N. 69 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 18 - 28 ottobre 2008

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 22 ottobre 2008 (della Regione Emilia-Romagna)

Demanio  e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Telecomunicazioni
  -  Banda  larga  -  Occupazione  e  utilizzo del suolo pubblico per
  installazione   di  reti  e  impianti  interrati  di  comunicazione
  elettronica in fibra ottica - Clausola di salvaguardia a favore del
  patrimonio indisponibile «dello Stato, delle province e dei comuni»
  -  Omessa  inclusione  del  patrimonio indisponibile delle Regioni,
  lamentata  compressione  degli  interessi  regionali  in assenza di
  bilanciamento  concreto  degli interessi contrapposti, compressione
  delle  prerogative  regionali  in ordine al patrimonio disponibile,
  mancata  previsione  di  compenso  o canone per l'utilizzo di suolo
  pubblico,   irragionevole   trattamento  deteriore  riservato  alle
  Regioni  rispetto alle altre autonomie territoriali - Ricorso della
  Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione della disponibilita'
  patrimoniale   e   dell'autonomia  amministrativa,  patrimoniale  e
  finanziaria  garantite  alle  Regioni,  lesione  del  principio  di
  eguaglianza.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 2, comma 14.
- Costituzione, artt. 3, 118 e 119, ultimo comma.
Impresa  e  imprenditore  -  Sviluppo  di  programmi  di investimento
  destinati  alla  realizzazione di iniziative produttive con elevato
  contenuto  di  innovazione  - Costituzione di fondi di investimento
  con la partecipazione di investitori pubblici e privati, articolati
  in  un  sistema  integrato tra fondi di livello nazionale e rete di
  fondi  locali  - Disciplina e attuazione con decreto ministeriale -
  Lamentata   incidenza   sulla   materia   di  competenza  residuale
  dell'industria   e   sulla   competenza  concorrente  del  sostegno
  all'innovazione   per   i   settori   produttivi,   in  assenza  di
  coinvolgimento  regionale  - Ricorso della Regione Emilia-Romagna -
  Denunciata  violazione della competenza legislativa e regionale del
  principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 4, comma 1.
- Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto.
Bilancio  e  contabilita' pubblica - Interventi del Fondo per le aree
  sottoutilizzate  -  Revoca  delle relative assegnazioni operate dal
  CIPE   per   il   periodo  2000-2006,  al  fine  di  rafforzare  la
  concentrazione strategica - Attribuzione alle disposizioni medesime
  del  valore di norme di principio - Lamentata imposizione di limiti
  alla  spesa  regionale  attraverso  norma che non lascia margini di
  scelta,   in  materie  di  competenza  residuale  quali  industria,
  commercio,   artigianato,   agricoltura  -  Ricorso  della  Regione
  Emilia-Romagna - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria e
  della competenza legislativa residuale delle Regioni.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella  legge  6 agosto 2008, n. 133, art. 6-quater,
  comma 2, primo periodo.
- Costituzione, artt. 117, comma quarto, e 119.
Bilancio  e  contabilita'  pubblica  - Istituzione di un Fondo per il
  finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete
  infrastrutturale  di  livello  nazionale,  ivi  comprese le reti di
  telecomunicazione e quelle energetiche - Ripartizione del fondo con
  delibera  del CIPE su proposta dei competenti Ministeri, sentita la
  Conferenza   unificata   -   Incidenza  su  materie  di  competenza
  concorrente,  quali  governo  del  territorio,  porti  e aeroporti,
  grandi  reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e
  distribuzione   nazionale  dell'energia  -  Lamentata  chiamata  in
  sussidiarieta'  da  parte  dello  Stato con previsione del semplice
  parere  della  Conferenza  unificata  invece  dell'intesa - Ricorso
  della  Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione del principio
  di leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 6-quinquies,
  comma 2.
- Costituzione, artt. 118, primo comma, e 119.
Bilancio  e  contabilita'  pubblica  - Concentrazione, da parte delle
  Regioni,  su infrastrutture di interesse strategico regionale delle
  risorse del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 in
  sede  di  predisposizione dei programmi finanziati dal Fondo per le
  aree  sottoutilizzate  e  di ridefinizione dei programmi finanziati
  dai   Fondi   strutturali   comunitari  -  Autoqualificazione  come
  principio  fondamentale  -  Lamentata  esorbitanza  dai  limiti del
  potere  statale  di  coordinamento della finanza pubblica - Ricorso
  della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione dell'autonomia
  finanziaria di spesa delle Regioni.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 6-quinquies,
  comma 3.
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 119, primo comma.
Energia  -  Strategia energetica nazionale - Definizione demandata al
  Consiglio  dei  ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo -
  Elaborazione   della   proposta   in   una   conferenza   nazionale
  dell'energia  e dell'ambiente convocata dal Ministro dello sviluppo
  d'intesa con il Ministro dell'ambiente - Lamentato accentramento in
  capo  allo  Stato  in  assenza  di  esplicito  coinvolgimento delle
  Regioni,  nella  materia  di  competenza concorrente dell'energia -
  Ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna  -  Denunciata  lesione del
  principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 7, comma 2.
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 118, primo comma.
Energia  -  Sfruttamento di giacimenti di idrocarburi - Pubblicazione
  da  parte  del  Ministero  dello sviluppo economico dell'elenco dei
  giacimenti  di  idrocarburi marginali non produttivi, ai fini della
  attribuzione  ad  altro  titolare mediante procedure competitive da
  stabilirsi  con  decreto  ministeriale - Lamentato accentramento in
  capo   allo   Stato   in   assenza   di   intesa  della  Conferenza
  Stato-Regioni, nella materia di competenza concorrente dell'energia
  -  Ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna - Denunciata lesione del
  principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 8, comma 3.
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 118, primo comma.
Impresa  e  imprenditore  -  Misure  di sostegno a favore dei settori
  dell'agricoltura,  della  pesca  professionale e dell'autotrasporto
  conseguente  all'aumento  dei  prezzi  dei  prodotti  petroliferi -
  Apposita  convenzione  tra  il Ministero dello sviluppo economico e
  l'Agenzia  nazionale  per  l'attrazione  degli  investimenti  e  lo
  sviluppo  d'impresa  Spa,  da  approvarsi  e  attuarsi  con decreto
  ministeriale  -  Lamentato  accentramento  in  capo  allo  Stato in
  assenza  di intesa della Conferenza Stato-Regioni, nelle materie di
  competenza residuale della pesca, agricoltura e trasporti - Ricorso
  della  Regione Emilia-Romagna - Denunciata lesione del principio di
  leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 9, comma 3.
- Costituzione, artt. 117, comma quarto, e 118, primo comma.
Bilancio  e  contabilita'  pubblica  -  Promozione  degli  interventi
  infrastrutturali  strategici  e  nei  settori  dell'energia e delle
  telecomunicazioni  -  Integrazione  al  comma 355 dell'art. 1 della
  legge  30  dicembre  2004,  n. 311 - Modalita' di riparto del Fondo
  rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca
  -   Interventi   da   ammettersi   al   finanziamento   -  Progetti
  d'investimento  su  infrastrutture  nel  settore energetico e delle
  reti  di telecomunicazioni, sulla base di programmi predisposti dal
  Ministero  dello  sviluppo  economico  - Lamentato accentramento in
  capo   allo   Stato   in   assenza   di   intesa  della  Conferenza
  Stato-Regioni,    nelle    materie    di   competenza   concorrente
  dell'energia,   governo   del   territorio   e   ordinamento  della
  comunicazione  -  Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata
  lesione del principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 10.
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 118, primo comma.
Edilizia e urbanistica - Piano nazionale di edilizia abitativa (Piano
  Casa)  - Previsione in dettaglio degli interventi e delle procedure
  attuative  -  Istituzione  di un apposito Fondo presso il Ministero
  delle  infrastrutture con gestione centralizzata degli interventi -
  Lamentata  esorbitanza  dalla  competenza  statale  concernente  la
  determinazione    dei   livelli   essenziali   delle   prestazioni,
  compressione  degli  spazi  normativi  del  legislatore  regionale,
  previsione di poteri amministrativi statali in materie di spettanza
  regionale   senza   che   sussistano  esigenze  unitarie  idonee  a
  giustificarli,   pretermissione   dell'intesa   con  la  Conferenza
  unificata  -  Ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna  - Denunciata
  lesione   della   potesta'   legislativa  regionale  nella  materia
  residuale   dell'edilizia  residenziale  pubblica,  della  potesta'
  legislativa  regionale  nella  materia  concorrente del governo del
  territorio,   dell'autonomia  finanziaria  regionale,  lesione  del
  principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 11, commi 1,
  3, 4, 5, 8, 9, 11, 12.
- Costituzione,  artt. 117, commi terzo e quarto, 118, primo comma, e
  119.
Edilizia  e  urbanistica  -  Demanio e patrimonio dello Stato e delle
  Regioni   -   Cessione   del  patrimonio  residenziale  pubblico  -
  Promozione di accordi, in sede di Conferenza Unificata, con Regioni
  ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure
  di alienazione degli immobili di proprieta' degli Istituti autonomi
  per  le  case  popolari  (IACP),  comunque  denominati - Vincolo di
  destinazione  all'uso  dei proventi delle alienazioni - Istituzione
  di  un  fondo  ministeriale  per  finanziamenti agevolati in favore
  delle  giovani  coppie per l'acquisto della prima casa, da erogarsi
  secondo le norme definite con atto ministeriale - Istituzione di un
  fondo  ministeriale  per  la  tutela  dell'ambiente e la promozione
  dello  sviluppo  del  territorio,  da  attuarsi  in  base a decreto
  ministeriale  -  Lamentata  ingerenza  nel potere di gestione delle
  Regioni  dei  propri  beni  e  del  proprio  patrimonio - Lamentata
  istituzione  di fondi settoriali a destinazione vincolata incidenti
  su  materie  di  competenza  regionale  quali le politiche sociali,
  l'industria,   il   commercio,   l'artigianato,  l'agricoltura,  il
  turismo,   pure   in  carenza  di  una  intesa  con  la  Conferenza
  Stato-Regioni  -  Lamentata  reiterazione  di norma gia' dichiarata
  incostituzionale con la sentenza n. 94/2007 - Ricorso della Regione
  Emilia-Romagna - Denunciata violazione della competenza legislativa
  della Regione nella materia residuale della gestione del patrimonio
  immobiliare   degli   IACP  nonche'  di  altre  materie  residuali,
  violazione   dell'autonomia   amministrativa  e  finanziaria  delle
  Regioni,   violazione   del   principio  di  leale  collaborazione,
  violazione del giudicato costituzionale.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 13, commi 1,
  2, 3-bis e 3-quater.
- Costituzione,  artt. 117, comma quarto, 118, commi primo e secondo,
  119, primo comma, e 136.
Lavoro  e occupazione - Modifiche all'art. 49 del d.lgs. n. 276/2003,
  concernente   la   disciplina  del  contratto  di  apprendistato  -
  Attribuzione  alla  fonte  contrattuale  della regolamentazione dei
  profili   formativi   dell'apprendistato   professionalizzante   in
  relazione  a  tutte  le  imprese  e  a  tutti  gli apprendisti, ivi
  compresi i non iscritti ad alcun sindacato - Lamentata attribuzione
  di efficacia normativa ai contratti collettivi di lavoro in assenza
  di  registrazione  dei sindacati, con corrispondente sottrazione di
  competenze  alle  Regioni  - Ricorso della Regione Emilia-Romagna -
  Denunciata  violazione  della  competenza legislativa delle Regioni
  nella  materia  residuale  della  formazione  professionale  e,  in
  subordine, nella materia concorrente delle professioni.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 23, comma 2.
- Costituzione, artt. 39 e 117, commi terzo e quarto.
Enti  locali  -  Servizi  pubblici  locali  di  rilevanza economica -
  Facolta'  per  le Regioni e gli enti locali di definire i bacini di
  gara  per  i  diversi servizi d'intesa con la Conferenza unificata,
  allo  scopo  di  garantire  la dimensione di efficienza - Lamentata
  centralizzazione   e  corrispondente  compressione  della  potesta'
  legislativa   e   amministrativa   della  Regione  in  ordine  alla
  dimensione  di  esercizio  dei  servizi  pubblici  -  Ricorso della
  Regione  Emilia-Romagna  -  Denunciata  violazione della competenza
  legislativa  e  amministrativa delle Regioni in relazione ai bacini
  di gara, violazione del principio di sussidiarieta'.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella  legge  6  agosto  2008, n. 133, art. 23-bis,
  comma 7.
- Costituzione,  artt.  117,  comma  quarto,  e  118,  commi  primo e
  secondo.
Enti  locali  -  Servizi  pubblici  locali  di  rilevanza economica -
  Adozione di regolamenti governativi concernenti materie di potesta'
  concorrente  o  esclusiva  delle  Regioni  «sentita  la  Conferenza
  unificata»  - Omessa previsione dell'intesa - Ricorso della Regione
  Emilia-Romagna - Denunciata violazione della potesta' regolamentare
  regionale.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella  legge  6  agosto  2008, n. 133, art. 23-bis,
  comma 10.
- Costituzione, art. 117, comma sesto.
Enti  locali  -  Servizi  pubblici  locali  di  rilevanza economica -
  Adozione  di regolamento governativo che preveda, in attuazione dei
  principi  di  proporzionalita'  e  adeguatezza, che i comuni con un
  limitato  numero di residenti possano svolgere le funzioni relative
  alla  gestione  dei  servizi  pubblici  locali in forma associata -
  Lamentata  adozione di regolamenti statali in materia di competenza
  legislativa  residuale  -  Ricorso  della  Regione Emilia-Romagna -
  Denunciata violazione della potesta' regolamentare regionale.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella  legge  6  agosto  2008, n. 133, art. 23-bis,
  comma 10, lett. b).
- Costituzione, art. 117, comma sesto.
Controlli  amministrativi - Impresa e imprenditore - Imprese soggette
  a certificazione ambientale o di qualita' rilasciata da un soggetto
  certificatore  accreditato  -  Sufficienza  dei controlli periodici
  svolti   dagli   enti   certificatori,  sostitutivi  dei  controlli
  amministrativi   anche   ai   fini   dell'eventuale  rinnovo  delle
  autorizzazioni   per   l'esercizio   dell'attivita'   -   Controlli
  amministrativi  finalizzati  alla  sola  verifica dell'attualita' e
  completezza   della   certificazione   -  Autoqualificazione  quale
  principio  di  sussidiarieta'  orizzontale  concernente  i  livelli
  essenziali delle prestazioni civili e sociali garantiti su tutto il
  territorio  -  Previsione  di  regolamento  statale di attuazione -
  Lamentata  incidenza  su  materie  di  competenza  regionale, quali
  commercio,  industria,  agricoltura,  altre di interesse economico,
  sottrazione  alla  Regione  della  responsabilita'  della  funzione
  amministrativa,    nonche'   delegificazione,   o   in   subordine,
  insufficienza   del   parere   della   Conferenza  Stato-Regioni  e
  necessita'  di  intesa  -  Ricorso  della  Regione Emilia-Romagna -
  Denunciata  violazione  della potesta' legislativa e amministrativa
  della Regione, lesione della autonomia degli enti costitutivi della
  Repubblica,   lesione   della   potesta'  regolamentare  regionale,
  violazione del principio di legalita' sostanziale.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 30, commi 1,
  2 e 3.
- Costituzione,  artt.  114,  117, commi quarto e sesto, e 118, comma
  quarto.
Edilizia  e  urbanistica  -  Impianti  elettrici, radiotelevisivi, di
  riscaldamento   ed   altri,   posti  all'interno  degli  edifici  -
  Emanazione  di  decreti ministeriali concernenti la semplificazione
  degli  adempimenti per i proprietari di abitazioni ad uso privato e
  per  le  imprese,  la definizione di un sistema di verifiche per la
  sicurezza,  la revisione della disciplina sanzionatoria - Lamentata
  incidenza  sulle  materie  concorrenti del governo del territorio e
  della  tutela della salute, delegificazione, mancato coinvolgimento
  delle  Regioni  - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata
  violazione    della   potesta'   legislativa   e   della   potesta'
  regolamentare  regionale,  violazione  del  principio  di legalita'
  sostanziale, violazione del principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 35, comma 1.
- Costituzione, art. 117, commi terzo e sesto.
Impresa  e imprenditore - Semplificazione e riordino della disciplina
  dello  sportello unico per le attivita' produttive di cui al d.P.R.
  n. 447/1998,  con  regolamento  di delegificazione, su proposta dei
  competenti  Ministri  e sentita la Conferenza unificata - Lamentata
  incidenza  su  materie  di  competenza  residuale, quali industria,
  commercio,   agricoltura,  artigianato,  turismo,  nonche'  mancata
  previsione  dell'intesa  -  Ricorso  della Regione Emilia-Romagna -
  Denunciata   violazione   della   competenza  residuale  regionale,
  violazione del principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 38, comma 3.
- Costituzione, art. 117, comma quarto.
Impresa e imprenditore - Strumenti di attrazione degli investimenti e
  realizzazione  di progetti di sviluppo di impresa - Definizione con
  decreto  di  natura  non regolamentare del Ministro per lo sviluppo
  economico,   sentita   la  Conferenza  Stato-Regioni,  di  criteri,
  condizioni   e   modalita'   per  la  concessione  di  agevolazioni
  finanziarie   a  sostegno  degli  investimenti  privati  e  per  la
  realizzazione  di  interventi  ad essi complementari e funzionali -
  Lamentata  incidenza  su  materie  di  competenza  residuale, quali
  industria,  commercio,  agricoltura,  artigianato, turismo, nonche'
  mancata    previsione   dell'intesa   -   Ricorso   della   Regione
  Emilia-Romagna  -  Denunciata violazione della competenza residuale
  regionale, violazione del principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 43, comma 1.
- Costituzione, art. 117, comma quarto.
Demanio  e  patrimonio  dello  Stato e delle Regioni - Ricognizione e
  valorizzazione  del  patrimonio  immobiliare  di Regioni, comuni ed
  altri enti locali - Prevista redazione da parte di ciascun ente, di
  apposito  elenco dei beni immobili suscettibili di valorizzazione o
  dismissione,    con    successivo   piano   delle   alienazioni   e
  valorizzazioni  -  Approvazione  del  piano dall'organo di Governo,
  anziche'  dall'organo  competente  dell'ente  -  Previsione  che la
  deliberazione  del  consiglio  comunale  di  approvazione del piano
  costituisca  variante  allo  strumento  urbanistico  generale,  con
  limitate  verifiche  di  conformita' - Lamentata natura di norme di
  dettaglio  eccedenti  i limiti della potesta' statale nelle materie
  concorrenti  del coordinamento della finanza pubblica e del governo
  del  territorio,  violazione  dei  poteri  e  doveri  di  controllo
  spettanti  alle  Regioni  -  Ricorso della Regione Emilia-Romagna -
  Denunciata violazione della competenza concorrente delle Regioni.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 58, commi 1
  e 2.
- Costituzione, art. 117, comma terzo.
Bilancio  e  contabilita'  pubblica  -  Appalti  pubblici  - Modifica
  dell'art. 92, comma 5, del codice dei contratti pubblici relativi a
  lavori,  servizi e forniture - Compensi da destinarsi ai dipendenti
  pubblici  che  svolgono  attivita'  inerenti  a  un'opera  o lavoro
  pubblico  -  Riduzione  degli  importi e corrispondente economia da
  versarsi ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato
  - Ritenuta spettanza alla Regione delle somme riferite ad attivita'
  regionali  svolte  da  dipendenti regionali - Ricorso della Regione
  Emilia-Romagna  -  Denunciata  lesione  dell'autonomia  finanziaria
  regionale.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 61, commi 8
  e 9.
- Costituzione, art. 119.
Bilancio  e  contabilita'  pubblica  - Sanita' pubblica - Trattamenti
  economici complessivi spettanti ai direttori generali, ai direttori
  sanitari,  ai  direttori  amministrativi,  e  compensi spettanti ai
  componenti  dei  collegi  sindacali delle aziende sanitarie locali,
  delle aziende ospedaliere, delle aziende ospedaliero universitarie,
  degli  istituti  di ricovero e cura a carattere scientifico e degli
  istituti  zooprofliattici  - Rideterminazione con una riduzione del
  20  per  cento  rispetto  all'ammontare risultante alla data del 30
  giugno  2008  - Lamentata introduzione di un limite puntuale ad una
  specifica  voce  di  spesa,  esorbitanza  dai  limiti statali nella
  materia  concorrente  del  coordinamento  della  finanza pubblica -
  Ricorso   della   Regione   Emilia-Romagna   -  Denunciata  lesione
  dell'autonomia finanziaria regionale.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella  legge  6 agosto 2008, n. 133, art. 61, comma
  14.
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 119.
Bilancio  e contabilita' pubblica - Amministrazione pubblica - Misure
  normative  e amministrative da adottarsi da parte delle Regioni per
  la  riduzione degli oneri degli organismi politici e degli apparati
  amministrativi,   con   particolare  riferimento  alla  diminuzione
  dell'ammontare dei compensi e delle indennita' dei componenti degli
  organi   rappresentativi  e  del  numero  di  questi  ultimi,  alla
  soppressione  degli  enti  inutili,  alla  fusione  delle  societa'
  partecipate,  al  ridimensionamento delle strutture organizzative -
  Autoqualificazione  quale  principio  fondamentale di coordinamento
  della  finanza  pubblica  - Destinazione dei risparmi di spesa alla
  copertura   degli   oneri   derivanti  dall'abolizione  del  ticket
  sanitario  per  gli  anni 2009-2011 - Lamentata natura di dettaglio
  della  norma,  esorbitanza dai limiti dei principi di coordinamento
  finanziario,  imposizione  di  vincolo  di  spesa  -  Ricorso della
  Regione   Emilia-Romagna  -  Denunciata  violazione  dell'autonomia
  organizzativa e finanziaria regionale.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella  legge  6 agosto 2008, n. 133, art. 61, comma
  16.
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119.
Bilancio  e contabilita' pubblica - Misure normative e amministrative
  di  riduzione e razionalizzazione della spesa pubblica da adottarsi
  da  parte  delle  Regioni - Destinazione dei risparmi conseguiti al
  servizio sanitario nazionale e alla copertura degli oneri derivanti
  dall'abolizione  del  ticket  sanitario  per  gli  anni 2009-2011 -
  Lamentata  natura  di dettaglio della norma, esorbitanza dai limiti
  dei  principi  di coordinamento finanziario, imposizione di vincolo
  di  spesa  -  Ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna  - Denunciata
  violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria regionale.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella  legge  6 agosto 2008, n. 133, art. 61, comma
  20, lett. b).
