legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6, art. 4.
- Costituzione,  art.  117  (artt. 3, 15, 41); d.lgs. 1° agosto 2003,
  n. 259, artt. 2, 3, 4 e 25.
Telecomunicazioni - Regione Lombardia - Norme per l'insediamento e la
  gestione  di  centri  di  telefonia in sede fissa - Prevista revoca
  dell'autorizzazione   e  sospensione  dell'attivita'  nei  casi  di
  inosservanza,  da parte del titolare dell'autorizzazione del centro
  di   telefonia  in  sede  fissa,  degli  obblighi,  prescrizioni  e
  autorizzazioni    in    materia   di   edilizia,   urbanistica   ed
  igienico-sanitaria,  nonche'  delle disposizioni sulla destinazione
  d'uso  dei locali e degli edifici, prevenzione incendi e sicurezza,
  preventivamente   all'avvio   dell'attivita'   o   entro   un  anno
  dall'entrata  in  vigore  della  legge censurata - Introduzione, ad
  opera  del  legislatore  regionale,  di  un vero e proprio autonomo
  procedimento  autorizzatorio  per lo svolgimento dell'attivita' dei
  predetti  centri  - Contrasto con le scelte operate dal legislatore
  statale  in  tema  di liberalizzazione dei servizi di comunicazione
  elettronica  e  di  semplificazione procedimentale - Violazione dei
  criteri  di  riparto  delle  competenze  di  cui all'art. 117 della
  Costituzione  -  Illegittimita' costituzionale - Assorbimento delle
  restanti censure.
- Legge  della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6, art. 9, commi 1,
  lettera c), e 2.
- Costituzione,  art.  117  (artt. 3, 15, 41); d.lgs. 1° agosto 2003,
  n. 259, artt. 2, 3, 4 e 25.
Telecomunicazioni - Regione Lombardia - Norme per l'insediamento e la
  gestione  di  centri  di  telefonia  in  sede  fissa  - Requisiti e
  prescrizioni igienico-sanitarie - Obbligo per i titolari dei centri
  di telefonia gia' attivi alla data di entrata in vigore della legge
  censurata  di  porsi  in  regola  con  le  vigenti  norme  e con le
  prescrizioni  e  autorizzazioni in materia di edilizia, urbanistica
  ed  igienico-sanitaria, previsti dalla legge medesima entro un anno
  da  detta  data - Introduzione, ad opera del legislatore regionale,
  di  un  vero  e proprio autonomo procedimento autorizzatorio per lo
  svolgimento  dell'attivita'  dei predetti centri - Contrasto con le
  scelte  operate dal legislatore statale in tema di liberalizzazione
  dei  servizi  di  comunicazione  elettronica  e  di semplificazione
  procedimentale - Violazione dei criteri di riparto delle competenze
  di   cui   all'art.   117   della   Costituzione  -  Illegittimita'
  costituzionale - Assorbimento delle restanti censure.
- Legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6, art. 12.
- Costituzione,  art.  117  (artt. 3, 15, 41); d.lgs. 1° agosto 2003,
  n. 259, artt. 2, 3, 4 e 25.
Telecomunicazioni - Regione Lombardia - Norme per l'insediamento e la
  gestione  di  centri  di telefonia in sede fissa - Dichiarazione di
  illegittimita' costituzionale delle disposizioni che subordinano ad
  autorizzazione  l'insediamento  e la gestione dei predetti centri -
  Sussistenza   di   un   inscindibile   rapporto  di  strumentalita'
  dell'intera  legge  con  le  norme  dichiarate  incostituzionali  -
  Illegittimita'  costituzionale in via consequenziale delle restanti
  disposizioni.
- Legge  della  Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6, [artt. 2, 3, 5,
  6, 7, 8, 9, comma 1, lettere a), b), d), e) ed f), 10, 11 e 13].
- Costituzione, artt. 117; legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27.
(GU n.45 del 29-10-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giovanni Maria FLICK;
Giudici:  Francesco AMIRANTE Giudice, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA,
   Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano
   SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,
   Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente
                              Sentenza
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 1; 3; 4; 8,
comma  1, lettere e), f), h) ed i) e comma 2; 9, comma 1, lettera c),
e  comma  2;  e  12 della legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006,
n. 6  (Norme  per l'insediamento e la gestione di centri di telefonia
in  sede fissa), promossi con ordinanze del 20 settembre 2007 (numero
2  ordinanze),  del  29  ottobre 2007, del 26 novembre 2007 (numero 3
ordinanze),  del  10  dicembre  2007  (numero  2  ordinanze),  del 27
dicembre  2007  e  del  22 gennaio 2008, dal Tribunale amministrativo
regionale  della  Lombardia, Sezione IV di Milano, iscritte ai numeri
2,  15,  65,  66, 67, 100, 101, 102, 103 e 127 del registro ordinanze
2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7, 8,
13, 16, e 19, 1ª serie speciale, dell'anno 2008.
   Visto l'atto di intervento della Regione Lombardia;
   Udito  nella  Camera di consiglio del 24 settembre 2008 il giudice
relatore Ugo De Siervo.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  dieci  distinte ordinanze (r.o. nn. 2, 15, 65, 66, 67,
100, 101, 102, 103 e 127 del 2008), adottate nel corso di altrettanti
giudizi,  il  Tribunale  amministrativo  regionale  della  Lombardia,
Sezione   IV  di  Milano,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale degli articoli 1; 4; 8, commi 1, lettere e), f), h) ed
i),  e 2; 9, commi 1, lettera c), e 2; e 12 della legge della Regione
Lombardia  3 marzo 2006, n. 6 (Norme per l'insediamento e la gestione
di  centri  di telefonia in sede fissa), in riferimento agli articoli
3, 15, 41 e 117 della Costituzione.
