N. 369 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 - 27 aprile 2008
Ordinanza del 27 aprile 2007 emessa dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile promosso da Nouioui Zahi Ben Amor contro Mutuelles Du Mans Assicurazioni S.p.A. ed altri Procedimento civile - Prova testimoniale - Incapacita' a testimoniare delle persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio (nella specie, erede del defunto responsabile civile citata in riassunzione, e conducente del veicolo danneggiante) - Omessa previsione che, anche nel caso in cui non sia disponibile alcun altro strumento di prova, possano essere assunte come testimoni persone pur portatrici di interessi giuridicamente qualificati o addirittura gia' presenti nel processo come parti - Denunciata violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza - Incidenza sul diritto di difesa - Asserita lesione del principio di parita' tra le parti del processo - Denunciata violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Codice di procedura civile, art. 246. - Costituzione, artt. 3, 24, 111 e 117; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 6, comma 1.(GU n.48 del 19-11-2008 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale 21067/2005, promossa da Nouioui Zahi Ben Amor, elettivamente domiciliato in Napoli, alla via Stendhal, n. 23, presso lo studio dell'avv. Massimo Curcio, attore; Contro Mutuelles Du Mans Assicurazioni S.p.A., elettivamente domiciliata in Pozzuoli (Napoli), via Solfatara, n. 8, presso lo studio dell'avv. Antonio Ioffredo, convenuta, Maria e Cinzia Romanucci e Amalia Santarpino, quali eredi di Aniello Romanucci, convenuti contumaci, avente ad oggetto: risarcimento danni da sinistro stradale. Il giudice, letti gli atti, osserva I n f a t t o Il sig. Nouioui Zahi Ben Amor ha convenuto innanzi a questo tribunale Aniello Romanucci, quale proprietario della Renault Clio tg AR 737 VD, e la La Nationale Assicurazioni S.p.A. (oggi, Mutuelles Du Mans Assicurazioni S.p.A.), quale assicuratrice del suddetto veicolo, per sentir dichiarare il primo responsabile delle lesioni riportate a seguito dell'investimento subito in qualita' di pedone in Napoli, alla via A. Poerio, il giorno 14 maggio 2003, verso le ore 10,00 circa, ad opera della Renault Clio e, per l'effetto, sentir condannare i convenuti in solido al risarcimento di tutti i danni patiti. La compagnia si e' costituita in giudizio contestando l'avversa pretesa sulla base della diversa ricostruzione del fatto desunta dalla denuncia di sinistro fattale pervenire dal proprio assicurato e dal conducente della vettura, sig. Agatino Caponetto, secondo cui il sig. Nouioui Zahi Ben Amor al momento del passaggio della vettura stava litigando con altre persone e, venendo spintonato, era finito contro il lato posteriore della Clio che transitava regolarmente sulla sede stradale. L'atto introduttivo, verificato l'avvenuto decesso del sig. Romanucci, e' stato notificato alle eredi dello stesso, sigg.re Cinzia e Maria Romanucci e Amalia Santarpino, rimaste contumaci. Dopo il libero interrogatorio dell'attore, le parti hanno depositato nei termini concessi le memorie ex art. 184 c.p.c., formulando le rispettive richieste istruttorie. In particolare, la difesa della Mutuelles Du Mans ha chiesto di provare le circostanze di fatto esposte in comparsa indicando a testi i signori Cinzia Romanucci e Agatino Caponetto; la difesa dell'attore, dal canto suo, nella memoria di replica, ha eccepito l'incapacita' a deporre dei testi, entrambi legati all'originario proprietario della vettura e presunto responsabile civile, sig. Aniello Romanucci, da rapporti di parentela, essendone la prima figlia ed il secondo genero; ed ulteriormente per essere entrambi incapaci a deporre ai sensi dell'art. 246 c.p.c., essendo la prima divenuta parte del giudizio a seguito del decesso del padre e della citazione degli eredi dello stesso ed essendo il secondo conducente della vettura investitrice al momento del fatto. Il giudice si e' quindi riservato di decidere. I n d i r i t t o Va sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 246 c.p.c. La norma in questione dispone che non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio. Certamente incapaci, dunque, dovrebbero ritenersi i testi indicati dalla convenuta; non perche' prossimi congiunti del defunto responsabile civile (l'art. 247 c.p.c. essendo stato dichiarato incostituzionale), ma per essere l'uno, sig. Agatino Caponetto, il conducente del veicolo danneggiante, come tale portatore di interesse qualificato ad intervenire in causa (giurisprudenza