- Costituzione, artt. 117, commi terzo e quarto, e 119.
Bilancio  e  contabilita'  pubblica  -  Sanita'  pubblica  - Facolta'
  consentita   alle   Regioni  di  reintrodurre  l'abolita  quota  di
  partecipazione  dei cittadini alla spesa sanitaria (ticket), ovvero
  altre  forme di partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria -
  Mancata  previsione di risorse statali con conseguente onere per le
  Regioni   -  Ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna  -  Denunciata
  violazione del principio di leale collaborazione e del principio di
  corrispondenza fra funzioni e risorse.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella  legge  6 agosto 2008, n. 133, art. 61, comma
  21.
- Costituzione, art. 119, comma quarto.
Istruzione - Organizzazione scolastica - Predisposizione da parte dei
  competenti  Ministri,  sentita  la  Conferenza  Unificata  e previo
  parere delle commissioni parlamentari, di un piano programmatico di
  interventi  per  la  razionalizzazione  dell'utilizzo delle risorse
  umane  e  strumentali  - Lamentata chiamata in sussidiarieta' dello
  Stato    di    funzioni   regionali   nella   materia   concorrente
  dell'istruzione  senza la necessaria intesa - Ricorso della Regione
  Emilia-Romagna - Denunciata violazione della competenza legislativa
  regionale,  lesione  dei  principi  di  sussidiarieta'  e  di leale
  collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 64, comma 3.
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 118, primo comma.
Istruzione  -  Organizzazione  scolastica  -  Revisione  dell'attuale
  assetto   ordinamentale,  organizzativo  e  didattico  del  sistema
  scolastico,  mediante adozione di regolamenti ministeriali, secondo
  i  criteri  esplicitati  -  Abilitazione dei regolamenti medesimi a
  modificare   le   disposizioni   legislative  vigenti  -  Lamentato
  esercizio  della  potesta' regolamentare da parte dello Stato nella
  materia  concorrente  dell'istruzione, carenza di previa intesa con
  le  Regioni,  alterazione  del sistema costituzionale delle fonti -
  Ricorso  della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione della
  competenza legislativa e regolamentare regionale.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 64, comma 4.
- Costituzione, art. 117, commi terzo e sesto.
Istruzione  -  Organizzazione  scolastica  -  Revisione  dell'attuale
  assetto   ordinamentale,  organizzativo  e  didattico  del  sistema
  scolastico,  mediante adozione di regolamenti ministeriali, secondo
  i  criteri  esplicitati  - Introduzione nell'elenco dei criteri del
  seguente oggetto: «definizione di criteri, tempi e modalita' per la
  determinazione  e  l'articolazione dell'azione di ridimensionamento
  della   rete   scolastica  prevedendo,  nell'ambito  delle  risorse
  disponibili   a  legislazione  vigente,  l'attivazione  di  servizi
  qualificati  per  la  migliore  fruizione dell'offerta formativa» -
  Lamentato  esercizio  della  potesta'  regolamentare da parte dello
  Stato  in  materia  di competenza regionale, in assenza di intesa -
  Ricorso  della Regione Emilia-Romagna - Denunciata violazione della
  competenza   legislativa   regionale   nelle   materie  concorrenti
  dell'istruzione  e della formazione professionale, violazione della
  potesta' regolamentare regionale.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 64, comma 4,
  lett. f-bis).
- Costituzione, art. 117, commi terzo e sesto.
Istruzione   -   Organizzazione   scolastica   -   Inserimento,   col
  decreto-legge  n.154 del 2008, del comma 6-bis all'art. 64 del d.l.
  n. 112  del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008 - Piani di
  ridimensionamento  delle istituzioni scolastiche da adottarsi dalle
  Regioni  e  dagli  enti  locali  a  decorrere  dall'anno scolastico
  2009-2010 - Inadempienza - Procedura di diffida ed eventuale nomina
  di  commissario  ad  acta  -  Lamentata  carenza dei presupposti di
  necessita' e urgenza per l'adozione del decreto-legge, nonche', nel
  merito,  carattere  di dettaglio della norma e previsione di poteri
  sostitutivi  statali  in  assenza  di esigenze cogenti di carattere
  unitario  -  Ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna  -  Denunciata
  violazione  della  competenza  legislativa  regionale nella materia
  dell'istruzione, abuso dello strumento del decreto-legge.
- Decreto-legge  7  ottobre  2008, n. 154, art. 3, che ha inserito il
  comma  6-bis  all'art. 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
  convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133.
- Costituzione, artt. 77 e 117, comma terzo.
Assistenza  e  solidarieta'  sociale  -  Fondo  speciale destinato al
  soddisfacimento   delle   esigenze   prioritariamente   di   natura
  alimentare  e  successivamente  anche  energetiche  e sanitarie dei
  cittadini  meno  abbienti,  alimentato  anche con trasferimenti dal
  bilancio  dello  Stato  -  Istituzione  della  carta acquisti (c.d.
  «social  card»)  a favore dei cittadini bisognosi per l'acquisto di
  beni   e   servizi,   secondo   modalita'   definite   con  decreto
  interdipartimentale  dei  ministeri  competenti - Coinvolgimento di
  altre  amministrazioni, di enti pubblici, di Poste italiane S.p.a.,
  di SOGEI S.p.a. o di CONSIP S.p.a. - Comunicazioni e collaborazioni
  da   fornirsi  «secondo  gli  indirizzi  impartiti»  dal  Ministero
  dell'economia  e  delle  finanze  -  Lamentata  estromissione delle
  Regioni   nella   materia   residuale   delle   politiche  sociali,
  istituzione  di  un fondo settoriale nella materia medesima gestito
  in  modo  totalmente  accentrato,  in subordine carenza di intesa -
  Ricorso   della  Regione  Emilia-Romagna  -  Denunciata  violazione
  dell'autonomia   legislativa,   regolamentare,   amministrativa   e
  finanziaria  delle  Regioni nella materia residuale delle politiche
  sociali,  o,  in  subordine,  violazione  del  principio  di  leale
  collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella  legge  6 agosto 2008, n. 133, art. 81, commi
  29, 30, 32, 33, 34, 35, 36, 38 e 38-bis.
- Costituzione,  artt.  117, commi quarto e sesto, 118, commi primo e
  secondo, e 119.
(GU n.49 del 26-11-2008 )
   Ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna, in persona del Presidente
della  Giunta  regionale  pro-tempore,  autorizzato con deliberazione
della  Giunta  regionale  13  ottobre  2008, n. 1645, rappresentata e
difesa,  come  da procura speciale n. rep. 51639 del 14 ottobre 2008,
rogata   dal  notaio  Federico  Stame  di  Bologna,  dall'avv.  prof.
Giandomenico  Falcon  di  Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con
domicilio  eletto  in Roma presso lo studio dell'avv. Luigi Manzi, in
via Confalonieri n. 5;
   Contro   il   Presidente   del   Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli articoli: 2,
comma 14; 4, comma 1; 6-quater, comma 2; 6-quinquies, commi 2 e 3; 7,
comma 2; 8, comma 3; 9, comma 3; 10; 11, commi 1, 3, 4, 5, 8, 9, 11 e
12;  13, commi 1, 2, 3-bis e 3-quater; 23, comma 2; 23-bis, commi 7 e
10;  30,  commi  1, 2 e 3; 35, comma 1; 38, comma 3; 43, comma 1; 58,
commi  1  e  2;  61,  commi  8, 9, 14, 16, 20 e 21; 64, commi 2 e 4 e
6-bis,  introdotto  da d.l. 7 ottobre 2008, n. 154, commi 29, 30, 32,
33,  34,  35,  36,  38  e  38-bis,  del decreto-legge 25 giugno 2008,
n. 112,   Disposizioni   urgenti   per   lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione,  la competitivita', la stabilizzazione della finanza
pubblica e la perequazione tributaria, convertito, con modificazioni,
dalla   legge  6  agosto  2008,  n. 133,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale  n. 195  del  21  agosto  2008; per violazione dell'art. 3,
dell'art.  5,  dell'art.  114,  dell'art.  117, terzo, quarto e sesto
comma,  dell'art. 118, primo, secondo comma e quarto comma, dell'art.
119,  comma  1,  e dell'art. 136 della Costituzione, del principio di
leale  collaborazione  e  del  principio di certezza del diritto, nei
modi e per i profili di seguito illustrati.
                           Fatto e diritto
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 14.
   L'art.  2 (Banda larga) del d.l. n. 112/2008 contiene una serie di
disposizioni  volte nel loro complesso a favorire la diffusione della
c.d. «banda larga», attraverso l'installazione di reti ed impianti in
fibra ottica.
   La Regione Emilia-Romagna non contesta ovviamente ne' la finalita'
generale  di garantire la diffusione delle comunicazione elettroniche
in  banda  larga,  ne'  la  piu'  parte  delle  singole  disposizioni
contenute nell'articolo in questione.
   Contesta invece specificamente, sotto molteplici profili, il comma
14  dell'art.  2, ai sensi del quale «i soggetti pubblici non possono
opporsi  alla  installazione nella loro proprieta' di reti e impianti
interrati  di comunicazione elettronica in fibra ottica, ad eccezione
del  caso  che  si  tratti  di  beni  facenti  parte  del  patrimonio
indisponibile  dello  Stato,  delle  province e dei comuni e che tale
attivita' possa arrecare concreta turbativa al pubblico servizio».
   Dalla  lettura della disposizione emerge innanzitutto con evidenza
come  la  clausola  di  salvaguardia prevista a favore del patrimonio
indisponibile «dello Stato, delle province e dei comuni» non menzioni
affatto le regioni.
   E'   probabile  che  si  sia  trattato  di  una  mera  svista  del
legislatore:  in  ogni  caso,  tale  mancanza rappresenta un'evidente
violazione  della  disponibilita' patrimoniale che l'art. 119, ultimo
comma, Cost., garantisce alle regioni.
   E'   pur   vero   che  lo  stesso  art.  119  citato  prevede  che
l'attribuzione  del  patrimonio  agli  enti  autonomi sia regolata da
legge  dello  Stato: ma e' altresi' chiaro che questa non puo' essere
abilitata  a prevedere compressioni di tale patrimonio che - anziche'
tenere  conto  della  ovvia  necessita' di bilanciamento di interessi
contrapposti   -   determinino   in   via  generale  ed  astratta  la
subordinazione, sempre e comunque, degli interessi regionali a quelli
dell'installazione  delle  fibre  ottiche:  senza  che  si proceda ad
accertare  se,  in  concreto,  il  sacrificio  di  tali interessi sia
proporzionato  alla  finalita'  perseguita ovvero se (con riferimento
alle  singole  installazioni) non siano praticabili diverse soluzioni
che consentano di ugualmente garantire la finalita' di sviluppo delle
comunicazioni    elettroniche,    senza    per   questo   sacrificare
ingiustificatamente gli interessi regionali.
   Sotto  i  medesimi profili, la disposizione appare altresi' lesiva
dell'autonomia  amministrativa  garantita  alle regioni dall'art. 118
Cost.
   Al  contempo,  per l'irragionevole trattamento deteriore riservato
alle  regioni rispetto a quelle delle altre autonomie territoriali (i
cui   patrimoni   indisponibili   risultano   invece  garantiti),  la
disposizione  risulta altresi' illegittima per violazione dell'art. 3
cost.  La  regione e' abilitata a sollevare tale questione essendo la
parte che direttamente subisce la discriminazione.
   Di   qui,   ad   avviso   della   regione,  un  primo  profilo  di
illegittimita'   del  comma  impugnato,  in  quanto  non  include  il
patrimonio  indisponibile  della  regione  tra  quello tutelato dalla
norma.
   In  secondo  luogo,  si  osserva  come  gli  stessi  profili sopra
indicati  di  violazione  delle prerogative regionali garantite dagli
artt.  118  e  119  Cost. risultino sussistenti anche in relazione ad
interventi infrastrutturali su aree del patrimonio disponibile.
   Anche  con  riferimento  a quest'ultima ipotesi, infatti, non pare
accettabile  la astratta precostituzione per legge di una generica ed
apodittica   affermazione   di  prevalenza  -  sempre  e  comunque  -
dell'interesse   dello  sviluppo  della  banda  larga  rispetto  alle
legittime  pretese delle Regioni titolari di beni interessati da tale
sviluppo:  anche  in  questo caso, senza che possano avere rilievo la
reale  necessita'  dell'utilizzo dei beni patrimoniali regionali e la
concreta   dimostrazione  dell'assenza  di  alternative  praticabili,
ugualmente in grado di soddisfare l'interesse primario tutelato dalla
disposizione.
   Infine,  si  osserva  come  la disposizione in oggetto si appalesi
altresi'  illegittima  per  violazione  dell'autonomia patrimoniale e
finanziaria  della  regione, garantito dall'art. 119 cost. (oltre che
del  principio  di  ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.), la' dove
non prevede alcun compenso o canone per l'utilizzo di suolo pubblico.
   Per  la medesima ragione, la disposizione viola anche il principio
di uguaglianza, dal momento che irragionevolmente assoggetta gli enti
pubblici  ad un trattamento deteriore di quello dei soggetti privati,
a  favore  dei quali e' assicurato comunque almeno un'indennita', nel
caso  in  cui  le installazioni siano tali da «impedire il libero uso
della  cosa  secondo la sua destinazione» (come si ricava a contrario
dall'art.   91,  commi  3  e  5,  d.lgs.  n. 259/2003,  espressamente
richiamato dal comma 14 qui impugnato).
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1.
   L'art.   4   (Strumenti   innovativi  di  investimento)  del  d.l.
n. 112/2008   stabilisce  che,  «per  lo  sviluppo  di  programmi  di
investimento  destinati  alla  realizzazione di iniziative produttive
con   elevato   contenuto   di   innovazione,  anche  consentendo  il
coinvolgimento degli apporti dei soggetti pubblici e privati operanti
nel  territorio  di  riferimento, e alla valorizzazione delle risorse
finanziarie  destinate allo scopo, anche derivanti da cofinanziamenti
europei  ed  internazionali, possono essere costituiti appositi fondi
di  investimento  con  la  partecipazione  di  investitori pubblici e
privati,  articolati  in  un  sistema  integrato tra fondi di livello
nazionale e rete di fondi locali».
   La  disposizione  aggiunge  che  «con  decreto  del Ministro dello
sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze,   sono   disciplinate   le   modalita'   di  costituzione  e
funzionamento  dei  fondi,  di  apporto  agli  stessi  e le ulteriori
disposizioni di attuazione».
   L'art.  4, comma. 1, incide indubbiamente su materie di competenza
regionale,  piena  (come l'industria, dato che si fa riferimento alle
«iniziative  produttive»)  o concorrente (il sostegno all'innovazione
per i settori produttivi). Inoltre, la disposizione non riguarda solo
iniziative  che  attengono  allo  sviluppo dell'intero paese ma anche
interventi sintonizzati sulle realta' produttive regionali, tanto che
vi si parla espressamente di «fondi locali».
   In questo contesto, pare chiara la necessita' di un coinvolgimento
regionale  nel  decreto di cui al secondo periodo del comma I (v., ad
es.,  la  sent.  63/2008);  si  chiede,  dunque,  la dichiarazione di
illegittimita'  costituzionale, per violazione del principio di leale
collaborazione,  dell'art. 4, comma 1, nella parte in cui non prevede
un'intesa sul decreto di cui al secondo periodo.
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6-quater, comma 2.
   All'interno  del  Titolo II, Sviluppo economico, semplificazione e
competitivita', e' collocato il capo II, Impresa.
   L'art.  6-quater,  Concentrazione  strategica degli interventi del
Fondo  per  le  aree  sotto  utilizzate,  dispone  che,  «al  fine di
rafforzare  la  concentrazione  su interventi di rilevanza strategica
nazionale  delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui
all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289,. su indicazione
dei  Ministri  competenti  sono  revocate  le  relative  assegnazioni
operate   dal   Comitato   interministeriale  per  la  programmazione
economica   (CIPE)   per   il   periodo   2000-2006   in   favore  di
amministrazioni centrali con le delibere adottate fino al 31 dicembre
2006,  nel  limite dell'ammontare delle risorse che entro la data del
31  maggio 2008 non sono state impegnate o programmate nell'ambito di
accordi  di programma quadro sottoscritti entro la medesima data, con
esclusione   delle   assegnazioni  per  progetti  di  ricerca,  anche
sanitaria»;  il  comma 1 aggiunge che «in ogni caso e' fatta salva la
ripartizione  dell'85%  delle  risorse alle regioni del Mezzogiorno e
del restante 15% alle regioni del Centro-Nord».
   Il  comma  2 statuisce che «le disposizioni di cui al comma 1, per
le  analoghe  risorse  ad  esse  assegnate,  costituiscono  norme  di
principio  per  le  regioni  e  le  province  autonome di Trento e di
Bolzano»,  e  che  «il  CIPE, su proposta del Ministro dello sviluppo
economico,  definisce,  di  concerto  con  i  Ministri interessati, i
criteri  e le modalita' per la ripartizione delle risorse disponibili
previa  intesa  con  la  Conferenza  permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano».
   Oggetto  di  impugnazione  e' il primo periodo del comma 2, il cui
significato, peraltro, non e' del tutto chiaro. L'oscura formulazione
della disposizione trova origine, forse, nel fatto che il legislatore
non  voleva disporre direttamente la revoca di risorse assegnate alle
regioni,  per  non  violare  la loro autonomia finanziaria, ma voleva
garantirsi  in  qualche modo il raggiungimento dell'obiettivo. Di qui
l'«autoqualificazione»  come norme di principio delle disposizioni di
cui  al  comma  1:  cio' significherebbe che le regioni dovrebbero in
qualche  modo  «autorevocarsi»  l'assegnazione,  cioe'  restituire le
risorse al CIPE (nel limite dell'ammontare delle risorse che entro la
data  del 31 maggio 2008 non sono state impegnate o programmate), che
poi  dovrebbe  provvedere al riparto delle risorse resesi disponibili
ai sensi del secondo periodo del comma 2.
   Gia'  in  base a tale interpretazione il primo periodo del comma 2
risulta,  ad  avviso  della ricorrente Regione, illegittimo e lesivo,
perche'  - dietro l'autoqualificazione di principio fondamentale - si
cela  in realta' una norma dettagliata: dato che - se le Regioni sono
vincolate  ad  operare  la revoca-restituzione - esse non hanno alcun
margine  di scelta ne' quanto alla «voce» da tagliare ne' quanto alle
modalita'  con  cui  operare  il  taglio.  Il  comma 2, dunque, e' in
realta'  una  norma  dettagliata  (in  base  ai  criteri applicati da
codesta Corte in relazione alle leggi statali che pongono limiti alla
spesa  regionale)  che  solo  richiede  di  essere  «applicata» dalle
Regioni.
   Di  recente codesta Corte ha giudicato su una fattispecie analoga,
ed  ha annullato una disposizione che imponeva alle regioni l'obbligo
di  adeguare  «ai principi di cui ai commi da 725 a 735 la disciplina
dei compensi degli amministratori delle societa' da esse partecipate,
e  del numero massimo dei componenti del consiglio di amministrazione
di  dette  societa'», precisando che «l'obbligo di cui al periodo che
precede   costituisce   principio   di  coordinamento  della  finanza
pubblica».     Poiche'     le     disposizioni    richiamate    erano
«particolareggiate»  e  non  lasciavano  spazio  ad un adeguamento da
parte  della  regione,  la  Corte  ha  annullato la norma, giudicando
«palese  che  il  legislatore  statale, vincolando regioni e province
autonome  all'adozione  di  misure  analitiche  e di dettaglio, ne ha
compresso  illegittimamente  l'autonomia finanziaria, esorbitando dal
compito  di  formulare  i  soli  principi fondamentali della materia»
(cosi' la sentenza n. 159/2008).
   Di  qui  l'illegittimita'  del  comma  2, primo periodo, in quanto
esorbita  dai  limiti  di un principio di coordinamento della finanza
pubblica  e  lede l'autonomia finanziaria regionale (art. 119 Cost.),
vincolando  l'uso  delle  risorse  in materie di competenza regionale
(quelle  attinenti  allo  sviluppo  economico:  industria, commercio,
artigianato,  agricoltura  ecc., tutte spettanti alla regione ex art.
117, quarto comma, Cost.).
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6-quinquies, commi 2 e 3.
   L'art.  6-quinquies,  Fondo  per  il  finanziamento  di interventi
finalizzati  al  potenziamento della rete infrastrutturale di livello
nazionale,  istituisce  - al comma 1 - «nello stato di previsione del
Ministero  dello  sviluppo  economico, a decorrere dall'anno 2009, un
fondo  per  il  finanziamento,  in  via  prioritaria,  di  interventi
finalizzati  al  potenziamento della rete infrastrutturale di livello
nazionale,  ivi  comprese  le  reti  di  telecomunicazione  e  quelle
energetiche,  di  cui  e'  riconosciuta la valenza strategica ai fini
della competitivita' e della coesione del Paese».
   Il  comma  2  dispone che, «con delibera del CIPE, su proposta del
Ministero  dello  sviluppo  economico d'intesa con il Ministero delle
infrastrutture  e  dei  trasporti,  si provvede alla ripartizione del
fondo  di  cui  al  comma  1, sentita la Conferenza unificata., fermo
restando  il  vincolo  di  concentrare  nelle regioni del Mezzogiorno
almeno 1'85% degli stanziamenti nazionali per l'attuazione del Quadro
strategico nazionale per il periodo 2007-2013».
   Il  fondo  istituito  dal  comma  1,  riguardando  gli  interventi
«finalizzati  al potenziamento della rete infrastrutturale di livello
nazionale,  ivi  comprese  le  reti  di  telecomunicazione  e  quelle
energetiche»,  incide  su  materie di competenza concorrente (governo
del  territorio,  porti  e  aeroporti,  grandi reti di trasporto e di
navigazione,   produzione,   trasporto   e   distribuzione  nazionale
dell'energia).  La  sent.  n. 168/2008 di codesta Corte ha confermato
che  «l'art.  119 cost. vieta al legislatore statale di prevedere, in
materie  di competenza legislativa regionale residuale o concorrente,
nuovi  finanziamenti  a  destinazione  vincolata,  anche  a favore di
soggetti  privati»,  precisando  che «il titolo di competenza statale
che  permette  l'istituzione  di un fondo con vincolo di destinazione
non   deve   necessariamente  identificarsi  con  una  delle  materie
espressamente elencate nel secondo comma dell'art. 117 Cost., ma puo'
consistere  anche nel fatto che detto fondo incida su materie oggetto
di  "chiamata  in  sussidiarieta'"  da  parte  dello  Stato, ai sensi
dell'art. 118, primo comma, Cost.».
