N. 78 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 - 18 ottobre 2008

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 27 ottobre 2008 (della Regione Puglia)

Edilizia  e  urbanistica - Edilizia residenziale pubblica e sociale -
  Piano   Casa   per  la  localizzazione  e  la  realizzazione  degli
  interventi   -   Finanziamento   degli   interventi   mediante   la
  costituzione  di  un  fondo  ministeriale,  alimentato  anche con i
  proventi   delle   alienazioni  di  immobili  -  Definizione  degli
  interventi  con  accordi  di programma promossi dal Ministero delle
  infrastrutture,   previa  delibera  del  CIPE  e  d'intesa  con  la
  Conferenza  Unificata  non piu' necessaria decorsi novanta giorni -
  Misure premiali in favore dei promotori di interventi di incremento
  del patrimonio abitativo e di dotazione di spazi e servizi pubblici
  e   di  miglioramento  della  qualita'  urbana,  in  variante  agli
  strumenti  regolatori  -  Possibilita'  di  adottare  la  procedura
  alternativa  dettata  per  gli  interventi strategici di preminente
  interesse   nazionale   -  Lamentata  compressione  della  potesta'
  regionale  in materia di edilizia residenziale pubblica e sociale a
  beneficio di una gestione totalmente accentrata degli interventi in
  capo  allo Stato, carenza di adeguato coinvolgimento delle Regioni,
  istituzione  di fondo statale con vincoli di destinazione in ambito
  proprio delle Regioni e alimentato con somme di spettanza regionale
  -  Ricorso della Regione Puglia - Denunciata lesione della potesta'
  legislativa e regolamentare della Regione nella materia concorrente
  del  governo  del  territorio nonche' nella materia residuale della
  gestione  dei  beni  di enti strumentali delle Regioni, esorbitanza
  dello  Stato dal suo potere di definire i livelli minimi essenziali
  delle  prestazioni concernenti i diritti civili e sociali validi su
  tutto  il  territorio nazionale, lesione dell'autonomia finanziaria
  delle  Regioni,  violazione del principio di leale collaborazione e
  dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 11.
- Costituzione, artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, 118, e 119.
Edilizia  e  urbanistica  -  Demanio e patrimonio dello Stato e delle
  Regioni  -  Edilizia  residenziale pubblica - Semplificazione delle
  procedure  per la vendita degli immobili di proprieta' degli IACP -
  Preventiva stipula di accordi tra i competenti Ministri, in sede di
  Conferenza  unificata,  con Regioni ed enti locali - Individuazione
  di  criteri  dettagliati  per  la stipula degli accordi, fra cui la
  destinazione  dei  proventi delle alienazioni alla realizzazione di
  interventi  volti  ad alleviare il disagio abitativo - Facolta' per
  le  amministrazioni regionali e locali di stipulare convenzioni con
  societa'  di  settore per le attivita' strumentali alla vendita dei
  singoli  immobili - Costituzione presso la Presidenza del Consiglio
  dei  ministri di un Fondo speciale di garanzia per l'acquisto della
  prima  casa  da parte delle giovani coppie - Lamentata compressione
  della  potesta'  regionale  in  materia  di  edilizia  residenziale
  pubblica,   asserita   riproposizione   di  norme  gia'  dichiarate
  incostituzionali  con la sent. n. 94 del 2007, istituzione di fondo
  statale con vincoli di destinazione in ambito proprio delle Regioni
  e  alimentato  con  somme  di  spettanza  regionale - Ricorso della
  Regione  Puglia  -  Denunciata lesione della potesta' legislativa e
  regolamentare  della Regione nella materia residuale della gestione
  degli   alloggi   di   edilizia   popolare  ed  economica,  lesione
  dell'autonomia finanziaria delle Regioni.
- Decreto-legge    25    giugno   2008,   n. 112,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 13, commi 1,
  2, 3, e 3-bis.
- Costituzione, artt. 117, commi quarto e sesto, e 119.
(GU n.52 del 17-12-2008 )
   Ricorso  per  la  Regione  Puglia, in persona del Presidente della
Giunta  regionale,  dott.  Nicola  Vendola, legale rappresentante pro
tempore,  rappresentato e difeso dall'avv. Nino Matassa, in virtu' di
procura a margine del presente atto e di delibera di G.R. n. 1911 del
14  ottobre  2008,  con  lui  domiciliato  in Roma, via Cosseria n. 2
(presso il dott. Alfredo Placidi);
   Contro  il  Presidente  pro  tempore  del  Consiglio dei ministri,
rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per la
declaratoria  dell'illegittimita' costituzionale degli artt. 11 e 13,
commi  1,  2,  3  e  3-bis  della  legge  n. 133  del  6 agosto 2008,
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 195
del 21 agosto 2008.
                              F a t t o
   Con  la  legge  n. 133  del  6  agosto  2008,  di conversione (con
modificazioni)  del  d.-l.  25  giugno 2008, n. 112, il Parlamento ha
varato  una  eterogenea  serie  di  misure  finalizzate allo sviluppo
economico,    alla   semplificazione,   alla   competitivita',   alla
stabilizzazione   della   finanza   pubblica   ed  alla  perequazione
tributaria.
   Nella  congerie  di  norme che fanno parte del provvedimento ve ne
sono due (gli artt. 11 e 13) che incidono profondamente sulla materia
dell'edilizia residenziale pubblica e sociale.
   L'art.  11,  titolato  «Piano  Casa»,  si propone di «garantire su
tutto   il  territorio  nazionale  i  livelli  minimi  essenziali  di
fabbisogno  abitativo  per  il pieno sviluppo della persona umana». A
tal fine, viene prevista una complessa procedura per la realizzazione
di  nuove  costruzioni  e  per  il  recupero  del patrimonio edilizio
esistente  da destinare prioritariamente (dunque, non esclusivamente)
a  prima  casa per categorie sociali svantaggiate (nuclei familiari e
giovani  coppie  a  basso  reddito,  anziani,  studenti  fuori  sede,
soggetti   sottoposti  a  procedure  esecutive  di  rilascio,  nuclei
familiari  in locazione con familiari ultrassessantacinquenni, malati
terminali  o  portatori di handicap grave, immigrati regolari a basso
reddito).
   L'impalcatura  del  «Piano  casa»,  che  viene  approvato  con  un
d.P.C.m. previa delibera del CIPE, si regge sui seguenti principi:
     il   finanziamento   degli   interventi   avviene   mediante  la
costituzione  di  un  fondo  nello  stato di previsione del Ministero
delle  infrastrutture (art. 11, comma 12) nel quale confluiscono (tra
l'altro) le risorse che precedenti norme avevano gia' attribuito alle
regioni   per   il   finanziamento   degli   interventi  di  edilizia
residenziale pubblica (l'art. 1, comma 1154 della legge n. 296/2006 e
gli  artt.  21,  21-bis e 41 della legge n. 222/2007). Altra fonte di
finanziamento  discende  dalle  risorse derivanti dall'alienazione di
alloggi   di   edilizia  pubblica,  con  le  modalita'  previste  dal
successivo art. 13 (art. 11, comma 3, lettera b).
     l'individuazione e la definizione degli interventi da finanziare
avviene   a   seguito  di  appositi  accordi  di  programma  promossi
esclusivamente  dal  Ministero  delle  infrastrutture e dei trasporti
(art.  11,  comma  4),  avendo  riguardo  alla  «effettiva  richiesta
abitativa  dei singoli contesti», previa delibera del CIPE e d'intesa
con la Conferenza unificata Stato-citta' ed autonomie locali. Decorsi
novanta  giorni senza che sia stata raggiunta l'intesa, il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  puo' comunque approvare gli accordi di
programma;
     gli  interventi  edificatori  sono  attuati  (tra l'altro) anche
mediante  trasferimento  o  cessione di diritti edificatori in favore
dei promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo
e  l'incremento  premiale  di  diritti  edificatori  finalizzati alla
dotazione  di  servizi  e  spazi  pubblici  e  di miglioramento della
qualita'  urbana (art. 11, comma 5). Le misure premiali sono indicate
in   linea   del  tutto  generale,  lasciando  amplissimo  spazio  al
successivo  d.P.C.m.  di  approvazione  del  Piano Casa l'indicazione
delle concrete modalita' attuative;
     l'attuazione  del  Piano Casa puo' avvenire, in alternativa alla
procedura  dell'accordo  di  programma  previsto  dal comma 4, con le
modalita'   dettate  per  gli  interventi  strategici  di  preminente
interesse nazionale (ex lege n. 443/2001).