   2.  -  Il  rimettente  riferisce che i ricorrenti sono titolari di
centri  di telefonia gia' attivi alla data di entrata in vigore della
legge  regionale  n. 6  del  2006  e  che nei loro confronti e' stata
disposta, con ordinanze delle rispettive amministrazioni comunali, la
cessazione   dell'attivita'   «per  mancata  conformazione  ai  nuovi
requisiti (in prevalenza igienico-sanitari e di sicurezza dei locali)
disposti  dalla predetta legge regionale». Cio' in applicazione delle
seguenti  censurate disposizioni della legge regionale n. 6 del 2006:
l'art.  1,  «nella  parte  in  cui  riporta  la  materia  oggetto  di
trattazione  alla  legislazione  residuale  regionale sul commercio»;
l'art.  4,  «che introduce un sistema generalizzato di autorizzazione
comunale  per  l'esercizio  dell'attivita»;  l'art.  8,  «nella parte
(comma  1,  lettere  e,  f, h ed i, e comma 2) in cui introduce - con
immediata  modifica dei regolamenti comunali vigenti - numerosi nuovi
requisiti  igienico-sanitari  e di sicurezza dei locali; gli artt. 9,
primo  comma,  lettera  c) e secondo comma, e 12, che prevedono che i
centri  di  telefonia gia' funzionanti si debbano adeguare alle nuove
prescrizioni  entro  un anno, andando altrimenti incontro alla revoca
dell'autorizzazione.
   3.  -  In  punto  di  rilevanza,  il  rimettente  riferisce  che i
provvedimenti  impugnati  hanno intimato ai ricorrenti «la cessazione
immediata  dell'attivita' per mancato tempestivo adeguamento ai nuovi
requisiti  di  cui  sopra» e che la legge regionale non ha lasciato o
consentito  «alcuna  mediazione discrezionale in capo alla procedente
autorita'   amministrativa   la  quale  ...  ha  dovuto  emettere  il
provvedimento  (in  tutto  vincolato  nel  contenuto)  di  cessazione
immediata dell'attivita' alla scadenza del perentorio termine annuale
fissato».   Il   rimettente   riferisce  altresi'  di  aver  adottato
un'ordinanza cautelare di sospensione del provvedimento di cessazione
dell'attivita'  di  centri  di  telefonia  con  efficacia limitata al
periodo  di  tempo  necessario  a  che  la  Corte  costituzionale  si
pronunci.
   4.  - Il Tribunale amministrativo regionalerimettente individua le
disposizioni   costituzionali   di  cui  si  sospetta  la  violazione
nell'art.  117, «in relazione ai vincoli dell'ordinamento comunitario
ed al sistema di riparto delle competenze legislative Stato-Regione»;
negli  artt.  3  e  41,  «in  relazione, in particolare, ai rilevanti
ostacoli    che    le    restrittive    prescrizioni    in    materia
igienico-sanitaria  introdotte dalla legge regionale di che trattasi,
da  applicare  anche  retroattivamente  alle preesistenti gestioni di
centri   di  telefonia,  determinano  sulla  liberta'  di  iniziativa
economica   di   questi  ultimi»;  nell'art.  15  sulla  liberta'  di
comunicazione.
   4.1.  -  L'asserita  violazione  dell'art.  117 della Costituzione
sarebbe, innanzitutto, suffragata dall'errato inquadramento materiale
delle   disposizioni  censurate.  L'art.  1,  infatti,  riconduce  la
relativa  normativa  al  commercio.  Diversamente,  il  giudice a quo
esclude  che  la erogazione di servizi di telefonia in sede fissa, in
locali  aperti  al  pubblico,  rientri  nelle  previsioni legislative
relative  all'attivita'  commerciale.  Cio'  sarebbe  confermato  dal
divieto,  contenuto  nella  legge  censurata, di affiancare - come in
passato  - attivita' commerciali «di supporto», salvo la sola vendita
di schede telefoniche e l'installazione di distributori automatici di
bevande ed alimenti.
   Per   il   Tribunale  rimettente,  invece,  l'attivita'  presa  in
considerazione  dalla  legge  regionale  sarebbe  riconducibile  alla
materia    di    competenza    concorrente   dell'ordinamento   delle
comunicazioni  e,  piu' specificamente, al «servizio di comunicazione
elettronica»  di  cui  all'art.  2,  paragrafo  1,  lettera  c) della
direttiva   7   marzo   2002,  n. 2002/21/CE,  recepito  dal  decreto
legislativo  1°  agosto  2003,  n. 259  (Codice  delle  comunicazioni
elettroniche).
   4.2. - Il diverso inquadramento materiale determinerebbe una serie
di limiti e vincoli sul legislatore regionale.
   Innanzitutto,  la  rilevata  matrice  europea  di  tale  normativa
comporta   l'applicabilita',   ex   art.   117,  primo  comma,  della
Costituzione,  del  principio  di proporzionalita'. In secondo luogo,
trattandosi di materia concorrente, il legislatore regionale non puo'
disattendere  i  limiti  della  legislazione  statale  di  principio.
Infine, occorrerebbe anche considerare alcuni «profili trasversali di
legislazione  esclusiva  statale»  ex  art. 117, secondo comma, della
Costituzione,  con  specifico  riguardo alla tutela della concorrenza
(lettera  e)  nonche'  alla salvaguardia dei livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale (lettera m).
   Il  rimettente  ricorda  che  l'art. 3, comma 1, del surrichiamato
codice  delle  comunicazioni  garantisce  i  «diritti inderogabili di
liberta'   delle   persone   nell'uso   dei  mezzi  di  comunicazione
elettronica»,   con   espresso   riferimento   al  regime  di  libera
concorrenza.   Inoltre,  i  principi  di  derivazione  comunitaria  e
costituzionale  risultano  espressamente  ribaditi  dall'art.  4  del
medesimo  codice, il quale prevede al comma 1 che la disciplina delle
reti   e   dei   servizi   sia   volta   a  salvaguardare  i  diritti
costituzionalmente  garantiti di «liberta' di comunicazione», nonche'
di  «liberta'  di  iniziativa  economica e suo esercizio in regime di
concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di
comunicazione    elettronica   secondo   criteri   di   obiettivita',
trasparenza, non discriminazione e proporzionalita».
   Al  tempo  stesso,  il  comma 3 dello stesso art. 4 dispone che la
suddetta disciplina e' diretta anche a «promuovere la semplificazione
dei  procedimenti  amministrativi  e  la  partecipazione  ad essi dei
soggetti  interessati, attraverso l'adozione di procedure tempestive,
non  discriminatorie  e  trasparenti  nei confronti delle imprese che
forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica».
   4.3.  -  Per  il  rimettente,  il legislatore lombardo - regolando
l'intero  settore  dei  centri  di  telefonia  in  sede  fissa  -  ha
introdotto  «un regime autorizzativo ulteriore e duplicativo rispetto
al  sistema  delineato  in sede comunitaria e recepito con il decreto
legislativo n. 259/2003».