   Nel  caso di specie, la previsione del fondo puo' giustificarsi ex
art.  118,  primo  comma,  cost. ma in questo caso il comma 2 risulta
illegittimo  (per  violazione  del principio di leale collaborazione)
la'  dove  richiede  in  relazione alla delibera del Cipe il semplice
parere della Conferenza unificata invece dell'intesa.
   La   necessita'   dell'intesa   per   i   casi   di  «chiamata  in
sussidiarieta'»  e'  stata  sancita sin dalla sent. n. 303/2003 ed e'
stata  ribadita,  proprio  per  la  materia dell'energia, dalla sent.
n. 383/2005   («tali   intese   costituiscono   condizione  minima  e
imprescindibile  per  la legittimita' costituzionale della disciplina
legislativa  statale  che effettui la "chiamata in sussidiarieta'" di
una  funzione  amministrativa  in  materie affidate alla legislazione
regionale,  con  la  conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie
intese  "in  senso  forte", ossia di atti a struttura necessariamente
bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una
delle parti»).
   Il  comma  3  dell'art.  6-quinquies  dichiara che «costituisce un
principio  fondamentale... la concentrazione, da parte delle regioni,
su infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del
Quadro  strategico  nazionale  per  il  periodo  2007-2013 in sede di
predisposizione  dei  programmi  finanziati  dal  Fondo  per  le aree
sottoutilizzate....  e  di ridefinizione dei programmi finanziati dai
Fondi strutturali comunitari».
   Tale  norma  si  autoqualifica  come principio fondamentale ma, in
realta',  esorbita  dai  limiti  del  potere statale di coordinamento
della  finanza  pubblica  (art.  117,  terzo comma, Cost.), incidendo
sulle  concrete scelte di investimento effettuate dalle regioni. Essa
pone  un vincolo di destinazione all'uso delle risorse spettanti alle
regioni,  limitando  l'autonomia  finanziaria di spesa garantita alle
regioni  dall'art.  119,  primo comma, cost. Si puo' ricordare che la
sentenza  n. 169/2007  ha  annullato  una  norma  che  imponeva  «una
puntuale  modalita'  di  utilizzo  di  risorse proprie delle regioni,
cosi'  da risolversi in una specifica prescrizione di destinazione di
dette risorse».
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 2.
   L'art.   7,   Strategia  energetica  nazionale,  dispone  che  «il
Consiglio  dei  Ministri,  su  proposta  del  Ministro dello sviluppo
economico,  definisce la "Strategia energetica nazionale", che indica
le   priorita'   per   il  breve  ed  il  lungo  periodo  e  reca  la
determinazione   delle   misure   necessarie  per  conseguire,  anche
attraverso meccanismi di mercato», gli obiettivi di seguito indicati.
Il comma 2 prevede che, «ai fini della elaborazione della proposta di
cui  al  comma  1,  il  Ministro  dello  sviluppo  economico convoca,
d'intesa  con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio
e del mare, una Conferenza nazionale dell'energia e dell'ambiente».
   La composizione della Conferenza non e' indicata e, dunque, non e'
dato  riscontrare  alcun  esplicito  coinvolgimento delle regioni. Il
comma  2  risulta  illegittimo, per violazione del principio di leale
collaborazione,  perche'  attribuisce  una  competenza  ad  un organo
statale   in   materia  di  competenza  concorrente  (energia)  senza
prevedere  l'intesa  della Conferenza Stato-regioni sulla proposta in
questione.  L'accentramento  operato dal comma 2 si puo' giustificare
in  virtu'  del  principio  di  sussidiarieta', ma - come esposto nel
punto  precedente  -  in questi casi e' necessario prevedere l'intesa
con le regioni.
6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3.
   L'art.  8,  Legge  obiettivo  per lo sfruttamento di giacimenti di
idrocarburi, stabilisce - al comma 2 - che «i titolari di concessioni
di  coltivazione di idrocarburi nel cui ambito ricadono giacimenti di
idrocarburi definiti marginali..., attualmente non produttivi e per i
quali  non  sia  stata presentata domanda per il riconoscimento della
marginalita'   economica,  comunicano  al  Ministero  dello  sviluppo
economico  entro  il  termine  di  tre  mesi dalla data di entrata in
vigore   del  presente  decreto  l'elenco  degli  stessi  giacimenti,
mettendo a disposizione dello stesso Ministero i dati tecnici ad essi
relativi».
   Il  comma  3  dispone  che «il Ministero dello sviluppo economico,
entro  i  sei  mesi successivi al termine di cui al comma 2, pubblica
l'elenco  dei  giacimenti  di  cui al medesimo comma 2, ai fini della
attribuzione  mediante procedure competitive ad altro titolare, anche
ai  fini  della  produzione di energia elettrica, in base a modalita'
stabilite  con  decreto  dello  stesso  Ministero da emanare entro il
medesimo termine».
   Il  comma  3  interviene  in  materie  di  competenza  concorrente
(energia  e  governo del territorio: art. 117, terzo comma, Cost.) ed
e' illegittimo (per violazione del principio di leale collaborazione)
nella   parte   in   cui   non   prevede  l'intesa  della  Conferenza
Stato-regioni  sul  decreto  regolativo di cui all'ultimo periodo del
comma  e  quella della regione interessata per l'atto di attribuzione
del  giacimento  ad  altro titolare, in base alla nota giurisprudenza
costituzionale sui presupposti della «chiamata in sussidiarieta'».
   Si   puo'   ricordare  che  la  sent.  n. 1/2008  (in  materia  di
concessioni  di  grandi  derivazioni  idroelettriche)  ha  sancito la
necessita'  del coinvolgimento regionale «un atto che, da un lato, e'
riconducibile  alla  indicata competenza statale in materia di tutela
della concorrenza, dall'altro, interferisce su aspetti organizzativi,
programmatori  e  gestori  della  materia, di competenza concorrente,
della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia».
7) illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 3.
   L'art.  9,  Sterilizzazione  dell'IVA  sugli  aumenti petroliferi,
stabilisce   che,  «per  fronteggiare  la  grave  crisi  dei  settori
dell'agricoltura,  della  pesca  professionale  e  dell'autotrasporto
conseguente  all'aumento  dei  prezzi  dei  prodotti  petroliferi,  a
decorrere  dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento
e  fino  al  31  dicembre  2008, l'Agenzia nazionale per l'attrazione
degli  investimenti  e  lo  sviluppo  d'impresa  S.p.A.  provvede con
proprie   risorse,   nell'ambito   dei  compiti  istituzionali,  alle
opportune  misure  di sostegno volte a consentire il mantenimento dei
livelli   di  competitivita',  previa  apposita  convenzione  tra  il
Ministero dello sviluppo economico e l'Agenzia».
   Nel  comma  3  si  dispone  che  «con  decreto  del Ministro dello
sviluppo  economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze,  sentiti  i  Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e
delle  politiche  agricole  alimentari  e  forestali e' approvata. la
convenzione  di cui al comma 2, che definisce altresi' le modalita' e
le   risorse  per  l'attuazione  delle  misure  di  cui  al  presente
articolo».
   Tale  disciplina  incide  su materie di competenza regionale piena
(pesca,  agricoltura  e trasporti: art. 117, quarto comma, Cost.). Il
comma  3,  dunque,  risulta anch'esso illegittimo (per violazione del
principio   di   leale   collaborazione)  la'  dove  non  prevede  il
coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni sul decreto che approva
la  convenzione,  per  le  stesse ragioni ricordate in relazione agli
articoli 7, comma 2 ed 8, comma 3.
8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 10.
   L'art. 10, Promozione degli interventi infrastrutturali strategici
e  nei  settori  dell'energia e delle telecomunicazioni, aggiunge una
lettera  al  comma  355  dell'art.  1  della  legge 30 dicembre 2004,
n. 311, che prevede le modalita' di riparto del Fondo rotativo per il
sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca»: il comma 10 qui
impugnato  aggiunge  una  nuova  priorita' per l'individuazione degli
interventi  ammessi  al  finanziamento,  ossia  la  considerazione di
progetti  d'investimento  su  infrastrutture nel settore energetico e
delle reti di telecomunicazione, «sulla base di programmi predisposti
dal Ministero dello sviluppo economico».
   Pur  incidendo  la  norma su materie concorrenti (energia, governo
del  territorio  e  ordinamento  della comunicazione: art. 117, terzo
comma,   Cost.),   non   e'   prevista  l'intesa  con  la  Conferenza
Stato-regioni sui programmi in questione, in violazione del principio
di   leale   collaborazione.   Si  puo'  ricordare  che  la  sentenza
n. 242/2005  ha  fatto salvo un Fondo rotativo ma ha stabilito che il
comma 110 dell'art. 4 della legge n. 350 del 2003 sia integrato dalla
previsione  che  i poteri del CIPE in materia di determinazione delle
condizioni  e  delle  modalita'  di  attuazione  degli  interventi di
gestione del Fondo rotativo nazionale per gli interventi nel capitale
di rischio possano essere esercitati solo di intesa con la Conferenza
Stato-regioni.
   Si  richiamano  altresi'  le ragioni illustrate sopra in relazione
agli articoli 7, comma 2, 8, comma 3 e 9, comma 3.
9)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 11, commi 1, 3, 4, 5, 8,
9, 11 e 12.
   L'art.  11, d.l. n. 112/2008 prevede che, «al fine di garantire su
tutto   il  territorio  nazionale  i  livelli  minimi  essenziali  di
fabbisogno  abitativo  per  il pieno sviluppo della persona umana, e'
approvato  con  decreto  del  Presidente  del Consiglio dei ministri,
previa  delibera del Comitato interministeriale per la programmazione
economica  (CIPE)  e  d'intesa  con  la  Conferenza  unificata..., su
proposta  del  Ministro  delle  infrastrutture e dei trasporti, entro
sessanta  giorni  dalla  data  di  entrata  in  vigore della legge di
conversione  del  presente  decreto,  un  piano nazionale di edilizia
abitativa»  (comma  1).  Il  piano  «e'  rivolto  all'incremento  del
patrimonio  immobiliare  ad  uso  abitativo  attraverso  l'offerta di
abitazioni  di  edilizia residenziale, da realizzare nel rispetto dei
criteri  di  efficienza  energetica  e  di  riduzione delle emissioni
inquinanti,  con  il  coinvolgimento  di capitali pubblici e privati,
destinate prioritariamente a prima casa» per determinate categorie di
soggetti svantaggiati, indicati nel comma 2.
   In  base  al comma 3, «il piano nazionale di edilizia abitativa ha
ad  oggetto  la costruzione di nuove abitazioni e la realizzazione di
misure   di   recupero  del  patrimonio  abitativo  esistente  ed  e'
articolato,  sulla  base  di  criteri  oggettivi  che  tengano  conto
dell'effettivo  bisogno  abitativo  presente  nelle  diverse  realta'
territoriali»,  attraverso  gli  interventi  di seguito indicati, che
comprendono   la  costituzione  di  fondi  immobiliari  (lettera  a),
«l'incremento  del  patrimonio  abitativo  di edilizia con le risorse
anche  derivanti dalla alienazione di alloggi di edilizia pubblica in
favore  degli  occupanti  muniti di titolo legittimo» (lettera b), la
«promozione  da  parte  di privati di interventi anche ai sensi della
parte  II,  titolo  III, capo III, del codice dei contratti pubblici»
(lettera   c);  il  capo  III  in  questione  riguarda  il  promotore
finanziario,  la  societa'  di  progettazione  e  la disciplina della
locazione finanziaria per i lavori pubblici), le «agevolazioni, anche
amministrative,  in  favore  di cooperative edilizie costituite tra i
soggetti   destinatari   degli   interventi»,  la  «realizzazione  di
programmi  integrati  di  promozione  di  edilizia residenziale anche
sociale» (lettera e).
   Il  comma  4  prevede che «il Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti  promuove la stipulazione di appositi accordi di programma,
approvati  con  decreto  del  Presidente  del Consiglio dei ministri,
previa delibera del CIPE, d'intesa con la Conferenza unificata,... al
fine   di   concentrare  gli  interventi  sulla  effettiva  richiesta
abitativa  nei  singoli contesti, rapportati alla dimensione fisica e
demografica    del   territorio   di   riferimento,   attraverso   la
realizzazione  di  programmi  integrati  di  promozione  di  edilizia
residenziale  e  di  riqualificazione  urbana».  Sempre  il  comma  4
specifica che decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta la
predetta  intesa,  «gli  accordi di programma possono essere comunque
approvati».
   Il  comma  5  dispone  che  «gli interventi di cui al comma 4 sono
attuati anche attraverso le disposizioni di cui alla parte II, titolo
III, capo III, del citato codice» dei contratti pubblici... mediante:
a)  il  trasferimento  di diritti edificatori in favore dei promotori
degli   interventi   di   incremento  del  patrimonio  abitativo;  b)
incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione
di  servizi, spazi pubblici e miglioramento della qualita' urbana...;
c)  provvedimenti  mirati  alla  riduzione  del  prelievo  fiscale di
pertinenza  comunale o degli oneri di costruzione; d) la costituzione
di  fondi  immobiliari  di  cui  al  comma  3,  lettera  a),  con  la
possibilita'  di  prevedere  altresi'  il  conferimento  al fondo dei
canoni di locazione, al netto delle spese di gestione degli immobili;
e)  la  cessione,  in  tutto o in parte, dei diritti edificatori come
corrispettivo  per  la  realizzazione  anche  di  unita' abitative di
proprieta'  pubblica  da destinare alla locazione a canone agevolato,
ovvero  da  destinare  alla  alienazione  in  favore  delle categorie
sociali svantaggiate di cui al comma 2».
   Dal  comma  8 risulta che, «in sede di attuazione dei programmi di
cui  al  comma  4,  sono  appositamente disciplinati le modalita' e i
termini  per  la  verifica  periodica delle fasi di realizzazione del
piano,   in   base   al  cronoprogramma  approvato  e  alle  esigenze
finanziarie,   potendosi   conseguentemente   disporre,  in  caso  di
scostamenti,   la   diversa  allocazione  delle  risorse  finanziarie
pubbliche verso modalita' di attuazione piu' efficienti». Inoltre, si
aggiunge  che  le  abitazioni realizzate o alienate nell'ambito delle
procedure  di  cui  al  presente  articolo  possono essere oggetto di
successiva alienazione decorsi dieci anni dall'acquisto originario.
   Il  comma  9  precisa  che  «l'attuazione del piano nazionale puo'
essere  realizzata, in alternativa alle previsioni di cui al comma 4,
con  le  modalita' approvative di cui alla parte II, titolo III, capo
IV,  del  citato codice» dei contratti pubblici, concernente i lavori
relativi a infrastrutture strategiche e a insediamenti produttivi.
   Il  comma  11  dispone  che,  «per  la  migliore realizzazione dei
programmi, i comuni e le province possono associarsi» ai sensi del d.
lgs.  n. 267/2000;  che «i programmi integrati di cui al comma 4 sono
dichiarati  di  interesse  strategico  nazionale»  e  che  «alla loro
attuazione  si  provvede  con  l'applicazione»  dell'art.  81, d.P.R.
n. 616/1977.
   Infine,  il  comma  12  stabilisce  che  «per  l'attuazione  degli
interventi previsti dal presente articolo e' istituito un Fondo nello
stato   di  previsione  del  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei
trasporti,  nel  quale  confluiscono  le  risorse  finanziarie di cui
all'art.  1,  comma  1154,  legge.  n. 296/2006,  nonche' di cui agli
articoli 21, 21-bis, ad eccezione di quelle gia' iscritte nei bilanci
degli   enti   destinatari   e  impegnate,  e  41  del  decreto-legge
n. 159/2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222/2007».
Il  comma  12  aggiunge  che «gli eventuali provvedimenti adottati in
attuazione delle disposizioni legislative citate al primo periodo del
presente comma, incompatibili con il presente articolo, restano privi
di effetti».
   La  disciplina sopra riportata risulta a volte imprecisa o oscura,
In particolare, non e' precisato quali sono i soggetti che concludono
gli «accordi di programma» di cui al comma 4. Inoltre, non e' agevole
comprendere in che modo si configuri un'attivita' regolativa «in sede
di   attuazione   dei   programmi»   (comma   8),  ne'  in  che  modo
all'attuazione  dei  programmi  di  cui  al  comma  4 si provveda con
l'applicazione  dell'art.  81, d.P.R. n. 616/1977, che contiene norme
di diversa natura, alcune delle quali abrogate.
   Nel  complesso,  pero',  e' chiaro che l'art. 11, d.l. n. 112/2008
regola  dettagliatamente gli interventi attraverso cui si articola il
Piano  casa  e  le  procedure attuative, istituendo un apposito Fondo
presso   il   Ministero   delle   infrastrutture   ed   una  gestione
centralizzata degli interventi.
   La   potesta'   legislativa   regionale  in  materia  di  edilizia
residenziale pubblica e' stata riconosciuta sin dagli anni '70 (v. ad
es.,  la  sent.  n. 140/1976  di  codesta  Corte), anche se e' con il
d.P.R.  n. 616/1977  che  e' stato attuato un rilevante trasferimento
alle  regioni  delle  competenze  in materia di edilizia residenziale
pubblica (v. gli artt. 87, 88, 93 e 94).
   In particolare, l'art. 93 di tale decreto trasferisce alle regioni
le    funzioni   concernenti   «la   programmazione   regionale,   la
localizzazione,   le  attivita'  di  costruzione  e  la  gestione  di
interventi di edilizia residenziale e abitativa pubblica, di edilizia
convenzionata,  di edilizia agevolata, di edilizia sociale nonche' le
funzioni connesse alle relative procedure di finanziamento».
   A  seguito del d.P.R. n. 616/1977, codesta Corte ha specificato, a
proposito  dell'edilizia  residenziale pubblica, che «si verte in una
materia  attribuita  in  via  generale  alla  competenza  legislativa
regionale»  (sentenza  n. 217  del  1988).  Sempre con riferimento al
quadro  costituzionale  anteriore alla riforma del Titolo V, la Corte
ha  statuito  (sentenza  n. 727  del  1988)  che  «al  di fuori della
formulazione  dei "criteri generali" da osservare nelle assegnazioni,
e'  attribuita  alle regioni la piu' ampia potesta' legislativa nella
materia,  e  quindi  la disciplina attinente alle assegnazioni e alle
successive   vicende   dei  relativi  rapporti»  (fra  le  quali,  la
trasformazione  della locazione in proprieta': cio' rileva per l'art.
13,  impugnato  nel  punto 2). La competenza legislativa regionale in
materia di edilizia residenziale pubblica era pertanto «riconducibile
all'art.  117, comma primo, Cost.» e gli Istituti autonomi delle case
popolari  dovevano essere «considerati come enti regionali» (sentenza
n. 1115 del 1988).
   Gli  artt.  59  ss.  del  d.  lgs.  n. 112/1998  hanno  confermato
l'ampiezza   delle   competenze  regionali  in  materia  di  edilizia
residenziale   pubblica.  L'art.  60  conferisce  alle  regioni,  «in
particolare»,  la  «determinazione  delle  linee d'intervento e degli
obiettivi  nel settore», «la programmazione delle risorse finanziarie
destinate   al   settore»,   la   «gestione»  e  l'«attuazione  degli
interventi»,    nonche'    la   «definizione   delle   modalita'   di
incentivazione»,  la  «determinazione  delle  tipologie di intervento
anche  attraverso  programmi  integrati,  di  recupero  urbano  e  di
riqualificazione    urbana»,   la   «fissazione   dei   criteri   per
l'assegnazione  degli  alloggi  di  edilizia  residenziale  destinati
all'assistenza  abitativa»,  nonche'  la «determinazione dei relativi
canoni».
   La  riforma  del Titolo V ha introdotto due importanti elementi di
novita': la «creazione» di una potesta' legislativa regionale piena e
l'attribuzione  allo Stato della competenza esclusiva di cui all'art.
117,  comma  2, lettera m). A seguito di cio', la Corte - come noto -
ha puntualizzato in questo modo l'attuale assetto delle competenze in
materia  di edilizia residenziale pubblica: «la materia dell'edilizia
residenziale  pubblica si estende su tre livelli normativi», il primo
dei  quali «riguarda la determinazione dell'offerta minima di alloggi
destinati  a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti» («in tale
determinazione  -  che,  qualora esercitata, rientra nella competenza
esclusiva  dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera
m),  cost.  -  si  inserisce  la fissazione di principi che valgano a
garantire  l'uniformita'  dei  criteri  di  assegnazione  su tutto il
territorio  nazionale»);  il  secondo  livello normativo «riguarda la
programmazione  degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica,
che ricade nella materia «governo del territorio», ai sensi del terzo
comma  dell'art.  117 Cost.»; il terzo livello normativo, «rientrante
nel  quarto  comma  dell'art.  117  Cost.,  riguarda  la gestione del
patrimonio   immobiliare   di   edilizia   residenziale  pubblica  di
proprieta' degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri
enti  che  a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione
regionale» (cosi' la sent. 94/2007).
   Se  ora  si valutano le norme impugnate dell'art. 11 alla luce del
riparto  di  competenze  appena  illustrato,  emerge, ad avviso della
ricorrente  regione,  che esse esorbitano dai limiti della competenza
statale in materia di edilizia residenziale pubblica.
   Innanzi  tutto,  e'  da  precisare  che  non risulta pertinente il
riferimento,  contenuto  al comma 1, ai «livelli minimi essenziali di
fabbisogno  abitativo»:  l'art. 11 non determina «l'offerta minima di
alloggi  destinati  a  soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti»
(per  usare  le  espressioni  della  sent. n. 94/2007), non individua
alcun  «livello» di prestazione sociale, ma prevede solo un Piano per
«incrementare»  (comma 2) il patrimonio immobiliare ad uso abitativo.
Fra  l'altro,  la  destinazione  degli  immobili  a  prima  casa  per
categorie svantaggiate e' «prioritaria» (comma 2) ma non esclusiva.
   Dunque,  l'ambito  principale  di  riferimento  dell'art. 11 e' la
programmazione  degli  interventi  di edilizia residenziale pubblica,
che   ricade   -  come  visto  -  nella  competenza  concorrente.  Il
riferimento ai «livelli minimi essenziali», lungi dal dare fondamento
costituzionale  all'art.  11,  concorre  ad inficiarlo perche' rivela
l'intento  del  legislatore  di  «attrarre»  la  disciplina  verso le
materie di competenza esclusiva statale.
