N. 77 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 - 15 ottobre 2008

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 27 ottobre 2008 (della Regione Piemonte)

Enti  locali  -  Servizi  pubblici  locali  di  rilevanza economica -
  Conferimento  della  gestione  dei  servizi pubblici locali, in via
  ordinaria,  a  favore  di  imprenditori  o  di  societa'  -  Deroga
  consentita   solo   per   situazioni  che,  a  causa  di  peculiari
  caratteristiche  economiche,  sociali, ambientali e geomorfologiche
  del   contesto  territoriale  di  riferimento,  non  permettono  un
  efficace  e  utile  ricorso  al  mercato  (organizzazione  in house
  providing)  -  Obbligo, limitato al solo conferimento in deroga, di
  pubblicita',   motivazione,  parere  dell'Autorita'  garante  della
  concorrenza   e  delle  autorita'  di  regolazione  del  settore  -
  Autorizzazione   all'adozione   di   regolamenti   governativi   di
  delegificazione   per   i  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
  economica  - Cessazione entro il 31 dicembre 2010 delle concessioni
  relative  al  servizio  idrico  integrato  rilasciate con procedure
  diverse   dall'evidenza  pubblica  -  Lamentata  limitazione  delle
  amministrazioni  regionali  e  locali nella gestione in proprio dei
  servizi  pubblici,  contrasto  con la giurisprudenza della Corte di
  giustizia delle Comunita' europee, esenzione dal generale dovere di
  motivazione  per  l'affidamento  a  imprese  terze, sanatoria degli
  affidamenti  disposti  in  difetto  di  evidenza pubblica - Ricorso
  della  Regione  Piemonte  - Denunciata violazione delle norme e dei
  vincoli   derivanti   dall'ordinamento   comunitario   in  tema  di
  concorrenza,  violazione  del  principio  di  autonomia  degli enti
  territoriali,  lesione della competenza legislativa e regolamentare
  delle  Regioni  in  materia  di organizzazione dei servizi pubblici
  locali,  lesione  del  principio  di  buon andamento della pubblica
  amministrazione,  irragionevolezza,  esorbitanza  dello Stato dalla
  sua  competenza  in materia di livelli essenziali delle prestazioni
  concernenti  diritti  civili e sociali e in materia di tutela della
  concorrenza, lesione del principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni,  nella  legge  6  agosto  2008, n. 133, art. 23-bis,
  commi 1, 2, 3, 4, 8 e 10.
- Costituzione,  artt.  3,  5,  114,  97,  117, commi primo, secondo,
  terzo, quarto e sesto, 118 commi primo e secondo, e 120.
(GU n.52 del 17-12-2008 )
   Ricorso  per la Regione Piemonte, in persona della sua Presidente,
prof.ssa   Mercedes   Bresso,   legale  rappresentante  pro  tempore,
rappresentata  e  difesa  dal prof. Roberto Cavallo Perin del Foro di
Torino  e  dal  prof.  Alberto Romano del Foro di Roma, elettivamente
domiciliata  presso  lo  studio  di quest'ultimo in Roma, lungotevere
Sanzio  n. 1,  in  forza  di  procura speciale a margine del presente
ricorso,   per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 23-bis, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in
legge con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica italiana 21 agosto 2008,
n. 195.
                              F a t t o
   1.  -  La  legge 6 agosto 2008, n. 133, ha convertito in legge con
modificazioni  il  decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, introducendo
l'art.  23-bis il quale pone direttamente nuove disposizioni generali
per  «tutti»  i  servizi  pubblici  locali di rilevanza economica che
«prevalgono  sulle  relative  discipline  di  settore» (comma 1, ult.
frase),  ma  al  contempo  autorizza  il Governo ad emanare ulteriori
disposizioni  regolamentari  anche  di  delegificazione  (ex art. 17,
secondo comma, legge 23 agosto 1988, n. 400) su oggetti determinati e
complementari  (comma  10),  in  particolare  gli  affidamenti  della
gestione di tali servizi [comma 10, lettera d) e lettera h)].
   L'indicato  art.  23-bis  pone  infine una disciplina transitoria,
ancora  una  volta direttamente per il solo servizio idrico integrato
(comma  8),  e  con  rinvio  al regolamento governativo per tutti gli
altri  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza  economica [comma 10,
lettera e)].
   La  preesistente  disciplina generale del servizio pubblico locale
(art.   113,   d.lgs.   18  agosto  2000,  n. 267)  non  e'  tuttavia
integralmente  sottoposta  ad  abrogazione  dal  nuovo  art.  23-bis,
perche'  quest'ultimo  espressamente  prevede  che  cessino  di avere
effetto le norme preesistenti nelle sole «parti incompatibili» con le
sue  nuove  disposizioni (comma 11, art. 23-bis, decreto-legge n. 112
del 2008, cit.).
   La Regione Piemonte ritiene che tali disposizioni di legge statale
ledano  la  propria  sfera  di  competenza  legislativa  stabilita in
Costituzione  e  pertanto  propone ricorso ex art. 127, Cost., per le
seguenti ragioni in
                            D i r i t t o
1)  Violazione  dell'art.  117, commi primo, secondo, quarto, sesto e
dell'art.  97,  Cost. Difetto di tutela della concorrenza. Violazione
della residua competenza legislativa regionale.
   A)  L'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. - dopo aver
precisato che trattasi di disciplina generale che prevale sulle norme
di  settore  (comma  1) - prevede che «il conferimento della gestione
dei  servizi  pubblici  locali avviene, in via ordinaria, a favore di
imprenditori  o di societa' in qualunque forma costituite individuati
mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei
principi  del  Trattato  che  istituisce  la  Comunita' europea e dei
principi  generali  relativi ai contratti pubblici e, in particolare,
dei  principi di economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza,
adeguata  pubblicita',  non  discriminazione, parita' di trattamento,
mutuo riconoscimento, proporzionalita'» (comma 2).
   Il  successivo comma soggiunge che l'affidamento diverso da quello
«ordinario» - tra cui spicca la forma di gestione denominata in house
providing  -  puo'  essere  adottato «nel rispetto dei principi della
disciplina comunitaria» solo «in deroga alle modalita' di affidamento
ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari
caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del
contesto  territoriale  di  riferimento, non permettono un efficace e
utile ricorso al mercato» (art. 23-bis, comma 3, decreto-legge n. 112
del 2008, cit.).
   Il  legislatore  statale dunque riconosce che entrambe le forme di
gestione  ed  affidamento  dei  servizi pubblici (soggetto scelto con
gara,    organizzazione    in    house   providing)   sono   conformi
all'ordinamento  europeo  ed  in  particolare  alla  disciplina sulla
concorrenza,  ma  con  la  norma nazionale giunge sino ad individuare
come  forma  preferenziale  «ordinaria» l'affidamento del servizio ad
imprese  terze,  mentre  relega  la  possibilita' dell'affidamento in
house  ai  soli  casi  ivi espressi in via d'eccezione, superando con
cio'  la  stessa  disciplina  comunitaria  in materia di concorrenza,
nonostante  che  la  stessa abbia creato l'istituto giuridico dell'in
house   providing   come  senz'altro  compatibile  con  l'ordinamento
comunitario e i suoi principi.