   L'art.   13   della   legge   n. 133/2008  ha  specifico  riguardo
all'edilizia  residenziale  pubblica.  La  norma  ricalca  pressoche'
testualmente  i  commi  597,  598,  599  e  600  dell'art.  1,  legge
n. 266/2005,  gia'  dichiarati  incostituzionali dalla sentenza n. 94
del 21 marzo 2007 di codesta Corte.
   Sinteticamente,  la norma prevede «misure di valorizzazione» degli
immobili  di proprieta' degli Istituti autonomi per le case popolari,
mediante  la  semplificazione  delle  procedure  per la vendita degli
immobili di proprieta', previa stipula di accordi con regioni ed enti
locali.
   Tali  accordi  dovranno  informarsi ad alcuni criteri, tra i quali
quello  della  determinazione del prezzo di vendita in proporzione al
canone  di  locazione  e  del  riconoscimento  del diritto di opzione
all'acquisto in favore dell'assegnatario non moroso o suoi congiunti.
I  proventi  delle alienazioni vanno destinati ad interventi volti ad
alleviare il disagio abitativo (art. 13, commi 1 e 2).
   Il comma 3 dello stesso articolo detta alcune norme per consentire
anche  alle  amministrazioni  locali (in aggiunta a quelle regionali)
operazioni  di  cartolarizzazione  degli  immobili;  il  comma 3-bis,
infine,  costituisce  presso la Presidenza del Consiglio dei ministri
un  Fondo  Speciale  di  Garanzia  per l'acquisto della prima casa da
parte delle giovani coppie.
   Le   menzionate   disposizioni   della   legge   n. 133/2008  sono
palesemente  invasive  della  potesta'  che  la  Carta costituzionale
riconosce  alle  regioni  in  materia di edilizia in generale e, piu'
specificamente,   di  edilizia  residenziale  pubblica  e/o  sociale,
operando un'indebita compressione delle potesta' medesime a beneficio
di una gestione totalmente accentrata di tali interventi in capo allo
Stato.
   Si   chiede   pertanto   che   venga  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale delle norme citate per le seguenti ragioni in
                            D i r i t t o
A) Illegittimita' costituzionale dell'art. 11, legge n. 133/2008.
   Come  rapidamente  rilevato in fatto, il Piano Casa previsto dalla
norma rubricata accentra, esclusivamente, in capo allo Stato i poteri
e  le  funzioni finalizzati alla localizzazione e realizzazione degli
interventi  di  edilizia  abitativa,  prioritariamente  (e dunque non
esclusivamente)  di carattere sociale, concentrando in un unico fondo
tutte  le  somme  che  la  normativa  previgente aveva destinato alle
regioni  per  la realizzazione di interventi di edilizia sociale. Nel
medesimo  fondo  sembrerebbero  destinate  a confluire anche le somme
derivanti dall'alienazione di alloggi di edilizia pubblica, ancorche'
non appartenenti allo Stato (art. 11, comma 3, lettera b).
   L'utilizzo  di  tale fondo e la destinazione delle somme in favore
di  un  intervento  piuttosto che di un altro avviene a seguito di un
procedimento il cui impulso e' attribuito esclusivamente al Ministero
delle  infrastrutture e dei trasporti, mediante la stipula di Accordi
di  Programma con gli enti (anche privati) promotori degli interventi
costruttivi.   Tali   accordi   sono   perseguiti  all'interno  della
Conferenza  unificata  Stato-citta' ed autonomie locali; tuttavia, in
difetto  di  intesa  entro 90 giorni, il Presidente del Consiglio dei
ministri puo' comunque approvare l'accordo di programma.
   L'effetto  che  discende  dall'approvazione dei programmi medesimi
incide  direttamente  sull'assetto urbanistico della zona individuata
per   ospitarlo:  ai  soggetti  attuatori  possono  essere,  infatti,
riconosciuti  diritti  edificatori  e  incrementi premiali di diritti
edificatori,  evidentemente in variante agli strumenti regolatori. In
ogni  caso,  il  ricorso  allo  strumento  dell'Accordo  di Programma
consente  di  attribuire  allo  stesso  efficacia  di  variante  agli
strumenti  urbanistici  locali e sovracomunali. Ad ulteriore conferma
della    natura   derogatoria   della   pianificazione   territoriale
riconosciuta  al  Piano  Casa,  vi e' la circostanza che, a norma del
comma  9,  la  sua attuazione puo' essere perseguita con le modalita'
previste dagli artt. 161 sgg. d.lgs. n. 163/2006 per la realizzazione
delle  opere strategiche (modalita' che, com'e' noto, sono ampiamente
derogatorie  delle  norme che disciplinano sia la materia urbanistica
che quella degli appalti pubblici).
   Cosi'  delineato  il  disegno  del Legislatore statale, e' agevole
verificare   la   profonda  contrarieta'  dell'art.  11  della  legge
n. 133/2008 ai precetti costituzionali sotto molteplici profili.
   1) Violazione dell'art. 117, terzo comma Cost.
   Viene  in preminente rilievo la palese violazione della competenza
legislativa delle regioni ad opera della norma impugnata.
   Con  il  «Piano  Casa»  lo  Stato intende localizzare e realizzare
interventi di edilizia residenziale pubblica e sociale.
   Se non vi sono dubbi sulla riconducibilita' della materia edilizia
alla  potesta'  legislativa  concorrente delle regioni (cfr. ex plur.
sentenza  n. 343 del 29 luglio 2005: «La materia edilizia rientra nel
governo  del territorio, come prima rientrava nell'urbanistica, ed e'
quindi oggetto di legislazione concorrente»), ad analoghe conclusioni
occorre  giungere  per la materia dell'edilizia residenziale pubblica
e/o sociale, con le precisazioni che seguono.
   La   materia   dell'edilizia   residenziale   pubblica   e'  stata
organicamente  disciplinata con d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, che
definiva  la relativa nozione con riguardo agli alloggi sovvenzionati
dallo  Stato.  Il d.P.R. n. 1036 emesso nella medesima data precisava
che   «la   realizzazione  unitaria  degli  obiettivi  stabiliti  nei
programmi  di interventi di edilizia abitativa pubblica e di edilizia
sociale  di  cui  all'art.  1 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e'
affidata  al  Ministro  per  i  lavori  pubblici  e  alle  regioni in
conformita'  con  gli indirizzi del CIPE e con le modalita' stabilite
dal presente decreto».
   Dal  1975  in  poi  si e' sviluppato e razionalizzato l'ambito dei
poteri  di  competenza  regionale non piu' per materie analiticamente
elencate, ma per «settori organici».
   In  relazione  a tale complessa normativa, prima della riforma del
Titolo  V  della Costituzione, la giurisprudenza costituzionale aveva
delineato  una  «triplice  fase»  nella  quale si articola la materia
dell'edilizia  residenziale  pubblica: «la prima, avente carattere di
presupposto   rispetto   alle  altre,  propriamente  urbanistica;  la
seconda,   di   programmazione  e  realizzazione  delle  costruzioni,
concettualmente  riconducibile  ai ''lavori pubblici'' […]; la
terza,  infine,  attinente  alla  prestazione e gestione del servizio
della casa (disciplina delle assegnazioni degli alloggi, in locazione
od  in  proprieta',  ecc.),  limitatamente  all'edilizia residenziale
pubblica  in  senso  stretto»  (sentenza  della  Corte costituzionale
n. 221/1975).
   La  giurisprudenza  ha quindi ravvisato nell'edilizia residenziale
pubblica  una «nuova materia» con carattere trasversale rispetto alle
norme  che  delineavano  la  competenza  dello Stato e delle regioni;
veniva  quindi  individuata  «una  ''nuova''  materia  di  competenza
regionale  al  di  la'  della  ricostruzione  iniziale operata con la
sentenza n. 221 del 1975 - l'edilizia residenziale pubblica appunto -
avente   una   sua   consistenza  indipendentemente  dal  riferimento
all'urbanistica e ai lavori pubblici» (sentenza Corte n. 27/1996).
   Le  medesime  conclusioni  restano valide anche all'indomani della
riforma  del Titolo V, con riferimento al nuovo riparto di competenze
legislative voluto dalla Riforma.
   La  verifica  della compatibilita' della precedente sistematica al
nuovo  quadro  costituzionale  e'  stata  puntualmente  effettuata da
codesta Corte con la sentenza n. 94 del 21 marzo 2007: con questa, il
Giudice  delle  leggi ha precisato che «La ''nuova materia'' continua
ad  esistere come corpus normativo» e, piu' precisamente, come corpus
dalla portata trasversale rispetto ai vari ambiti di normazione.
   Sicche',  ai  tre  livelli  dell'e.r.p.  corrispondono altrettanti
livelli di potesta' legislativa: «Il primo riguarda la determinazione
dell'offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei
ceti meno abbienti. In tale determinazione - che, qualora esercitata,
rientra  nella  competenza  esclusiva  dello Stato ai sensi dell'art.
117,  secondo comma, lettera m) cost. - si inserisce la fissazione di
principi  che  valgano  a  garantire  l'uniformita'  dei  criteri  di
assegnazione   su  tutto  il  territorio  nazionale,  secondo  quanto
prescritto  dalla  sentenza  n. 486  del  1995.  Il  secondo  livello
normativo  riguarda  la programmazione degli insediamenti di edilizia
residenziale   pubblica,  che  ricade  nella  materia  ''governo  del
territorio'',  ai  sensi  del  terzo  comma dell'art. 117 Cost., come
precisato di recente da questa Corte con la sentenza n. 451 del 2006.
Il terzo livello normativo, rientrante nel quarto comma dell'art. 117
Cost.,  riguarda  la  gestione del patrimonio immobiliare di edilizia
residenziale  pubblica  di  proprieta' degli Istituti autonomi per le
case  popolari  o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti
ad opera della legislazione regionale».
   Alla  luce di tali consolidati principi, non puo' dubitarsi che la
previsione  di  un  potere  statale  che  decida, anche in assenza di
consenso  delle  regioni,  ogni  piu' minuto dettaglio in ordine agli
interventi  di edilizia residenziale pubblica, configga drasticamente
con la regola sancita dall'art. 117, terzo comma Cost.
   E'   pacifico,   in   proposito,   che   la  programmazione  e  la
localizzazione  degli  interventi di edilizia residenziale pubblica o
sociale   rientri  nella  competenza  legislativa  concorrente  delle
regioni,  in quanto ascrivibile alla materia «governo del territorio»
elencata  al  terzo  comma  dell'art.  117 Cost.: «gli interventi che
investono  il  settore  dell'edilizia, attengono, sotto tale profilo,
alla   materia   del  ''governo  del  territorio'',  attribuita  alla
competenza  legislativa  concorrente  (ad.  117  terzo  comma Cost.)»
(Corte cost., sentenza n. 451 del 2006).
   In tale materia, pertanto, lo Stato puo' dettare soltanto principi
fondamentali.  Tale  non  puo'  essere,  evidentemente, una norma che
consente  allo  Stato  di  localizzare,  individuare e finanziare, in
maniera  unilaterale  ed  in  assenza di assenso regionale, i singoli
progetti  costruttivi  da  realizzare  nel  territorio  delle singole
regioni.
   La  normativa  contenuta  nell'art.  11  della  legge n. 133/2008,
infatti,  non  fissa (come sara' innanzi precisato), criteri generali
in  materia  di localizzazione o assegnazione di alloggi popolari. La
stessa  si  risolve,  invece,  in  un'attribuzione  incondizionata al
Governo  del  potere  di  procedere  alla  localizzazione, esecuzione
(mediante  individuazione  del  soggetto  attuatone) e gestione degli
interventi  di  edilizia residenziale pubblica e sociale, utilizzando
fondi (e competenze) di pertinenza regionale.
   La norma impugnata, che istituisce il «Piano Casa», in definitiva,
lungi  dal  porre un qualunque principio fondamentale alla normazione
regionale, attribuisce allo Stato il potere di intervenire in maniera
diretta  e  onnicomprensiva nella materia dell'edilizia residenziale,
in  spregio  alle  prerogative  che  la Carta fondamentale garantisce
all'autonomia regionale.
   Si  tratta,  a  ben  vedere,  di  norma  di  gestione  diretta  di
interventi   costruttivi   anziche'  di  individuazione  di  generali
principi  fondamentali. Unica eccezione e' costituita dal comma 7, il
quale  pone  il principio che «l'alloggio sociale, in quanto servizio
economico   generale,   e'   identificato,   ai  fini  dell'esenzione
dall'obbligo  della  notifica  degli  aiuti  di  Stato,  di  cui agli
articoli  87  e  88 del Trattato che istituisce la Comunita' europea,
come  parte essenziale e integrante della piu' complessiva offerta di
edilizia  residenziale  sociale,  che  costituisce  nel  suo  insieme
servizio   abitativo   finalizzato  al  soddisfacimento  di  esigenze
primarie».
   La  norma impugnata e' quindi illegittima per contrasto con l'art.
117 della Costituzione.
2)  Violazione  dell'art.  117,  terzo  comma  Cost.  sotto ulteriore
profilo.
   La  norma  impugnata  si apre con la (asserita) individuazione del
titolo  che  legittima  lo  Stato  a  ledere  la potesta' legislativa
concorrente  regionale:  «Al fine di garantire su tutto il territorio
nazionale  i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il
pieno sviluppo della persona umana…».
   Il  richiamo  e'  alla  lettera  m)  del primo comma dell'art. 117
Cost.,  il  quale  ascrive  alla potesta' legislativa esclusiva dello
Stato  la  determinazione  dei  livelli  essenziali delle prestazioni
concernente i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale.
   Ma  e' evidente che l'art. 11 della legge n. 133/2008 non ha alcun
legame   con   tale  previsione  in  quanto,  come  visto  al  numero
precedente, non stabilisce in alcun modo quali siano i livelli minimi
essenziali  del  fabbisogno  abitativo:  nessun  comma  del complesso
articolato,  difatti, indica i requisiti minimi per l'accesso al bene
casa  o i livelli minimi di tale servizio sociale, validi su tutto il
territorio nazionale.
   La  norma  si  dilunga  invece  esclusivamente  nella previsione e
disciplina  degli  strumenti  di  attuazione  del «Piano Casa» che si
risolvono  nella attribuzione allo Stato del potere di procedere alla
approvazione   diretta  degli  interventi  di  edilizia  residenziale
pubblica, anche in mancanza di accordo regionale.
   Come  codesta  Corte  ha  avuto  modo  di precisare, «il potere di
predeterminare  eventualmente  i livelli essenziali delle prestazioni
concernenti  i  diritti  civili e sociali, anche nelle materie che la
Costituzione  affida  alla competenza legislativa delle regioni, (non
puo')  trasformarsi  nella  pretesa  dello  Stato  di  disciplinare e
gestire  direttamente  queste  materie,  escludendo  il  ruolo  delle
regioni» (sentenza n. 248 del 2006).