   Il  comma  2  non  e'  oggetto  di  impugnazione in quanto fissa i
criteri  generali  per  individuare i beneficiari degli interventi e,
quindi,  rientra  nel  «primo  livello  normativo»  di cui alla seni.
n. 94/2007.
   I  commi 3, 4, 5, 8 e 9 risultano lesivi perche' non si limitano a
fissare  obiettivi  ed  indirizzi  per la programmazione regionale di
edilizia  residenziale  pubblica  o  ad attribuire al Piano nazionale
questo   scopo   (in   questi  limiti,  esso  avrebbe  potuto  essere
giustificato  ex  art.  118,  primo  comma,  Cost.)  ma  dettano  una
disciplina  completa  e  dettagliata  della  tipologia  di interventi
(commi  3  e  5) e delle procedure di attuazione e verifica del piano
(commi  4,  8  e  9),  che  sembrano  svolgersi attraverso un «doppio
livello» (accordi di programma e programmi integrati di promozione di
edilizia residenziale). Si tenga presente che fin dall'art. 60, comma
1,   lettera  d)  d.  lgs.  n. 112/1998  spetta  alle  regioni,  come
accennato,  la  «determinazione  delle  tipologie di intervento anche
attraverso   programmi   integrati,   di   recupero   urbano   e   di
riqualificazione urbana».
   La  disciplina  dell'art. 11 pare destinata ad essere integrata da
quanto  sara'  stabilito in sede di accordi di programma (ed «in sede
di attuazione dei programmi», secondo l'oscura formula del comma 8) e
non  emergono  spazi  per una disciplina regionale di svolgimento dei
principi statali.
   Dunque,  i  commi 3, 4, 5, 8 e 9 risultano illegittimi perche' non
dettano   i   principi  regolatori  della  programmazione  regionale,
lasciando   spazio   a  leggi  regionali  regolatrici  dei  programmi
regionali,  ma  prevedono una complessa procedura gestita dal centro,
esaurendo gli spazi di normazione (salvo quanto saro' stabilito dagli
accordi di programma).
   La  giurisprudenza  costituzionale  ha  piu' volte annullato norme
legislative  statali  che  non  lasciavano  un  margine  di scelta al
legislatore  regionale  in  materie concorrenti (v., ad es., la sent.
n. 401/2007,  punto  16,  e  la  sent. n. 339/2007; d'altro canto, la
sent. n. 387//2007 ha giustificato la legge statale impugnata perche'
le  "110MIC  censurate  sono molto ampie e richiedono... un'attivita'
normativa  di  attuazione,  precisazione  e  adattamento alle singole
realta' territoriali, di competenza delle regioni»).
   Si  noti  che,  nei  termini  sopra  esposti,  l'art.  11  risulta
nettamente  differente  rispetto  alle  norme  della legge n. 9/2007,
fatte  salve  dalla  sent.  n. 166/2008.  Infatti  la legge n. 9/2007
prevede  che  le  regioni  predispongano  piani straordinari (art. 3,
comma  1),  ed  il programma nazionale di cui all'art. 4 contiene gli
obiettivi  e  gli  indirizzi per la programmazione regionale: dunque,
l'art.  4,  comma  2, sembra effettivamente una norma di principio in
materia di programmazione dell'Erp (v. sent. n. 94/2007) ed il potere
statale di predisporre il programma nazionale si puo' giustificare ex
art.  118,  primo comma, Cost.: non a caso, esso e' stato fatto salvo
dalla  Corte  perche'  «non  interferisce  nella  predisposizione dei
programmi  regionali,  ma  si  limita  a  fissare  le  linee generali
indispensabili per l'armonizzazione dei programmi su scala nazionale»
(cosi' la sent. n. 166/2008).
   Invece,  l'art.  11 ha il contenuto dettagliato sopra illustrato e
non  prevede affatto programmi regionali. I commi 1 e 4 attribuiscono
al  Ministero delle infrastrutture, al Presidente del Consiglio ed al
CIPE  poteri  non  sorretti  da  esigenze  unitarie,  perche'  non si
traducono  nella fissazione delle linee generali della programmazione
regionale   o   in  atti  che  richiedono  una  visione  unitaria  ma
nell'adozione  di criteri (comma 1) e, soprattutto, accordi (comma 4)
gia' «calibrati» sulle diverse realta' territoriali (come risulta dal
riferimento  all'«effettivo  bisogno abitativo presente nelle diverse
realta' territoriali», all'«effettiva richiesta abitativa nei singoli
contesti»  e  «alla dimensione fisica e demografica del territorio di
riferimento»; quanto ai «programmi integrati», v. infra).
   Per   tener   conto  delle  particolari  esigenze  di  determinati
territori  in  termini  costituzionalmente  legittimi,  lo Stato deve
attivare  «interventi  speciali»  ex  art.  119,  quinto  comma,  non
accentrare  la  regolazione  e  la  gestione di un piano nazionale di
edilizia abitativa.
   Gli accordi di programma di cui al comma 4 sembrano gia' implicare
la  localizzazione  degli  insediamenti:  il che risulta lesivo delle
competenze  regionali,  considerato che gia' dal 1977 sono trasferite
alle  regioni  «le  funzioni  amministrative  statali  concernenti la
programmazione   regionale,   la   localizzazione,  le  attivita'  di
costruzione  e  la  gestione di interventi di edilizia residenziale e
abitativa pubblica, di edilizia convenzionata, di edilizia agevolata,
di  edilizia  sociale  nonche'  le  funzioni  connesse  alle relative
procedure di finanziamento» (art. 93, comma 1, d.P.R. n. 616/1977).
   Dunque, i commi 1 e 4 dell'art. 11 risultano illegittimi anche per
violazione  dell'art.  118,  primo  comma,  cost. in quanto prevedono
poteri  amministrativi statali senza che sussistano esigenze unitarie
idonee a giustificarli.
   E'  inoltre  da  sottolineare  che  l'ultimo  periodo  del comma 4
precisa  espressamente  che  gli  accordi di programma possono essere
approvati  anche  senza  intesa  con la Conferenza unificata; dunque,
anche  qualora  -  in  denegata  ipotesi  -  i poteri statali fossero
considerati legittimi, sarebbe in ogni modo incostituzionale l'ultimo
periodo   del   comma   4  per  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione,   dato  che  la  forte  incidenza  degli  accordi  di
programma  su  una  materia  di  competenza  regionale  non  puo' non
richiedere un'intesa (appunto) «forte».
   Quanto  al comma 11, esso dichiara i programmi integrati di cui al
comma 4 «di interesse strategico nazionale» e cio' pare sottintendere
che  anche  su di essi puo' esserci un potere codecisorio statale (il
comma  4  non  precisa  da  chi  sono approvati questi programmi). In
questi  termini,  il comma 11 viola l'art. 118, primo comma, cost. in
quanto  prevede un potere statale non sorretto da esigenze unitarie e
gia'  attribuito  alle  regioni  dall'art.  93,  d.P.R. n. 616/1977 e
dall'art. 60, d. lgs. n. 112/1998 (v. soprattutto la lettera d).
   Infine,  il  comma  12  istituisce  un  fondo settoriale presso il
Ministero   delle  infrastrutture,  nel  quale  confluiscono  risorse
contemplate  da altre leggi. Non e' precisato a chi saranno destinate
le risorse.
   Ove  dovesse  intendersi che di tale fondo dispone direttamente il
Ministero vi sarebbe violazione piena delle competenze legislative ed
amministrative regionali, con violazione dell'art. 117, commi terzo e
quarto,   dell'art.   118,  primo  comma,  oltre  che  dell'autonomia
finanziaria regionale.
   Ma  se  anche  si  debba intendere - come la regione ritiene - che
esse  debbano «transitare» attraverso le regioni (dato che l'art. 93,
d.P.R.  n. 616/1977  attribuisce  ad  esse le «funzioni connesse alle
relative  procedure  di  finanziamento»),  comunque, il comma 12 crea
presso  il  Ministero un fondo settoriale a destinazione vincolata in
materia   di   competenza   regionale,   invece   di   attribuire  le
corrispondenti  risorse  alle  regioni  (si  ricordi  che  l'art. 60,
lettera   b),   d.  lgs.  n. 112/1998  attribuisce  alle  regioni  la
«programmazione delle risorse finanziarie destinate al settore»).
   In   tal  modo,  il  comma  12  viola  in  ogni  caso  l'autonomia
finanziaria  regionale  (art.  119  Cost.),  come  risulta  ormai  da
consolidata  giurisprudenza  costituzionale; piu' volte codesta Corte
ha  colpito  fondi istituiti proprio in materie «sociali», precisando
che  le  risorse dovevano essere assegnate alle regioni per generiche
finalita' sociali: v., ad es., le sentt. n. 168/2008 e n. 118/2006.
10) Illegittimita' dell'art. 13, commi 1, 2, 3-bis e 3-quater.
   L'art.  13  (Misure  per  valorizzare  il  patrimonio residenziale
pubblico)  del  d.l.  n. 112/2008 dispone al comma 1 che, «al fine di
valorizzare gli immobili residenziali costituenti il patrimonio degli
Istituti  autonomi  per  le  case popolari, comunque denominati, e di
favorire  il soddisfacimento dei fabbisogni abitativi, entro sei mesi
dalla  data  di  entrata  in  vigore del presente decreto il Ministro
delle  infrastrutture  e  dei trasporti ed il Ministro per i rapporti
con  le  regioni  promuovono,  in sede di Conferenza unificata,... la
conclusione  di  accordi con regioni ed enti locali aventi ad oggetto
la  semplificazione  delle procedure di alienazione degli immobili di
proprieta' dei predetti Istituti».
   Il  comma 2 fissa i criteri di cui «si tiene conto» «ai fini della
conclusione  degli  accordi di cui al comma 1», nei seguenti termini:
«a)  determinazione del prezzo di vendita delle unita' immobiliari in
proporzione  al canone di locazione; b) riconoscimento del diritto di
opzione  all'acquisto,  purche'  i  soggetti  interessati  non  siano
proprietari  di  un'altra abitazione, in favore dell'assegnatario non
moroso  nel pagamento del canone di locazione o degli oneri accessori
unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione
dei  beni, ovvero, in caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, in
favore   del   coniuge   in   regime  di  separazione  dei  beni,  o,
gradatamente,  del convivente more uxorio, purche' la convivenza duri
da   almeno   cinque  anni,  dei  figli  conviventi,  dei  figli  non
conviventi;  c)  destinazione  dei  proventi  delle  alienazioni alla
realizzazione di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo».
   Dunque,  l'art.  13,  commi 1 e 2, regola - sia dal punto di vista
procedurale  (attraverso il rinvio agli accordi in sede di Conferenza
unificata)   sia   dal  punto  di  vista  sostanziale  -  la  materia
dell'alienazione   degli  immobili  degli  «Iacp»,  con  il  fine  di
valorizzare   il   patrimonio  immobiliare  di  questi,  di  favorire
l'acquisto  in  proprieta'  da parte degli assegnatari e di acquisire
risorse  per  realizzare  nuovi  interventi  di edilizia residenziale
pubblica.
   Nel  punto  9  si  e'  gia' illustrata l'ampiezza delle competenze
regionali  in  materia  di  edilizia residenziale pubblica. E' ora il
caso di evidenziare alcune disposizioni che conferiscono alle regioni
la  competenza proprio in relazione alla vendita degli immobili degli
Iacp.  Innanzi  tutto, l'art. 93, d.P.R. n. 616/1977 trasferisce alle
regioni «le funzioni statali relative agli I.A.C.P. fermo restando il
potere  alle  regioni  di  cui  all'art.  13  di  stabilire soluzioni
organizzative  diverse».  Di  particolare  interesse, per la presente
controversia,  e' l'art. 94 che trasferisce «alle regioni le funzioni
amministrative  esercitate dall'amministrazione centrale e periferica
dei  lavori  pubblici,  in  base  al  regio  decreto  28 aprile 1938,
n. 1165»,  e,  inoltre, «la funzione relativa alla determinazione dei
requisiti e dei prezzi massimi delle abitazioni, ai sensi dell'art. 8
del  decreto-legge  6 settembre 1965, n. 1022, convertito nella legge
1° novembre 1965, n. 1179».
   Infatti,  il  r.d. n. 1165/1938 (ora abrogato proprio dall'art. 24
del  d.l.  n. 112/2008) concerneva - agli artt. 31, 34 e 35 - proprio
la  procedura di vendita delle case popolari, attribuendo al Ministro
per i lavori pubblici il potere di autorizzare gli Iacp a vendere gli
immobili agli inquilini e regolando il relativo prezzo di vendita.
   Quanto al d.l. n. 1022/1965, l'art. 8, comma 3, di esso stabilisce
che  «il Ministro dei lavori pubblici stabilira' con proprio decreto,
con  riferimento alle situazioni locali, il prezzo massimo, per metro
quadrato  o per metro cubo, degli alloggi da costruire con i benefici
del  presente  decreto,  nonche'  l'incidenza massima del costo delle
aree» (i commi 4 e 5 regolano poi la vendita).
   Dunque,  sin  dal  1977 alle regioni sono attribuite le competenze
relative  all'alienazione  degli  immobili  degli  Iacp, sia sotto il
profilo procedurale sia sotto quello del prezzo di vendita.
   E'  poi  da ricordare che, in base alla sent. n. 94/2007, il terzo
livello  normativo, «rientrante nel quarto comma dell'art. 117 Cost.,
riguarda   la   gestione   del  patrimonio  immobiliare  di  edilizia
residenziale  pubblica  di  proprieta' degli Istituti autonomi per le
case  popolari  o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti
ad  opera della legislazione regionale»; ancora gli Istituti autonomi
delle  case  popolari devono essere «considerati come enti regionali»
(sentenza n. 1115 del 1988).
   La  sentenza  n. 94  del  2007  e'  interessante  non  solo per la
precisazione  relativa  al riparto delle competenze in materia di Erp
ma  anche  perche'  ha  annullato due disposizioni del tutto simili a
quelle  qui impugnate. Infatti il comma 597, legge n. 266/2005, cioe'
della  legge  finanziaria  per il 2006, prevedeva che, «ai fini della
valorizzazione   degli   immobili  costituenti  il  patrimonio  degli
Istituti  autonomi  per  le  case  popolari, comunque denominati», un
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri - da emanare previo
accordo  tra Governo e regioni - semplificasse le norme in materia di
alienazione degli immobili di proprieta' degli Istituti medesimi.
   Dunque, rispetto all'art. 13, comma 1, d.l. n. 112/2008, l'accordo
intercorreva  solo con le regioni (e non anche con gli enti locali) e
veniva recepito in un d.P.C.m..
   Il  comma 598 fissava i principi-guida per l'accordo tra Governo e
regioni,  praticamente  uguali  a quelli di cui all'art. 13, comma 2,
d.l.    n. 112/2008;    anzi,   quest'ultima   disposizione   risulta
peggiorativa perche' - a proposito della determinazione del prezzo di
vendita  -  non  fa  riferimento alle «vigenti leggi regionali» (come
faceva, invece, l'art. 1, comma 598, legge. n. 266/2005).
   La Corte costituzionale ha annullato il comma 597 perche' «il fine
della  disposizione  in esame non e' quello di dettare una disciplina
generale   in   tema   di  assegnazione  degli  alloggi  di  edilizia
residenziale pubblica, di competenza dello Stato,... bensi' quello di
regolare  le procedure amministrative e organizzative per arrivare ad
una  piu'  rapida  e conveniente cessione degli immobili»: «si tratta
quindi - continuava la Corte - di un intervento normativo dello Stato
nella gestione degli alloggi di proprieta' degli I.A.C.P. (o di altri
enti  o  strutture  sostitutivi  di questi), che esplicitamente viene
motivato  dalla  legge  statale con finalita' di valorizzazione di un
patrimonio  immobiliare  non  appartenente  allo  Stato,  ma  ad enti
strumentali  delle  Regioni».  La  conclusione della Corte e' che «si
profila,  pertanto,  una  ingerenza  nel  terzo livello di normazione
riguardante  l'edilizia residenziale pubblica, sicuramente ricompreso
nella  potesta'  legislativa  residuale  delle  Regioni, ai sensi del
quarto comma dell'art. 117 Cost.».
   Quanto  al  comma  598  (corrispondente,  come detto, all'art. 13,
comma  2), la Corte lo ha dichiarato illegittimo perche' esso «e' una
logica  conseguenza  del  comma  precedente,  giacche'  fissa  alcuni
obiettivi  al  decreto  del  Presidente del Consiglio dei ministri da
emanarsi   successivamente»;  esso  non  pone  «criteri  uniformi  di
assegnazione  degli  alloggi  di  edilizia  residenziale  pubblica in
relazione  alla  soddisfazione  del  diritto  sociale all'abitazione,
ma...   indirizzi   e  limiti»  in  un  «ambito  materiale  riservato
esclusivamente  alle regioni: non vengono in rilevo, infatti, profili
programmatori  o progettuali idonei ad avere un qualsiasi impatto con
il territorio».
   La  Corte  esclude  anche  che  la materia possa essere ricondotta
all'«ordinamento  civile», «poiche' si tratta di criteri destinati ad
incidere  sulle  procedure  amministrative  inerenti  all'alienazione
degli  immobili di proprieta' di enti regionali e non gia' a regolare
rapporti giuridici di natura privatistica».
   La  sentenza  n. 94/2007  conclude  ricordando  che «la competenza
regionale  in materia e' stata gia' riconosciuta dalla giurisprudenza
di  questa Corte (si veda, ad esempio, la sentenza n. 486 del 1995) e
non   v'e'  spazio,  pertanto,  per  una  normativa  statale  che  si
sostituisca  o  si  sovrapponga  a  quella  delle Regioni, tuttora in
vigore».
   L'alienazione    degli    alloggi    deve    essere    considerata
«indissolubilmente connessa con l'assegnazione degli stessi»: dunque,
«se  la  "disciplina  organica  dell'assegnazione  e  cessione  degli
alloggi di edilizia residenziale pubblica [...] costituisce, in linea
di  principio, espressione della competenza spettante alla regione in
questa  materia''  (ordinanza  n. 104  del 2004), la disciplina delle
procedure   amministrative   tendenti   all'alienazione  non  rientra
nell'ordinamento  civile,  ma  deve  essere  ricondotta  al potere di
gestione  dei  propri  beni e del proprio patrimonio, appartenente in
via esclusiva alle Regioni ed ai loro enti strumentali».
   I  passi  appena citati possono essere agevolmente addotti al fine
di  argomentare  l'illegittimita'  dei  commi 1 e 2 dell'art. 13 d.l.
n. 112/2008.  La  somiglianza  di tali norme con i commi 597 e 598 e'
gia'  stata  illustrata, ma e' opportuno sottolineare che la presenza
nel precedente testo di un regolamento governativo (cosi' la Corte ha
qualificato il d.P.C.m. di cui al comma 597) non vale a differenziare
il  comma  597  dall'art.  13,  comma  1:  quel  regolamento  infatti
presupponeva  necessariamente  l'accordo tra Governo e regioni, tanto
e'  vero  che  il  comma  598  fissava  i criteri che dovevano essere
rispettati  dall'accordo  stesso.  Dunque,  era  questo  il vero atto
regolatore  della  materia, mentre il d.P.C.m. aveva solo la funzione
di  recepire  il contenuto dell'accordo e di formalizzarlo in un atto
normativo tipico.
   Pertanto, l'unica differenza fra il comma 597 e l'art. 13, comma 1
(a  parte il coinvolgimento degli enti locali), sta nel fatto che nel
presente  giudizio  non  ha ragione di essere invocato come parametro
l'art.  117,  sesto  comma,  Cost.,  mancando  un  atto regolamentare
statale in materia regionale.
   Quanto  sopra  argomentato  non potrebbe essere contraddetto dalla
circostanza  che  la  disciplina  di  recepimento dei criteri fissati
dall'art.  13,  comma,  2,  avviene  (ai  sensi del comma 1) mediante
«accordi»,  da  stipulare  «in  sede  di  Conferenza  unificata», con
«regioni ed enti locali». Tali accordi, infatti, si porrebbero poi di
necessita'  come improprio condizionamento della potesta' legislativa
regionale,  da  parte  di un organismo e di un atto non legittimati a
produrre tale condizionamento.
   Si noti che il lesivo condizionamento si verificherebbe persino se
si supponesse che gli «accordi» in questione, benche' da stipulare in
sede  di  Conferenza, intercorressero non con la Conferenza ma con la
singola   regione:  dato  che  la  potesta'  legislativa  spetta  per
Costituzione  ad  un  organo  diverso  da  quello  che  concluderebbe
l'accordo  e  non  puo'  essere  vincolata  (come  vorrebbe  la legge
statale)  a  previ  accordi  intercorsi  tra  soggetti  privi di tale
potesta'.
   Ancora   piu'   lesiva  sarebbe  poi  l'ipotesi  -  anch'essa  non
impensabile  sulla base dell'ambiguo testo dell'art. 13, comma 1 - di
un  accordo  stipulato direttamente tra uno o piu' Ministri e singoli
comuni:   dai   quali  risulterebbe  direttamente  lesa  la  potesta'
legislativa spettante alla regione.
   In  definitiva,  l'art. 13, commi 1 e 2, d.l. n. 112/2008, risulta
lesivo  della  competenza  legislativa  regionale in quanto regola la
materia   della  gestione  del  patrimonio  immobiliare  degli  Iacp,
rientrante  nella  potesta'  regionale piena (art. 117, quarto comma,
Cost.).
   Inoltre,  il  fatto  che  lo  Stato  abbia  reiterato - in termini
pressoche' identici - una disciplina annullata a distanza di soli tre
anni  fa  si' che le norme impugnate siano illegittime, oltre che per
violazione   dell'art.   117,  quarto  comma,  anche  per  violazione
dell'art.  136  Cost.,  cioe' del giudicato costituzionale, in quanto
l'art.  13,  commi  1  e  2,  rida' efficacia a norme gia' dichiarate
illegittime dalla Corte costituzionale.
   L'art.  13,  comma  2,  lettera  e)  prevede  la «destinazione dei
proventi  delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad
alleviare  il  disagio  abitativo».  In  questo  modo, il legislatore
statale  pone  un  vincolo  di  destinazione  all'uso  delle  risorse
spettanti  agli enti di gestione dell'edilizia residenziale pubblica,
cioe'  a  enti  para-regionali,  limitando l'autonomia finanziaria di
spesa  garantita  alle  regioni  dall'art. 119, primo comma, Cost. Si
puo'  ricordare  che  la sent. n. 169/2007 ha annullato una norma che
imponeva «una puntuale modalita' di utilizzo di risorse proprie delle
regioni,  cosi'  da  risolversi  in  una  specifica  prescrizione  di
destinazione di dette risorse».