costante, a partire da Cass. 2441 del 18 giugno 1975; a differenza di quanto accade per il conducente del veicolo danneggiato: Cass. 5858 del 25 maggio 1993); e per essere l'altra, sig.ra Cinzia Romanucci, divenuta parte del giudizio a seguito del decesso del padre. Ad avviso di questo giudice, puo' dubitarsi della legittimita' costituzionale della citata disposizione codicistica, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost., nella parte in cui non consente, neppure nel caso in cui non si disponga di alcun altro strumento di prova (come nel caso di specie: in questo senso risulta la dichiarazione del procuratore della compagnia convenuta nel corso dell'udienza di discussione sull'ammissibilita' delle prove), di assumere come testimoni, e dunque con tutte le responsabilita' connesse, e con tutte le cautele circa la valutazione della loro attendibilita', persone pur portatrici di interessi giuridicamente qualificati o addirittura persone gia' presenti nel giudizio come parti. Non ignora questo giudice che la Corte costituzionale e' gia' stata piu' volte chiamata a valutare la compatibilita' con la Carta fondamentale della disciplina delle prove costituende dettata dal codice di rito civile; e che, se gli artt. 247 e 248 c.p.c., che prevedevano il divieto di testimoniare rispettivamente del coniuge, dei parenti o degli affini, e dei minori di quattordici anni, sono stati dichiarati incostituzionali con le sentenze 248 del 1974 e 139 del 1975, l'art. 246 c.p.c. ha retto piu' volte al vaglio di legittimita' costituzionale (cfr. la stessa sentenza 248 del 1974; l'ordinanza 75 del 1987; l'ordinanza 494 del 1987; la sentenza n. 62 del 1995). E tuttavia, pare a questo giudice che la questione meriti di essere riproposta, anche sotto altri e diversi profili, e con riferimento a norme introdotte nella Carta fondamentale successivamente a quelle pronunce. Com'e' noto, il divieto di testimonianza per i soggetti che possano assumere la qualita' di parte discende dal tradizionale principio secondo cui nemo in propria causa testis esse debet. Peraltro, tale principio appare storicamente legato ad ordinamenti intrisi anche di valori religiosi, nei quali si riteneva tra l'altro di dover proteggere le parti del processo civile dallo spergiuro; in altri ordinamenti ed in diverse epoche il principio e' sconosciuto o e' stato superato, in vista dell'affermazione di una nozione piu' ampia e lata di testimonianza, in cui puo' convergere pure l'utilizzazione probatoria, con tutte le cautele del caso, delle dichiarazioni rese oralmente dalle parti nel processo. Il mantenimento di una rigida separazione tra ruolo di parte e ruolo di testimone, del resto, anche nel nostro sistema pare in qualche misura in sofferenza, per effetto di interventi successivi che inducono a ripensarne i fondamenti. Emblematica pare la storia del giuramento decisorio, che fondava la propria ratio giustificatrice all'interno di un ordinamento che conteneva segni di commistioni valoriali tra l'ambito civile e quello etico-religioso. Allo stato, pero', e' caduto ogni riferimento, per effetto delle pronunce della Corte costituzionale, all'importanza religiosa dell'atto ed il conseguente ammonimento sulla responsabilita' da assumere davanti a Dio (Corte cost., 8 ottobre 1996, n. 334). Ed allora, sembra non trascurabile l'anomalia di un ordinamento che vede con sfavore estremo ogni possibile commissione tra ruolo di parte e ruolo di testimone, fino ad escludere dalla testimonianza anche parti soltanto potenziali, e poi - pur avendo eliminato ogni confusione tra piano giuridico civile e piano religioso - ancora consente ad una parte di costringere l'altra ad assumere una veste sotto molti aspetti simile a quella di testimone, con l'aggravante di non poter in nessun caso porre in discussione l'esito del giudizio civile originato dalle dichiarazioni del giurante, neppure qualora si rivelassero, in sede penale, del tutto menzognere; ed ancor piu' incongruente risulta il sistema dopo l'introduzione, nel cd. rito societario, di un atipico giuramento suppletorio dell'attore per attribuire concludenza alla domanda a fronte della contumacia del convenuto e della conseguente non contestazione dei fatti allegati (art. 13, comma 3, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5). E tutto cio' mentre non e' in alcun modo previsto un «diritto di dire la verita'» per la parte che, in mancanza di altri strumenti di prova, intenda sottoporre al giudice la propria versione dei fatti, magari corroborandola con riscontri esterni (tutt'altra valenza dovendosi riconoscere