   Cio'  mentre  il  comma  2  dell'art.  3  del  codice configura la
fornitura  di  reti  e  servizi  di comunicazione elettronica come di
preminente  interesse  generale  e libera, salve solo «le limitazioni
derivanti  da  esigenze  della  difesa e della sicurezza dello Stato,
della  protezione  civile,  della  salute  pubblica  e  della  tutela
dell'ambiente  e  della riservatezza e protezione dei dati personali,
poste   da   specifiche  disposizioni  di  legge  o  da  disposizioni
regolamentari   di   attuazione».   Lo   stesso  codice  prevede  che
l'espletamento   di  tali  servizi  venga  subordinato  ad  una  sola
«autorizzazione  generale»,  in  armonia con la normativa europea. In
particolare,  tale  autorizzazione consegue alla presentazione di una
dichiarazione  dell'interessato  (a  seguito della quale e' possibile
iniziare   l'attivita)  contenente  l'intenzione  di  procedere  alla
fornitura  (art.  25,  comma  3),  mentre  il  potere  del  Ministero
competente  di  vietare  il  prosieguo  dell'attivita'  medesima puo'
essere  esercitato  «entro  e  non  oltre» sessanta giorni secondo il
modulo procedimentale della dichiarazione di inizio attivita' ex art.
19, legge 7 agosto 1990, n. 241 (art. 25, comma 4).
   Il  giudice  rimettente sostiene che la previsione di un ulteriore
titolo  abilitativo comunque abbia alterato «il regime di sostanziale
liberta'  di  fornitura dei servizi de quibus cosi' come delineato in
via  primaria dall'ordinamento comunitario, ed in via attuativa dalla
norma   statale   di   recepimento,   con   conseguenti  aggravamenti
procedimentali   vietati   dai   citati  artt.  3  e  4  del  decreto
n. 259/2003».
   Peraltro  -  prosegue  il  rimettente  -  molte  delle limitazioni
previste  dalla  legge censurata sembrano afferire a materie comunque
estranee  a  quella  potesta'  legislativa  residuale  che la Regione
Lombardia  ha,  invece,  inteso  nella  specie esercitare: questo con
particolare  riferimento alle esigenze della difesa e della sicurezza
dello Stato ed alla tutela dell'ambiente, di competenza esclusiva del
legislatore  statale, nonche' alle esigenze di protezione civile e di
salute pubblica, di competenza concorrente.
   4.4.  - In relazione ai requisiti igienico-sanitari e di sicurezza
dei  locali,  per il giudice a quo la contestata legge regionale reca
«contenuti di dettaglio che integrano in modo automatico e simultaneo
tutti  i regolamenti di igiene delle autorita' sanitarie e dei comuni
in  territorio  lombardo  [...],  e  cio'  senza  che la legislazione
statale di riferimento consenta, all'interno di tale regolamentazione
locale,   l'inserimento  eteronomo  di  contenuti  dispositivi  e  di
dettaglio   direttamente   prestabiliti   da  leggi  regionali».  Ne'
sussisterebbero   nella   legislazione   vigente  prescrizioni  cosi'
restrittive neanche per i locali ove vi e' maggiore concentrazione di
persone  per  un  tempo di permanenza maggiore, come teatri, cinema o
nei locali ove viene svolta attivita' di somministrazione di alimenti
e bevande.
   Da  tutto  cio' discende la necessita' che la potesta' legislativa
regionale  concorrente  venga  esercitata  nel  rispetto dei principi
fondamentali  di cui agli articoli 3 e 41 della Costituzione, nonche'
del principio di proporzionalita'.
   4.5.  -  Il  giudice  rimettente ritiene che la questione presenti
profili  di  non  manifesta  infondatezza anche nella parte in cui e'
sancita  l'applicazione  retroattiva  delle nuove disposizioni, senza
neppure  delineare  la  possibilita'  di proroghe per consentire agli
esercizi preesistenti di continuare l'attivita'.
   Secondo   la   consolidata   giurisprudenza   costituzionale,   la
possibilita'  del  legislatore  di  incidere con norme retroattive su
situazioni  sostanziali  ormai  radicate da leggi precedenti, sarebbe
subordinata  al rigoroso vaglio di razionalita' del nuovo regolamento
di interessi.
   Per  il  giudice  a  quo  nella  specie  non  sussiste  una sicura
rispondenza  dello  ius  superveniens a criteri di ragionevolezza, in
relazione  alle  modalita'  con  cui  la  nuova  normativa incide sui
legittimi   affidamenti  dei  titolari  dei  preesistenti  centri  di
telefonia  e  sulle loro disponibilita' finanziarie. Ne discenderebbe
una lesione della liberta' di iniziativa economica privata presidiata
dall'art. 41 della Costituzione, anche in relazione alla tutela della
concorrenza garantita dall'ordinamento europeo.
   5.  -  Con atto depositato il 26 febbraio 2008, e' intervenuta nel
presente   giudizio   (in  relazione  alle  questioni  sollevate  con
l'ordinanza r.o. n. 2 del 2008) la Regione Lombardia che, con riserva
di  successive  allegazioni  e  argomentazioni,  ha  eccepito, in via
preliminare,   l'inammissibilita'   delle   sollevate   questioni  di
legittimita'    costituzionale    sostenendo,   comunque,   la   loro
infondatezza nel merito.
   6. - Con memoria depositata il 24 luglio 2008 la Regione Lombardia
ha  presentato  una  ampia memoria ad integrazione del suo precedente
atto di intervento.
   6.1.  -  La  difesa  regionale  reputa  le  questioni  in  oggetto
inammissibili  per  evidente  difetto di motivazione sulla rilevanza,
avendo  il  rimettente  omesso di descrivere alcuni elementi decisivi
della  fattispecie  che  ha  originato  il  giudizio  principale  (le
osservazioni  si riferirebbero anche alle altre ordinanze «che hanno,
in   maniera  sostanzialmente  identica,  censurato  le  norme»).  In
particolare,  nell'ordinanza  di  rinvio  non  sarebbero  rinvenibili
informazioni  sulle  autorizzazioni eventualmente ottenute, ne' sulle
motivazioni   sottese   all'impugnato   provvedimento  di  cessazione
dell'attivita'  di  centri  di  telefonia.  Inoltre,  altro motivo di
inammissibilita' sarebbe il mancato riferimento ad una autorizzazione
negata,  mentre  nell'ordinanza di rimessione ci si riferisce solo ad
una ordinanza di chiusura del centro di telefonia.
   Sarebbero   del   pari   inammissibili  le  censure  sollevate  in
riferimento all'art. 15 Cost. per la loro mancata motivazione.