   In  tal senso non vale ricordare che in un caso si e' ritenuto che
taluna  legislazione  nazionale in materia di tutela dell'ambiente ha
potuto  individuare  misure  piu'  rigorose  di  quelle  previste dal
diritto  comunitario, poiche' cio' e' stato possibile nei soli limiti
di   un   rispetto   del  principio  di  proporzionalita'  con  altre
disposizioni  del Trattato (Corte di giustizia Ce, 14 aprile 2005, in
causa C-6/03, Deponiezweckverband Eiterköpfe c. Land Rheinland-Pfalz)
tra  le  quali  assume  particolare importanza la disciplina a tutela
della concorrenza.
   B) La potesta' legislativa in Italia si esercita «nel rispetto dei
vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario»  (art.  117, primo
comma,   Cost.)   in   particolare   il   vincolo  si  afferma  anche
nell'esercizio della potesta' statale esclusiva in materia di «tutela
della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.), anzi
e'  proprio  con  riferimento alla regolamentazione del mercato unico
europeo   che   la   legislazione   statale  italiana  non  puo'  che
configurarsi in attuazione della disciplina europea.
   Il  mercato  unico  europeo infatti e' concettualmente possibile e
concretamente   si   e'   affermato   solo  riconoscendo  un'unitaria
disciplina  da parte dell'Unione europea, che deve trovare attuazione
negli  Stati  membri  attraverso  norme  di principio o di dettaglio,
siano  esse del Trattato, o piu' di frequente in norme di regolamento
o  di  direttive  comunitarie, con conseguente impossibilita' per gli
Stati  membri  di procedere ad introdurre legislazioni ispirate da un
indirizzo  politico  nazionale  e percio' differenziate tra gli Stati
membri,  neppure  configurando  l'ipotesi  limite  di  una disciplina
nazionale di «integrale o totale concorrenzialita'».
   Non   appare   infatti   possibile   confondere  il  principio  di
concorrenza  posto dal Trattato dell'Unione europea, che disciplina i
comportamenti  delle  amministrazioni pubbliche una volta che abbiamo
deciso  di  rivolgersi  al  mercato  delle  imprese,  con  l'idea  di
prevalenza  o  preferenza  per  il  mercato  nell'organizzazione  dei
servizi pubblici indicata dall'art. 23-bis in esame, nella quale l'in
house  providing e' configurata come un residuo negletto o un cattivo
surrogato.
   Questa  configurazione  offusca,  sovvertendolo,  il  principio di
liberta'  degli  individui o di autonomia - del pari costituzionale -
degli  enti  territoriali  (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere la
capacita'  di  operare  ogni  qualvolta  la scelta che ritengono piu'
opportuna: cioe' se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato
dei  produttori oppure se procedere a modellare una propria struttura
capace  di  diversamente  configurare  l'offerta delle prestazioni di
servizio pubblico.
   Autonomia   e  relativa  capacita'  di  scelta  discrezionale  che
implicano  anche  la possibilita' di non voler correre l'avventura ed
il  conseguente  rischio  di  un  affidamento  a terzi in un tempo di
cattivo mercato economico e finanziario.
   In  tal  senso  si  e'  peraltro  espresso  da tempo l'ordinamento
comunitario  che  ha  ritenuto in contrasto con la disciplina europea
sulla  concorrenza  la  legge  nazionale  sui lavori pubblici (allora
legge 11 febbraio 1994, n. 109, art. 21) che aveva limitato la scelta
tra  i  due  criteri europei d'aggiudicazione degli appalti - offerta
economicamente  piu'  vantaggiosa  e prezzo piu' basso - imponendo il
vincolo legislativo «alle amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere
unicamente al criterio del prezzo piu' basso» (Corte di Giustizia Ce,
7 ottobre 2004, in causa C-247/02, Sintesi s.p.a. c. Autorita' per la
Vigilanza sui Lavori Pubblici e Ingg. Provera e Carassi s.p.a.).
   L'ordinamento  europeo  ha  ritenuto  che  l'imposizione  leda  la
discrezionalita'  delle  amministrazioni pubbliche, in particolare la
possibilita'   «di   prendere   in  considerazione  la  natura  e  le
caratteristiche  peculiari di tali appalti, isolatamente considerati,
scegliendo  per ognuno di essi il criterio piu' idoneo a garantire la
libera  concorrenza  e  ad  assicurare  la  selezione  della migliore
offerta»  (Corte  di Giustizia Ce, 7 ottobre 2004, in causa C-247/02,
cit.,  §  40), ma ancor prima per l'impossibilita' istituzionale
di una disciplina interna differenziata «in termini non espressamente
consentiti»  dal  diritto  comunitario  (cfr.  conclusioni  Avv. Gen.
Stix-Hackl 1° luglio 2004, in causa C-247/02, § 65).
   L'indicato orientamento - che trova ragione giuridica nella stessa
nozione  di  mercato  unico  il  quale istituzionalmente comporta una
regolazione  omogenea sulla concorrenza fra gli Stati membri - e' del
pari  quello della Corte costituzionale italiana espresso proprio con
riferimento alla nozione di «concorrenza» ex art. 117, secondo comma,
lettera  e),  Cost. la quale non puo' non riflettere «quella operante
in  ambito  comunitario»  con la conseguenza che la normativa interna
«si  uniforma»  a  quella  comunitaria  (da  ultimo:  Corte cost., 23
novembre 2007, n. 401) di cui costituisce attuazione.
   E'  noto  che  le  norme  d'attuazione  non esprimono un indirizzo
politico  proprio  dell'organo o soggetto che le pone, ma recepiscono
quello  altrui  che  e' inderogabilmente stabilito nelle norme di cui
sono   appunto   l'attuazione,  ed  in  tal  senso  si  e'  affermato
l'orientamento  di  codesta Corte costituzionale con riferimento alla
potesta'  legislativa  regionale  d'attuazione  delle  leggi  statali
(previgente  art.  117,  ultimo  comma,  Cost.; ma vedi anche Statuto
Sardegna,  art. 5, lettera d); Statuto Friuli-Venezia Giulia, art. 6,
n. 3).   Si   e'  chiarito  che  l'attuazione  puo'  comportare  solo
«l'adozione    di    norme    esecutive    (secundum   legem)»,   con
l'impossibilita'  di  spingersi  sino  a  norme «integrative (praeter
legem),   tali  cioe'  da  ampliare,  senza  derogarli,  i  contenuti
normativi  espressi  attraverso  la  legislazione»  da attuare (Corte
cost.,  8  maggio  1990,  n. 227)  ed a fortiori si soggiunge che «il
potere di emanare norme d'attuazione esclude la facolta' di apportare
deroghe  o  modificazioni»  (Corte cost., 12 aprile 1990, n. 181, cui
adde Id., 16 marzo 1990, n. 122 e 24 ottobre 2001, n. 344).
   D)  L'indicata  chiarezza  di  nozioni  assume rilievo nel caso in
esame  con  riferimento  al  rapporto  fra  disciplina comunitaria in
materia di concorrenza ed art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008,
cit.  il  quale esprimendo una prevalenza o preferenza per il mercato
nell'organizzazione  della  gestione  del  servizio  pubblico  locale
risulta  in contrasto con l'indirizzo comunitario sulla concorrenza e
conseguentemente con l'ambito riservato alla disciplina nazionale che
non  puo' non essere considerato che d'attuazione o ricezione di tale
indirizzo europeo (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.).