all'interrogatorio libero, peraltro depotenziato a seguito della novella del 2005). La rigida separazione tra ruolo di parte e ruolo di testimone, poi, puo' risultare particolarmente pregiudizievole in casi, quale quello in oggetto, in cui gli unici testimoni a disposizione di una parte siano, per un motivo o per l'altro, incapaci a deporre secondo la corrente interpretazione della disposizione codicistica. La questione che si intende sottoporre alla Corte costituzionale risulta, nel caso di specie, rilevante nel giudizio in corso, dal momento che dalla fondatezza o meno della stessa dipende l'ammissibilita' o meno della prova testimoniale richiesta dalla convenuta Mutuelles Du Mans; ed appare non manifestamente infondata alla stregua dei parametri costituzionali sopra indicati, per i motivi che si passano ad illustrare. Dal punto di vista dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, il divieto di testimonianza per chi sia (o possa assumere la veste di) parte puo' trasformarsi in una disuguaglianza di posizioni, peraltro irragionevole ove si consideri che un medesimo fatto dannoso puo' assumere rilevanza anche penalistica, ma nel giudizio penale la parte danneggiata, pur costituitasi parte civile, ben puo' rendere testimonianza. Del tutto singolare, poi, risulta il caso di specie, in cui l'assunzione della qualita' di parte in capo alla sig.ra Cinzia Romanucci e' sopravvenuta al decesso del padre, denotando l'irragionevolezza della limitazione probatoria ancorata al mero dato formale della veste di parte (la stessa Romanucci ben avrebbe potuto deporre ove il padre non fosse deceduto). Ma il divieto di prova sancito dall'art. 246 c.p.c. appare, altresi', potenzialmente lesivo del diritto di agire e difendersi in giudizio, della parita' tra le parti che deve connotare ogni processo, e dei principi e precetti della Convenzione dei Diritti dell'Uomo, come interpretati dalla Corte europea di Strasburgo, costituenti vincoli alla stessa potesta' legislativa ai sensi dell'art. 117 Cost. Ed infatti, le norme degli artt. 24 e 111 Cost. gia' comprendono, al loro interno, il diritto di difendersi provando quale connotato essenziale del diritto di difesa e del principio di parita' tra le parti del processo. Quanto all'art. 111 Cost., in particolare, e' noto che il Parlamento attraverso la riscrittura della norma costituzionale intese dare specifica attuazione proprio ai precetti della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; con la conseguenza che nel giudizio di compatibilita' tra la norma di rango ordinario ed il nuovo precetto costituzionale ampio spazio pare debba riconoscersi anche alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Ebbene, il principio di parita' tra le parti anche sul piano probatorio e' desumibile dall'art. 61 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo, nell'interpretazione datane dalla Corte europea. Ed infatti, dalla norma della Convenzione la Corte ha tratto il principio di «uguaglianza delle armi», in virtu' del quale nelle controversie concernenti opposti interessi privati ciascuna parte deve disporre di una ragionevole opportunita' di esporre il proprio caso - comprese le prove - a condizioni che non la pongano in posizione di sostanziale svantaggio nei confronti della controparte. Con la decisione 27 ottobre 1993 (che, per quanto e' dato sapere, non risulta menzionata ne' nelle ordinanze di remissione ne' nelle pronunce della Consulta ad essa successive), la Corte di Strasburgo, dopo aver riaffermato che non le compete valutare in astratto il diritto nazionale dei paesi membri, ha ritenuto che violasse il citato principio un ordinamento (quello olandese) che, attraverso una norma simile al nostro art. 246 c.p.c., ponesse una parte in posizione di sostanziale svantaggio nei confronti della controparte. In dottrina, non e' mancato chi ha sostenuto che il giudice nazionale possa disapplicare l'art. 246 c.p.c., ritenendo sullo stesso prevalente l'art. 6, par. 1, della Cedu, come interpretato dalla Corte europea, in quanto ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, non fosse altro perche' tale legge e' successiva all'entrata in vigore del c.p.c.; o darne quanto meno una lettura conforme a quanto ritenuto dalla Corte di Strasburgo, ritenendo implicitamente modificata la norma codicistica nel senso indicato dai giudici della convenzione. E, tuttavia, non pare a questo giudice che, a fronte dei reiterati interventi della Corte costituzionale, che ha respinto precedenti eccezioni di legittimita' costituzionale della norma in questione, sia possibile una disapplicazione