   Generiche  sarebbero  altresi' le censure formulate in riferimento
all'art.   8   della   legge   regionale,  dal  momento  che  non  si
chiarirebbero     analiticamente     gli     asseriti    motivi    di
incostituzionalita' delle quattro distinte prescrizioni legislative.
   7.  -  Nel  merito, la difesa regionale sostiene che la disciplina
dei  centri  di  telefonia  rientrerebbe  pacificamente nella materia
commercio,   risultando  cosi'  esclusa  una  competenza  statale  in
materia,  dal  momento  che  «la nozione di "servizi di comunicazione
elettronica"  non  sembra  applicabile  all'attivita'  dei  centri di
telefonia».  Comunque  «l'autorizzazione  prevista  dalla legge della
regione Lombardia non interferisce in alcun modo con gli scopi» della
legislazione  comunitaria  e  statale  ed  anzi  troverebbe  «il  suo
fondamento  proprio nella previsione degli articoli 3 e 25 del Codice
delle  comunicazioni  che  consentono  la possibilita' di limitare la
fornitura di reti o servizi per motivi di salute e sanita' pubblica».
   La  legge  regionale censurata, pertanto, «ai fini di tutela della
salute  pubblica  e  delle  condizioni  igieniche in cui si svolge il
lavoro  subordina l'inizio (o la prosecuzione) di tale attivita' alla
sussistenza di un'autorizzazione comunale». Non vi sarebbero principi
legislativi  violati  dal  legislatore  regionale  e neppure potrebbe
sostenersi che la legge regionale non possa modificare il regolamento
di igiene locale.
                       Considerato in diritto
   1.  -  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  della  Lombardia,
Sezione  IV  di  Milano, con le ordinanze r.o. nn. 2, 15, 65, 66, 67,
100,  101, 102, 103 e 127 del 2008, adottate nel corso di altrettanti
giudizi,  ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli
articoli  1;  4;  8, comma 1, lettere e), f), h) ed i), e comma 2; 9,
comma  1,  lettera  c),  e  comma  2;  e 12 della legge della Regione
Lombardia  3 marzo 2006, n. 6 (Norme per l'insediamento e la gestione
di  centri  di telefonia in sede fissa), in riferimento agli articoli
3, 15, 41 e 117 della Costituzione.
   2.  - In tutti i giudizi a quibus i ricorrenti, titolari di centri
di  telefonia  gia' attivi alla data di entrata in vigore della legge
regionale  n. 6  del  2006,  hanno  impugnato  i  provvedimenti delle
rispettive   amministrazioni  comunali  mediante  i  quali  e'  stata
disposta  la  cessazione  dell'attivita'  da loro svolta «per mancata
conformazione  ai  nuovi requisiti (in prevalenza igienico-sanitari e
di sicurezza dei locali) disposti dalla predetta legge regionale».
   Nell'ambito   di   tali   giudizi   il   rimettente   ha  eccepito
l'illegittimita'   costituzionale  delle  disposizioni  regionali  in
attuazione delle quali sono stati adottati i provvedimenti impugnati.
   In   particolare,  il  Tribunale  amministrativo  regionalecensura
l'art.  1,  «nella  parte  in  cui  riporta  la  materia  oggetto  di
trattazione  alla  legislazione  residuale  regionale sul commercio»;
l'art.  4,  «che introduce un sistema generalizzato di autorizzazione
civica  per  l'esercizio dell'attivita»; l'art. 8, nella parte in cui
introduce  - con immediata modifica dei regolamenti vigenti (comma 2)
-  i  nuovi requisiti igienico-sanitari e di sicurezza dei locali, e,
specificamente,  la  previsione:  di  un  servizio  igienico  in  uso
esclusivo  del  personale  dipendente  (lettera  e);  di  un servizio
igienico  riservato al pubblico, anche prossimo al locale nel caso di
esercizi  gia'  attivi all'entrata in vigore della presente legge, ma
ad  uso esclusivo dello stesso per il locale con superficie fino a 60
metri  quadrati;  di  un ulteriore servizio igienico per il locale di
dimensioni  superiori  (lettera f); «uno spazio di attesa all'interno
del   locale  di  almeno  9  metri  quadrati,  fino  a  4  postazioni
telefoniche,  provvisto  di  idonei sedili posizionati in modo da non
ostruire le vie di esodo» (lettera h); la superficie minima (pari a 1
metro  quadrato) per ogni postazione e la sua collocazione in modo da
garantire un percorso di esodo, libero da qualsiasi ingombro, nonche'
la larghezza minima di 1,20 metri (lettera i).
   Sono  censurati,  altresi',  gli  artt.  9, comma 1, lettera c), e
comma  2,  e  12,  che  regolano  il  regime transitorio per i vecchi
esercizi,  nel  senso  che  la prescritta autorizzazione e' revocata,
senza   possibilita'  di  proroga,  «quando  il  titolare  non  abbia
adempiuto  all'obbligo  di  porsi  in  regola  con  le vigenti norme,
prescrizioni  e  autorizzazioni  in  materia edilizia, urbanistica ed
igienico-sanitaria,  nonche'  con  le disposizioni sulla destinazione
d'uso  dei  locali  e degli edifici, prevenzione incendi e sicurezza,
preventivamente  all'avvio dell'attivita' come previsto dall'articolo
4,  ovvero  entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge
ai sensi dell'articolo 12».
   Tali  disposizioni,  ad avviso del rimettente, violerebbero l'art.
117   della   Costituzione,   in   quanto,  incidendo  sulla  materia
(concorrente)   dell'ordinamento   delle   comunicazioni,   sarebbero
incompatibili  con  il  principio di proporzionalita', di derivazione
comunitaria (art. 117, primo comma). Sarebbero, inoltre, lesive delle
competenze  esclusive  del legislatore statale in ordine alla «tutela
della  concorrenza»  di  cui  all'art. 117, secondo comma, lettera e)
Cost.,   ed   alla   «determinazione  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo comma,
lettera m, Cost.).
   Le  disposizioni regionali violerebbero altresi' l'art. 117, terzo
comma,  Cost.  ponendosi  in  contrasto  con  i principi fondamentali
dettati  dal  legislatore statale in ordine al regime autorizzatorio:
principi  desumibili dagli artt. 2, 3, 4 e 25 del decreto legislativo
1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche).