   Di  qui un'ulteriore ragione di illegittimita' dell'art. 13, comma
2,  lettera  c),  che si aggiunge a quelle derivanti dalla violazione
degli artt. 117, quarto comma, e 136 Cost.
   Il  comma  3-bis  e' stato introdotto in sede di conversione e, in
realta',  detta  norme  non  pertinenti  con  il  titolo dell'art. 13
(Misure  per  valorizzare  il patrimonio residenziale pubblico). Esso
stabilisce  che,  «al  fine  di  consentire  alle  giovani  coppie di
accedere  a  finanziamenti  agevolati per sostenere le spese connesse
all'acquisto  della  prima  casa,  a partire dal 1° settembre 2008 e'
istituito,   presso  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  -
Dipartimento  della  gioventu',  un  Fondo  speciale  di garanzia per
l'acquisto  della  prima  casa  da  parte  delle  coppie o dei nuclei
familiari  monogenitoriali con figli minori, con priorita' per quelli
i  cui  componenti  non  risultano  occupati con rapporto di lavoro a
tempo indeterminato». La complessiva dotazione del Fondo «e' pari a 4
milioni  di  euro  per  l'anno 2008 e 10 milioni di euro per ciascuno
degli  anni 2009 e 2010». Il comma 3-bis, poi, rimette ad un «decreto
del   Ministro   della   gioventu',   di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia  e  delle  finanze»,  il  compito  di  disciplinare «le
modalita'  operative  di  funzionamento  del  Fondo  (li cui al primo
periodo».
   Siamo,  dunque, di fronte ad una (purtroppo) «classica» norma che,
incurante del riparto di competenze tra Stato e regioni stabilita dal
Titolo  V della parte seconda della Costituzione, istituisce un fondo
settoriale  in  materia  di  competenza regionale (politiche sociali:
art.  117,  quarto  comma,  Cost.),  prevedendo  un  successivo  atto
ministeriale al fine di dettare la disciplina attuativa.
   Si  puo' presumere, data la mancanza di qualsiasi riferimento alle
regioni,  che  il  fondo  sia  destinato  direttamente ai privati: ma
codesta   Corte   ha   da   tempo   dichiarato  l'illegittimita'  dei
finanziamenti  statali  diretti  ai  privati in materie di competenza
regionale  (si  veda  ad esempio la sentenza n. 320/2004: «il tipo di
ripartizione  delle  materie  fra Stato e regioni di cui all'art. 117
Cost.,  vieta  comunque  che in una materia di competenza legislativa
regionale,  in  linea  generale,  si  prevedano interventi finanziari
statali   seppur   destinati   a   soggetti   privati,  poiche'  cio'
equivarrebbe   a   riconoscere  allo  Stato  potesta'  legislative  e
amministrative  sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle
rispettive  competenze»;  v. anche le sentt. nn. 423/2004, punto 7.6,
424/2004, punto 13, 51/2005, 77/2005, 50/2008).
   Particolarmente  significativa  e' la sentenza n. 137/2007, che ha
deciso  su  una fattispecie analoga a quella in questione, annullando
una   norma  che  prevedeva  «prestazioni  direttamente  fruibili  da
privati,  mediante  una garanzia di ultima istanza, per consentire ai
meno  abbienti - e specificamente ai giovani che non sono in possesso
di  un  contratto di lavoro a tempo indeterminato - di coprire, al di
la'  delle  usuali garanzie ipotecarie, l'intero prezzo dell'immobile
da acquistare». Si veda anche la sentenza n. 118/2006, che ha colpito
un   «fondo  per  il  sostegno  finanziario  all'acquisto  di  unita'
immobiliari da adibire ad abitazione principale in regime di edilizia
convenzionata   da  cooperative  edilizie,  aziende  territoriali  di
edilizia  residenziale  pubbliche  ed imprese private», dichiarandolo
lesivo  «dell'autonomia  finanziaria  e amministrativa delle regioni,
alle  quali  la  quota  parte  del  fondo cosi' istituito, a ciascuna
spettante,   dovra'  essere  assegnata  genericamente  per  finalita'
sociali senza il suindicato vincolo di destinazione specifica».
   Ne'  il  comma  3-bis  potrebbe  essere  giustificato invocando il
principio  di  sussidiarieta'  (non esistendo ragioni unitarie per la
gestione  accentrata  del fondo e per la regolazione delle «modalita'
operative  di  funzionamento»  di  esso) o i livelli essenziali delle
prestazioni,  dato che esso non fissa alcun livello di prestazione ma
si limita a prevedere una spesa e dato che l'acquisto di una casa non
e' necessario per soddisfare il diritto all'abitazione; inoltre, esso
non pone requisiti di reddito per le coppie.
   Di   qui   l'illegittimita'   del   comma   3-bis  per  violazione
dell'autonomia     legislativa,    amministrativa    (in    relazione
all'attivita'  di  erogazione  dei  benefici)  e  finanziaria  di cui
all'art. 117, quarto comma, all'art. 118, commi 1 e 2, e all'art. 119
Cost.,  in  quanto istituisce un fondo settoriale nella materia delle
politiche  sociali  a  gestione centralizzata invece di attribuire le
corrispondenti  risorse  alle  regioni  e  di  lasciare  a  queste le
conseguenti  scelte  in  materia di regolazione degli interventi e di
allocazione delle funzioni amministrative.
   Si chiede, dunque, che codesta Corte dichiari l'illegittimita' del
comma  3-bis  precisando  che le risorse vanno assegnate alle regioni
per  generiche finalita' sociali (v., ad es., le sentt. n. 168/2008 e
n. 118/2006).
   In    subordine,    si   chiede   che   codesta   Corte   dichiari
l'illegittimita'  del  comma  3-bis  (per violazione del principio di
leale  collaborazione) nella parte in cui non prevede l'intesa con la
Conferenza  Stato-regioni  sul  decreto  previsto dall'ultimo periodo
della disposizione.
   Il comma 3-quater dispone che «presso il Ministero dell'economia e
delle  finanze e' istituito il Fondo per la tutela dell'ambiente e la
promozione dello sviluppo del territorio». La dotazione di tale fondo
«e'  stabilita  in  60 milioni di euro per l'anno 2009, 30 milioni di
euro  per l'anno 2010 e 30 milioni di euro per l'anno 2011». A valere
sulle  risorse  del  fondo  «sono  concessi  contributi  statali  per
interventi realizzati dagli enti destinatari nei rispettivi territori
per  il  risanamento  e  il  recupero  dell'ambiente  e  lo  sviluppo
economico  dei  territori  stessi». La norma stabilisce poi che «alla
ripartizione   delle   risorse   e   all'individuazione   degli  enti
beneficiari  si  provvede  con  decreto  del Ministro dell'economia e
delle  finanze  in  coerenza  con  apposito  atto  di indirizzo delle
Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari».
   Il  fondo  sembra  destinato  agli enti territoriali e, dunque, la
norma  contemplerebbe  un  fondo settoriale a destinazione vincolata.
Almeno  in  parte,  le  materie  coinvolte rientrano nella competenza
regionale  piena,  dato  che  lo  «sviluppo  economico dei territori»
riguarda  l'industria, il commercio, l'artigianato, l'agricoltura, il
turismo  ecc.,  tutte materie rientranti nell'art. 117, quarto comma,
Cost.
   Data  l'incidenza  del  fondo sulle competenze regionali, il comma
3-quater   si   pone   in   contrasto   con  il  principio  di  leale
collaborazione,  nella  parte  in  cui  non  prevede un'intesa con la
Conferenza  Stato-regioni  sul  decreto  di cui al quarto periodo del
comma   per  ragioni  corrispondenti  a  quelle  sopra  enunciate  in
relazione  alle  disposizioni di cui agli articoli 7 comma 2, 8 comma
3, 9 comma 3 e 10.
11) Illegittimita' dell'art. 23, comma 2.
   Come sopra esposto l'art. 23, d.l. n. 112/2008 reca Modifiche alla
disciplina del contratto di apprendistato.
   Esso,  in  particolare,  al  comma  2,  inserisce  il  comma 5-ter
nell'art. 49 d. lgs. n. 276/2003. In base alla nuova disposizione, in
caso  di  formazione  esclusivamente  aziendale,  «non  opera  quanto
previsto  dal  comma  5»;  in  questa  ipotesi,  invece,  «i  profili
formativi   dell'apprendistato   professionalizzante   sono   rimessi
integralmente  ai  contratti collettivi di lavoro stipulati a livello
nazionale,  territoriale  o  aziendale.  ovvero agli enti bilaterali»
(cioe',  a  quegli  organismi  previsti  dai  contratti  collettivi e
composti  da  esponenti delle associazioni dei datori di lavoro e dei
sindacati),  che  «definiscono  la  nozione di formazione aziendale e
determinano,  per ciascun profilo formativo, la durata e le modalita'
di  erogazione della formazione, le modalita' di riconoscimento della
qualifica  professionale  ai fini contrattuali e la registrazione nel
libretto formativo».
   Il  comma  5  dell'art.  49  -  chiamato  ora  a  «non  operare» -
stabilisce   che   «la   regolamentazione   dei   profili   formativi
dell'apprendistato professionalizzante e' rimessa alle regioni e alle
province  autonome  di Trento e Bolzano, d'intesa con le associazioni
dei   datori   e   prestatori   di   lavoro   comparativamente   piu'
rappresentative  sul  piano  regionale  e  nel  rispetto dei seguenti
criteri  e  principi  direttivi»,  che  riguardano  sia la formazione
interna  che  quella  esterna  alla  azienda  (v.  la lettera a) e la
lettera c).
   In  questo  modo,  l'art.  23,  comma  2,  sottrae  una competenza
normativa  gia' riconosciuta alle regioni e la attribuisce alla fonte
contrattuale,    destinata    a    regolare   i   profili   formativi
dell'apprendistato   professionalizzante  in  relazione  a  tutte  le
imprese  e a tutti gli apprendisti: ivi compresi, si noti, quelli non
iscritti ad alcun sindacato.
   A  prescindere  da valutazioni sull'opportunita' di una disciplina
del  genere  (nei  settori dove il c.c.l. e' solo nazionale - come il
commercio - i profili formativi saranno rimessi agli enti bilaterali,
che  si  trovano  in  grossa  difficolta'  per  adempiere  il compito
affidato   dall'art.   23),   tale  circostanza  (cioe',  l'efficacia
normativa  del  c.c.l.)  determina  un problema di compatibilita' con
l'art.  39  cost.  che,  come  noto, ammette l'efficacia generale del
c.c.l.  solo  se il sindacato e' registrato e, quindi, non l'ammette,
data l'inattuazione dell'art. 39.
   Naturalmente,  la  questione  si  e'  gia'  posta (non essendo una
novita'  che il legislatore rinvii ai c.c.l. per l'integrazione della
propria   disciplina)   e,  in  passato,  la  Corte  ha  sottolineato
l'illegittimita'  di  leggi  del genere (v. la sent. n. 106/1962 e la
sent.  n. 344/1996),  e  le ha giustificate solo «quando si tratta di
materie  del rapporto di lavoro che esigono uniformita' di disciplina
in  funzione  di  interessi  generali connessi al mercato del lavoro,
come  il lavoro a tempo parziale..., i contratti di solidarieta'., la
definizione   di  nuove  ipotesi  di  assunzione  a  termine»  (sent.
344/1996).
   Poiche' i profili formativi dell'apprendistato professionalizzante
di  certo  non  rappresentano  una  materia  che esige una disciplina
uniforme  per  gli  interessi  del  mercato del lavoro, la «delega di
funzioni  paralegislative»  (per  usare  un'espressione  della  sent.
n. 344/1996)  ai contratti collettivi - operata dall'art. 23, comma 2
-  costituisce una palese violazione dell'art. 39 cost. e trasforma i
contratti  stessi (o gli accordi conclusi in sede di ente bilaterale)
in una fonte extra-ordinem.
   Poiche'  attraverso  questa  violazione si produce una menomazione
delle  competenze regionali (dato che la regione viene privata di una
potesta'   normativa   che  prima  aveva,  anche  in  relazione  alla
formazione  aziendale,  come  risulta  dall'art. 49, comma 5, d. lgs.
n. 276/2003)  e  poiche' si verte in materia di competenza regionale,
esistono  tutti  gli  elementi della lesione di competenza indiretta,
nel  senso  che  la  violazione dell'art. 117, quarto comma, cost. si
determina  attraverso  la violazione dell'art. 39 cost. (si tratta di
una  connessione  che  codesta ecc.ma Corte ha in molti casi ammesso,
ammettendo  le  relative censure: v., ad es., le sentt. nn. 503/2000,
206/2001,  punti 15, 16 e 34, 110/2001, 303/2003, punto 35, 280/2004,
355/1993).  Di  qui  la  legittimazione  regionale  a  far  valere la
violazione  dell'art.  39  e,  tramite questa, della propria potesta'
legislativa  in  materia di formazione professionale. Del resto, gia'
in  un'occasione  codesta Corte ha mostrato di non escludere a priori
il  riferimento  all'art.  39 cost. in un ricorso regionale (v. sent.
n. 219/1984).
   Fra  l'altro,  l'assegnazione alla contrattazione collettiva della
funzione  di  fonte esclusiva, in luogo di quella regionale, viola il
principio  di  certezza  del  diritto perche' si istituisce una fonte
extra-ordinem  i  cui  rapporti con le previgenti leggi regionali non
sono  chiari;  anche tale violazione si riflette in una lesione della
competenza  regionale dato che incide sull'applicabilita' delle leggi
regionali.
   Inoltre,  come  noto,  la  formazione  professionale rientra nella
competenza  regionale  piena,  come risulta dall'espressa clausola di
esclusione  di  cui  all'art.  117, terzo comma, cost. Pur se codesta
Corte  ha  ritenuto  che  la  formazione  aziendale non rientri nella
competenza  regionale ma nel sinallagma contrattuale e, quindi, nelle
competenze  dello  Stato  in  materia  di  ordinamento  civile (sent.
n. 50/2005), tuttavia «le modalita' di riconoscimento della qualifica
professionale  ai fini contrattuali» e «la registrazione nel libretto
formativo»   (menzionate   nell'ultimo   periodo  della  disposizione
impugnata)   non   attengono   propriamente  allo  svolgimento  della
formazione  aziendale (cioe', alla prestazione spettante al datore di
lavoro)  ma  a profili diversi, rientranti nella competenza regionale
in  materia  di  formazione (art. 117, quarto comma) e di professioni
(art.  117, terzo comma, Cost.). Dunque, in relazione a tali profili,
l'eliminazione   della  competenza  regionale  risulta  lesiva  delle
prerogative costituzionali della regione.
   E'  dunque  illegittima, almeno per questi profili, la sottrazione
della  materia  alla  disciplina  generale di cui al comma 5 che, fra
l'altro, gia' si occupa del «"riconoscimento sulla base dei risultati
conseguiti  all'interno del percorso di formazione, esterna e interna
alla impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali».
   In relazione a tali profili, in ogni modo, se anche non si volesse
riconoscere   una   competenza   regionale   piena,  sembra  evidente
l'esigenza   di   un   coordinamento   con   la  disciplina  generale
dell'apprendistato,  e  dunque  la  necessita'  di un raccordo con le
Regioni, che la norma impugnata completamente pretermette.
12)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  23-bis,  commi  7, 10
nonche' 10 lettera b).
   a) Illegittimita' costituzionale dell'art. 23-bis, comma 7.
   L'art.  23-bis  e'  dedicato  alla disciplina dei Servizi pubblici
locali  di  rilevanza  economica.  Conviene  ricordare  che i servizi
pubblici, in quanto tali, non ricadono in alcuna potesta' legislativa
statale,  ma  che  lo  Stato  puo'  intervenire in essa, come codesta
ecc.ma  Corte  costituzionale ha stabilito con la sentenza n. 272 del
2004  a  titolo  di tutela della concorrenza, ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, lettera e) della Costituzione, e che pertanto non sono
censurabili tutte quelle norme «che garantiscono, in forme adeguate e
proporzionate,  la  piu' ampia liberta' di concorrenza nell'ambito di
rapporti  -  come  quelli  relativi  al  regime  delle  gare  o delle
modalita'  di  gestione  e  conferimento dei servizi - i quali per la
loro diretta incidenza sul mercato appaiono piu' meritevoli di essere
preservati da pratiche anticoncorrenziali» (punto 3 in diritto).
   La presente impugnazione non intende mettere in discussione questo
principio.
   Il  comma  7  dell'art.  23-bis dispone che «le regioni e gli enti
locali,  nell'ambito  delle  rispettive  competenze e d'intesa con la
Conferenza  unificata  di  cui  all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto  1997,  n. 281,  e successive modificazioni, possono definire,
nel  rispetto  delle  normative  settoriali,  i  bacini di gara per i
diversi  servizi,  in  maniera  da  consentire  lo sfruttamento delle
economie  di  scala  e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed
efficacia  nell'espletamento  dei  servizi, nonche' l'integrazione di
servizi  a  domanda  debole  nel  quadro  di  servizi piu' redditizi,
garantendo  il  raggiungimento  della  dimensione minima efficiente a
livello  di  impianto  per piu' soggetti gestori e la copertura degli
obblighi di servizio universale».
   Tale  disposizione,  sotto  una apparenza meramente facoltizzante,
vincola  in  realta'  le  regioni  e  gli  enti locali ad assumere le
proprie  decisioni  relative  ai  bacini  di gara (che diverranno poi
bacini di esercizio dei servizi pubblici) «d'intesa con la Conferenza
unificata»,  in  violazione  dell'art.  117,  quarto  comma,  nonche'
dell'art. 118, primo e secondo comma della Costituzione.
   Da una parte, infatti, la disciplina della dimensione di esercizio
dei   servizi  pubblici  rientra  nella  potesta'  legislativa  della
regione,  dall'altra  il  condizionare l'esercizio di tale potesta' e
delle  scelte  amministrative  che essa esprime viola sia la potesta'
legislativa  in  se'  considerata  -  a prescindere dal suo carattere
concorrente   o  pieno,  sia  il  principio  di  sussidiarieta',  non
potendosi vedere alcuna ragione di centralizzazione di tali scelte.
   Si  noti  che la lesione non viene meno per il fatto che si tratti
dell'intesa  con un organismo espressivo delle autonomie: sia perche'
in  realta' l'intesa con la Conferenza richiede necessariamente anche
l'intesa  con  lo  Stato  (parte  esso  stesso della Conferenza), sia
perche'  si  tratterebbe  in  ogni  caso  di un condizionamento delle
scelte  della  Regione  da parte di altre regioni ed enti locali, che
non  hanno  alcun  potere da esercitare in relazione al territorio di
una specifica regione.
   b) Illegittimita' costituzionale dell'art. 23-bis, comma 10.
   Il  comma  10 dell'art. 23-bis dispone che il Governo, su proposta
del  Ministro  per  i  rapporti con le regioni «sentita la Conferenza
unificata  di  cui  all'art.  8 del d. lgs. 28 agosto 1997, n. 281, e
successive   modificazioni,   nonche'   le   competenti   Commissioni
parlamentari,  emana  uno  o piu' regolamenti, ai sensi dell'art. 17,
comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400», al fine di disciplinare
una pluralita' di oggetti.
   La   previsione   di  una  disciplina  regolamentare  puo'  essere
giustificata,   secondo  l'art.  117,  comma  sesto,  ed  i  principi
enunciati  dalla  giurisprudenza costituzionale, in quanto essa abbia
ad oggetto materie rientranti nella competenza esclusiva dello Stato.
   Tuttavia,  la  materia  che  forma  oggetto di tali regolamenti ai
sensi  del  comma  10, nelle diverse lettere da a) ad l), presenta un
inestricabile   intreccio   con   le   materie  oggetto  di  potesta'
concorrente (come il coordinamento della finanza pubblica, fondamento
della  lettera  a)  o  esclusiva  delle  regioni (come nel caso della
gestione associata dei servizi locali, oggetto della lettera c).
   In  tale  situazione,  il  solo modo di contemperare le competenze
rispettive  dello  Stato  e  delle regioni consiste nel sottoporre il
regolamento   all'intesa   della  Conferenza  Stato-regioni  o  della
Conferenza  unificata,  in  luogo  del semplice parere previsto dalla
disposizione impugnata.
   Diversamente,   non   potrebbe   evitarsi   l'affermazione   della
illegittimita' costituzionale dell'uso dello strumento regolamentare,
in violazione dell'art. 117, comma sesto, per tutti gli oggetti che -
come  quelli sopra indicati - non rientrano nelle materie di potesta'
legislativa esclusiva dello Stato.
   c) Specifica illegittimita' costituzionale dell'art. 23-bis, comma
10, lettera b).
   Tra  le  materie che dovrebbero formare oggetto del regolamento di
cui  al  comma 10, la lettera b) include il «prevedere, in attuazione
dei principi di proporzionalita' e di adeguatezza di cui all'art. 118
della  Costituzione, che i comuni con un limitato numero di residenti
possano  svolgere  le  funzioni  relative  alla  gestione dei servizi
pubblici locali in forma associata».
   Sembra  evidente che tale oggetto e' del tutto estraneo ai profili
di  tutela  della  concorrenza, e che non esiste in relazione ad esso
alcun titolo di competenza normativa statale.
   Benche'   il   criterio   espresso   dalla  legge  sia  del  tutto
ragionevole,  e'  invece  illegittima  la  previsione  che vi sia una
disciplina   con  regolamento  statale,  spettando  la  materia  alla
competenza legislativa residuale delle regioni.
13) Illegittimita' costituzionale dell'art. 30, commi 1, 2 e 3.
   L'art.  30  (Semplificazione dei controlli amministrativi a carico
delle  imprese  soggette  a certificazione) stabilisce al comma 1 che
«per  le  imprese  soggette a certificazione ambientale o di qualita'
rilasciata  da un soggetto certificatore accreditato in conformita' a
norme  tecniche  europee  ed  internazionali,  i  controlli periodici
svolti   dagli   enti   certificatori   sostituiscono   i   controlli
amministrativi  o  le ulteriori attivita' amministrative di verifica,
anche   ai   fini   dell'eventuale   rinnovo  o  aggiornamento  delle
autorizzazioni  per  l'esercizio dell'attivita'», e che «le verifiche
dei  competenti  organi  amministrativi  hanno  ad oggetto, in questo
caso,    esclusivamente   l'attualita'   e   la   completezza   della
certificazione»,  con  il  solo limite del «rispetto della disciplina
comunitaria».