   Sicche',  l'aspirazione  a  raggiungere  un  «livello  minimo»  di
prestazioni   sociali,  se  consente  allo  Stato  di  predeterminare
generali  standard  quali/quantitativi  da raggiungere da parte della
normazione  regionale, non puo', al contrario, consentire la gestione
diretta  dei  servizi  necessari  al raggiungimento di tali standard,
peraltro, nella specie neppure enunciati).
   Va    osservato    che,   come   chiarito   dalla   giurisprudenza
costituzionale,  la  definizione  dei  livelli  minimi essenziali non
costituisce  una materia in senso stretto ma individua una competenza
del  legislatore idonea ad investire tutte le materie, «rispetto alle
quali  il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per
assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di
prestazioni  garantite,  come  contenuto  essenziale di tali diritti,
senza  che  il legislatore regionale possa limitarle o condizionarle»
(sentenza n. 282 del 2002).
   La  norma impugnata, invece, non definisce alcun livello minimo di
prestazione,  cioe'  non fissa alcuno standard generale nella materia
dell'edilizia   sociale,   limitandosi   esclusivamente  a  creare  i
presupposti  per  consentire allo Stato la totalizzante (e solitaria)
gestione  degli interventi di edilizia sociale sull'intero territorio
nazionale.
   Codesta  Corte  ha  gia'  recentemente  affrontato  una  questione
analoga   a   quella   che   ci   occupa,  inerente  la  legittimita'
costituzionale  dell'art.  1,  comma  285 della Finanziaria 2006, col
quale  veniva direttamente disposto in ordine alla destinazione delle
somme per edilizia ospedaliera attribuite alla regioni.
   Con  la  sentenza  n. 105  del  2007  la  Corte ha osservato: «Con
riferimento  all'evocata  competenza  statale  sulla  fissazione  dei
livelli  essenziali  di  assistenza  (LEA),  si deve Osservare che la
norma  censurata  disciplina  la  destinazione  delle risorse residue
finalizzate  all'edilizia sanitaria (…). Un intervento statale
teso  a  fissare,  nella  materia  dell'edilizia sanitaria, un limite
indiretto  all'autonomia  regionale,  giustificato  dall'esigenza  di
fornire  il  servizio  sanitario  mediante  strutture  di  dimensioni
previste  da  norme  nazionali,  mal  si  concilia  con  il carattere
residuale delle risorse cui la norma censurata si riferisce e si pone
in  contrasto  con la necessaria generalita' di una previsione di LEA
ai  sensi  dell'ad.  117, secondo comma, lettera m).». Nell'esaminare
altra norma connessa alla precedente, la Corte ha ribadito: «La norma
censurata  impone  invece, in contrasto con la disciplina vigente nel
recente  passato,  un  vincolo  di destinazione sull'intero ammontare
delle  risorse  residue, che non lascia alle regioni alcun margine di
autonomia  sia  per  determinare  le proprie scelte sia per negoziare
eventuali  intese  con  lo  Stato.  Tale  costrizione non costituisce
esplicazione  della  potesta'  statale  di determinazione dei LEA, ma
indebita  ingerenza  nell'autonomia  finanziaria regionale, in quanto
sottrae del tutto alle regioni la possibilita' di utilizzare, secondo
propri  orientamenti,  le  risorse disponibili in materia di edilizia
sanitaria, rientrante nella potesta' legislativa concorrente».
   L'art. 117 Cost. risulta, dunque, violato anche sotto tale profilo
dalla norma gravata.
3)  Violazione  dell'art. 118 cost. Violazione del principio di leale
collaborazione   tra   Stato  e  regione,  nonche'  dei  principi  di
sussidiarieta'  ed  adeguatezza. Violazione dell'art. 117 Cost. sotto
ulteriore profilo.
   L'Accordo   di  programma  finalizzato  alla  realizzazione  degli
interventi  costruttivi  e'  promosso esclusivamente dal Ministero il
quale,  ove non raggiunga l'accordo con le regioni (e gli altri enti)
in  seno  alla ConferenzauUnificata Stato-citta' ed autonomie locali,
puo'  ugualmente procedere chiedendo l'approvazione al Presidente del
Consiglio dei ministri.
   Il  ruolo  delle  regioni scolora cosi' a mero apporto consultivo,
liberamente   disattendibile   da   parte  dell'organo  ministeriale,
nonostante  l'evidente  impatto  che  l'Accordo  medesimo produce sul
territorio   della   regione   destinata   ad  ospitare  l'intervento
costruttivo.
   L'accordo   di   programma,   difatti,   costituisce  deroga  alla
pianificazione  urbanistica  locale  e  sovralocale;  tale effetto e'
amplificato dalle previsioni premiali di diritti edificatori a favore
dei  soggetti  attuatori  del  programma di edilizia residenziale, le
quali  possono  consentire  la  trasformazione di ambiti territoriali
piu'  o  meno  estesi  in  contrasto  con le norme di piano e con gli
stessi indirizzi per la pianificazione dettati a livello regionale.
   In  altri  termini,  l'accordo  tra  Governo  e soggetto attuatore
dell'intervento  costruttivo  e' idoneo ad obliterare totalmente ogni
spazio  di  autonomia  regionale  incidendo direttamente sull'assetto
urbanistico del suo territorio.
   Evidente  la  violazione sia del principio di leale collaborazione
tra  Stato  e  regione  che  delle previsioni contenute nell'art. 118
Cost.
   In  proposito, giova richiamare la ricostruzione del meccanismo di
interazione tra i due principi operata dalla sentenza n. 313 del 2003
di  codesta  Corte,  emessa proprio in relazione alla legge-obiettivo
n. 443/2001  (espressamente ritenuta applicabile alle fattispecie che
ci occupano dall'art. 11, comma 9).
   Osserva  la  Corte:  «Una  volta  stabilito  che, nelle materie di
competenza  statale esclusiva o concorrente, in virtu' dell'art. 118,
primo   comma,   la   legge   puo'  attribuire  allo  Stato  funzioni
amministrative  e  riconosciuto  che,  in ossequio ai canoni fondanti
dello  Stato  di  diritto,  essa  e' anche abilitata a organizzarle e
regolarle,   al   fine   di   renderne   l'esercizio  permanentemente
raffrontabile a un parametro legale, resta da chiarire che i principi
di  sussidiarieta'  e di adeguatezza convivono con il normale riparto
di   competenze   legislative   contenuto  nel  Titolo  V  e  possono
giustificarne  una  deroga  solo  se  la  valutazione  dell'interesse
pubblico  sottostante  all'assunzione  di funzioni regionali da parte
dello    Stato    sia   proporzionata,   non   risulti   affetta   da
irragionevolezza   alla   stregua   di   uno   scrutinio  stretto  di
costituzionalita',  e  sia  oggetto  di  un  accordo stipulato con la
regione  interessata.  Che  dal  congiunto disposto degli artt. 117 e
118,  primo  comma,  sia  desumibile  anche  il principio dell'intesa
consegue  alla peculiare funzione attribuita alla sussidiarieta', che
si  discosta in parte da quella gia' conosciuta nel nostro diritto di
fonte   legale  (…).  l'esigenza  di  esercizio  unitario  che
consente  di  attrarre,  insieme  alla funzione amministrativa, anche
quella   legislativa,   puo'   aspirare   a  superare  il  vaglio  di
legittimita'  costituzionale  solo  in presenza di una disciplina che
prefiguri  un  iter  in  cui  assumano il dovuto risalto le attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono  essere  condotte  in  base al principio di lealta'" (sentenza
Corte cost. n. 313 del 2003).