   Esse  contrasterebbero,  inoltre,  con  gli  artt.  3  e  41 della
Costituzione,   dal   momento   che   l'introduzione,  con  efficacia
retroattiva,  di  nuovi  e  piu'  rigorosi  requisiti  strutturali  e
igienico-sanitari   determinerebbe   una  illegittima  disparita'  di
trattamento tra i centri di telefonia gia' attivi (chiamati, in tempi
brevi  e  con  costi  elevati,  ad  effettuare le necessarie opere di
adeguamento)  e  quelli  aperti successivamente all'entrata in vigore
delle   censurate  disposizioni,  con  ripercussioni  negative  sulla
liberta'    di    iniziativa   economica   privata   e   sull'assetto
concorrenziale del mercato.
   Infine, ad avviso del T.a.r., le disposizioni in oggetto sarebbero
incompatibili  con  l'art. 15 della Costituzione, introducendo misure
idonee a nuocere alla liberta' di comunicazione.
   3.  -  Le  ordinanze  di rimessione sollevano questioni identiche,
onde  i  relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica
decisione.
   4. - Le questioni sollevate in otto delle suddette ordinanze (r.o.
nn.  2, 15, 65, 66, 101, 102, 103 e 127 del 2008) sono manifestamente
inammissibili per carente descrizione delle fattispecie concrete.
   Non e' infatti sufficiente il pur ampio andamento argomentativo in
tema  di rilevanza sviluppato in termini identici nei diversi atti di
rimessione. Il giudice a quo ha fornito solo generiche indicazioni in
ordine  agli  effetti  delle  disposizioni impugnate sulle situazioni
giuridiche  vantate  dalle  parti  ricorrenti,  omettendo tuttavia la
doverosa   descrizione   delle  specifiche  violazioni  asseritamente
riscontrate dalle amministrazioni comunali.
   Secondo    la    costante    giurisprudenza   di   questa   Corte,
l'insufficiente  descrizione della fattispecie, giacche' impedisce di
vagliare  l'effettiva  applicabilita' delle censurate disposizioni ai
casi dedotti, si risolve in carente motivazione sulla rilevanza della
questione,    determinandone,    conseguentemente,    la    manifesta
inammissibilita',   risultando   peraltro  preclusa,  in  virtu'  del
principio    di   autosufficienza   dell'ordinanza   di   rimessione,
l'acquisizione  di  elementi di conoscenza attingendo direttamente al
fascicolo  di causa (fra le decisioni piu' recenti: ordinanze n. 224,
n. 223,  n. 217,  n. 210 e n. 174 del 2008; n. 251 del 2007, n. 303 e
n. 164 del 2006).
   5.  - Diversamente, nelle ordinanze r.o. nn. 67 e 100 del 2008, il
Tribunale   amministrativo  regionaleriferisce  espressamente  che  i
provvedimenti  comunali di interruzione della attivita' dei centri di
telefonia  sono  stati  adottati in ragione del mancato conseguimento
dell'autorizzazione  prevista  e  disciplinata  dalla legge regionale
n. 6 del 2006.
   In  particolare, nell'ordinanza r.o. n. 67, il rimettente non solo
espressamente    richiama    l'ordinanza   comunale   di   cessazione
dell'attivita' «emessa ai sensi e per gli effetti della l.r. 6/2006»,
ma   aggiunge  che  tale  provvedimento  specifica  «che  l'attivita'
medesima   potra'   essere   eventualmente  ripresa  solo  dopo  aver
regolarizzato le violazioni riscontrate durante il sopralluogo citato
in  premessa ed ottenuto regolare autorizzazione ai sensi dell'art. 4
della citata legge regionale n. 6/2006».
   Quanto   alla  ordinanza  r.o.  n. 100  del  2008,  il  rimettente
riferisce  che  la  chiusura  del  centro  di  telefonia  gestito dal
ricorrente  e'  stata disposta in quanto «esercitato in assenza della
prescritta  autorizzazione  di  cui alla legge regionale 3 marzo 1996
(recte: 2006), n. 6».
   Dal momento che tutta la disciplina della legge regionale n. 6 del
2006 (e tanto piu' i fondamentali artt. 4 e 9, entrambi impugnati) e'
caratterizzata  da  questa  speciale  e nuova autorizzazione comunale
«per  l'insediamento  e  la  gestione  di centri di telefonia in sede
fissa»,  lo  specifico riferimento operato in queste due ordinanze al
nuovo  istituto  e'  sufficiente  a  giustificare  la rilevanza delle
censure  prospettate  in relazione all'art. 4, nonche' agli artt. 9 e
12,  i  quali  estendono  la  nuova disciplina ai centri di telefonia
preesistenti   all'entrata   in   vigore   della   legge   regionale.
Inammissibili    sono,   invece,   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale  sollevate  in  relazione  all'art.  8,  non avendo il
rimettente    specificato    se   e   quali   fossero   i   requisiti
igienico-sanitari  accertati  in  concreto  come mancanti, se, cioe',
fossero  proprio  quelli  censurati.  Tale  omessa  specificazione si
risolve,  ancora  una  volta,  in  un  difetto  di  motivazione sulla
rilevanza delle questioni.
   6.  -  Quanto  al  merito  delle dedotte questioni di legittimita'
costituzionale,  il  rimettente lamenta l'avvenuta configurazione, ad
opera del legislatore lombardo, di «un regime autorizzativo ulteriore
e  duplicativo»  rispetto  al sistema delineato in sede comunitaria e
recepito  con  il  decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice
delle comunicazioni elettroniche).
   Al  fine  di  appurare  la  fondatezza  delle censure prospettate,
appare  necessario  soffermare  l'attenzione sull'inquadramento della
disciplina  legislativa  regionale  in  oggetto  nelle materie di cui
all'art. 117 Cost.
   L'art. 1 della legge regionale n. 6 del 2006 ascrive la disciplina
dei centri in questione alla materia del commercio, come ribadito dal
successivo art. 2, comma 2, lettera a), a mente del quale per «centro
di  telefonia  in  sede  fissa» s'intende «qualsiasi struttura ove e'
svolta  l'attivita'  commerciale  in  via  esclusiva  di  cessione al
pubblico  di  servizi  telefonici». Inoltre, la successiva lettera b)
dello  stesso  art. 2, comma 2, considera quale «cessione al pubblico
di  servizi  telefonici»  «ogni attivita' commerciale che importi una
connessione  telefonica o telematica allo scopo di fornire servizi di
telefonia  vocale  indipendentemente dalle tecnologie di commutazione
utilizzate,  da  realizzarsi  nei  locali o sulle superfici aperti al
pubblico e a tale scopo attrezzati, nonche' l'attivita' di vendita di
schede  telefoniche».  La  difesa regionale, dal canto suo, ribadisce
che «il nucleo essenziale dell'intervento legislativo regionale e' da
identificarsi    nelle    modalita'   di   esercizio   dell'attivita'
commerciale».