   Il  comma  2  contiene  una «declaratoria» che vorrebbe fondare la
competenza statale, affermando che «la disposizione di cui al comma 1
e' espressione di un principio generale di sussidiarieta' orizzontale
ed  attiene  ai  livelli  essenziali  delle prestazioni concernenti i
diritti  civili  e  sociali  che  devono essere garantiti su tutto il
territorio  nazionale  ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera
m), della Costituzione».
   Tuttavia,  si precisa che «resta ferma la potesta' delle regioni e
degli  enti  locali,  nell'ambito  delle  rispettive  competenze,  di
garantire livelli ulteriori di tutela».
   Il  comma  3  prevede  che  «con regolamento, da emanarsi ai sensi
dell'art.  17,  comma  2,  della  legge 23 agosto 1988, n. 400, entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto,
previo  parere  della  Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sono
individuati  le  tipologie dei controlli e gli ambiti nei quali trova
applicazione  la  disposizione  di cui al comma 1, con l'obiettivo di
evitare  duplicazioni  e  sovrapposizioni  di  controlli,  nonche' le
modalita'  necessarie  per  la compiuta attuazione della disposizione
medesima».  Il comma 4 dispone che «le prescrizioni di cui ai commi 1
e  2  entrano in vigore all'atto di emanazione del regolamento di cui
al comma 3».
   Le  disposizioni in questione riguardano le imprese certificate in
generale,   quindi,   le   materie   del  commercio,  dell'industria,
dell'agricoltura   e  le  altre  di  interesse  economico,  tutte  di
competenza  regionale.  Del  resto,  che  le disposizioni incidano su
materie regionali e' esplicito nella stessa disposizione del comma 2,
che giustifica la competenza statale mediante il richiamo ai «livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali»:
i quali, appunto, incidono normalmente nelle materie regionali.
   E' palese pero', ad avviso della ricorrente regione, che si tratta
di una giustificazione fallace: non si vede infatti alcun riferimento
ad  alcuna  «prestazione»: e sia consentito ricordare che, «come piu'
volte  ormai questa Corte ha affermato, tale titolo di legittimazione
legislativa non puo' essere invocato se non in relazione a specifiche
prestazioni  delle  quali  la  normativa statale definisca il livello
essenziale  di  erogazione»  (sentenza  n. 285  del  2005, punto 3 in
diritto).
   Tuttavia,  quanto al comma 1, la regione non contesta il principio
base  dello  svolgimento  dei controlli amministrativi da parte degli
enti certificatori. Contesta invece la seguente limitazione in virtu'
della  quale «le verifiche dei competenti organi amministrativi hanno
ad   oggetto,  in  questo  caso,  esclusivamente  l'attualita'  e  la
completezza della certificazione».
   Siffatta    limitazione   viola   la   potesta'   legislativa   ed
amministrativa  della regione, espropriandola della funzione pubblica
ad  essa attribuita dalla Costituzione: non puo' infatti che spettare
alla regione, nella specifica situazione, di valutare in quali casi e
per  quali ragioni l'autorita' pubblica deve intervenire per valutare
la   legittimita'  e  l'appropriatezza  del  modo  in  cui  gli  enti
certificatori  svolgono  le  funzioni  di  interesse pubblico ad essi
affidate.
   Come  si  deduce  dallo  stesso  art.  118,  quarto  comma,  della
Costituzione,  in  relazione al primo comma dello stesso articolo, il
principio  di  sussidiarieta'  orizzontale consente l'assegnazione di
funzioni  di  interesse  generale a soggetti privati, ma non consente
che  la  responsabilita' ultima della funzione amministrativa e della
cura  degli  interessi pubblici sia sottratta agli enti responsabili,
costitutivi della Repubblica (art. 114 Cost.).
   La  censura  cosi'  formulata  potrebbe  venire  meno  solo ove si
intendesse  che la disposizione del secondo comma, in base alla quale
«resta   ferma  la  potesta'  delle  regioni  e  degli  enti  locali,
nell'ambito   delle   rispettive  competenze,  di  garantire  livelli
ulteriori  di  tutela»  -  di  per  se' oscura nel contesto in cui e'
posta--  dovesse  essere  intesa  come  facolta'  per  le  Regioni di
graduare  con  propria legge la responsabilita' delle amministrazioni
in  relazione  all'attivita'  degli  enti certificatori, prevedendo i
rispettivi compiti e i relativi controlli.
   Trattandosi  di  disciplina  di  materie regionali, attinenti alla
attivita'  delle imprese, risulta radicalmente illegittima la pretesa
di affidare la disciplina della materia ad un regolamento statale, in
violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione. Gia' si e'
infatti  argomentato  come la competenza statale non possa affermarsi
in relazione ad una presunta disciplina dei livelli delle prestazioni
sociali:  e  la  materia  affidata  al  regolamento (le tipologie dei
controlli  e  gli ambiti nei quali trova applicazione la disposizione
di  cui al comma 1) conferma che non si tratta di prestazione alcuna,
ma della disciplina stessa delle attivita' e dei relativi controlli.
   Oltre  che  illegittima  per  invasione  di  materie regionali, la
disposizione  che  prevede  la  disciplina  regolamentare e' altresi'
illegittima  per  violazione  del principio di legalita' sostanziale.
Premesso  che  le regioni possono far valere tale violazione dato che
il  principio  di legalita' «costituisce un aspetto della loro stessa
posizione  che  queste ultime sono abilitate a difendere nel giudizio
costituzionale»  (v.  le  sentt.  nn.  425/2004, 425/1999, 355/1992 e
150/1982),  si  deve  rilevare  che  il  comma  3  opera  una  totale
delegificazione, senza stabilire regola alcuna della materia, e senza
individuare  neppure  l'ambito  nel  quale  il  regolamento  dovrebbe
intervenire,  ne' quali norme legislative in quali settori dovrebbero
essere   abrogate   a   seguito   dell'emanazione   del  regolamento.
Addirittura,  spetterebbe al regolamento di individuare gli ambiti in
cui  il  vago  principio  di  cui  al  comma  1 si applica: mentre al
contrario  spetta  alla  legge  di definire gli ambiti e le regole di
base,  al regolamento (nelle materie in cui puo' intervenire, e ferma
la  censura  di  invasione delle materie regionali) il solo potere di
disciplinare all'interno di quegli ambiti.
   In  estremo  subordine,  nella  denegata  ipotesi  che  si dovesse
ritenere  legittimo  il  conferimento  di  potere  regolamentare allo
Stato,   nei  termini  in  cui  e'  disposto,  risulterebbe  comunque
illegittima  la  previsione  del  semplice  parere  della  Conferenza
Stato-regioni, anziche' dell'intesa sul regolamento attuativo.
   Sembra infatti evidente che la compressione dei poteri legislativi
regionali  che  l'attrazione al centro della disciplina dei controlli
sulle  imprese  comporta  -  se  pure fosse giustificata in forza del
principio  di  sussidiarieta'  -  dovrebbe necessariamente trovare la
«compensazione»  della  necessaria  intesa  con le regioni, secondo i
principi stabiliti sin dalla sentenza n. 303 del 2003.
14) Illegittimita' costituzionale dell'art. 35, comma 1.
   Nel   capo   VIL,   Semplificazioni,   e'   collocato  l'art.  35,
Semplificazione  della  disciplina per l'installazione degli impianti
all'interno degli edifici.
   Il  comma 1  stabilisce che «entro il 31 dicembre 2008 il Ministro
dello  sviluppo  economico,  di  concerto  con  il  Ministro  per  la
semplificazione  normativa,  emana  uno  o  piu'  decreti,  ai  sensi
dell'art.   17   della   legge   23  agosto  1988,  n. 400,  volti  a
disciplinare:  a)  il  complesso  delle  disposizioni  in  materia di
attivita'  di  installazione degli impianti all'interno degli edifici
prevedendo  semplificazioni  di  adempimenti  per  i  proprietari  di
abitazioni  ad  uso privato e per le imprese; b) la definizione di un
reale  sistema  di  verifiche  di impianti di cui alla lettera a) con
l'obiettivo  primario  di  tutelare  gli  utilizzatori degli impianti
garantendo  una effettiva sicurezza; c) la revisione della disciplina
sanzionatoria  in  caso  di  violazioni  di  obblighi  stabiliti  dai
provvedimenti previsti alle lettere a) e b)».
   La  disposizione si applica a tutti gli impianti posti all'interno
degli edifici: impianti elettrici, radiotelevisivi, di riscaldamento,
ecc.  Esso  prevede una normativa generale che si estende a tutti gli
aspetti     di     progettazione,    realizzazione,    installazione,
certificazione di conformita' e manutenzione degli impianti stessi.
   A   parte   le   imprecisioni   linguistiche   (il   decreto  deve
«disciplinare.  le  disposizioni»),  il  comma 1 dell'art. 35 risulta
lesivo   delle  competenze  regionali:  infatti,  la  lettera  a)  e'
riconducibile  all'edilizia  ("governo del territorio") e la lett. b)
alla tutela della salute.
   Ne' a sostegno di una competenza statale esclusiva potrebbe essere
invocato  il comma 2, lettera m), dell'art. 117 Cost., perche' l'art.
35, comma 1, si limita a prevedere alle lettere a) e b) la disciplina
delle attivita' di installazione e dei sistemi di verifica, ma non si
occupa  affatto dei requisiti di sicurezza degli impianti (e, dunque,
neppure dei requisiti minimi di sicurezza).
   Quanto  alla lett. c), essa accede alla materia cui afferiscono le
altre due norme (v., da ultimo, sent. n. 240/2007).
   Il   comma   1   prevede,   in   sostanza,   una   delegificazione
«clandestina»,  fatta con d.m. invece che con regolamento governativo
e  con  «norme  generali» assai vaghe e decisamente insufficienti. Di
illegittimita', per violazione del principio di legalita' sostanziale
(che  le  regioni  possono  far  valere  dato  che «tale principio...
costituisce  un aspetto della loro stessa posizione che queste ultime
sono abilitate a difendere nel giudizio costituzionale»: v. le sentt.
nn. 425/2004, 425/1999, 355/1992 e 150/1982).
   Esso,  inoltre,  risulta lesivo delle competenze regionali perche'
prevede un regolamento ministeriale in materie regionali (governo del
territorio   e  tutela  della  salute),  con  conseguente  violazione
dell'art. 117, commi terzo e sesto, cost. Le disposizioni di cui alle
lettere  a),  b)  e c) dovrebbero essere dettate con legge regionale,
nel  rispetto  dei  principi  statali  e  degli  standard  minimi  di
sicurezza.
   In   estremo  subordine,  la  disposizione  risulterebbe  comunque
illegittima per difetto di qualunque coinvolgimento delle regioni, ed
in   particolare   per   difetto   dell'intesa   con   la  Conferenza
Stato-regioni, in violazione del principio di leale collaborazione.
15) Illegittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 3.
   L'art.  38,  Impresa  in  un  giorno,  statuisce  che, «al fine di
garantire  il  diritto  di  iniziativa economica privata., l'avvio di
attivita'  imprenditoriale, per il soggetto in possesso dei requisiti
di  legge, e' tutelato sin dalla presentazione della dichiarazione di
inizio  attivita' o dalla richiesta del titolo autorizzatorio» (comma
1).
   Il  comma  2  contiene  una «declaratoria» rivolta a ricondurre la
disciplina  dell'art.  38  a  materie di competenza esclusiva statale
(«livelli essenziali» e tutela della concorrenza).
   Cio'   fatto,   il   comma   3  dispone  che  con  regolamento  di
delegificazione,  adottato  su  proposta  del Ministro dello sviluppo
economico e del Ministro per la semplificazione normativa, sentita la
Conferenza  unificata, «si procede alla semplificazione e al riordino
della disciplina dello sportello unico per le attivita' produttive di
cui  al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica
20 ottobre 1998, n. 447», in base ai criteri di seguito indicati.
   Nonostante  l'«autoqualificazione»  di  cui al comma 2, il comma 3
incide  su  materie  di  competenza regionale piena (quelle attinenti
alle   attivita'   produttive:   industria,  commercio,  agricoltura,
artigianato,   turismo  ecc.:  art.  117,  quarto  comma,  Cost.)  e,
pertanto,  esso  risulta illegittimo, per violazione del principio di
leale collaborazione, nella parte in cui prevede il mero parere della
Conferenza  unificata anziche' l'intesa, per ragioni corrispondenti a
quelle  fatte  valere in relazione agli articoli 7, comma 2, 8, comma
3, 9, comma 3, 10 e 13, comma 3-quater.
   Comunque,  se  anche  si  dovesse ritenere che il comma 3 riguardi
materie   di   competenza   statale  esclusiva,  sarebbe  pur  sempre
innegabile  l'interferenza  con le materie regionali sopra menzionate
e,  dunque,  sarebbe pur sempre necessaria la previsione dell'intesa,
secondo  il  principio  stabilito  dalla  sentenza  di  codesta Corte
n. 31/2005,  che ha dichiarato illegittima la previsione di un parere
anziche'  dell'intesa  anche  se la norma rientrava in una materia di
competenza esclusiva statale).
16) Illegittimita' dell'art. 43, comma 1.
   L'art.  43,  Semplificazione  degli  strumenti di attrazione degli
investimenti  e  di sviluppo d'impresa, stabilisce che, «per favorire
l'attrazione  degli  investimenti  e  la realizzazione di progetti di
sviluppo  di  impresa  rilevanti per il rafforzamento della struttura
produttiva  del  Paese,  con  particolare  riferimento  alle aree del
Mezzogiorno,  con  decreto  di  natura non regolamentare del Ministro
dello  sviluppo  economico, sono stabiliti i criteri, le condizioni e
le  modalita'  per  la  concessione  di  agevolazioni  finanziarie  a
sostegno  degli  investimenti  privati  e  per  la  realizzazione  di
interventi  ad  essi  complementari  e  funzionali».  Il decreto deve
essere  adottato  «di  concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze,  con  il  Ministro  delle  politiche  agricole  alimentari e
forestali,  per quanto riguarda le attivita' della filiera agricola e
della  pesca e acquacoltura, e con il Ministro per la semplificazione
normativa», sentita la Conferenza Stato-regioni.
   La  disposizione riguarda le imprese in generale e, dunque, incide
su  materie  di  competenza  regionale  piena  (quelle attinenti alle
attivita' produttive: industria, commercio, agricoltura, artigianato,
turismo ecc.: art. 117, quarto comma, Cost.). Essa, pertanto, risulta
illegittima,  per  violazione  del principio di leale collaborazione,
nella   parte   in  cui  prevede  il  mero  parere  della  Conferenza
Stato-regioni  anziche'  l'intesa,  in  base alla nota giurisprudenza
costituzionale  sulla «chiamata in sussidiarieta'». Si puo' ricordare
che  la sent. n. 63/2008 ha introdotto l'intesa con la Conferenza per
il  fondo  statale  per aiutare imprese in difficolta', cosi' come la
sent.  n. 242/2005  ha  introdotto  un'intesa  per  il Fondo rotativo
nazionale  alla  crescita  e  allo  sviluppo'  del tessuto produttivo
nazionale.
   Si  richiamano  altresi' le ragioni fatte valere in relazione agli
articoli  7, comma 2, 8, comma 3, 9, comma 3, 10, 13 comma 3-quater e
38, comma 3.
17) Illegittimita' costituzionale dell'art. 58, commi 1 e 2.
   L'art.   58  prevede  da  parte  di  regioni  ed  enti  locali  la
predisposizione  di  un  «piano  della  alienazioni  e valorizzazioni
immobiliari»,  che  deve essere presentato in relazione agli immobili
non  strumentali  all'esercizio  delle  funzioni  istituzionali degli
enti.
   Precisamente,  il  comma 1 dispone che «per procedere al riordino,
gestione  e  valorizzazione  del  patrimonio  immobiliare di regioni,
province,  comuni  e  altri  enti  locali,  ciascun ente con delibera
dell'organo  di  Governo  individua, redigendo apposito elenco, sulla
base  e  nei  limiti  della  documentazione esistente presso i propri
archivi e uffici, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di
competenza,  non  strumentali  all'esercizio  delle  proprie funzioni
istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione»,
e   che   «viene   cosi'   redatto   il  piano  delle  alienazioni  e
valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione».
   Il  comma  secondo  dispone  che «l'inserimento degli immobili nel
piano  ne  determina  la  conseguente classificazione come patrimonio
disponibile  e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica»;
che  «la  deliberazione  del  consiglio  comunale di approvazione del
piano  delle  alienazioni  e valorizzazioni costituisce variante allo
strumento  urbanistico  generale»;  che  «tale  variante,  in  quanto
relativa   a   singoli   immobili,  non  necessita  di  verifiche  di
conformita'  agli  eventuali  atti di pianificazione sovraordinata di
competenza  delle  province  e  delle regioni» ma che «la verifica di
conformita'  ecomunque  richiesta  e  deve essere effettuata entro il
termine  perentorio  di trenta giorni dalla data di ricevimento della
richiesta,  nei casi di varianti relative a terreni classificati come
agricoli  dallo  strumento  urbanistico  generale vigente, ovvero nei
casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10 per cento
dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico vigente».
   La  ricorrente regione ritiene che la disciplina cosi' dettata sia
di  competenza statale per i soli profili civilistici evidenziati dal
comma 3 e seguenti.
   Oltre  tali  profili,  la  disciplina  dettata  e' ad avviso della
ricorrente Regione costituzionalmente illegittima.
   Illegittima  e'  in primo luogo la precisazione nel comma 1 che il
piano  debba  essere  approvato  «dall'organo  di  Governo», anziche'
dall'organo  competente  in base alle regole organizzative dell'ente,
ed  in  particolare  in  base allo Statuto o alle leggi regionali che
dispongano o vengano a disporre in materia.
   A sua volta, il comma 2 risulta illegittimo laddove stabilisce che
«la  deliberazione  del  consiglio comunale di approvazione del piano
delle   alienazioni   e   valorizzazioni  costituisce  variante  allo
strumento  urbanistico generale». Tale previsione, infatti, trascende
i  limiti  delle potesta' normative statali concorrenti in materia di
coordinamento  della  finanza  pubblica  e di governo del territorio:
poiche'  si tratta con evidenza di disposizioni di dettaglio e non di
principio.
   La  situazione infatti e' analoga a quella decisa da codesta Corte
costituzionale  con  la  sentenza  n. 401/2007.  In tale occasione la
Corte   ha   ritenuto   che   «la  norma  impugnata,  stabilendo  che
"l'approvazione  dei  progetti  definitivi  da  parte  del  consiglio
comunale  costituisce  variante  urbanistica a tutti gli effetti''...
afferisce,  avendo riguardo al suo peculiare oggetto, prevalentemente
all'ambito   materiale  del  governo  del  territorio  di  competenza
ripartita Stato-regioni» e che «da questa qualificazione discende che
lo  Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali in
tali  materie,  spettando  alle  Regioni  il  potere  di  emanare  la
normativa di dettaglio, secondo quanto stabilito dall'art. 117, terzo
comma,  ultimo  periodo, della Costituzione». Di conseguenza, secondo
la  Corte, «ne deriva la illegittimita' costituzionale della norma in
esame,  in  quanto  essa,  per il, suo contenuto precettivo del tutto
puntuale,  non  lascia  alcuno  spazio  di  intervento alle regioni».
Infatti  «l'affermazione,  infatti,  secondo  cui "l'approvazione dei
progetti  definitivi  costituisce  variante  urbanistica  a tutti gli
effetti''  non  e'  passibile  di  ulteriore svolgimento da parte del
legislatore regionale con conseguente compromissione delle competenze
che  alle  regioni  spettano  in  materia  di urbanistica e quindi di
assetto del territorio».
   Di qui, la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.
   Ugualmente  illegittima  -  per il suo carattere dettagliato nella
materia  urbanistica,  e  per  violazione  dei  poteri  e  doveri  di
controllo  spettanti  alle  regioni,  e'  la  norma secondo cui «tale
variante,  in  quanto  relativa  a singoli immobili, non necessita di
verifiche  di  conformita'  agli  eventuali  atti  di  pianificazione
sovraordinata  di  competenza  delle province e delle regioni» ma che
«la  verifica  di  conformita'  e'  comunque  richiesta e deve essere
effettuata entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di
ricevimento  della richiesta, nei casi di varianti relative a terreni
classificati  come  agricoli  dallo  strumento  urbanistico  generale
vigente,  ovvero  nei  casi  che  comportano  variazioni volumetriche
superiori  al 10 per cento dei volumi previsti dal medesimo strumento
urbanistico vigente».
   Da  una parte, infatti, e' evidente il carattere dettagliato della
regola;  dall'altra proprio per il fatto che si tratta di vicende che
involgono  singoli  immobili  risulta  evidente  che  non  vi  e'  un
interesse  unitario che possa giustificare un intervento statale e la
sottrazione alla disciplina urbanistica regionale dei casi in cui sia
opportuno o non opportuno procedere ad una verifica di conformita'.
18)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 61, commi 8, 9, 14, 16,
20 e 21.
   Nel   Titolo   III,   Stabilizzazione   della   finanza  pubblica,
all'interno del Capo I, Bilancio dello Stato, e' collocato l'art. 61.
Ulteriori  misure  di riduzione della spesa ed abolizione della quota
di   partecipazione   al  costo  per  le  prestazioni  di  assistenza
specialistica.
   Il  comma  8  stabilisce che, «a decorrere dal l° gennaio 2009, la
percentuale  prevista dall'art. 92, comma 5, del codice dei contratti
pubblici  relativi  a  lavori, servizi e forniture, di cui al decreto
legislativo  12  aprile 2006, n. 163, e' destinata nella misura dello
0,5  per  cento  alle  finalita' di cui alla medesima disposizione e,
nella  misura  dell'1,5  per  cento,  e' versata ad apposito capitolo
dell'entrata  del bilancio dello Stato». Il richiamato art. 92, comma
5,  del  d.  lgs. n. 163/2006 dispone che «una somma non superiore al
due  per  cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un
lavoro, comprensiva anche degli oneri previdenziali e assistenziali a
carico  dell'amministrazione,... e' ripartita, per ogni singola opera
o  lavoro,  con  le  modalita'  e  i  criteri  previsti  in  sede  di
contrattazione  decentrata  e  assunti  in  un  regolamento  adottato
dall'amministrazione,  tra  il  responsabile  del  procedimento e gli
incaricati  della  redazione del progetto, del piano della sicurezza,
della  direzione  dei  lavori,  del  collaudo,  nonche'  tra  i  loro
collaboratori».  Il  comma  5 aggiunge che «la percentuale effettiva,
nel limite massimo del due per cento, e' stabilita dal regolamento in
rapporto  all'entita'  e alla complessita' dell'opera da realizzare»,
che  «la ripartizione tiene conto delle responsabilita' professionali
connesse  alle  specifiche  prestazioni  da svolgere» e che «le quote
parti  della predetta somma corrispondenti a prestazioni che non sono
svolte  dai  predetti  dipendenti,  in  quanto  affidate  a personale
esterno  all'organico  dell'amministrazione  medesima,  costituiscono
economie».