o una interpretazione fortemente modificativa dell'articolo di cui si discute. Conforta in tale conclusione quanto ritenuto dalla Corte di cassazione, sia pure con riferimento a tutt'altra materia, con la recente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale n. 401 del 29 maggio 2006. Con detta ordinanza la suprema Corte, ricordato che «l'abrogazione della legge dello Stato si verifica nelle sole ipotesi ... dell'art. 15 disp. prel. cod. civ. e art. 136 Cost., che non tollerano la disapplicazione da parte del giudice, pur quando si avvalga della autorevole interpretazione del giudice internazionale», ha ritenuto incompatibile con lo stesso principio di divisione dei poteri ed estraneo al sistema costituzionale l'introduzione di una funzione di revisione legislativa da parte del potere giudiziario, con cio' ridimensionando anche il principio, altre volte espresso (Cass. 26 gennaio 2004, n. 1340), secondo cui al rispetto della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come essa vive nelle decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo, corrisponderebbe l'obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno, per quanto possibile, conformemente alla Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo. La stessa Corte regolatrice, nell'ordinanza citata, ha poi escluso che i principi dettati dalla Cedu possano ritenersi sovraordinati alla fonte nazionale attraverso un meccanismo assimilabile alle limitazioni di sovranita' consentite dall'art. 11 Cost.; ed ha ugualmente escluso che l'ordinamento interno possa adeguarsi alle pronunce della Corte europea «come conformazione alle norme di diritto internazionale che secondo l'art. 10 Cost. impegna tutto l'ordinamento». D'altro canto, ove anche si potesse ritenere vincolante l'interpretazione della Convenzione data dalla Corte europea, i margini di discrezionalita' nel ritagliare gli ambiti entro cui la deposizione testimoniale della parte o comunque del soggetto portatore di interessi giuridicamente qualificati possa essere ammessa sono tali da non consentire al singolo Giudice di dare un'interpretazione adeguatrice della norma. Dunque, non pare possibile una lettura del divieto di testimoniare ex art. 246 c.p.c. che, attraverso il precipitato dei principi della Convenzione europea quale interpretati dalla Corte di Strasburgo, possa ritenersi costituzionalmente adeguata e corretta; specie in presenza dei tanti precedenti pronunciamenti del Giudice delle leggi che ha ritenuto legittimi i divieti stessi. E, tuttavia, proprio alla luce della Convenzione come interpretata dalla Corte europea, l'art. 246 c.p.c. pare suscettibile di porsi in contrasto anche con l'art. 117, primo comma, Cost. L'articolo della Carta costituzionale riformulato nel 2001, lungi dal limitarsi a rideterminare i rapporti Stato-Regioni, individua gli ambiti di legittimita' anche della legislazione statale, con riferimento non solo alle norme della Costituzione, ma anche ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Conseguentemente, l'ipotizzata incongruenza tra la norma processuale e la Convenzione come interpretata dalla Corte di Strasburgo puo' configurare un sopravvenuto contrasto mediato con lo stesso art. 117 Cost.; come rilevato dalla suprema Corte nella piu' volte citata ordinanza 401/2006, «le norme della Convenzione, in particolare gli artt. 6 e 1, ... divengono norme interposte, attraverso l'autorevole interpretazione che ne ha reso la Corte di Strasburgo, nel giudizio di costituzionalita'». Dunque, va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'artt. 246 c.p.c. per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost. nella parte in cui non consente, neppure nel caso in cui non si disponga di alcun altro strumento di prova, di assumere come testimoni persone pur portatrici di interessi giuridicamente qualificati o addirittura gia' presenti nel processo come parti. Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
P. Q. M. Dichiara rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 24, 111 e 117 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 246 c.p.c., nella parte in cui non consente, neppure nel caso in cui non si disponga di alcun altro strumento di prova, di assumere come testimoni persone pur portatrici di interessi giuridicamente qualificati o addirittura gia' presenti nel processo come parti; Manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio; Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. Sospende il giudizio in corso. Si comunichi a cura della cancelleria. Napoli, addi' 26 aprile 2007 Il giudice: Cataldi