   Questa   collocazione   materiale   e'  contestata  dall'autorita'
rimettente  che,  al contrario, riconduce i centri di telefonia tra i
«servizi  di  comunicazione elettronica» di cui all'art. 2, paragrafo
1,   lettera   c),   della  Direttiva  n. 2002/21/CE  (Direttiva  del
Parlamento  europeo e del Consiglio istitutiva di un quadro normativo
comune  per  le  reti  ed i servizi di comunicazione elettronica), ai
sensi  del  quale  sono  tali «i servizi forniti di norma a pagamento
consistenti  esclusivamente  o  prevalentemente nella trasmissione di
segnali  su reti di comunicazioni elettroniche, compresi i servizi di
telecomunicazioni  e  i servizi di trasmissione nelle reti utilizzate
per  la  diffusione  circolare  radiotelevisiva, ma ad esclusione dei
servizi che forniscono contenuti trasmessi utilizzando reti e servizi
di comunicazione elettronica o che esercitano un controllo editoriale
su tali contenuti».
   E'  opportuno  premettere che la pluralita' degli interessi incisi
dalla  legge  puo'  determinare, sul piano del riparto della funzione
legislativa   tra   Stato   e  Regioni,  una  convergenza  di  titoli
competenziali  su determinate aree materiali o su singoli oggetti. In
situazioni  del  genere,  questa  Corte  ha  piu'  volte chiarito che
«occorre  fare  riferimento  all'oggetto ed alla disciplina stabilita
delle norme scrutinate, per cio' che esse dispongono (sentenze n. 450
e n. 411 del 2006), alla luce della ratio dell'intervento legislativo
nel  suo  complesso  e  nei suoi punti fondamentali, tralasciando gli
aspetti  marginali  e  gli  effetti  riflessi  delle  norme  medesime
(sentenze   n. 319   e   n. 30   del  2005),  cosi'  da  identificare
correttamente  e  compiutamente  anche l'interesse tutelato (sentenze
n. 449  del  2006  e  n. 285  del  2005)»  (sentenza n. 165 del 2007;
analogamente sentenza n. 430 del 2007).
   Nel presente giudizio, questa Corte osserva che la legge regionale
scrutinata   ha   come   oggetto   assolutamente  caratterizzante  la
determinazione, per una particolare categoria di esercizi qualificati
come  «commerciali», di speciali requisiti necessari perche' i Comuni
possano rilasciare un'apposita autorizzazione ai nuovi, cosi' come ai
preesistenti,   centri   di   telefonia.   In   assenza   di   questa
autorizzazione,  o  in  caso  di  revoca  della  medesima, e' vietato
«l'esercizio  dell'attivita'  di cessione al pubblico del servizio di
telefonia  in  sede fissa». Pacifica conferma di questa lettura della
legge  si  trova  nella  prassi  amministrativa,  ad  iniziare  dalle
circolari  esplicative della legge censurata inviate dalla Regione ai
Sindaci dei Comuni della Lombardia.
   Ora,  anche  prescindendosi  dalla integrale sovrapposizione della
analitica  disciplina  legislativa  alla  potesta'  regolamentare  ed
amministrativa  propria  dei  Comuni  (profilo  che,  pur presentando
aspetti  problematici,  non puo' essere scrutinato in questa sede, in
quanto  non  oggetto  di  specifica  e  motivata  doglianza),  appare
evidente  che  la  legge  regionale  si  riferisce ad una particolare
attivita'   prevista   e  disciplinata  dal  succitato  Codice  delle
comunicazioni    elettroniche   come   «servizio   di   comunicazione
elettronica»,  il  cui  art.  1,  comma  1,  lettera  gg),  riproduce
testualmente  il gia' riportato art. 2, paragrafo 1, lettera c) della
suddetta Direttiva comunitaria del 2002.
   Al riguardo non e' fondata la tesi difensiva regionale secondo cui
non  sarebbe  applicabile  la  nozione  di  «servizi di comunicazione
elettronica»  in quanto i centri di telefonia «si limitano, svolgendo
una funzione di "intermediari", a mettere a disposizione del pubblico
personal  computer o telefoni e usufruiscono a loro volta dei servizi
di fornitura delle reti emanati dalle varie aziende».
   In realta', tale attivita' rientra specificamente nella nozione di
servizio  di  comunicazione  elettronica come definito dal Codice, in
quanto,   appunto,   consistente   nell'erogazione  del  servizio  di
trasmissione  di segnali su reti di comunicazione elettronica, ovvero
del servizio di telecomunicazione.
   Peraltro,  la ratio e la lettera di tutto il Codice sono nel senso
di  disciplinare  l'intero arco delle comunicazioni elettroniche fino
ai  diritti  di accesso ai mezzi da parte degli utenti. L'art. 25 del
predetto   Codice,   che   contempla   -   come   si   vedra'  meglio
successivamente  - un'autorizzazione generale ed il relativo allegato
n. 9  sono  espliciti nel riferirsi anche ai fornitori al pubblico di
«servizi di comunicazione elettronica».
   In  tal senso, d'altra parte, risulta orientata la pacifica prassi
amministrativa  in  atto anche nella Regione Lombardia: i gestori dei
centri  di  telefonia,  infatti,  per  mezzo  del  modello  di cui al
succitato    allegato    n. 9,    denunciano    l'inizio    attivita'
all'ispettorato  territoriale  del  Ministero delle comunicazioni, ai
sensi  e  con  le modalita' di cui all'art. 25, comma 2, del predetto
Codice.
   Certamente, nell'attivita' posta in essere dai centri di telefonia
sono   rinvenibili   alcuni  degli  elementi  tipici  degli  esercizi
commerciali,  tant'e'  vero,  ad  esempio,  che  l'art. 6 della legge
regionale  in  questione  si  occupa  proprio  degli  orari  e  delle
modalita'  di  esercizio  di tale attivita' (profili ascrivibili alla
materia  del  «commercio»:  si  vedano  le sentenze n. 243 del 2005 e
n. 76   del   1972).  Tuttavia,  trattasi  di  elementi  accessori  e
strumentali  rispetto all'oggetto qualificante l'attivita' svolta dai
centri di telefonia in sede fissa, consistente nella erogazione di un
servizio di comunicazione elettronica.
   Nei  centri  di telefonia, invero, lo scambio di un servizio verso
la   corresponsione  di  un  prezzo  afferisce  a  beni  ed  esigenze
fondamentali   della   persona  e,  nel  contempo,  della  comunita',
coinvolgendo  interessi individuali (correlati alla comunicazione con
altre persone) e generali (difesa e sicurezza dello Stato; protezione
civile;   salute   pubblica;  tutela  dell'ambiente;  riservatezza  e
protezione  dei  dati personali), diversamente da quanto accade nelle
ordinarie  attivita'  commerciali  di  cui  all'art.  4  del  decreto
legislativo  31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa
al  settore  del  commercio,  a norma dell'articolo 4, comma 4, della
legge 15 marzo 1997, n. 59).
   7.  -  Questa  Corte,  nella  sentenza  n. 336  del  2005, ha gia'
riconosciuto come il Codice delle comunicazioni elettroniche, al fine
di  adeguarsi  alla  normativa  comunitaria,  in  generale  ha inteso
perseguire  «l'obiettivo  della  liberalizzazione  e  semplificazione
delle  procedure anche al fine di garantire l'attuazione delle regole
della concorrenza».
   Nella  medesima sentenza si e' anche affermato che le disposizioni
del  suddetto  Codice  intervengono  in  molteplici ambiti materiali,
diversamente  tra  loro  caratterizzati in relazione al riparto della
competenza   legislativa   fra   Stato   e  Regioni:  sono,  infatti,
rinvenibili  in questo settore titoli di competenza esclusiva statale
(«ordinamento   civile»,  «coordinamento  informativo  statistico  ed
informatico   dei  dati  dell'amministrazione  statale,  regionale  e
locale»,   «tutela   della  concorrenza»),  e  titoli  di  competenza
legislativa  ripartita  («tutela  della  salute»,  «ordinamento della
comunicazione»,   «governo  del  territorio»).  Vengono,  infine,  in
rilievo  anche  materie  di  competenza  legislativa  residuale delle
Regioni, quali, in particolare, l'«industria» ed il «commercio» (alle
quali  la  pronuncia del 2005 non dava particolare rilievo, in quanto
estranee agli ambiti allora presi in considerazione).
   Non  e'  invece pertinente, in questa sede, l'evocazione dell'art.
117,  secondo  comma,  lettera  m),  della Costituzione, in quanto la
disciplina  regionale  dei  centri  di  telefonia  non  incide  sulla
«determinazione   degli   standard   strutturali   e  qualitativi  di
prestazioni  che,  concernendo il soddisfacimento di diritti civili e
sociali,  devono  essere  garantiti,  con carattere di generalita', a
tutti  gli  aventi  diritto»  (sentenza  n. 168  del  2008; si vedano
altresi'  le  sentenze  n. 50  del 2008; n. 387 del 2007 e n. 248 del
2006).
   Nel  presente  giudizio, per le ragioni illustrate sopra, viene in
rilievo   la   disciplina  dettata  dal  Codice  delle  comunicazioni
elettroniche,  e  in particolare, dall'art. 3, il quale espressamente
fissa   i   principi   generali   del   settore  delle  comunicazioni
elettroniche.
   In  questa  sede,  di particolare rilievo appaiono le disposizioni
del comma 1, che garantisce «i diritti inderogabili di liberta' delle
persone  nell'uso  dei mezzi di comunicazione elettronica, nonche' il
diritto  di  iniziativa  economica  ed  il suo esercizio in regime di
concorrenza,  nel  settore delle comunicazioni elettroniche», nonche'
del  comma  2,  secondo  cui  «la  fornitura  di  reti  e  servizi di
comunicazione  elettronica,  che e' di preminente interesse generale,
e'  libera». E' evidente che disposizioni del genere sono espressione
della  competenza  esclusiva  dello  Stato  in  tema di «tutela della
concorrenza»  e  di  «ordinamento civile», prima ancora di costituire
principi fondamentali in tema di «ordinamento della comunicazione».
   Cio' non toglie che lo stesso Codice, al comma 3 del medesimo art.
3,  preveda  anche la possibilita' di porre «limitazioni derivanti da
esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione
civile,  della  salute  pubblica e della tutela dell'ambiente e della
riservatezza e protezione dei dati personali». Limitazioni, tuttavia,
che  devono  essere  «poste  da specifiche disposizioni di legge o da
disposizioni   regolamentari   di  attuazione».  Dal  canto  suo,  il
successivo  art.  4 pone fra gli «obiettivi generali della disciplina
di  reti  e  servizi  di comunicazione elettronica» la garanzia di un
«accesso al mercato delle reti e servizi di comunicazione elettronica
secondo  criteri  di obiettivita', trasparenza, non discriminazione e
proporzionalita»,  nonche'  la  promozione della «semplificazione dei
procedimenti  amministrativi e la partecipazione ad essi dei soggetti
interessati,  attraverso  l'adozione  di  procedure  tempestive,  non
discriminatorie   e  trasparenti  nei  confronti  delle  imprese  che
forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica».
   8. - I principi generali del Codice trovano concretizzazione nella
previsione  di una «autorizzazione generale» che l'art. 25 del Codice
richiede per lo svolgimento dell'attivita' di fornitura di servizi di
comunicazione   elettronica.   Tale   autorizzazione  «consegue  alla
presentazione»  al  Ministero  per  le  comunicazioni  da parte degli
interessati di una apposita dichiarazione «contenente l'intenzione di
iniziare la fornitura di reti o servizi di comunicazione elettronica,
unitamente  alle  informazioni strettamente necessarie per consentire
al  Ministero  di tenere un elenco aggiornato dei fornitori di reti e
di  servizi  di  comunicazione  elettronica»  ed  integrata da quanto
appositamente richiesto dall'allegato n. 9 del Codice.
   Coerente  rispetto  al  principio  di  liberta'  nell'attivita' di
fornitura   ed   all'obiettivo   della  massima  semplificazione  dei
procedimenti  e'  la  circostanza  che  la  dichiarazione costituisca
denuncia  di inizio attivita', di modo che «l'impresa e' abilitata ad
iniziare la propria attivita' a decorrere dall'avvenuta presentazione
della  dichiarazione»;  il  Ministero  puo'  solo  disporre, entro il
termine  di sessanta giorni, «se del caso, con provvedimento motivato
da  notificare agli interessati entro il medesimo termine, il divieto
di   prosecuzione   dell'attivita»  laddove  verifichi  d'ufficio  la
mancanza dei requisiti richiesti (art. 25, comma 4).
   Rispetto  a questo «quadro normativo istituito dallo Stato membro»
(si  tratta  della  definizione  di «autorizzazione generale» secondo
l'art.  2,  comma  2,  lettera  a,  della  Direttiva  7  marzo  2002,
n. 2002/20/CE),  si  pone  in  palese  contrasto  la  censurata legge
regionale.   Essa,   infatti,   in   nome  della  propria  competenza
legislativa   in  materia  di  commercio,  pretende  di  disciplinare
organicamente «l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in
sede  fissa»,  prevedendo,  all'art. 4, la necessita' di uno speciale
provvedimento  autorizzatorio, diverso ed ulteriore rispetto a quello
previsto  dall'art.  25  del  Codice  che  il  Comune  e'  chiamato a
concedere  o  negare  entro  novanta giorni dalla presentazione della
domanda, e al cui rilascio e' subordinato l'esercizio dell'attivita'.
   Inoltre,  il  conseguimento  del  provvedimento  autorizzatorio e'
subordinato  dal citato art. 4 alla sussistenza di requisiti alquanto
eterogenei  («morali»  per  i  titolari  ed  i  gestori -  art. 3; di
disponibilita'    dei    locali -    art.   4;   di   caratteristiche
igienico-sanitarie,  di  presenza  di sufficienti misure di sicurezza
dei  luoghi  di  lavoro  e  di prevenzione degli incendi - art. 8; di
natura  urbanistica -  art.  7;  ecc.),  i  quali  si  sovrappongono,
largamente  ed  in diversi ambiti, ai requisiti previsti dal Codice e
dalle  leggi  a  cui  questo  rinvia  e,  soprattutto,  contraddicono
palesemente  l'unicita' del procedimento autorizzativo e le collegate
esigenze di semplificazione e tempestivita' dei procedimenti.
   Non  vi  e'  dubbio  che  il  comma  1  dell'art.  25  del  Codice
(riproducendo  quanto in generale determinato dal comma 3 dell'art. 3
del  medesimo  testo)  prevede  che  la  liberta'  nella fornitura di
servizi  di comunicazione elettronica possa essere limitata anche «da
specifiche  disposizioni»  che  siano «giustificate da esigenze della
difesa  e  della  sicurezza  dello  Stato  e  della sanita' pubblica,
compatibilmente  con  le  esigenze della tutela dell'ambiente e della
protezione   civile».  Tuttavia,  queste  disposizioni  possono  solo
integrare  la  procedura autorizzativa prevista dall'art. 25 (d'altra
parte,  lo stesso allegato 9 al Codice prevede che il dichiarante, al
momento  della  richiesta di autorizzazione, debba garantire anche il
rispetto «delle condizioni che possono essere imposte alle imprese in
virtu'  di altre normative non di settore») o temporaneamente ad essa
sommarsi in casi di emergenza (si veda il primo comma dell'art. 7 del
decreto-legge  27 luglio 2005, n. 144, recante «Misure urgenti per il
contrasto    del    terrorismo   internazionale»,   convertito,   con
modificazioni,  nella  legge  31  luglio 2005, n. 155, che fino al 31
dicembre  2008  prevede  la  necessita'  anche  di  una  licenza  del
Questore).
   Confligge,  dunque,  con le scelte operate dal legislatore statale
in  tema di liberalizzazione dei servizi di comunicazione elettronica
e  di  semplificazione  procedimentale  la introduzione, ad opera del
legislatore  regionale,  di  un  vero e proprio autonomo procedimento
autorizzatorio  per  lo  svolgimento  dell'attivita'  dei  centri  di
telefonia;  ferma  restando  la possibilita' per i Comuni, tramite la
loro  potesta'  regolamentare, e le Regioni, tramite la loro potesta'
legislativa,  di  disciplinare  specifici  profili incidenti anche su
questo settore.
   Deve  pertanto  essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale,
per  violazione  dei  criteri  di  riparto  delle  competenze  di cui
all'art.  117  della  Costituzione,  degli  artt.  1,  4, 9, comma 1,
lettera c), e comma 2, e 12, della legge regionale n. 6 del 2006.
   9. - Pur restando escluse dall'oggetto del giudizio le altre norme
della  legge  della  Regione  Lombardia,  non  validamente impugnate,
questa  Corte rileva che la riscontrata illegittimita' costituzionale
degli  artt.  1, 4, 9, comma 1, lettera c), e comma 2, e 12, non puo'
che estendersi all'intera legge regionale n. 6 del 2006.
   Invero,  l'assetto  normativo  concepito  dal legislatore lombardo
s'irradia     dalle    suddette    disposizioni    che    configurano
l'autorizzazione  ivi  prevista quale nucleo essenziale del prescelto
regime amministrativo. Tutti gli altri articoli della legge regionale
censurata  risultano  avvinti da un inscindibile rapporto strumentale
alle  disposizioni dichiarate incostituzionali. E, pertanto, il vizio
d'incostituzionalita'  si  proietta sull'intera disciplina dei centri
di  telefonia,  determinandone  la  complessiva  caducazione ai sensi
dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
   10.  -  Le residue censure, riferite agli altri parametri evocati,
restano assorbite.
              Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi;
   a)  dichiara la illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 4, 9,
comma  1,  lettera  c),  e  comma  2, e 12, della legge della Regione
Lombardia  3 marzo 2006, n. 6 (Norme per l'insediamento e la gestione
di centri di telefonia in sede fissa);
   b)  dichiara, ai sensi dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  l'illegittimita'  costituzionale  delle restanti disposizioni
della legge della Regione Lombardia n. 6 del 2006;
   c)  dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni di
legittimita'  costituzionale  sollevate, in riferimento agli articoli
3,  15,  41  e 117 della Costituzione, con le ordinanze r.o. nn. 67 e
100  del  2008 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia
nei confronti dell'art. 8, comma 1, lettere e), f), h) ed i), e comma
2, della legge della Regione Lombardia n. 6 del 2006;
   d)  dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni di
legittimita'  costituzionale  sollevate  dal Tribunale amministrativo
regionale  della  Lombardia  con le ordinanze r.o. nn. 2, 15, 65, 66,
101, 102, 103 e 127 del 2008.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2008.
                         Il Presidente: Flik
                       Il redattore: De Siervo
                      Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 24 ottobre 2008.
                      Il cancelliere: Fruscella