   Il  comma  9  dell'art.  61  statuisce  che  «il  50 per cento del
compenso   spettante   al  dipendente  pubblico  per  l'attivita'  di
componente   o  di  segretario  del  collegio  arbitrale  e'  versato
direttamente  ad  apposito  capitolo  del  bilancio dello Stato», per
essere  destinato  alle  finalita'  di  seguito indicate; la medesima
disposizione «si applica al compenso spettante al dipendente pubblico
per  i  collaudi  svolti in relazione a contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture».
   Dunque,  i  commi  8 e 9 dell'art. 61 sono accomunati dal fatto di
«avocare»  allo  Stato  una  parte  delle  somme  spettanti (ai sensi
dell'art.  92,  comma  5, d. lgs. n. 163/2006) ai dipendenti pubblici
per le attivita' connesse ai lavori pubblici ed una parte delle somme
spettanti  ai  dipendenti pubblici per l'attivita' svolta nell'ambito
di un arbitrato o di un collaudo.
   Le  due  disposizioni  si  rivolgono  genericamente  ai dipendenti
pubblici  e,  dunque,  sembrano  comprendere anche quelli regionali e
degli   enti   pararegionali;  naturalmente,  qualora  codesta  Corte
ritenesse  possibile un'interpretazione adeguatrice, tale da limitare
l'ambito  di  applicazione  dei  commi  8  e 9 ai dipendenti statali,
verrebbero meno le ragioni di doglianza.
   Invece,  se (come risulta dalla lettera) i commi 8 e 9 valgono per
i  dipendenti  pubblici  in genere, essi risultano palesemente lesivi
dell'autonomia  finanziaria  regionale.  Le  norme in questione fanno
riferimento  al caso in cui un dipendente regionale svolga, per conto
della   regione,   un'attivita'   relativa   ad  un  lavoro  pubblico
aggiudicato  dalla  regione  stessa.  Nel  caso  del comma 8 le somme
spettanti  al dipendente provengono dalla regione aggiudicatrice; nel
caso del comma 9 almeno possono provenire dalla Regione che sia parte
di  un  giudizio  arbitrale  sorto  in relazione ad un'opera pubblica
aggiudicata  dalla  Regione. In entrambi i casi si tratta comunque di
somme   collegate   ad  attivita'  regionali,  svolte  da  dipendenti
regionali.
   In questa situazione - e pur ammesso che la legge possa privare il
dipendente delle somme in questione o di parte di esse per acquisirle
alle  risorse  pubbliche  (questione  sulla  quale  la regione non ha
titolo  ad  intervenire  in  questa  sede) - sembra evidente che tali
risorse  debbono  spettare  alle stesse regioni, anziche' allo Stato:
dato  che  l'attivita' e' stata svolta dal dipendente per conto della
Regione,  in  luogo  dell'ordinaria  attivita' lavorativa, e la somma
proveniva  (o  nel caso degli arbitrati puo' eventualmente provenire)
dalla regione.
   Se  la legge statale non puo' condizionare l'uso che la regione fa
delle  proprie  risorse  (tranne  i vincoli derivanti dai principi di
coordinamento  della finanza pubblica; si puo' ricordare che la sent.
n. 169/2007  ha  annullato  una  norma  che  imponeva  «una  puntuale
modalita'  di  utilizzo  di  risorse  proprie delle regioni, cosi' da
risolversi  in  una  specifica  prescrizione di destinazione di dette
risorse»),  essa  a  maggior  ragione  non  puo'  avocare al bilancio
statale  compensi  che  la  Regione  ha dato ai propri dipendenti per
attivita' svolte per conto della regione.
   La  stranezza,  prima ancora che l'illegittimita' dei commi 8 e 9,
cosi'  intesi,  rende concepibile l'interpretazione adeguatrice sopra
ipotizzata   ma,  qualora  essi  fossero  ritenuti  non  limitati  ai
dipendenti   statali,  sarebbero  chiaramente  lesivi  dell'autonomia
finanziaria regionale (art. 119 Cost.).
   Se  lo  Stato ritiene di rinforzare le finanze pubbliche togliendo
ai  dipendenti  pubblici quello che a loro spetta a termini di legge,
deve  almeno  farlo  rispettando  il  principio  di  ragionevolezza e
l'autonomia  finanziaria  degli enti territoriali: dunque, i compensi
erogati  dalla  regione  a  fronte  di attivita' svolte da dipendenti
regionali in luogo dell'ordinaria attivita' lavorativa devono restare
nell'ambito  del sistema regionale. Di qui l'illegittimita' dei commi
8  e  9  nella  parte  in  cui prevedono che le somme ivi contemplate
affluiscano  al  bilancio  statale  invece  che  a  quello regionale,
qualora si tratti di dipendenti regionali e di enti pararegionali.
   Il  comma  14 dell'art. 61 stabilisce che, «a decorrere dalla data
di  conferimento o di rinnovo degli incarichi i trattamenti economici
complessivi  spettanti  ai direttori generali, ai direttori sanitari,
ai  direttori  amministrativi,  ed i compensi spettanti ai componenti
dei  collegi  sindacali delle aziende sanitarie locali, delle aziende
ospedaliere,  delle aziende ospedaliero universitarie, degli istituti
di   ricovero  e  cura  a  carattere  scientifico  e  degli  istituti
zooprofilattici sono rideterminati con una riduzione del 20 per cento
rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008».
   La  limitazione  di  spesa  contenuta in tale disposizione risulta
illegittima.  Con tutta evidenza, infatti, essa rappresenta un limite
puntuale  ad  una  specifica  voce  di  spesa: e contrasta dunque con
l'autonomia  finanziaria  della scrivente regione, come codesta Corte
costituzionale   ha   avuto   piu'   volte  occasione  di  precisare.
Particolarmente interessante, per l'analogia della fattispecie, e' la
sent.  n. 157/2007,  che  ha dichiarato illegittimo il comma 54 della
legge  n. 266/2005, che riduceva del 10% le indennita' corrisposte ai
titolari  degli  organi  politici  regionali  (v.,  poi, le sentt.nn.
95/2007, 89/2007, 88/2006, 449/2905 e 417/2005).
   Il  comma  14  non  possiede  alcuno dei caratteri che, secondo la
giurisprudenza   costituzionale,   devono  possedere  i  principi  di
coordinamento  della  finanza  pubblica,  in  quanto non ha carattere
transitorio,  colpisce  una voce minuta di spesa e non lascia margine
di  scelta  alle  regioni  per  il  conseguimento  dell'obiettivo  di
risparmio.  Di  qui  la  violazione  dell'art.  117,  terzo  comma, e
dell'art.  119  Cost., in quanto lo Stato lede con norma di dettaglio
l'autonomia finanziaria regionale.
   Il  comma  16  dispone  che, «ai fini del contenimento della spesa
pubblica,   le   regioni,   entro   il  31  dicembre  2008,  adottano
disposizioni,  normative  o amministrative, finalizzate ad assicurare
la  riduzione  degli  oneri degli organismi politici e degli apparati
amministrativi,   con   particolare   riferimento   alla  diminuzione
dell'ammontare  dei  compensi e delle indennita' dei componenti degli
organi   rappresentativi   e   del  numero  di  questi  ultimi,  alla
soppressione   degli   enti  inutili,  alla  fusione  delle  societa'
partecipate,  al  ridimensionamento  delle strutture organizzative ed
all'adozione  di  misure  analoghe  a  quelle  previste  nel presente
articolo».  Esso  inoltre  afferma  che  «la  disposizione  di cui al
presente  comma  costituisce  principio fondamentale di coordinamento
della  finanza pubblica, ai fini del rispetto dei parametri stabiliti
dal  patto  di  stabilita' e crescita dell'Unione europea», e dispone
ancora  che  «i  risparmi  di  spesa  derivanti  dall'attuazione  del
presente  comma,  aggiuntivi  rispetto a quelli previsti dal patto di
stabilita'  interno,  concorrono alla copertura degli oneri derivanti
dall'attuazione  del  comma  19» (che abolisce il ticket per gli anni
2009, 2010 e 2011).
   In  questi termini, il comma 16 si autoqualifica come principio di
coordinamento  della  finanza pubblica ma, in realta', ha - almeno in
parte  -  contenuto  dettagliato, in quanto «la riduzione degli oneri
degli   organismi  politici  e  degli  apparati  amministrativi,  con
particolare  riferimento alla diminuzione dell'ammontare dei compensi
e  delle indennita' dei componenti degli organi rappresentativi e del
numero  di  questi  ultimi»  non puo' essere assicurata che con... la
diminuzione  dei  compensi  e  del numero dei componenti degli organi
rappresentativi. Dunque, la legge statale sembra lasciare spazio alle
regioni  ma,  in  realta', detta una norma dettagliata che le regioni
devono  solo  recepire.  In  altre  parole, il comma 16 e', in questa
parte,  affetto  dai  medesimi  vizi sopra illustrati a proposito del
comma 14 e non e' diverso dalla norma gia' annullata da codesta Corte
con  la  sent. n. 157/2007, che ha dichiarato illegittimo il comma 54
della   legge   n. 266/2005,  che  riduceva  del  10%  le  indennita'
corrisposte ai titolari degli organi politici regionali.
   Ne'  sostanzialmente diverso e' il contenuto del comma 16 la' dove
prevede la soppressione degli enti inutili, la fusione delle societa'
partecipate ed il ridimensionamento delle strutture organizzative. E'
chiaro che qui la regione ha un minimo margine di scelta perche' deve
individuare  gli  enti inutili, le societa' da fondere e le strutture
da  ridimensionare  ma si tratta di un margine irrisorio (che implica
valutazioni  «tecniche»  piu' che politiche) e, comunque, il comma 16
impone  sempre «tagli» a specifiche voci di spesa, non transitori. Di
qui  l'illegittimita'  del  comma  16,  anche  in  questa  parte, per
violazione  dell'art.  117,  commi  3  e 4, e dell'art. 119 Cost., in
quanto  si  dettano  norme  di  dettaglio in materia di coordinamento
finanziario,   lesive   dell'autonomia  organizzativa  e  finanziaria
regionale.
   Infine, anche l'ultima parte del comma 16 risulta illegittima, la'
dove  destina i risparmi derivanti dall'attuazione del comma 16 «alla
copertura  degli  oneri  derivanti  dall'attuazione del comma 19». Lo
Stato  non  puo'  condizionare  l'uso che la regione fa delle proprie
risorse  imponendo  di  destinarle  ad  un certo settore (nel caso di
specie,  la  sanita') in quanto, in questo modo, si eccede dai limiti
dei  principi  di coordinamento finanziario (art. 117, terzo comma) e
si pone un vincolo all'autonomia regionale di spesa (art. 119 Cost.).
La  sent.  n. 169/2007  ha  annullato  una  norma  che  imponeva «una
puntuale modalita' di utilizzo di risorse proprie delle regioni, cosi
da  risolversi in una specifica prescrizione di destinazione di dette
risorse».
   Per  le  medesime  ragioni e' illegittimo il comma 20, lettera b),
dell'art.  61,  in base al quale «ai fini della copertura degli oneri
derivanti  dall'attuazione  del comma 19... le regioni: 1) destinano,
ciascuna   al   proprio  servizio  sanitario  regionale,  le  risorse
provenienti  dalle  disposizioni di cui ai commi 14 e 16; 2) adottano
ulteriori misure di incremento dell'efficienza e di razionalizzazione
della  spesa, dirette a realizzare la parte residuale della copertura
degli  oneri  derivanti  dall'attuazione  del  comma 19». Il comma 20
condiziona   l'uso   di   risorse  in  parte  gia'  definite  (quelle
risparmiate  ex  comma  14),  in  parte  non  definite con precisione
(quelle  risparmiate  ex  comma 16) o non definite affatto (quelle di
cui  al  n. 2  del  comma  20).  In  tutti  i  casi,  pero', resta il
condizionamento  all'uso  di  risorse  regionali,  illegittimo per le
ragioni sopra viste.
   Quanto  infine  al  comma  21,  esso  stabilisce  che «le regioni,
comunque,  in  luogo  della  completa adozione delle misure di cui ai
commi  14  e 16 ed al numero 2) della lettera b) del comma 20 possono
decidere  di  applicare,  in  misura integrale o ridotta, la quota di
partecipazione  abolita  ai sensi del comma 19, ovvero altre forme di
partecipazione   dei   cittadini  alla  spesa  sanitaria  di  effetto
finanziario  equivalente»,  aggiungendo che, «ai fini dell'attuazione
di  quanto  previsto  al comma 20, lettera b), e al primo periodo del
presente  comma,  il  Ministero  del  lavoro,  della  salute  e delle
politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle
finanze, comunica alle regioni, entro il 30 settembre 2008, l'importo
che   ciascuna  di  esse  deve  garantire  ai  fini  dell'equivalenza
finanziaria».
   I  commi  16,  20  e  21  rivelano  la chiara consapevolezza dello
squilibrio  che  l'abolizione  del  ticket  (disposta  dal  comma 19)
produce  per  la  finanza  regionale,  in  quanto  si  preoccupano di
prevedere risorse alternative. Il punto e' che, pero', essi prevedono
solo  in  parte  risorse  statali (comma 20, lettera a), «scaricando»
invece   sulle   regioni   la   maggior   parte   delle   conseguenze
dell'abolizione  del ticket. Sulle regioni, quindi, vengono addossate
le  conseguenze  della  scelta  politica  statale,  potendo esse solo
diminuire  i  «tagli»  di cui ai commi 14, 16 e 20, reintroducendo il
ticket:  esse, cioe', dovrebbero «togliere» ai cittadini il beneficio
che il legislatore statale ha espressamente voluto dare loro.
   In  questo  modo,  pero',  la  legge statale viola il principio di
leale  collaborazione  e  l'art.  119,  quarto comma, Cost., cioe' il
principio  di  corrispondenza  fra  funzioni e risorse, perche' dalle
norme  impugnate  risulta  chiaramente  che  il ticket e' considerato
dallo  Stato  stesso essenziale per il funzionamento del S.S.N. ma la
legge  statale  lo  abolisce senza preoccuparsi di fornire le risorse
alternative.
   Dica  la  legge statale - nel definire le prestazioni del servizio
sanitario  nazionale  -  se il ticket e' dovuto o meno. Se lo ritiene
non  dovuto, tuttavia, non puo' imporre alle regioni di «risparmiare»
in  specifici  settori  da esso indicati, ma deve comunque consentire
alla regioni di far fronte alle necessita' del servizio sanitario con
risorse  adeguate:  che  non  possono  tuttavia  consistere...  nella
reintroduzione  di  un  ticket  che  lo  Stato  ritiene di sopprimere
proprio a titolo di livello essenziale delle prestazioni sociali.
   Di  qui  l'illegittimita' anche del comma 21, in quanto rientrante
nel  sistema  di  norme  con  le  quali  lo  Stato  elude  la propria
responsabilita' derivante dall'abolizione del ticket, addossando alle
regioni le conseguenze negative in termini finanziari.
19)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  64,  commi  3,  4, 4,
lettera f-bis), nonche' illegittimita' costituzionale dell'art. 3 del
decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154.
   a) Illegittimita' costituzionale dell'art. 64, comma 3.
   Dopo avere formulato una disposizione di grande principio al comma
1,  e posto al comma 2 l'obbiettivo programmatico di «conseguire, nel
triennio  2009-2011  una riduzione complessiva del 17 per cento della
consistenza  numerica della dotazione organica determinata per l'anno
scolastico 2007/2008» il comma 3 stabilisce che «per la realizzazione
delle   finalita'   previste   dal  presente  articolo,  il  Ministro
dell'istruzione,  dell'universita' e della ricerca di concerto con il
Ministro   dell'economia  e  delle  finanze,  sentita  la  Conferenza
unificata  di  cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997,
n. 281, e previo parere delle Commissioni Parlamentari competenti per
materia  e  per  le conseguenze di carattere finanziario, predispone,
entro  quarantacinque  giorni  dalla  data  di  entrata in vigore del
presente  decreto,  un piano programmatico di interventi volti ad una
maggiore   razionalizzazione  dell'utilizzo  delle  risorse  umane  e
strumentali  disponibili,  che conferiscano una maggiore efficacia ed
efficienza al sistema scolastico».
   Tale  Piano  programmatico  di interventi non rientra, come sembra
ovvio,  tra le «norme generali sull'istruzione», di cui all'art. 117,
comma  secondo, lettera n), bensi' nella generale materia istruzione,
che  l'art.  117,  comma  terzo,  affida  alla  potesta'  legislativa
regionale,  salva  la  determinazione  dei  principi fondamentali con
legge statale.
   Il Piano programmatico di interventi, che evidentemente non e' ne'
legge,  ne'  enunciazione  di  principi  fondamentali,  non  puo' che
trovare  fondamento  nella  «chiamata in sussidiarieta'» dello Stato,
per  il  conseguimento  di obiettivi che - nell'attuale situazione di
sostanziale  inattuazione della dovuta regionalizzazione delle scuole
- non potrebbero essere rimessi alle sole regioni.
   Tuttavia,   secondo  gli  insegnamenti  di  codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale,   la   chiamata   in   sussidiarieta'  non  puo'  non
accompagnarsi al pieno coinvolgimento dei soggetti costituzionalmente
titolari del potere legislativo in materia, cioe' delle regioni. Tale
pieno   coinvolgimento  non  e'  realizzato  dal  semplice  «parere»,
previsto dal comma 3, ma deve necessariamente consistere nell'intesa,
nella  quale  si esprime non la mera «partecipazione» alla decisione,
ma la sua necessaria condivisione (sent. n. 303 del 2003).
   Di qui l'illegittimita' della previsione del semplice parere della
Conferenza  unificata,  per  violazione  dei  principi  di competenza
legislativa,  sussidiarieta'  e  leale cooperazione di cui agli artt.
117, comma terzo e 118 comma primo della Costituzione.
   b)   Illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  64,  comma  4.
Specifica illegittimita' costituzionale del comma 4, lettera f-bis).
   Il  comma  4  dell'articolo  64  dispone che «per l'attuazione del
piano di cui al comma 3, con uno o piu' regolamenti da adottare entro
dodici  mesi  dalla data di entrata in vigore del presente decreto ed
in  modo  da  assicurare comunque la puntuale attuazione del piano di
cui al comma 3, in relazione agli interventi annuali ivi previsti, ai
sensi  dell'art.  17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su
proposta  del  Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'  e  della
ricerca  di  concerto  con il Ministro dell'economia e delle finanze,
sentita  la Conferenza unificata di cui al citato decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281, anche modificando le disposizioni legislative
vigenti,   si   provvede   ad   una  revisione  dell'attuale  assetto
ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico».
   Di  seguito,  tale  comma  enuncia con le lettere da a) a f-ter) i
«criteri» che la disciplina regolamentare dovra' rispettare.
   Ora,  gia'  dalla  destinazione  legislativa  dei  regolamenti  in
questione   alla   «revisione   dell'attuale  assetto  ordinamentale,
organizzativo  e  didattico  del sistema scolastico» risulta evidente
che  essi  non  si  riferiscono alla sola area assegnabile alle norme
generali  sull'istruzione, ma riguardano l'intero assetto del sistema
scolastico, e dunque la materia concorrente istruzione.
   In particolare, l'assetto organizzativo del sistema scolastico non
puo'  essere  ricondotto  alle «norme generali sull'istruzione». Esso
non  puo'  dunque  essere  disciplinato con regolamento statale, dato
che,  ai  sensi  dell'art.  117,  comma sesto, della Costituzione, il
potere regolamentare dello Stato esiste soltanto nelle materie di sua
potesta' legislativa esclusiva.
   Ove  per  qualunque  ragione  qui  non  preveduta  (posto  che  la
«chiamata  in  sussidiarieta'»  non  puo'  valere  a  fondare  poteri
regolamentari   -   sentenza   n. 303  del  2003)  dovesse  risultare
ammissibile  un  regolamento  statale  al  di  fuori delle materie di
legislazione  esclusiva,  in  subordine  la  procedura  di emanazione
sarebbe  comunque  illegittima, in quanto prevede un semplice parere,
anziche'  l'intesa  della Conferenza unificata. In effetti, ogni atto
statale al di fuori della legislazione di principio ad esso spettante
non potrebbe che essere assunto con il consenso delle regioni.
   Inoltre,  la  disciplina  degli  aspetti organizzativi del sistema
scolastico  (ed in realta' anche quella degli aspetti ordinamentali e
didattici)  mediante regolamento altera anche su un piano generale il
sistema  costituzionale  delle  fonti.  Si  tratterebbe,  infatti, di
regolamenti  detti  «di  delegificazione», come e' reso esplicito dal
richiamo  all'art.  17, comma secondo, della legge n. 400 del 1988, e
dalla circostanza che essi sono abilitati ad intervenire «modificando
le disposizioni legislative vigenti».
   Per   vero,   tale   formulazione   e'   essa  stessa  il  sintomo
dell'alterazione  del  sistema  delle  fonti,  dal  momento che nella
logica  di tale sistema costituzionale il regolamento non e' mai esso
a  modificare la legislazione vigente: supponendosi invece che sia la
legge ad abrogare la precedente disciplina legislativa, a partire dal
momento  dell'entrata  in  vigore  del regolamento. Laddove invece la
modifica  della  legge  ad  opera  del  regolamento  viola  uno degli
elementi essenziali del valore e forza di legge, che consiste appunto
nella impossibilita' di modifica da parte di fonti inferiori.
   Ancor  piu'  grave,  tuttavia,  e'  la  completa assenza di quella
disciplina   legislativa  delle  «norme  generali  regolatrici  della
materia»  (oltre  che  di  quelle che «dispongono l'abrogazione delle
norme  vigenti») previste dalla predetta legge statale, in attuazione
del precetto costituzionale.
   Lo  stesso comma 4, dopo avere demandato al regolamento le materie
di  cui  si  e'  detto,  provvede  a  dettare  alcuni  criteri che la
disciplina  di  tali  materie dovra' rispettare. La maggiore parte di
tali  criteri  si  riferiscono  ad  oggetti facenti parte delle norme
generali sull'istruzione.