   La  conclusione  e'  che  «Per  giudicare se una legge statale che
occupi  questo spazio (quello della potesta' legislativa concorrente,
n.d.r.)  sia  invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca
invece  applicazione  dei  principi  di  sussidiarieta' e adeguatezza
diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un'intesa fra
lo  Stato  e  le  regioni  interessate,  alla  quale  sia subordinata
l'operativita' della disciplina (…) l'attrazione allo Stato di
funzioni  amministrative  da regolare con legge non e' giustificabile
solo  invocando  l'interesse a un esercizio centralizzato di esse, ma
e'  necessario un procedimento attraverso il quale l'istanza unitaria
venga  saggiata  nella  sua  reale  consistenza  e quindi commisurata
all'esigenza  di  coinvolgere  i soggetti titolari delle attribuzioni
attratte,  salvaguardandone  la  posizione  costituzionale.  Ben puo'
darsi,  infatti,  che nell'articolarsi del procedimento, al riscontro
concreto     delle    caratteristiche    oggettive    dell'opera    e
dell'organizzazione  di  persone e mezzi che essa richiede per essere
realizzata,  la  pretesa  statale  di  attrarre  in sussidiarieta' le
funzioni  amministrative ad essa relative risulti vanificata, perche'
l'interesse sottostante, quale che ne sia la dimensione, possa essere
interamente soddisfatto dalla regione, la quale, nel contraddittorio,
ispirato  al canone di leale collaborazione, che deve instaurarsi con
lo  Stato,  non  solo  alleghi,  ma  argomenti  e dimostri la propria
adeguatezza e la propria capacita' di svolgere in tutto o in parte la
funzione.  (In  definitiva)  la  Costituzione  impone, a salvaguardia
delle  competenze regionali, che una intesa vi sia…» (sentenza
Corte cost. n. 313 del 2003).
   Evidente,  nel caso di specie, la lesione di tali principi, atteso
che  il  Governo  resta  totalmente  libero  di approvare i programmi
costruttivi   anche   allorche'  l'intesa  in  seno  alla  Conferenza
unificata non venga raggiunta.
   La  norma  gravata  riproduce  in sostanza la previsione contenuta
nell'art.   1,   comma  3-bis  della  legge  n. 443/2001,  dichiarata
incostituzionale  con  la menzionata sentenza n. 313 del 2003 «per il
fatto  che alle regioni viene riservato un ruolo meramente consultivo
nella  fase  di  approvazione  dei  progetti  definitivi  delle opere
individuate  nel  programma  governativo.  La disposizione denunciata
consente  che  tale  approvazione  (…) avvenga con decreto del
Presidente   del   Consiglio   dei  ministri.  Per  questa  procedura
alternativa  e'  previsto che il decreto del Presidente del Consiglio
sia  adottato  previa deliberazione del CIPE integrato dai Presidenti
delle  regioni  o  delle  province  autonome  interessate, sentita la
Conferenza  unificata  e  previo  parere delle competenti commissioni
parlamentari.  Dalla  degradazione della posizione del CIPE da organo
di  amministrazione attiva (nel procedimento ordinario) ad organo che
svolge   funzioni  preparatorie  (nel  procedimento  ''alternativo'')
discende  che la partecipazione in esso delle regioni interessate non
costituisce piu' una garanzia sufficiente, tanto piu' se si considera
che  non e' previsto, nel procedimento alternativo, alcun ruolo delle
regioni  interessate  nella  fase preordinata al superamento del loro
eventuale dissenso».
   Analoghi principi ha espresso codesta Corte allorche' ha giudicato
delle disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema
elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica
(la  legge  n. 290/2003)  che prevede l'individuazione da parte dello
Stato  degli impianti e delle infrastrutture di produzione di energia
elettrica  da localizzare in ambito regionale. Le relative norme sono
state  dichiarate  incostituzionali dalla sentenza n. 383 del 2005 in
quanto «la chiamata in sussidiarieta' da parte dello Stato dei poteri
amministrativi  di  determinazione  delle  linee generali di sviluppo
della  rete  di  trasmissione  nazionale  dell'energia elettrica (non
prevede) idonei moduli collaborativi nella forma dell'intesa in senso
forte   fra   gli   organi   statali   e   la  Conferenza  unificata,
rappresentativa dell'intera pluralita' degli enti regionali e locali»
(sentenza Corte cost. n. 383 del 2005).
   Le  previsioni contenute nell'art. 11 della legge n. 113/2008 sono
dunque  incostituzionali  per  una  duplice  ragione: in primo luogo,
perche'   lo   Stato  puo'  procedere  ugualmente  alla  approvazione
dell'accordo  di  programma anche in mancanza dell'intesa; in secondo
luogo,  perche'  la  norma  prevede  l'intesa in seno alla Conferenza
unificata  e  non,  come  dovrebbe essere in ossequio alle previsioni
costituzionali,  con  la  singola  regione  interessata  dal concreto
intervento approvato.
   Non  si  vede,  difatti,  come  possa  essere  ritenuta conforme a
Costituzione  una norma di legge che consente allo Stato di approvare
la  localizzazione di un intervento di edilizia residenziale pubblica
e  di  modificare  direttamente le previsioni urbanistiche in vigore,
senza una necessaria intesa con la singola regione interessata.
   Inoltre,   risultano   violati   i   principi   di  sussidierata',
adeguatezza  e  leale collaborazione: non vi e' alcuna necessita' che
lo  Stato  individui  a  livello centrale quali programmi di edilizia
residenziale  vadano  realizzati  e  la  relativa localizzazione. Gli
interventi  costruttivi  di  tal  genere  non  assolvono, infatti, ad
alcuna  esigenza  unitaria  (quale  puo'  essere quella rappresentata
dalle  grandi  opere  infrastrutturali,  di  trasporto energetico, di
telecomunicazione, ecc.), risolvendosi in interventi puntuali tesi ad
alleviare  il  disagio  abitativo  in  determinate  zone  del  Paese.
L'attivita'  assunta  dallo  Stato  si  pone,  pertanto, in manifesta
distonia con i principi dettati dall'art. 118 Cost.
   Il  livello  decisionale  centrale  dovrebbe,  invece,  esplicarsi
esclusivamente  nella  quantificazione delle risorse da assegnare per
programmi  di  edilizia  residenziale  e nella loro assegnazione alle
regioni  in sede di Conferenza unificata, restando estranei tutti gli
ulteriori  aspetti  di carattere gestorio: dalla localizzazione degli
interventi  nei  singoli  contesti  territoriale, alla gestione della
fase  di  scelta  del contraente, dall'individuazione delle tipologie
d'intervento, alla concreta esecuzione dell'intervento medesimo.
   Palese e' pertanto la incostituzionalita' delle norme impugnate.
4) Violazione dell'art. 117, sesto comma Cost.
   La  assoluta  indeterminatezza  delle  norme  dettate dall'art. 11
della  legge  n. 133/2008  comporta  che la normazione secondaria che
dovra'  darvi attuazione avra' la necessita' di dettare la necessaria
normativa di dettaglio.
   L'ascrizione della materia dell'edilizia alla potesta' legislativa
concorrente  delle  regioni, impedisce tuttavia allo Stato di dettare
norme  a  mezzo  di  fonti  diverse  da  quella  legislativa, pena la
violazione dell'art. 117, sesto comma Cost., che attribuisce potesta'
regolamentare  all'Amministrazione centrale soltanto nelle materie di
legislazione esclusiva.
   Il  principio era gia' stato affermato dalla Adunanza generale del
Consiglio  di Stato che, con parere del 17 ottobre 2002, nel ribadire
l'efficacia  immediatamente precettiva del citato comma dell'art. 117
Cost.,  ha  evidenziato che «e' precluso al legislatore statale, dopo
la  modifica  del Titolo V, dar vita a nuove competenze regolamentari
statali  al  di la' delle aree attribuite alla competenza legislativa
esclusiva  dello  Stato.  Spetta,  invece, in tali ambiti, alla legge
regionale  (in  sede di competenza concorrente o esclusiva) procedere
alla  gestione  normativa  della  materia,  decidendo,  con  norme di
carattere  generale  o  di  volta  in volta, se alla disciplina della
materia debba provvedere direttamente la legge regionale stessa o, in
tutto o in parte, anche la normativa regolamentare».
   Il  principio  e'  stato  ampiamente ribadito dalla giurisprudenza
costituzionale.  Oltre  a quanto affermato dalla gia' citata sentenza
n. 94  del  2007  (sulla  quale si ritornera' sub B), va segnalata la
sentenza  n. 328  del 2006, secondo la quale «e' precluso allo Stato,
ai  sensi  dell'ad.  117,  sesto comma Cost., adottare regolamenti in
materie  (nella  specie  provinciali)  di  competenza  residuale  e/o
concorrente».
   La norma impugnata e' dunque illegittima anche sotto tale profilo.
5) Violazione dell'art. 119 e dell'art. 117, quarto comma Cost.
   La pacifica iscrizione alla potesta' legislativa concorrente della
materia    dell'edilizia    residenziale   pubblica   rende   inoltre
pacificamente  illegittima  la costituzione di un fondo con finalita'
di finanziamento degli interventi definiti dal Piano Casa, in ragione
del contrasto con l'art. 119 Cost.
   L'appena  citata sentenza della Corte n. 105 del 2007 rammenta che
«questa  Corte  ha  stabilito, con giurisprudenza univoca e costante,
che   la   legittimita'  della  destinazione  di  fondi  a  finalita'
specifiche,  operata  da  leggi  dello  Stato,  e' condizionata dalla
finalizzazione  dei  finanziamenti  ad  opere o servizi di competenza
statale.  Al  riguardo  la  Corte ha affermato: ''La finalizzazione a
scopi  rientranti  in materia di competenza residuale delle regioni o
anche   di   competenza   concorrente   comporta   la  illegittimita'
costituzionale  delle  norme  statali'' (sentenza n. 231 del 2005; in
senso  conforme,  ex  plurimis,  sentenza n. 118 del 2006, n. 424 del
2004,  n. 370  del  2003).  I  vincoli di destinazione previsti dalla
norma  censurata  sono  specifici  e  dettagliati  e  presenterebbero
pertanto,    secondo   le   prospettazioni   delle   ricorrenti,   le
caratteristiche   delineate  da  questa  Corte  per  individuare  gli
interventi  legislativi  statali  lesivi  della  sfera  di  autonomia
garantita  alle  regioni  dagli  artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.»
(sentenza della Corte n. 105 del 2007).
   Con  specifico  riferimento  alla  costituzione  di  un  fondo per
consentire  a  determinate  fasce  sociali «deboli» la contrazione di
mutui  per  la prima casa (questione evidentemente del tutto affine a
quelle   in  esame),  la  sentenza  n. 137  del  2007  ha  dichiarato
l'illegittimita'   costituzionale   dell'art.   336,  comma  1  della
Finanziaria  2006  in riferimento agli artt. 117, quarto comma, 118 e
119 Cost.
   Ribadendo  quanto  gia' affermato con la sentenza n. 118 del 2006,
la  Corte  ha  confermato  «il  proprio  giudizio  di  illegittimita'
costituzionale  delle norme, inserite in varie leggi finanziarie, che
prevedono  l'istituzione  di fondi speciali in materie riservate alla
competenza  residuale  o  concorrente  delle  regioni  (ex  plurimis,
sentenza   n. 118  del  2006,  n. 231  del  2005,  n. 423  del  2004)
(…)  la  finalita'  sociale  della  norma impugnata non vale a
rendere  ammissibile  la  costituzione di un fondo speciale, mediante
''disposizioni che non trovano la loro fonte legittimatrice in alcuna
delle materie di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art.
117, secondo comma, della Costituzione. Pertanto, poiche' si verte in
materie  nelle  quali  non  e' individuabile una specifica competenza
statale,  deve  ritenersi  sussistente  la competenza della regione''
(sentenza n. 118 del 2006)».
   Va  aggiunto  che,  in  virtu' dell'art. 11, comma. 2, lettera b),
della legge n. 133/2008, nel fondo costituito presso il Ministero per
il  finanziamento  del  Piano  Casa  sembrerebbero  confluire anche i
proventi  derivanti  dalla  alienazione degli alloggi in favore degli
assegnatari  degli  stessi. Orbene, e' macroscopica la illegittimita'
della  norma con cui lo Stato si appropri delle somme derivanti dalla
alienazione  di  immobili  di proprieta' della regione o di suoi enti
strumentali.
   Cio'  costituisce  palese  violazione  dell'art. 117, quarto comma
della  Costituzione,  in quanto la gestione degli alloggi di edilizia
popolare  rientra,  come  piu' sopra visto, nel «terzo livello» degli
ambiti  di  legislazione in materia, ascritto alla potesta' normativa
residuale  esclusiva della regione. La gia' citata sentenza n. 94 del
2007 osserva che la norma che attribuisce allo Stato competenze nella
alienazione  degli  alloggi  di  e.r.p. (su cui si veda sub B) «viola
l'art.  117,  commi quarto e sesto, Cost., in quanto interviene nella
gestione  degli  alloggi  di  proprieta'  degli  lacp,  ossia di enti
strumentali  delle  regioni,  determinando  cosi' un'ingerenza in una
materia ricompresa nella potesta' legislativa residuale delle regioni
ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost., materia nella quale la
prevista  fonte regolamentare non puo' operare, a cio' ostando l'art.
117, sesto comma, Cost.»
   Viene, infine, ulteriormente violato l'art. 119 cost. in quanto lo
Stato,  in virtu' della previsione legislativa impugnata, finisce per
utilizzare  per  fini  propri  somme  di spettanza regionale, perche'
rivenienti  dall'alienazione di beni propri e perche' incidenti, come
sopra rilevato, in materia di legislazione residuale.
   Risulta dunque evidente la illegittimita' costituzionale dell'art.
11   della  legge  n. 133/2008  per  i  molteplici  profili  sin  qui
evidenziati.
B) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2, 3 e 3-bis,
legge n. 133/2008.
  1)  Violazione  dell'art.  117, commi quarto e sesto Cost. da parte
dei commi 1 2 e 3.
   La  norma  rubricata  detta misure per «valorizzare» il patrimonio
residenziale pubblico.
   Come  gia' accennato in fatto, i commi 1, 2 e 3 dell'art. 13 della
legge  n. 133/2008 ricalcano quasi testualmente i commi 597, 598, 599
e    600    dell'art.   1,   legge   n. 266/2005,   gia'   dichiarati
incostituzionali  dalla  sentenza  n. 94 del 21 marzo 2007 di codesta
Corte.
   Le  norme  in esame prevedono la stipula di accordi tra Ministero,
regioni   e   autonomie  locali,  in  sede  di  Conferenza  unificata
Stato-citta'  ed  autonomie  locali  tesi  alla semplificazione delle
procedure  di alienazione degli immobili di proprieta' degli Istituti
Autonomi per le case popolari. Tali accordi vengono stipulati in sede
di  Conferenza unificata disciplinata dall'art. 8, d.lgs. n. 281/1997
e   devono   essere  informati  ai  principi  previsti  dal  comma  2
dell'articolo: determinazione del prezzo di vendita in proporzione al
canone  di  locazione,  del  riconoscimento  del  diritto  di opzione
all'acquisto in favore dell'assegnatario non moroso o suoi congiunti,
destinazione  dei  proventi  delle  alienazioni alla realizzazione di
interventi  volti ad alleviare il disagio abitativo (art. 12, commi 1
e 2).
   Norme analoghe erano previste dai commi 597sgg. dell'art. 1, legge
n. 266/2005.
   In   particolare,   il   comma   597  prevedeva:  «Ai  fini  della
valorizzazione   degli   immobili  costituenti  il  patrimonio  degli
Istituti  autonomi  per  le case popolari, comunque denominati, entro
sei  mesi  dalla  data di entrata in vigore della presente legge, con
apposito  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri sono
semplificate  le  norme  in  materia di alienazione degli immobili di
proprieta'  degli  Istituti  medesimi.  Il decreto, da emanare previo
accordo  tra  Governo  e  regioni,  e'  predisposto  sulla base della
proposta   dei   Ministri  del  lavoro  e  delle  politiche  sociali,
dell'economia  e  delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti
da  presentare in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano».
   Il  comma  1  dell'art.  13  della  legge n. 133/2008 costituisce,
pertanto,  trasposizione  pressoche'  testuale di quella norma. Unica
differenza rispetto alla norma dichiarata incostituzionale e' che gli
accordi  tra  Stato  e  regioni vanno stipulati in sede di Conferenza
unificata  e che l'atto terminale del procedimento e', per l'appunto,
l'accordo e non un d.P.C.m.
   In pratica la differenza tra le due disposizioni sta nel fatto che
la  prima  dettava  i  principi  cui doveva uniformarsi l'accordo tra
Governo  e  regioni, preliminare al d.P.C.m. che avrebbe stabilito le
norme semplificate per l'alienazione degli alloggi; la norma attuale,
invece,   fissa   i  criteri  (esattamente  uguali  ai  principi  del
precedente  comma 598) in base ai quali dovranno essere stipulati gli
accordi  tra  Stato,  regioni  ed  enti  locali  aventi ad oggetto la
semplificazione delle normative per l'alienazione dei beni in esame.
   La nuova previsione, dunque, e' negli aspetti sostanziali identica
alla  precedente:  il  legislatore nazionale ha stabilito dei criteri
che   devono  essere  seguiti  nella  normativa  semplificata  e  per
quest'ultima   si  rinvia  ad  un  accordo  Stato-regioni.  La  norma
dichiarata  incostituzionale prevedeva, in piu' rispetto all'attuale,
un   d.P.C.m.  che,  posto  a  valle  dell'accordo,  ne  recepisse  i
contenuti.
   Il  comma  598,  a  sua  volta,  disponeva:  «I  principi  fissati
dall'accordo  tra  Governo e regioni e regolati dal decreto di cui al
comma 597 devono consentire che: a) il prezzo di vendita delle unita'
immobiliari  sia  determinato  in  proporzione  al  canone  dovuto  e
computato ai sensi delle vigenti leggi regionali, ovvero, laddove non
ancora  approvate, ai sensi della legge 8 agosto 1977, n. 513; b) per
le   unita'   ad   uso   residenziale  sia  riconosciuto  il  diritto
all'esercizio  del diritto di opzione all'acquisto per l'assegnatario
unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione
dei  beni;  che,  in  caso  di  rinunzia  da parte dell'assegnatario,
subentrino,  con  facolta'  di  rinunzia,  nel  diritto all'acquisto,
nell'ordine:  il  coniuge  in  regime  di  separazione  dei  beni, il
convivente  more  uxorio  purche' la convivenza duri da almeno cinque
anni, i figli conviventi, i figli non conviventi; c) i proventi delle
alienazioni  siano  destinati alla realizzazione di nuovi alloggi, al
contenimento degli oneri dei mutui sottoscritti da giovani coppie per
l'acquisto  della  prima  casa,  a promuovere il recupero sociale dei
quartieri degradati e per azioni in favore di famiglie in particolare
stato di bisogno».
   A  parte  la  piu' ampia finalita' nella destinazione dei proventi
derivanti  dalle  alienazioni  prevista  dalla  norma gia' dichiarata
incostituzionale,  la  formulazione  del  comma  2 dell'art. 13 della
legge  n. 133/2008  e'  assolutamente  identica  al  comma 598 appena
riportato.
   Il  comma  3  dell'art.  13  impugnato  prevede, infine, che negli
accordi  di  cui  al comma 1 «puo' essere prevista la facolta' per le
amministrazioni  regionali  e  locali  di  stipulare  convenzioni con
societa'  di  settore  per lo svolgimento delle attivita' strumentali
alla  vendita dei singoli beni immobili». La norma si differenzia ben
poco  dai  commi  599  e 600 dell'art. 1, legge n. 266/2005; il primo
prevedeva   la   possibilita'   di  cartolarizzare  gli  immobili  di
proprieta'  pubblica;  il  secondo  attribuiva  tale  possibilita' ai
singoli   enti  proprietari,  affidando  «a  societa'  di  comprovata
professionalita'   ed   esperienza   in  materia  immobiliare  e  con
specifiche   competenze   nell'edilizia   residenziale  pubblica,  la
gestione    delle    attivita'   necessarie   al   censimento,   alla
regolarizzazione ed alla vendita dei singoli beni immobili».
   Come  ampiamente  osservato  sub  A), la gestione degli alloggi di
edilizia  popolare  ed  economica e' materia ascritta alla competenza
normativa esclusiva delle regioni, ex art. 117, quarto comma Cost. Si
tratta  del cosiddetto «terzo livello» normativo in subiecta materia.
Pertanto, la legislazione statale non puo' dettare norme che incidano
sulla   materia,   trattandosi   di  ambiti  coperti  dalla  potesta'
legislativa  residuale  regionale  (si rinvia  in  proposito a quanto
rilevato sub 4 della precedente lettera A).
   La   pressoche'   assoluta   identita'  tra  le  norme  dichiarate
incostituzionali   e   quelle   oggetto  del  presente  scrutinio  di
costituzionalita'  consente  di  invocare le medesime statuizioni che
codesta  Corte  ha  espresso  nella sentenza n. 94 del 21 aprile 2007
allorche'  ha  dichiarato  l'illegittimita' costituzionale dei citati
commi  dell'art.  1  della  legge  n. 266/2005,  in  applicazione del
riparto  di  competenze legislative in subiecta materia delineato sub
A).
   In  tale occasione la Corte ha statuito: «Il comma 597 dell'art. 1
della  finanziaria  2006  si  pone  l'obiettivo «della valorizzazione
degli  immobili costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per
le  case  popolari,  comunque  denominati».  Tale valorizzazione deve
essere   ottenuta,   a   tenore  del  comma  impugnato,  mediante  la
semplificazione  delle  procedure  in  materia  di  alienazione degli
immobili  di  proprieta'  degli  Istituti medesimi. La specificazione
delle  modalita'  di  semplificazione  e' demandata ad un decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi nel termine di sei
mesi  dall'entrata  in  vigore della legge finanziaria. Il fine della
disposizione  in  esame  non  e'  quello  di  dettare  una disciplina
generale   in   tema   di  assegnazione  degli  alloggi  di  edilizia
residenziale  pubblica,  di  competenza  dello  Stato, secondo quanto
prima  argomentato  con  riferimento  alla  sentenza  di questa Corte
n. 486   del   1995,   bensi'   quello   di   regolare  le  procedure
amministrative  e  organizzative  per  arrivare  ad una piu' rapida e
conveniente   cessione   degli  immobili.  Si  tratta  quindi  di  un
intervento  normativo  dello  Stato  nella  gestione degli alloggi di
proprieta' degli I.A.C.P. (o di altri enti o strutture sostitutivi di
questi),  che  esplicitamente  viene motivato dalla legge statale con
finalita'   di   valorizzazione  di  un  patrimonio  immobiliare  non
appartenente  allo  Stato,  ma  ad enti strumentali delle regioni. Si
profila,  pertanto,  una  ingerenza  nel  terzo livello di normazione
riguardante  l'edilizia residenziale pubblica, sicuramente ricompreso
nella  potesta'  legislativa  residuale  delle  regioni, ai sensi del
quarto  comma  dell'art.  117 Cost. Di conseguenza - come rilevato in
uno   dei   ricorsi   -   la  fonte  regolamentare,  destinata  dalla
disposizione  impugnata  a  disciplinare  le procedure di alienazione
degli  immobili,  e'  stata prevista in una materia non di competenza
esclusiva  dello  Stato,  in  violazione del sesto comma del medesimo
art. 117» (sentenza della Corte n. 94 del 21 aprile 2007).
   E'  appena  il  caso  di  precisare  che  la modifica che la norma
attuale   prevede   rispetto  a  quella  dichiarata  incostituzionale
(l'eliminazione  del  d.P.C.m. a valle dell'accordo Stato-regione) e'
del  tutto  inidonea  a  superare  i  profili  di incostituzionalita'
accertati  nella  citata sentenza n. 94 del 2007, attesa la accertata
devoluzione  della materia costituita dall'edilizia residenziale alla
potesta'  legislativa  residuale regionale. Con la conseguenza che e'
rimessa  alle  regioni  la  relativa  disciplina,  ne' e' ammissibile
vincolare  l'esercizio della stessa potesta' legislativa regionale ad
accordi  con  lo  Stato,  perche'  cio' viola l'autonomia legislativa
costituzionalmente  garantita  alle Regioni, la quale non puo' essere
condizionata da assensi esterni non previsti in Costituzione.
   Con   specifico   riferimento   al   tema  dell'accordo,  previsto
nuovamente  dalla  norma  oggi  impugnata, la Corte ha sancito quanto
segue:  «Il comma 598 e' una logica conseguenza del comma precedente,
giacche'  fissa  alcuni  obiettivi  al  decreto  del  Presidente  del
Consiglio  dei ministri da emanarsi successivamente e si riferisce ad
un  ''accordo''  tra Stato e regioni, che deve precedere l'emanazione
del suddetto regolamento. Non si tratta pertanto di principi generali
volti  a  stabilire criteri uniformi di assegnazione degli alloggi di
edilizia  residenziale  pubblica  in relazione alla soddisfazione del
diritto  sociale  all'abitazione,  ma  di  indirizzi e limiti volti a
circoscrivere l'esercizio della potesta' regolamentare del Governo in
un  campo  nel  quale  la  stessa  non puo' essere esercitata ratione
materiae.   Ne'   varrebbe   richiamare   il   principio   di   leale
collaborazione,  giacche', nella specie, si versa in ambito materiale
riservato   esclusivamente  alle  regioni:  non  vengono  in  rilevo,
infatti,  profili  programmatori  o  progettuali  idonei  ad avere un
qualsiasi   impatto   con  il  territorio.  Non  e',  d'altra  parte,
condivisibile l'assunto dell'Avvocatura dello Stato, che fa rientrare
la  norma  impugnata nella materia ''ordinamento civile'', poiche' si
tratta   di   criteri   destinati   ad   incidere   sulle   procedure
amministrative  inerenti all'alienazione degli immobili di proprieta'
di  enti regionali e non gia' a regolare rapporti giuridici di natura
privatistica.  La  competenza  regionale  in  materia  e'  stata gia'
riconosciuta  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte  (si  veda, ad
esempio, la sentenza n. 486 de11995) e non v'e' spazio, pertanto, per
una  normativa  statale  che si sostituisca o si sovrapponga a quella
delle regioni, tuttora in vigore. Se l'alienazione degli alloggi deve
essere considerata, come s'e' visto, ''indissolubilmente connessa con
l'assegnazione  degli  stessi''  (sentenza  n. 486 del 1992), e se la
''disciplina  organica  dell'assegnazione e cessione degli alloggi di
edilizia   residenziale  pubblica  [...]  costituisce,  in  linea  di
principio,  espressione  della  competenza  spettante alla regione in
questa  materia''  (ordinanza  n. 104  del 2004), la disciplina delle
procedure   amministrative   tendenti   all'alienazione  non  rientra
nell'ordinamento  civile,  ma  deve  essere  ricondotta  al potere di
gestione  dei  propri  beni e del proprio patrimonio, appartenente in
via  esclusiva  alle  regioni  ed ai loro enti strumentali» (sentenza
della Corte n. 94 del 21 aprile 2007).
   E'  quindi evidente che le norme oggi impugnate sono viziate dalle
medesime  ragioni  di  incostituzionalita': non puo' lo Stato imporre
unilateralmente  i  principi  cui  dovranno  attenersi le regioni nel
raggiungere  «intese»  sulla disciplina da seguire per la alienazione
del patrimonio regionale.
   Infine,   con   riferimento  alle  norme  sulla  cartolarizzazione
contenute  nei commi 599 e 600 e riprodotti nel comma 3 dell'art. 13,
legge  n. 133/2006, codesta Corte ha osservato: «Il comma 599 prevede
che   le   norme   statali  sulla  cartolarizzazione  del  patrimonio
immobiliare  pubblico,  dettate  dal decreto-legge 25 settembre 2001,
n. 351  (…),  si  applicano  agli  I.A.C.P.  che  ne  facciano
richiesta  tramite  le  regioni.  A tal proposito, si deve mettere in
rilievo  che  la  facolta'  delle regioni di avvalersi della suddetta
normativa  statale e' prevista dall'art. 1, comma 6 del decreto-legge
prima  citato.  L'attribuzione  della medesima facolta' anche ad enti
strumentali  della regione o e' priva di autonomo contenuto normativo
o  assegna  loro  la possibilita' di esercitare la facolta' in parola
anche  contro, in ipotesi, il volere della regione di riferimento, la
quale   diventerebbe,  pertanto,  un  mero  tramite  burocratico  per
l'esercizio  di  un potere direttamente attribuito dallo Stato a tali
enti,    con    evidente    lesione   della   sfera   di   competenza
costituzionalmente garantita delle regioni.
   5.4.  -  Analoghe  considerazioni  valgono  per  il comma 600, che
conferisce   direttamente   agli  enti  proprietari  la  facolta'  di
rivolgersi   a   societa'   specializzate   per   il  censimento,  la
regolarizzazione  e  la vendita dei singoli beni immobili. Vengono in
tal  modo  scavalcate le possibili scelte gestionali della Regione, i
cui enti strumentali potrebbero invocare un titolo giuridico autonomo
che  li  autorizzi  ad  agire  in  contrasto  con  le linee direttive
regionali» (sentenza della Corte n. 94 del 21 aprile 2007).
   Identiche   previsioni   sono  contenute  nel  comma  3  dell'art.
n. 133/2008,  con la sola precisazione che il nuovo testo dispone, in
maniera  piu'  «secca»  rispetto  al  precedente,  che la facolta' di
cartolarizzare    gli    immobili   puo'   essere   attribuita   alle
amministrazioni   «locali»,  oltre  che  a  quelle  regionali,  cosi'
reiterando  l'illegittima  scelta statale di consentire anche ad enti
sub-regionali  di  effettuare  scelte  gestionali  in  contrasto  con
differenti  indirizzi  da  parte  della regione. Tali previsioni sono
quindi  incostituzionali per le ragioni gia' evidenziate nella citata
sentenza della Corte.
   In  definitiva,  alla  luce  della  citata recente pronuncia della
Corte  su disposizioni pressoche' identiche, e' del tutto evidente la
incostituzionalita' della previsioni impugnate.
   2) Violazione dell'art. 119 Cost. da parte del comma 3-bis.
   Va, infine, denunciata anche l'incostituzionalita' del comma 3-bis
dell'art. 13, col quale viene istituito un fondo per l'acquisto della
prima casa.
   La  norma  viola  l'art.  119 per le ragioni gia' espresse al n. 5
della  precedente lettera A), non essendo ammissibile la costituzione
di  fondi  da  gestire  a  livello  centrale  per ambiti materiali di
normazione concorrente o addirittura esclusiva regionale.
   Peraltro,  pressoche'  analoga previsione e' gia' stata dichiarata
incostituzionale  da  codesta  Corte con la sentenza n. 137 del 2007,
ampiamente citata al predetto n. 5 lettera A).
                              P. Q. M.
   Si  chiede  che l'ecc.ma Corte Costituzionale, in accoglimento del
ricorso,  dichiari  l'illegittimita'  costituzionale degli artt. 11 e
13,  commi  1,  2,  3  e  3-bis della legge n. 133 del 6 agosto 2008,
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 195
del  21  agosto  2008 per contrasto con gli artt. 117, 118, 119 della
Costituzione,  nonche' per violazione dei principi di sussidiarieta',
leale  collaborazione  e  adeguatezza,  per  tutte le ragioni innanzi
evidenziate.
     Bari-Roma, addi' 18 ottobre 2008
                          Avv. Nino Matassa