   Nessuna  delle  disposizioni  comunitarie vigenti infatti impone -
come  invece  pretende  l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008,
cit. ai suoi commi secondo e terzo - agli Stati membri l'attribuzione
ad  imprese terze come forma ordinaria o preferenziale di affidamento
dei  servizi  pubblici  locali, relegando ai soli casi d'eccezione il
ricorso alla diversa ed alternativa forma dell'in house providing. Al
contrario si puo' affermare che la legislazione comunitaria lasci gli
Stati  membri  liberi  di  decidere se fornire i servizi pubblici con
un'organizzazione propria (cosiddetto in house providing) o affidarne
la  fornitura  ad  imprese terze. L'art. 23-bis, decreto-legge n. 112
del 2008, cit. ai suoi commi 2 e 3 e' disciplina statale che esorbita
e  dunque  non  trova  fondamento  nella  riserva costituzionale alla
legislazione   statale   esclusiva   della   materia   «tutela  della
concorrenza»   (art.   117,   secondo   comma,  lettera  e),  Cost.),
quest'ultima  intesa  come  disciplina  d'attuazione  della normativa
comunitaria in materia (art. 117, primo comma, Cost.).
   E)  La  forma  di  gestione  denominata  in  house providing trova
ragione in quell'interpretazione della giurisprudenza comunitaria che
ha   introdotto  un'ulteriore  ipotesi  di  organizzazione  a  fianco
dell'organismo   di   diritto  pubblico,  anch'essa  sottoposta  alla
disciplina  prevista  per lo «Stato e gli enti pubblici territoriali»
(artt.  86 e 87, Trattato). Tale forma di gestione e' espressione del
potere  d'organizzazione  delle  pubbliche amministrazioni: il legame
che unisce l'amministrazione territoriale all'ente in house providing
vale  ad escludere l'esperimento di procedure ad evidenza pubblica ed
a  giustificare  l'affidamento diretto dei servizi all'organizzazione
in  house  che,  pur formalmente esterna rispetto all'amministrazione
controllante,  e'  dall'amministrazione  strettamente  controllata in
ragione  del  requisito  del «controllo analogo» e della destinazione
prevalente  all'amministrazione  controllante  dell'attivita'  svolta
dalla controllata.
   Per tali due essenziali ragioni l'organizzazione in house e' dalla
giurisprudenza    comunitaria   sottratta   alla   disciplina   della
concorrenza nella scelta del gestore (da ultimo Corte di Giustizia Ce
17  luglio  2008,  in  causa  C-371/05,  Commissione Ce c. Repubblica
italiana),  proprio perche' questi e' parte dell'organizzazione della
controllante,  non  puo'  svolgere  attivita'  per  il mercato in via
prevalente,  sicche' non puo' essere considerata un'impresa di terzi,
dunque non e' mercato.
   Organizzazione in house che da tempo l'ordinamento italiano assume
quale  forma  di  gestione  ed  affidamento del servizio unitamente a
quelle  realizzate  da  societa'  scelta con gara e da societa' mista
(art.   113,   comma   5,   d.lgs.  n. 267  del  2000,  cit.).  Anche
nell'ordinamento   interno  la  nozione  di  «controllo  analogo»  e'
riferita  alla  struttura,  ai poteri di comando riconosciuti ai soci
pubblici,  al  contesto  istituzionale e di mercato in cui gli stessi
operano.   L'eventuale   parcellizzazione  delle  quote  di  capitale
sociale,  pur  non  impedendo  il  permanere  di un rapporto in house
providing  tra  l'ente  affidatario ed i soci affidanti, impone che a
questi  ultimi  siano attribuiti poteri di comando e d'organizzazione
idonei   a  condizionare  le  scelte  del  produttore  in  house  con
necessita' di verificare (e provare) l'esistenza di poteri analoghi a
quelli  che  gli  enti  affidanti hanno verso i propri servizi. Resta
fermo   che   il   rapporto   in  house  providing  giova  solo  alle
amministrazioni  aggiudicatici  che partecipino al controllo analogo,
mentre  ad altri enti pubblici - seppur partecipi al capitale sociale
- e'  precluso  senza  gara  ogni  affidamento  all'organizzazione in
house.
   F)  Osservata  la  disciplina  sulla  concorrenza,  l'opzione  tra
modalita'   di   gestione  del  servizio  pubblico  locale  tra  esse
alternative  e' una tipica scelta d'organizzazione, in particolare di
buon  andamento  del servizio pubblico (art. 97, primo comma, Cost.),
che  proprio  in  quanto  organizzazione  locale  e non nazionale dei
servizi  oggetto  della  disciplina  dell'art.  23-bis, decreto-legge
n. 112  del  2008,  cit.,  non  puo'  riconoscersi  alla legislazione
statale,  ma  spetta  alla  legislazione regionale ai sensi dell'art.
117,  quarto  comma,  Cost.  seppure  nel  rispetto  di una eventuale
specifica  disciplina degli enti territoriali minori (art. 117, sesto
comma,   Cost.),   con   conseguente   illegittimita'  costituzionale
dell'art.   23-bis, decreto-legge   n. 112   del  2008,  cit.  ove  -
esprimendo  una prevalenza o preferenza ordinaria dell'affidamento ad
imprese    terze    (comma    secondo   e   terzo)   -   pone   norme
sull'organizzazione della gestione dei servizi pubblici locali.
   E'  noto  che  alle  regioni  e' riconosciuta la legittimazione ad
impugnare  le  leggi  statali  in via diretta non solo a tutela della
propria  legislazione  ma  anche  con il riferimento alla prospettata
lesione da parte della legge nazionale della potesta' normativa degli
enti territoriali, con affermazione della regione come ente di tutela
avanti   alla  Corte  costituzionale  del  «sistema  regionale  delle
autonomie territoriali» (art. 114, secondo comma, Cost.) che e' stato
riconosciuto sia in generale (Corte cost., 17 maggio 2007, n. 169, 21
marzo 2007, n. 95, 14 novembre 2005, n. 417, 28 giugno 2004, n. 196),
sia  con  specifico  riferimento  alla disciplina statale dei servizi
pubblici  locali privi di rilevanza economica (Corte cost., 27 luglio
2004, n. 272, § 4).
   F)  L'art.  23-bis, decreto-legge  n. 112  del  2008,  cit.,  apre
richiamando  come  propria fonte di legittimazione la «determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e  sociali»  (art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.), ma occorre
ricordare  che  la  disciplina  dello  stesso art. 23-bis, cit. e' in
tutto  o  in parte sostitutiva dell'art. 113, d.lgs. n. 267 del 2000,
cit. (art. 23-bis, comma 10), sicche' e' agevole concludere anche per
le  disposizioni in esame quanto e' stato riferito alle preesistenti,
le  quali  sono  state  ritenute  estranee  alla indicata materia dei
livelli  essenziali  delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali  poiche' hanno ad oggetto unicamente le forme di gestione dei
servizi  pubblici a rilevanza economica e non le prestazioni che tali
forme  giuridiche  -  una  volta  prescelte - debbono assicurare agli
utenti (Corte cost., sent. n. 272 del 2004, cit., § 3).
   Ne'  rileva  la potesta' esclusiva statale in materia di «funzioni
fondamentali  di  comuni, province e citta' metropolitane» [art. 117,
secondo comma, lettera p)] «giacche' la gestione dei predetti servizi
non  puo'  certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed
indefettibile  dell'ente locale» (Corte cost., sent. n. 272 del 2004,
cit., § 3).
2)  Violazione  dell'art.  117,  commi primo, secondo, terzo, quarto,
Cost.  e  degli  articoli  3  e 97, Cost. Violazione della competenza
legislativa  regionale.  Violazione  dei  principi  costituzionali di
autorganizzazione   e  di  buon  andamento  dell'amministrazione,  di
autonomia    normativa    nella   disciplina   delle   funzioni,   di
ragionevolezza.
   A)  L'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. qui oggetto
di  impugnazione - dopo avere indicato come forma prevalente («in via
ordinaria»: comma 2) il solo affidamento del servizio pubblico locale
ad imprese terze secondo procedure competitive ad evidenza pubblica -
ribadisce che la forma di gestione denominata in house providing puo'
essere  adottata  dall'ente  locale solo «in deroga alle modalita' di
affidamento  ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa
di   peculiari  caratteristiche  economiche,  sociali,  ambientali  e
geomorfologiche   del   contesto  territoriale  di  riferimento,  non
permettono un efficace e utile ricorso al mercato» (comma 3).
   L'art.  23-bis,  comma  4,  cit.  prevede inoltre che solo in tale
ultimo  caso  «l'ente  affidante  deve dare adeguata pubblicita' alla
scelta,   motivandola   in   base   ad   un'analisi   del  mercato  e
contestualmente  trasmettere una relazione contenente gli esiti della
predetta  verifica  all'Autorita'  garante  della  concorrenza  e del
mercato  e alle autorita' di regolazione del settore, ove costituite,
per  l'espressione  di un parere sui profili di competenza da rendere
entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione».
   Le  norme  dell'art.  23-bis,  che  disciplinano l'affidamento del
servizio  pubblico  locale  nella  forma  organizzativa dell'in house
providing  (commi  3  e  4,  cit.)  risultano  inoltre  lesive  della
competenza  delle  regioni  e degli enti locali ove le s'intenda come
disciplina  ulteriore  rispetto  a  quella  generale sul procedimento
amministrativo  che  da  tempo prevede il dovere di motivazione degli
atti  amministrativi  (art.  3, legge 7 agosto 1990, n. 241), secondo
molti posto in attuazione del principio costituzionale di motivazione
delle  scelte  della amministrazioni pubbliche quanto meno nella cura
di pubblici interessi (art. 97, Cost.).
   Trovandosi  infatti la pubblica amministrazione locale a scegliere
tra  due  forme individuate dalla legge come tra esse alternative per
l'affidamento  della titolarita' della gestione del servizio pubblico
locale,  non  vi  e' dubbio che occorra dare una congrua ed esaustiva
motivazione  sia  della  scelta di rivolgersi al mercato, cioe' ad un
impresa  terza  osservando  la  disciplina  sulla  concorrenza  (art.
23-bis,  secondo  comma,  sia  ove  siano  scelti  altri strumenti di
organizzazione  del  servizio  pubblico locale ritenuti conformi alla
disciplina  comunitaria  (art.  23-bis, comma 3), tra i quali e' noto
l'affidamento in house providing.
   I  commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008,
cit.  ove  intesi  come  norme in deroga alla disciplina generale sul
procedimento  e  la  motivazione  degli  atti  amministrativi sono da
ritenersi in violazione del principio di ragionevolezza (arg. ex art.
3, secondo comma Cost.), poiche' non e' ravvisabile nel caso in esame
alcun interesse pubblico prevalente capace di fondare sia l'esenzione
dal generale dovere di motivazione per l'affidamento ad imprese terze
(art.  23-bis,  secondo comma), sia viceversa la limitazione dei casi
sui  quali  puo'  essere portata la motivazione a fondamento di altre
soluzioni organizzative in particolare per l'in house providing (art.
23-bis, comma terzo e quarto).
   Fuori  da  tali  ipotesi  l'art.  23-bis, decreto-legge n. 112 del
2008,  cit.  ai suoi commi terzo e quarto si risolve in una norma che
limita   i   presupposti  di  affidamento  in  house  della  gestione
dell'organizzazione   dei   servizi   pubblici  «locali»  degli  enti
territoriali,  con una cieca preferenza per il mercato, invadendo per
cio'  la  competenza normativa di regioni ed enti territoriali minori
(art. 117, comma quarto e sesto, Cost.) sull'autonoma definizione del
buon   andamento   dell'organizzazione  della  gestione  dei  servizi
pubblici locali.
   L'invasione  nella  sfera  di  competenza  regionale  e degli enti
territoriali minori e' addirittura enfatizzata dalla precisazione che
le   indicate  disposizioni  (commi  2,  3,  4,  art.  23-bis,  cit.)
«prevalgono»   su   tutte   le   «discipline   di  settore  con  esse
incompatibili»  (comma  1,  ult. frase, art. 23-bis, cit.), dunque su
tutte le discipline di settore regionali, in particolare quelle della
Regione Piemonte sul servizio idrico integrato della (legge regionale
13  dicembre  1997,  n. 13)  e  sul  sistema  integrato di raccolta e
smaltimento  dei  rifiuti  solidi  urbani (legge regionale 24 ottobre
2002,  n. 24)  che  non  limitano  affatto  la scelta tra le forme di
gestione dei servizi compatibili con il diritto comunitario.
   Ne  deriva quindi che l'intervento legislativo statale costituisce
insanabile  lesione  della sfera di competenza della Regione Piemonte
con  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  23-bis, decreto-legge
n. 112  del 2008, cit. ai commi 1, 2, 3 e 4 ove preclude alla regione
ogni   scelta   d'organizzazione   su  un  punto  qualificante  della
disciplina  dei servizi pubblici locali (regionali e degli altri enti
territoriali),  in  particolare impedendo alla regione di stabilire e
disciplinare    una   previa   valutazione   comparativa   da   parte
dell'amministrazione  fra  tutte  le  possibili opzioni per la scelta
della forma di gestione.
   B)  Non  e'  da  escludere  che  dell'art.  23-bis,  commi  1 e 4,
decreto-legge    n. 112    del    2008,   cit.   si   possa   offrire
un'interpretazione  adeguatrice  capace  di  sorreggere  una sentenza
interpretativa   di  rigetto  della  questione  di  costituzionalita'
proposta  ove  s'intenda  che  tali  disposizioni  non deroghino alla
disciplina   generale   sul   procedimento   amministrativo,  dovendo
l'amministrazione  motivare  qualunque scelta della forma di gestione
del  servizio  pubblico locale, attraverso una comparazione tra tutte
quelle  compatibili  con l'ordinamento comunitario ed offrendo infine
la   giustificazione  in  concreto  della  forma  prescelta,  secondo
un'interpretazione  che  espunge  dalle  norme qualsiasi preferenza o
prevalenza in astratto di una forma di gestione sull'altra.
   C)  Permarrebbe  comunque l'illegittimita' costituzionale parziale
dell'art.  23-bis,  commi 3 e 4, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.,
per  avere  il  legislatore  statale  invaso  la  sfera di competenza
normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi
nella  definizione  dello  svolgimento delle funzioni loro attribuite
(art. 117, commi quarto e sesto, Cost.) poiche' una parte della norma
prevede  una  disciplina  particolare del procedimento di affidamento
della gestione a soggetti diversi dagli operatori di mercato, tra cui
l'in house providing.
   In  particolare  l'art.  23-bis, comma 3, decreto-legge n. 112 del
2008,  cit.,  impone  infatti  una  specifica  disciplina generale ed
astratta  dei  presupposti  di  affidamento  in  house  del  servizio
pubblico  locale di rilevanza economica, con il riferimento esclusivo
a  «situazioni  che, a causa di peculiari caratteristiche economiche,
sociali,  ambientali  e  geomorfologiche del contesto territoriale di
riferimento,  non  permettono un efficace e utile ricorso al mercato»
(comma  3).  Dispone  inoltre  una  particolare attivita' istruttoria
avente  ad  oggetto una specifica «analisi di mercato» su cui offrire
una  congrua  motivazione  ed  addirittura  una  specifica  «adeguata
pubblicita' » (comma 4).
   E'  infine  data  ancora  una  triplice  prescrizione,  del  tutto
particolari  e specificamente dedicate al procedimento di affidamento
della  gestione  a  soggetti diversi dagli operatori di mercato - tra
cui  l'in  house  providing.  Anzitutto l'invio all'Autorita' garante
della  concorrenza e del mercato ed alle Autorita' di regolazione del
settore  di  una  «relazione  contenente  gli  esiti dell'intervenuta
analisi  di  mercato»,  sulla  quale  deve intervenire un «singolare»
parere  obbligatorio  dell'Autorita'  garante della concorrenza e del
mercato  ed  altro parere obbligatorio delle autorita' di regolazione
del  settore  «sui  profili di competenza» entrambi da rendere «entro
sessanta  giorni dalla ricezione della predetta relazione» (comma 4),
innovando    la   disciplina   generale   sull'attivita'   consultiva
dell'Autorita'  garante  della  concorrenza e del mercato che prevede
unicamente  un'attivita'  consultiva  facoltativa, su richiesta delle
amministrazioni  o  su  iniziativa  dell'Autorita' (art. 22, legge 10
ottobre 1990, n. 287).
   Non  solo  l'art.  23-bis, commi 3 e 4 e' viziato d'illegittimita'
costituzionale  parziale  per  avere  invaso  la  sfera di competenza
normativa della Regione Piemonte e degli enti territoriali piemontesi
nella  definizione  dello svolgimento della funzione (art. 117, commi
quarto  e  sesto, Cost.) d'affidamento dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, ma cio' e' avvenuto con norme di dettaglio cosi'
puntuali  che  non  sarebbero  neppure compatibili per una competenza
esclusiva  dello  Stato  (v.  infra  § n. 5) e in violazione del
principio di ragionevolezza (ex art. 3, secondo comma, Cost.) poiche'
della legge impugnata non si comprendono le ragioni di una disciplina
differenziata  per  l'ambito  locale  dei pubblici servizi rispetto a
quella   generalmente   prevista   per   l'Autorita'   garante  della
concorrenza   e  del  mercato  ed  in  genere  per  le  autorita'  di
regolazione.
3)  Violazione  dell'art.  117,  commi primo, secondo, terzo, quarto,
Cost.  con  riferimento  agli  articoli 114, 117, sesto comma, e 118,
commi primo e secondo, Cost. Violazione dell'autonomia costituzionale
degli enti territoriali.
   A)  Da  tempo  la  Corte  costituzionale  ha  riconosciuto che «le
regioni  sono  legittimate  a  denunciare  la  legge  statale  per la
violazione  di  competenze degli enti locali» poiche' di per se' tale
violazione  e'  «potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione
delle  competenze  regionali» (Corte cost. 17 maggio 2007, n. 169, 21
marzo  2007, n. 95, 14 novembre 2005, n. 417, 28 giugno 2004, n. 196;
Corte cost., 27 luglio 2004, n. 272, § 4).
   E'  l'autonomia costituzionale propria e dell'intero sistema degli
enti  locali che la Regione Piemonte intende oggi difendere di fronte
ad  un  intervento  legislativo  statale  che  vorrebbe  limitare  la
capacita'  d'organizzazione e di autonoma definizione normativa dello
svolgimento  delle  funzioni  di  affidamento  dei  servizi  pubblici
locali,   la   stessa   autonomia   di   regioni,   province,  citta'
metropolitane  e  comuni  (art.  114,  Cost.)  che riconosciuta anche
dall'Unione europea (art. 5, Trattato).
   Il  cosiddetto valore costituzionale o materia trasversale «tutela
della  concorrenza»  presuppone  anche  per  il legislatore nazionale
l'esistenza di un mercato quale oggetto di tutela (Corte di Giustizia
Ce,  6  aprile  2006,  in  causa  C-410/04,  ANAV c. Comune di Bari),
definizione  di  mercato  che  pero'  non raggiunge gli spazi interni
dell'organizzazione pubblica (Corte costituzionale, 15 novembre 2004,
n. 345; Id., 26 gennaio 2004, n. 36).
   La  scelta  delle  forme  di  gestione ed affidamento del servizio
pubblico  deve  informarsi  -  entro  i limiti della disciplina sulla
concorrenza  - a valutazioni di efficienza, efficacia ed economicita'
che  ciascuna  organizzazione  pubblica  non  puo'  che esprimere con
riferimento ai proposti standard di qualita' che intende offrire agli
utenti,  involgendo percio' questioni di pura autorganizzazione degli
enti  territoriali,  della  cui  autonomia  vi  e' diretto fondamento
costituzionale  (art.  5,  114,  117,  commi quarto, sesto, art. 118,
Cost.).
   C)  Nel  contesto  dell'ordinamento  italiano  e' incostituzionale
un'interpretazione   dell'ordinamento   europeo   nel  senso  di  una
«concorrenzialita' totale» che ritenga sempre imposto alle regioni ed
agli enti locali l'attribuzione dei propri servizi ad imprese terze e
riduca  le  altre  forme  e  tra  queste il cd. in house providing di
derivazione  comunitaria  a  mera  ipotesi d'eccezione in presenza di
determinate  situazioni  da motivare puntualmente (art. 23-bis, commi
2, 3, 4, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.).
   La  disciplina  statale  qui  impugnata  incide direttamente nella
materia  di  competenza  legislativa  regionale  del  buon  andamento
dell'amministrazione nella gestione dei servizi pubblici locali (art.
117,  commi  quarto, sesto, art. 118, art. 97, Cost.), ma addirittura
perviene a limitare la capacita' di autorganizzazione della regione e
degli   stessi   enti   territoriali,   comprimendo  illegittimamente
l'autonomia  pubblica  conferita  ad essi dalla Costituzione italiana
(articoli 114, 117, 118, commi primo e secondo, Cost.).
   La  garanzia  costituzionale  delle  regioni  e  degli  altri enti
territoriali  (in  particolare, comuni e province) non puo' tollerare
dunque  alcun  obbligo  di  legge statale statali di preferenza verso
«1'esternalizzazione»  dei  servizi  pubblici  locali,  disciplinando
direttamente  l'organizzazione  di quest'ultimi invece che la propria
amministrazione pubblica (Corte cost. 16 gennaio 2004, n. 16; Id., 27
luglio 2004, n. 272).
   La   legislazione   statale   puo'   legittimamente   imporre  una
determinata forma di gestione di un servizio pubblico solo procedendo
in   via   preliminare   ad   avocare   allo   Stato   la  competenza
sull'organizzazione  della  gestione  dei  servizi sinora considerati
locali (es. idrico integrato, raccolta dei rifiuti solidi urbani) sul
presupposto  che  l'esercizio  unitario  di tali servizi sia divenuto
ottimale  solo  a  livello  d'ambito  statale (art. 118, primo comma,
Cost.).   La   disciplina   in   esame   pertanto   e'  da  ritenersi
costituzionalmente  illegittima  per  difetto  di tale qualificazione
nazionale   dei   servizi   che  restando  locali  per  sua  espressa
qualificazione (art. 23-bis, in rubrica, commi 1, 2, ecc.) segnano la
denunciata  invasione  della sfera di competenza normativa in materia
di organizzazione e svolgimento delle funzioni della Regione Piemonte
e  degli  enti territoriali piemontesi, poiche' nega illegittimamente
l'autonomia    costituzionale   di   tali   enti   nel   suo   nucleo
imprescindibile  della  capacita' di darsi un'organizzazione idonea a
soddisfare   i  bisogni  sociali  del  suo  territorio,  cioe'  della
popolazione   residente  che  ne  e'  l'elemento  costitutivo  ed  in
particolare  per  la Regione Piemonte si evidenzia la diretta lesione
della propria potesta' legislativa residuale (art. 117, quarto comma,
Cost.)  in  materia di buon andamento dell'organizzazione dei servizi
pubblici  locali  (regionali  e degli altri enti territoriali) ove e'
precluso  alla  regione  ogni  spazio  di  regolazione in ordine alla
scelta  -  preliminare  e  fondamentale  -  se  rivolgersi al mercato
(imprese   terze)  oppure  a  cio'  che  mercato  non  e'  (in  house
providing).
4)  Violazione  dell'art.  117,  commi  quarto  e  sesto,  Cost.  con
riferimento alla potesta' regolamentare delle regioni.
   A)  Proprio  perche'  la  legge  impugnata  esorbita  e  non trova
fondamento nelle riserve costituzionali di potesta' statale esclusiva
(art.  117,  secondo  comma  ,  Cost.)  con  invasione della sfera di
competenza    delle    regioni   in   materia   di   buon   andamento
nell'organizzazione  dei  servizi  pubblici  locali (art. 117, quarto
comma,  Cost.),  consegue che l'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del
2008,  cit. non poteva neppure autorizzare il Governo all'adozione di
un  regolamento di delegificazione ove in particolare «armonizzare la
nuova  disciplina  e quella di settore applicabile ai diversi servizi
pubblici  locali,  individuando  le norme applicabili in via generale
per  l'affidamento  di  tutti  i servizi pubblici locali di rilevanza
economica  in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas,
nonche' in materia di acqua» (decimo comma, art. 23-bis, cit.).
   La  potesta'  regolamentare  «spetta  allo  Stato nelle materie di
legislazione  esclusiva»,  «alle regioni in ogni altra materia» (art.
117,  sesto comma Cost.), con illegittimita' costituzionale dell'art.
23-bis,  comma 10, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. per violazione
dell'art. 117, commi primo, secondo, terzo, quarto, sesto, Cost.
5)  Violazione  dell'art.  117,  secondo comma, Cost. con riferimento
all'art. 3, Cost. Difetto comunque di proporzionalita' ed adeguatezza
della  disciplina  statale  ove la stessa sia ritenuta a tutela della
concorrenza.
   A)   La   Corte   costituzionale   ha  riconosciuto  che  solo  le
disposizioni  di legge statale a «carattere generale che disciplinano
le  modalita' di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali
di  rilevanza economica» (in specie art. 113, d.lgs. n. 267 del 2000,
cit.)  trovano  il  proprio «titolo di legittimazione» nell'art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost. («tutela della concorrenza») e «solo
le  predette  disposizioni  non  possono  essere  derogate  da  norme
regionali» (Corte costituzionale, sent. n. 272 del 2004, cit.).
   La  Corte  ha  sottoposto  tali  disposizioni  di  legge statale a
scrutinio  in ragione del criterio di proporzionalita' ed adeguatezza
che  e'  «essenziale  per  definire  l'ambito  di  operativita' della
competenza   legislativa   statale   attinente  alla  ''tutela  della
concorrenza''   e   conseguentemente  la  legittimita'  dei  relativi
interventi  statali» poiche' tale materia «trasversale» «si intreccia
inestricabilmente  con una pluralita' di altri interessi - alcuni dei
quali  rientranti  nella  sfera di competenza concorrente o residuale
delle  regioni  -  connessi  allo  sviluppo  economico-produttivo del
Paese»  (Corte  costituzionale,  sent. n. 272 del 2004, cit. cui adde
Id., sent. n. 401 del 2007, cit.).
   Scrutinio all'esito del quale la Corte costituzionale ha annullato
l'art.  113,  comma  8,  d.lgs.  n. 267 del 2000, cit. ove definiva i
criteri  di  aggiudicazione  della  gara per l'affidamento di servizi
pubblici  locali di rilevanza economica con disposizione «dettagliata
ed  autoapplicativa»,  «integrativa  delle  discipline  settoriali di
fonte  regionale»  la  quale realizzava «una illegittima compressione
dell'autonomia  regionale» in quanto l'intervento legislativo statale
risultava «ingiustificato e non proporzionato rispetto all'obbiettivo
della  tutela  della concorrenza» (Corte costituzionale, sent. n. 272
del 2004, cit.).
   Il  legislatore  statale  all'art. 113, comma 8, d.lgs. n. 267 del
2000,  cit.,  poi  dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale,
autoqualificava  le  proprie  disposizioni  come  «integrative  delle
discipline  di  settore», a fortiori il ragionamento d'illegittimita'
puo'  essere esteso alla legge statale qui impugnata che - affermando
senz'altro  la  «prevalenza»  delle  proprie disposizioni sulle leggi
regionali  (art.  23-bis,  comma  1, decreto-legge   n. 112 del 2008,
cit.)  -  configura  molto  piu' di una «integrazione» prevedendo una
vera  e propria sostituzione della disciplina preesistente di settore
di fonte regionale o locale.
   A maggior ragione, dunque, le disposizioni in esame (commi 2, 3, e
4,  art.  23-bis,  cit.)  ledono  l'autonomia  regionale o degli enti
territoriali   piemontesi  ove  si  ritenga  che  esse  costituiscano
esercizio  di  potesta' esclusiva statale in materia di «tutela della
concorrenza»  (art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),  Cost.), con
conseguente loro illegittimita' costituzionale.
   Occorre   infatti  riconoscere  che  l'art.  23-bis, decreto-legge
n. 112   del   2008,   cit.   pone   una   disciplina  immediatamente
autoapplicativa  ove  senz'altro  pone  un  criterio  o  principio di
preferenza  nell'attribuzione  ad  imprese terze dei servizi pubblici
locali  poiche' la qualifica senz'altro come forma «ordinaria» (commi
2,  3)  e  riduce  le  altre  soluzioni organizzative compatibili con
l'ordinamento  comunitario  -  tra  cui l'in house providing - a mere
eccezioni  determinando puntualmente e tassativamente le «situazioni»
che  sole  possono  giustificare  tale  forma di gestione: «peculiari
caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del
contesto territoriale di riferimento che non permettono un efficace e
utile ricorso al mercato» (comma 3).
   Elencazione  minuziosa  che  tuttavia  non  contempla  le  ragioni
d'organizzazione  che possono assumere interesse per l'affidamento di
un  determinato servizio pubblico locale, sicuramente per il servizio
idrico  integrato  ove  i diversi segmenti di acquedotto, fognatura e
depurazione  debbono  essere  riuniti  in  ciclo completo delle acque
secondo  la  ratio della disciplina di settore (prima legge 5 gennaio
1994, n. 36, poi d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) che da tempo impone il
superamento  della  frammentazione  per  segmenti  e  per  territorio
nell'erogazione  del  servizio,  ai  fini  del  raggiungimento di una
gestione  del  servizio idrico integrato che sia capace di riunire in
dimensioni sovracomunali il ciclo delle acque.
   Proprio   le   ragioni  organizzative  (riunificazione  del  ciclo
completo delle acque in capo ad unico gestore) - fra le altre - hanno
reso  necessario  l'affidamento  del  servizio  idrico  integrato  ad
organizzazioni  in  house  providing  nel  territorio  della  Regione
Piemonte  (cfr.  deliberazioni  Autorita' d'Ambito n. 3 «Torinese» 27
maggio  2004,  n. 173  e  13  dicembre  2007,  n. 296,  con cui si e'
affidato  alla societa' a capitale interamente pubblico SMAT S.p.a. -
ai  sensi dell'art. 113, comma 5, lettera c), d.lgs. n. 267 del 2000,
cit.  -  la  titolarita' della gestione del servizio idrico integrato
per la totalita' dell'ambito territoriale ottimale n. 3 «Torinese»).
6)  Violazione  dell'art.  117, commi secondo e sesto, Cost., nonche'
del principio di ragionevolezza e leale collaborazione (art. 3 e 120,
Cost.).
   A)  Poiche'  in  materia  di tutela della concorrenza lo Stato non
puo'  porre  per legge una disciplina dettagliata, autoapplicativa ed
in  sostituzione  delle fonti regionali, tale divieto non puo' essere
eluso  ponendo  per  regolamento  governativo una disciplina con tali
caratteristiche.
   E'  dunque  lesivo  dell'autonomia  regionale  anche il successivo
comma  10,  dell'art.  23-bis,  cit.  ove  si  autorizza  il  Governo
all'adozione  di  un  regolamento  che  dovra'  «armonizzare la nuova
disciplina  e  quella  di  settore  applicabile  ai  diversi  servizi
pubblici  locali,  individuando  le norme applicabili in via generale
per  l'affidamento  di  tutti  i servizi pubblici locali di rilevanza
economica  in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas,
nonche' in materia di acqua».
   La  disposizione che autorizza il governo a disciplinare con norma
amministrativa  l'attuazione  della  disciplina sulla concorrenza dei
servizi    pubblici    locali    e'   da   considerarsi   illegittima
costituzionalmente  per  violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost.
con  riferimento  all'art. 3 e 120 Cost., poiche' l'enunciato secondo
il  quale  «la potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle materie
di  legislazione  esclusiva, salva delega alle regioni», non puo' non
contemplare in quest'ultima ipotesi la disciplina regolamentare sulla
concorrenza  qualora  la stessa sia dalla legge autorizzante limitata
ai  servizi  pubblici  locali,  in  conformita' al principio di leale
collaborazione  tra  enti  ad  autonomia  costituzionalmente tutelata
(art. 114, primo comma Cost.).
   B)  La  clausola  di  autorizzazione e' inoltre costituzionalmente
illegittima   poiche'   prefigura  una  disciplina  regolamentare  di
particolare   dettaglio  che  si  dovrebbe  affermare  -  a  fini  di
«armonizzazione»  - rispetto a tutte le altre fonti «di settore», ivi
comprese quelle regionali.
   Infatti,  stabilire  «le  norme  applicabili  in  via generale per
l'affidamento  di  tutti  i  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica»   non  significa  altro  che  porre  sul  punto  l'intera,
esaustiva  disciplina  per  ottenere l'effetto di «armonia» nel senso
voluto dallo Stato.
   Una  volta  ritenuto che «l'intervento del legislatore statale sia
riconducibile  alle  esigenze» della tutela della concorrenza ex art.
117,  secondo  comma,  lettera  e),  Cost.,  «allo stesso legislatore
spetta  il potere di dettare la relativa regolamentazione del settore
anche  con  norme  di dettaglio poste da disposizioni regolamentari»,
fermo  restando pero' che «tale complessiva disciplina» deve superare
«positivamente,  in  relazione  alle  specifiche  disposizioni che di
volta  in volta vengono in rilievo, il vaglio di costituzionalita' in
ordine  al  rispetto  dei  criteri di adeguatezza e proporzionalita'»
(Corte costituzionale, sent. n. 401 del 2007, cit.).
   Veramente  non pare possibile ritenere adeguato e proporzionale un
intervento  statale  (per  legge  e  regolamento)  che rechi l'intera
disciplina sugli affidamenti dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica,  ad  esclusione  di  ogni  spazio  di  regolazione  per le
regioni.
   C)  L'indicato regolamento sara' approvato dal Governo «sentita la
Conferenza  unificata  di  cui  all'art. 8 del decreto legislativo 28
agosto  1997,  n. 281»,  anziche'  previa  intesa con tale Conferenza
(art. 23-bis, comma 10, cit.).
   La   previsione   viola   il  principio  costituzionale  di  leale
collaborazione  (art.  120,  Cost.)  ed  e' quindi costituzionalmente
illegittima  poiche'  non  pare  comunque sufficiente un parere della
Conferenza  unificata  sul regolamento di delegificazione destinato a
completare l'intera disciplina sugli affidamenti dei servizi pubblici
locali  ove  sarebbe stata invece necessaria una previa intesa con la
Conferenza essendo indubbio nel caso in esame «il forte intreccio con
competenze  regionali»  che  costituisce  ragione utile a limitare la
discrezionalita'    del    legislatore   statale   sulle   forme   di
«coinvolgimento  delle regioni nella fase di esercizio della potesta'
regolamentare dello Stato sulle materie riservate alla sua competenza
legislativa  esclusiva» (Corte costituzionale, sent. n. 401 del 2007,
cit.).
7)  Violazione  dell'art. 117, secondo comma, art. 114 e 41 Cost. con
riferimento all'art. 3, Cost.
   A)  La  legislazione  statale  che  pone  norme  transitorie sugli
affidamenti  di  servizi pubblici locali deve rispondere «a finalita'
garantistiche  della  concorrenza»  e  comunque deve essere sindacata
sotto  il  profilo  della  ragionevolezza,  in  particolare secondo i
criteri  di  adeguatezza  e  proporzionalita'  (Corte costituzionale,
sent.  n. 272  del  2004,  cit.  con  riferimento all'art. 113, comma
15-bis, d.lgs. n. 267 del 2000, cit.).
   Cessano  «comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006»
-  senza  necessita' di apposita deliberazione dell'amministrazione -
gli  affidamenti  di  servizi  pubblici locali di rilevanza economica
disposti  «con  procedure  diverse dall'evidenza pubblica» (art. 113,
comma 15-bis, d.lgs. n. 267 del 2000, cit., come modificato dall'art.
14,  comma  1, decreto-legge  30  settembre 2003, n. 269, conv. dalla
legge 24 novembre 2003, n. 326).
   L'art.   15, decreto-legge   4  luglio  2006,  n. 223,  nel  testo
introdotto  dalla  legge  di  conversione  4 agosto 2006, n. 248 - ad
ulteriore  integrazione  e modificazione dell'art. 113, comma 15-bis,
d.lgs.  n. 267  del 2000, cit. - ha prorogato prima della scadenza al
31  dicembre  2007  l'indicato  termine  di  cessazione  per  i  soli
affidamenti di servizio idrico integrato.
   La   legge   statale  qui  impugnata  stabilisce  invece  che  «le
concessioni  relative  al  servizio  idrico  integrato rilasciate con
procedure diverse dall'evidenza pubblica cessano comunque entro e non
oltre  la  data  del  31  dicembre 2010, senza necessita' di apposita
deliberazione  dell'ente affidante» escludendo da tale cessazione «le
concessioni  affidate  ai  sensi  del  comma  3»,  nei quali non sono
compresi  e dunque rimangono soggetti al termine del 31 dicembre 2010
gli  affidamenti  in  house  providing affidati non secondo i vincoli
ulteriori   di   istruttoria   e  motivazione  previsti  dalla  nuova
disciplina  (comma  8,  art.  23-bis, decreto-legge  n. 112 del 2008,
cit.).
   B)  L'indicata  disposizione  transitoria  per  il servizio idrico
integrato  (comma  8, art. 23-bis, cit.) e' nella parte riferita agli
affidamenti   ad   imprese   terze  una  norma  incostituzionale  per
violazione   del   principio   di  ragionevolezza  e  di  concorrenza
comunitaria  che la stessa proclama di voler affermare ed addirittura
di voler superare, poiche' la stessa si configura come ennesima (art.
35,  legge  28 dicembre 2000, n. 448; art. 14, comma 1, decreto-legge
n. 269  del 2003, cit.; art. 15, decreto-legge n. 223 del 2006, cit.;
art.  23-bis,  comma 8, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.) norma di
sanatoria degli affidamenti al mercato dei produttori seppur disposti
ancora  una volta in difetto di evidenza pubblica, con proroga di cui
le  imprese terze possono giovare ex lege sino alla data indicata dal
31 dicembre 2010.
   Norma   singolare  ove  si  pensi  alla  contraddittorieta'  delle
proposizioni   cui   ha  dato  origine  il  legislatore  statale  con
l'approvazione dell'art. 23-bis qui impugnato, che nei primi commi si
presenta   con   un   indirizzo   politico   ispirato   alla   «ultra
concorrenzialita'»  (commi  2,  3, 4, art. 23-bis, cit.) per chiudere
con  l'ennesima  norma  di  favore  per  gli  affidamenti disposti in
violazione   proprio  della  disciplina  italiana  ed  europea  sulla
concorrenza (comma 8, art. 23-bis, cit.).
   C)  L'indicata  disposizione  transitoria  posta dall'art. 23-bis,
comma  8,  cit.  per la gestione del servizio idrico integrato e' del
pari  incostituzionale  per  violazione dell'autonomia costituzionale
della  Regione  Piemonte e degli enti locali (art. 5, 114, 117, sesto
comma,  118,  Cost.)  nella  parte  riferita  agli  affidamenti  gia'
effettuati  dagli  enti  locali in conformita' all'art. 113, comma 5,
lettera  c),  d.lgs.  n. 267  del 2000, cit. dedicato alla societa' a
totale capitale pubblico in house providing.
   L'art.  23-bis  comma  8,  cit.  -  stabilendo  che  cessano al 31
dicembre  2010  gli  affidamenti  rilasciati  con  procedure  diverse
dall'evidenza  pubblica salvo quelli conformi ai vincoli ulteriori di
istruttoria  e motivazione previsti dalla nuova disciplina (commi 3 e
4,  art.  23-bis, decreto-legge  n. 112  del  2008,  cit.) - parrebbe
determinare  per  l'effetto  la  cessazione  di tutti gli affidamenti
attribuiti  secondo la disciplina previgente (d.lgs. n. 267 del 2000,
cit.,  art.  113,  comma 5, lettera c), ponendo in forse l'attuazione
dei  piani  gestionali  e  di  investimento, nonche' i relativi piani
tariffari,  travolgendo  rapporti giuridici perfezionati ed in via di
esecuzione  che  le  parti  vogliono vedere procedere secondo la loro
scadenza  naturale,  al  pari delle concessioni rilasciate ad imprese
terze secondo le procedure ad evidenza pubblica.
   Non  si e' mai revocato in dubbio che l'art. 113, comma 5, lettera
c),  d.lgs.  n. 267  del  2000,  cit. dedicato alla societa' a totale
capitale  pubblico  e  gli affidamenti ad essa conformi non siano mai
stati  in  contrasto con l'ordinamento comunitario sulla concorrenza,
con  conseguente  ulteriore  profilo di illegittimita' costituzionale
nell'avere   trattato   in  modo  eguale  situazioni  sostanzialmente
differenti:  la cessazione degli affidamenti a imprese terzi difformi
dalla  disciplina  comunitaria  unitamente  gli  affidamenti in house
providing conformi all'ordinamento comunitario.
   D)  La  legge  statale rinvia infine la disciplina transitoria dei
servizi  pubblici  locali  diversi  da  quello  idrico al regolamento
governativo  il  quale  prevede  per la fase transitoria, ai fini del
progressivo  allineamento  delle gestioni in essere alle disposizioni
di   cui  al  presente  articolo,  tempi  differenziati  «e  che  gli
affidamenti  diretti  in  essere  debbano  cessare alla scadenza, con
esclusione  di  ogni  proroga  o rinnovo» (comma 10, lettera e), art.
23-bis, decreto-legge  n. 112  del 2008, cit.), con una irragionevole
differenza  di trattamento che non appare giustificata in particolare
per il servizio idrico integrato per il quale la legge statale indica
senz'altro  in via generale ed astratta la data di scadenza fissa del
31  dicembre  2010, mentre per gli altri servizi pubblici consente al
regolamento  la  previsione  di  adeguati  «tempi  differenziati»  in
ragione   di   eterogeneita'  dei  servizi  presi  in  considerazione
(«rifiuti» assieme a «trasporti, energia elettrica e gas»).
                              P. Q. M.
   La  Regione  Piemonte,  cosi'  come  sopra rappresentata e difesa,
insta affinche' la Corte costituzionale voglia accogliere le seguenti
conclusioni.
   Dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  del decreto-legge 25
giugno  2008,  n. 112,  convertito  in  legge con modificazioni dalla
legge  6  agosto 2008, n. 133, art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4, 8 e 10,
per  violazione  dell'art.  5,  114, 117, commi 1, 2, 3, 4, 6, Cost.,
dell'art.  118  e  120, Cost., anche con riferimento all'art. 3 e 97,
Cost.
     Roma-Torino, addi' 15 ottobre 2008
         Prof. Alberto Romano - Prof. Roberto Cavallo Ferin