   Tuttavia,  in sede di conversione e' stata aggiunto in tale elenco
di  criteri la lettera f-bis), la quale non specifica alcun criterio,
ma  piuttosto  affida al regolamento del Governo un nuovo oggetto: la
«definizione  di  criteri,  tempi e modalita' per la determinazione e
l'articolazione   dell'azione   di   ridimensionamento   della   rete
scolastica   prevedendo,  nell'ambito  delle  risorse  disponibili  a
legislazione  vigente,  l'attivazione  di  servizi qualificati per la
migliore fruizione dell'offerta formativa».
   La  previsione  della  disciplina  regolamentare  statale  di tali
oggetti e' illegittima per violazione dell'art. 117, sesto comma. Non
puo'   infatti  essere  dubbio  che  la  materia  sia  di  competenza
regionale,  come  codesta  ecc.ma  Corte costituzionale ha gia' avuto
modo   di   stabilire   con   la   sentenza  n. 34/2005,  occasionata
dall'impugnazione  statale  della  legge  di questa regione n. 12 del
2003,  recante  Norme per l'uguaglianza delle opportunita' di accesso
al  sapere,  per  ognuno e per tutto l'arco della vita, attraverso il
rafforzamento dell'istruzione e della formazione professionale, anche
in integrazione tra loro.
   L'art.  44,  comma  1,  lettera  c),  di  tale  legge  affidava al
Consiglio  regionale il compito di approvare, tra l'altro, i «criteri
per  la  definizione  dell'organizzazione  della rete scolastica, ivi
compresi i parametri dimensionali delle istituzioni scolastiche».
   Tale  sentenza,  nel respingere la censura di violazione dell'art.
117, secondo comma, lettera n), Cost., ha espressamente affermato che
tra  le  funzioni  spettanti  alle  regioni  va annoverato «anzitutto
quelle   di   programmazione  dell'offerta  formativa  integrata  tra
istruzione e formazione professionale (art. 138, comma 1, lettera a),
e di programmazione della rete scolastica (art. 138, comma 1, lettera
b)».
   La  Corte  ha anche rilevato che tale funzione era stata assegnata
alle regioni sin dal d.P.R. del 18 giugno 1998, n. 233 (art. 3, comma
1),  e  che  «e'  da escludersi che il legislatore costituzionale del
2001  "abbia voluto spogliare le regioni di una funzione che era gia'
ad  esse  conferita''»  (cosi' la sentenza, riprendendo la precedente
n. 13 del 2004).
   Tale  materia,  dunque,  non puo' essere assegnata alla competenza
regolamentare  dello Stato, tanto piu' in assenza di una procedura di
intesa con la regione.
   Di  qui  la  specifica  illegittimita' costituzionale del comma 4,
lettera f-bis).
   c)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge 7
ottobre   2008,   n. 154,   recante   Disposizioni   urgenti  per  il
contenimento  della  spesa  sanitaria  e  in  materia  di regolazioni
contabili con le autonomie locali.
   A  poche  settimane  di distanza dalla approvazione della legge di
conversione  n. 133  del  2008,  il  Governo  ha  ritenuto necessario
ritornare  sulla  materia, e cio' ha fatto tuttavia in modo del tutto
estemporaneo, approfittando della «occasione» offerta dall'emanazione
del  decreto-legge  7  ottobre  2008,  n. 154,  recante  Disposizioni
urgenti  per  il  contenimento  della spesa sanitaria e in materia di
regolazioni contabili con le autonomie locali.
   In esso e' stato infatti inserito l'art. 3, che cosi' dispone:
     1.  All'articolo  64  del  decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge 6 agosto 2008, n. 133,
dopo il comma 6 e' inserito il seguente:
   «6-bis.   I   piani   di   ridimensionamento   delle   istituzioni
scolastiche,  rientranti  nelle competenze delle regioni e degli enti
locali,  devono  essere  in  ogni  caso  ultimati  in tempo utile per
assicurare  il  conseguimento  degli  obiettivi  di razionalizzazione
della  rete  scolastica previsti dal presente comma, gia' a decorrere
dall'anno scolastico 2009/2010 e comunque non oltre il 30 novembre di
ogni anno. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con la procedura
di  cui  all'art.  8,  comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, su
proposta  del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con
il   Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'  e  della  ricerca,
sentito il Ministro per i rapporti con le regioni, diffida le regioni
e  gli  enti  locali inadempienti ad adottare, entro quindici giorni,
tutti  gli  atti  amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a
garantire il conseguimento degli obiettivi di ridimensionamento della
rete  scolastica.  Ove  le  regioni  e gli enti locali competenti non
adempiano  alla  predetta  diffida,  il  Consiglio  dei  Ministri, su
proposta  del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con
il   Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'  e  della  ricerca,
sentito  il  Ministro  per  i  rapporti  con  le  regioni,  nomina un
commissario  ad  acta.  Gli  eventuali oneri derivanti da tale nomina
sono a carico delle regioni e degli enti locali.».
   Senonche', tale art. 3 del decreto-legge, ed il comma 6bis da esso
inserito, sono costituzionalmente illegittimi.
   E'   agevole  osservare,  in  primo  luogo,  che  la  materia  del
decreto-legge  non  ha  nulla  a  che  vedere con l'istruzione, e che
dunque  risultano  violate  le regole di emanazione dei decreti-legge
stabilite,  in  attuazione della Costituzione, dall'art. 15, comma 3,
della  legge n. 400 del 1988, secondo cui «i decreti devono contenere
misure  di  immediata  applicazione  e  il loro contenuto deve essere
specifico,  omogeneo  e corrispondente al titolo». Mancano infatti ad
evidenza  tutti  requisiti:  non  si  tratta  di  misure di immediata
applicazione  (dato  che la programmazione riguarda l'anno scolastico
2009/2010  e  i  seguenti - non si tratta di misure omogenee al resto
del decreto, l'art. 3 non corrisponde al titolo.
   Tuttavia, la mancata corrispondenza ai requisiti posti dalla legge
n. 400   del  1988  potrebbe  ancora  considerarsi  un  vizio  minore
(nonostante il carattere attuativo della Costituzione proprio di tale
legge),  di  fronte  all'evidente  mancanza  del  piu' importante dei
requisiti   posti  dalla  stessa  Costituzione:  l'esistenza  di  una
situazione  di necessita' e di urgenza (la Costituzione, addirittura,
richiederebbe  -  come  ben noto - casi straordinari di necessita' ed
urgenza).
   Nel  caso dell'art. 3 del decreto-legge n. 154 del 2008 il difetto
di  necessita'  ed  urgenza  e'  da un lato evidente sulla base della
disciplina  dettata:  la  quale - come sopra detto - si riferisce non
all'anno scolastico che e' appena iniziato, ma a quelle che iniziera'
nel  settembre  del  2009:  con  sufficiente tempo a disposizione per
l'approvazione di norme di legge mediante il procedimento legislativo
ordinario, e con le relative garanzie (ivi compresa la partecipazione
-  pur  non  attuata ancora - delle regioni attraverso la Commissione
integrata di cui all'art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001).
   D'altro lato, nel caso dell'art. 3 una situazione di necessita' ed
urgenza  non  solo  non  esiste,  ma  non  e'  neppure dichiarata dal
Governo.  Infatti,  nel preambolo del decreto si legge che il Governo
ha  ritenuto  «la  straordinaria  necessita'  ed  urgenza di adottare
disposizioni  in  materia di gestione commissariale delle regioni che
non  rispettino  gli  adempimenti  previsti  dai piani di rientro dai
deficit   sanitari»;   e   che   esso   ha  ritenuto,  altresi',  «la
straordinaria  necessita'  ed  urgenza  di  adottare  disposizioni in
materia  di contabilita' degli enti locali per consentire l'ordinaria
gestione  contabile  in considerazione della scadenza del termine per
l'approvazione del bilancio di assestamento dei medesimi enti»; e che
esso  ha  «infine» ravvisato «la necessita' e l'urgenza di provvedere
alla  riprogrammazione delle risorse di cui alla delibera CIPE del 30
settembre 2008».
   Come  si vede, neppure il Governo dichiara la minima necessita' ed
urgenza  di  provvedere  in  materia  di  dimensionamento  della rete
scolastica.
   Pacifico   che   il   difetto   di  necessita'  ed  urgenza  rende
irrimediabilmente illegittima la disciplina emanata per decreto-legge
(v.  sentenze  n. 171  del  2007  e  n. 128  del 2008), la regione e'
legittimata  a  lamentare  la violazione sia in ragione del contenuto
del  decreto-legge,  che  in tale forma addirittura dispone un potere
sostitutivo  dello  Stato, sia in ragione della circostanza che anche
in  suo  favore  sono  stabilite  dalla  Costituzione le garanzie del
procedimento legislativo ordinario.
   Illegittimo  in quanto impropriamente approvato con decreto-legge,
l'art.  3  e'  costituzionalmente  illegittimo  anche  quanto  al suo
contenuto:  sia  in quanto pone norme di dettaglio per l'approvazione
dei  piani di dimensionamento (che la legge chiama ora - curiosamente
-  piani  di  «ridimensionamento»)  previsti dall'art. 21 della legge
n. 59  del  2007  e  dal  d.P.R.  n. 233  del 1998, sia in quanto, in
assenza  di esigenze cogenti di carattere unitario, prevede un potere
del Governo di sostituirsi alle regioni che non rispettino il termine
posto dalla legge statale.
   Sotto   il  primo  profilo,  infatti,  e'  evidente  il  carattere
dettagliato  ed  arbitrario  della  fissazione  del  termine  al  «30
novembre   di  ciascun  anno»,  anziche'  nei  termini  autonomamente
previsti  dalle regioni in relazione alle caratteristiche del proprio
procedimento decisionale. Sotto il secondo profilo, non si puo' certo
dire  che l'eventuale ritardata approvazione di un piano regionale (o
a  maggiore  ragione  di  un  ente  locale)  si  rifletta sulle altre
regioni, o addirittura sull'intero paese.
   Di   qui   l'illegittimita'  costituzionale  del  contenuto  della
disposizione sotto i profili indicati.
20) Illegittimita' costituzionale dell'art. 81, commi 29, 30, 32, 33,
34, 35, 36, 38 e 38-bis.
   Il   comma  29  dell'art.  81  (Settori  petrolifero  e  del  gas)
istituisce  un  «Fondo  speciale  destinato  al soddisfacimento delle
esigenze  prioritariamente  di  natura  alimentare  e successivamente
anche energetiche e sanitarie dei cittadini meno abbienti».
   Il  comma  30  indica  le fonti di alimentazione del Fondo, fra le
quali «trasferimenti dal bilancio dello Stato» (lettera d).
   Il  comma 32 istituisce la c.d. «social card», stabilendo che, «in
considerazione  delle  straordinarie  tensioni  cui sono sottoposti i
prezzi  dei  generi alimentari e il costo delle bollette energetiche,
nonche'  il  costo  per  la  fornitura  di gas da privati, al fine di
soccorrere  le  fasce  deboli  di popolazione in stato di particolare
bisogno  e  su  domanda  di  queste,  e'  concessa  ai  residenti  di
cittadinanza  italiana  che  versano in condizione di maggior disagio
economico,  individuati  ai  sensi  del  comma 33, una carta acquisti
finalizzata  all'acquisto  di tali beni e servizi, con onere a carico
dello Stato».
   Il  comma  33  dispone  che  «con  decreto interdipartimentale del
Ministero  dell'economia  e delle finanze e del Ministero del lavoro,
della  salute  e  delle  politiche  sociali,  sono disciplinati,... i
criteri  e  le modalita' di individuazione dei titolari del beneficio
di  cui  al  comma  32»  (tenendo  conto  degli  elementi  di seguito
indicati),  «l'ammontare  del  beneficio unitario», «le modalita' e i
limiti  di  utilizzo  del Fondo di cui al comma 29 e di fruizione del
beneficio di cui al comma 32».
   Il  comma  34 prevede che, «ai fini dell'attuazione dei commi 32 e
33,...  il  Ministero dell'economia e delle finanze puo' avvalersi di
altre amministrazioni, di enti pubblici, di Poste italiane S.p.A., di
SOGEI S.p.A. o di CONSIP S.p.A.».
   Il  comma  35  statuisce  che  «il Ministero dell'economia e delle
finanze, ovvero uno dei soggetti di cui questo si avvale ai sensi del
comma  34, individua: a) i titolari del beneficio di cui al comma 32,
in  conformita' alla disciplina di cui al comma 33; b) il gestore del
servizio  integrato  di  gestione delle carte acquisti e dei relativi
rapporti amministrativi».
   Il  comma  36  stabilisce  che «le pubbliche amministrazioni e gli
enti     pubblici     che     detengono    informazioni    funzionali
all'individuazione  dei  titolari del beneficio di cui al comma 32...
forniscono,  in  conformita' alle leggi che disciplinano i rispettivi
ordinamenti, dati, notizie, documenti e ogni ulteriore collaborazione
richiesta  dal  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  o  dalle
amministrazioni o enti di cui questo si avvale, secondo gli indirizzi
da  questo  impartiti». Il comma 38 dispone che «agli oneri derivanti
dall'attuazione  dei  commi da 32 a 37 si provvede mediante utilizzo'
del Fondo di cui al comma 29». Il comma 38-bis prevede che il Governo
presenti  una  relazione  al  Parlamento  sull'attuazione della carta
acquisti.
   Le  norme  sopra  illustrate non possono non stupire per la totale
estromissione  delle  regioni  (il  cui  coinvolgimento  in  fase  di
attuazione  e'  reso  del  tutto  eventuale e, pare, improbabile, non
apparendovi  esse  che  uno  dei  vari soggetti - neppure nominati ma
confuse  con  gli  altri  enti  pubblici!  - di cui il Ministero puo'
avvalersi  ai  sensi  del  comma  34)  in  una  materia di competenza
regionale piena.
   Le  norme  in  questione,  infatti, non solo istituiscono un fondo
settoriale nella materia delle politiche sociali (il che gia' sarebbe
illegittimo,  come  piu'  volte  riconosciuto  da codesta Corte) ma -
invece  di  ripartire  il  fondo  tra  le  regioni  -  prevedono  una
regolazione  ed  una  gestione  del  tutto  accentrata del fondo (con
erogazione  diretta  ai  privati),  senza  alcun coinvolgimento delle
regioni.
   Il  comma  33  prevede  un  decreto «interdipartimentale» (dunque,
neppure  adottato  da  Ministri  ma da dirigenti ministeriali) che ha
sostanza  di  regolamento  attuativo  della  legge,  essendo  volto a
definire  i criteri e le modalita' di individuazione dei titolari del
beneficio,  l'ammontare  del  beneficio  unitario  e le modalita' e i
limiti di utilizzo del Fondo e di fruizione del beneficio. I commi 34
e   35   danno   competenza  al  Ministero  dell'economia  (che  puo'
«avvalersi»  di  altri  soggetti  pubblici  o privati) per la fase di
attuazione  e  per  l'individuazione dei titolari del beneficio e del
gestore del servizio integrato di gestione delle carte acquisti e dei
relativi rapporti amministrativi.
   Codesta Corte ha piu' volte colpito i finanziamenti (ripartiti tra
le  regioni)  a  destinazione  vincolata in quanto essi rappresentano
«uno  strumento  indiretto,  ma  pervasivo,  di ingerenza dello Stato
nell'esercizio  delle  funzioni  delle  regioni  e degli enti locali,
nonche'  di  sovrapposizione  di  politiche  e di indirizzi governati
centralmente  a  quelli  legittimamente  decisi  dalle  regioni negli
ambiti  materiali di propria competenza» (cosi' la sent. n. 423/2004,
proprio  in  materia  di  politiche sociali), ma e' chiaro che ancora
piu'  gravi e lesive sono norme che non si limitano a condizionare le
regioni   ma   le  estromettono  totalmente  dalla  materia  di  loro
competenza.
   Ne'  a  fondamento  della  competenza  statale  puo'  invocarsi la
«concorrenza  delle  competenze»,  dato che il fondo riguarda solo la
materia   delle   politiche   sociali.   Neppure  puo'  invocarsi  la
sussidiarieta',  dato  che non esistono esigenze di gestione unitaria
della  carta acquisti ne' di definizione unitaria dei criteri e delle
modalita' di erogazione.
   Le  norme  indicate in epigrafe, dunque (e tranne il comma 36, che
sara'   esaminato   a   parte),   violano   l'autonomia  legislativa,
regolamentare,  amministrativa  e  finanziaria  di  cui all'art. 117,
commi  4  e  6,  all'art.  118, commi 1 e 2, e all'art. 119 Cost., in
quanto istituiscono un fondo settoriale nella materia delle politiche
sociali   e   prevedono  poteri  regolamentari  e  amministrativi  in
relazione  al  medesimo fondo, invece di attribuire le corrispondenti
risorse  alle regioni e di lasciare a queste le conseguenti scelte in
materia  di  regolazione  degli  interventi  e  di  allocazione delle
funzioni amministrative.
   E'  da sottolineare che la recente sentenza n. 168/2008 di codesta
ecc.ma  Corte  ha  deciso  un  ricorso  su  una  fattispecie analoga,
colpendo un fondo (in quanto incidente «esclusivamente su una materia
di  competenza legislativa regionale») che finanziava «interventi, di
carattere  sociale, relativi alla riduzione dei costi delle forniture
di  energia  per  usi  civili  a  favore  di  clienti  economicamente
disagiati,   anziani  e  disabili»  e  interveniva,  percio',  «nella
materia,   di  potesta'  legislativa  residuale  delle  regioni,  dei
"servizi   sociali''»,   inerendo   ad   attivita'   riguardanti   la
"predisposizione  ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o
di  prestazioni  economiche  destinate  a  rimuovere  e  superare  le
situazioni  di bisogno e di difficolta' che la persona umana incontra
nel  corso  della  sua vita'' (sentenza n. 50 del 2008)». La Corte ha
accolto  la  questione  di  costituzionalita', «non sussistendo alcun
titolo  di competenza esclusiva statale che giustifichi il vincolo di
destinazione del fondo in tale materia», ed ha annullato la norma che
poneva  il vincolo di destinazione specifica del fondo per interventi
di  riduzione  dei  costi  della  fornitura  energetica per finalita'
sociali  e  disponeva  che, con decreto ministeriale, dovevano essere
stabiliti  le  condizioni,  le  modalita'  e i termini per l'utilizzo
della dotazione del fondo stesso. La Corte ha anche precisato che «da
tale  pronuncia  di  illegittimita'  costituzionale  consegue  che  a
ciascuna  regione  dovra'  essere  assegnata  genericamente,  per  il
perseguimento  di  finalita'  sociali,  la quota parte del fondo loro
spettante,  senza  il  suindicato  vincolo  di destinazione specifica
(sentenze n. 118 del 2006 e n. 423 del 2004)». La Corte ha dichiarato
l'illegittimita' di norme che prevedevano fondi settoriali in materia
di politiche sociali anche con le sentt. 50/2008 e 423/2004.
   In  denegata  ipotesi,  qualora  codesta  Corte  dovesse  ritenere
giustificato  il  potere  regolativo statale di cui al comma 33, tale
disposizione   sarebbe   comunque   illegittima  per  violazione  del
principio  di  leale  collaborazione,  nella parte in cui non prevede
un'intesa  con  la Conferenza Stato-regioni, data la stretta inerenza
del fondo alla materia delle politiche sociali.
   Anche  in questa ipotesi, pero', resterebbe ferma l'illegittimita'
dei commi 34 e 35, non sussistendo ragioni unitarie che giustifichino
l'attribuzione al Ministero dei poteri di attuazione degli interventi
e  di  individuazione  dei  titolari  del beneficio e del gestore del
servizio  integrato  di  gestione delle carte acquisti e dei relativi
rapporti  amministrativi.  Qualora, sempre in denegata ipotesi, anche
questi  poteri  statali  amministrativi fossero ritenuti legittimi, i
commi  34  e  35  sarebbero pur sempre illegittimi per violazione del
principio  di  leale collaborazione, nella parte in cui non prevedono
un'intesa con la Conferenza Stato-regioni in relazione alla scelta di
cui al comma 34 e agli atti di cui al comma 35.
   Infine,  quanto  al  comma  36,  esso risulta illegittimo la' dove
prevede che le comunicazioni e collaborazioni richieste dal Ministero
dell'economia  e delle finanze (o dalle amministrazioni o enti di cui
questo  si  avvale)  debbano essere fornite «secondo gli indirizzi da
questo  impartiti». Se si puo' giustificare un dovere collaborativo e
comunicativo fra enti territoriali, in ossequio al principio di leale
collaborazione,  non  si puo' ammettere che il Ministero «impartisca»
alle  regioni indirizzi che regolano tale attivita' collaborativa. Le
limitazioni  che  lo  Stato  puo' recare all'attivita' regionale sono
solo  quelle  previste dalla Costituzione e, in materia di competenza
regionale,  lo  Stato  non puo' piu' emanare atti di indirizzo (v. le
sentt.   nn.   324/2005  e  329/2003  e  l'art.  8,  comma  6,  legge
n. 131/2003).  Se anche si ritenesse il contrario, la norma impugnata
sarebbe  illegittima  perche'  l'atto  di  indirizzo  dovrebbe essere
adottato  dal  Consiglio  dei  ministri,  secondo  la  normativa e la
giurisprudenza pacifiche prima della riforma del Titolo V.
   Quanto  al  comma  38-bis,  si  tratta  di norma accessoria la cui
illegittimita' deriva da quella delle norme sulla carta acquisti.
                              P. Q. M.
   La  Regione  Emilia-Romagna,  come  sopra  rappresentata e difesa,
chiede  voglia  codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale  accogliere il
ricorso,  dichiarando l'illegittimita' costituzionale degli artt.: 2,
comma 14; 4, comma 1; 6-quater, comma 2; 6-quinquies, commi 2 e 3; 7,
comma 2; 8, comma 3; 9, comma 3; 10; 11, commi 1, 3, 4, 5, 8, 9, 11 e
12;  13, commi 1, 2, 3-bis e 3-quater; 23, comma 2; 23-bis, commi 7 e
10;  30,  commi  1, 2 e 3; 35, comma 1; 38, comma 3; 43, comma 1; 58,
commi  1  e  2;  61,  commi 8, 9, 14, 16, 20 e 21; 64, commi 3 e' 4 e
6-bis, introdotto dal d.-l. 7 ottobre 2008, n. 154, 81, commi 29, 30,
32,  33,  34,  35, 36, 38 e 38-bis, del d.-l. 25 giugno 2008, n. 112,
Disposizioni  urgenti  per lo sviluppo economico, la semplificazione,
la  competitivita',  la  stabilizzazione  della finanza pubblica e la
perequazione tributaria, convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto  2008,  n. 133,  nei  termini  e  sotto  i profili esposti nel
presente ricorso.
   Padova-Roma, addi' 18 ottobre 2008
          Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi