N. 376 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 giugno - 27 maggio 2008

Ordinanza  del  6  giugno  2008  emessa  dal Tribunale amministrativo
regionale  della  Lombardia  sul  ricorso proposto da Kondaj Enkeleda
contro il Comune di Rho.

Telecomunicazioni  -  Regione Lombardia - Apertura di nuovi centri di
  telefonia  in  sede  fissa - Divieto nelle more dell'individuazione
  degli  appositi ambiti territoriali da parte dei comuni - Incidenza
  sul   principio   di  liberta'  d'iniziativa  economica  privata  -
  Violazione  del riparto della competenza legislativa Stato-Regioni,
  dei  vincoli  derivanti dall'ordinamento comunitario e dei principi
  posti  dalla  normazione  statale  nella  materia dell'«ordinamento
  della comunicazione».
- Legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6, art. 7.
- Costituzione,  artt.  41  e  117, commi primo, secondo, lett. e), e
  terzo.
(GU n.49 del 26-11-2008 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunziato  la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al RG.
n. 1011/2008,  proposto  da  Kondaj  Enkeleda, rappresentata e difesa
dagli  avv. Antonio e Michele Romano ed elettivamente domiciliata (ex
lege   ai   sensi  degli  artt.  35,  r.d.  n. 1054/1924,  19,  legge
n. 1034/1971)  in  Milano,  via  del  Conservatoriø  n. 13, presso la
segreteria del Tribunale amministrativo regionaleLombardia;
   Contro  il  Comune  di  Rho,  in  persona  del Sindaco pro tempore
rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Tiziano Ugoccioni, presso il cui
studio  in  Milano, via Boccaccio n. 19 e' elettivamente domiciliato,
per   l'annullamento   previa  sospensione  del  provvedimento  prot.
n. 12460  del  Comune  di  Rho,  adottato  in  data  3  marzo  2008 e
notificato  al ricorrente il giorno successivo, nonche' di ogni altro
atto comunque preordinato e/o connesso.
   Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
   Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento
impugnato presentata in via incidentale dalla ricorrente;
   Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Rho;
   Presenti  alla Camera di consiglio, in data 27 maggio 2008, l'avv.
Pietro  Romano,  su  delega, per la parte ricorrente e l'avv. Tiziano
Ugoccioni per l'Amministrazione resistente;
   Udito il relatore ref. dr.ssa Concetta Plantamura;
   Vista  l'ordinanza  cautelare  n. 802/08 di accoglimento a termine
dell'istanza   di   sospensione  correlata  al  ricorso  in  epigrafe
indicato, deliberata dalla sezione alla medesima Camera di consiglio,
in ragione della presente questione di costituzionalita';
   Visto l'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Visti gli atti tutti della causa.
                              F a t t o
   La  ricorrente, che dal dicembre 2007 gestisce in Comune di Rho un
centro  di  telefonia  in  sede fissa (phone center) assume di essere
subentrata   «di  fatto»  ad  altri  nella  conduzione  del  suddetto
esercizio,  acquistando  tutti gli impianti e sottoscrivendo un nuovo
contratto di affitto dei locali, con decorrenza 18 settembre 2007.
   Dai  documenti  prodotti risulta che l'esponente ha effettivamente
richiesto  al  comune  di  Rho,  il  16  gennaio  2008,  il  rilascio
dell'autorizzazione di cui alla legge regionale 3 marzo 2006 n. 6, al
fine della regolarizzazione dell'attivita' di phone center.
   Il comune, tuttavia, ha negato il rilascio del titolo considerando
che,  da  un  lato,  l'attivita'  della  ricorrente  non  puo' essere
ritenuta  preesistente  alla  data  di  entrata in vigore della legge
della  Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6 cit. (fissata al 22 marzo
2006)  e,  dall'altro,  che  come  nuova  attivita' non puo' comunque
essere  autorizzata,  ostando  a cio' la previsione dell'art. 7 della
ridetta  legge  (introduttivo  dell'art. 98-bis della legge regionale
n. 12/2005),  secondo  cui  spetta  ai Comuni individuare, in sede di
P.G.T.,   gli   ambiti   territoriali   nei   quali   e'  ammessa  la
localizzazione dei centri di telefonia in sede fissa.
   In  conseguenza di cio', non avendo il Comune di Rho provveduto ad
adottare   i   Piani  di  Governo  del  Territorio,  in  applicazione
dell'ultimo comma del cit. art. 98-bis, come sopra novellato (secondo
cui:  «Nelle  more  delle determinazioni di cui ai commi 1 e 2 non e'
consentita l'apertura di nuovi centri di telefonia in sede fissa, ne'
la  rilocalizzazione  di  centri  preesistenti.»),  si e' giunti alla
conclusione  per  cui  «Attualmente  a  Rho non possono aprirsi nuovi
centri di telefonia in sede fissa, o essere ricollocati, per cui tale
attivita'  non  puo'  essere  assentita  neanche nei locali di via C.
Fiorenza n. 30» (oggetto della richiesta della ricorrente).
   Contro  tale  provvedimento  e'  stato proposto l'odierno ricorso,
affidato  a  due  motivi,  oltre  all'istanza  di  sospensione in via
incidentale.
   Alla  camera di consiglio del 27 aprile 2008 la Sezione ha accolto
-  a  termine,  sino  alla pronuncia della Corte costituzionale sulla
questione oggetto della presente ordinanza - l'istanza incidentale di
sospensiva,  ritenendo  rilevante e non manifestamente infondata (nei
sensi   che   verranno   di  seguito  specificati)  la  questione  di
costituzionalita'  prospettata  dalla ricorrente, nei confronti della
citata legge regionale n. 6/2006.
                            D i r i t t o
   Sotto il profilo della rilevanza, si deve sottolineare come l'atto
impugnato  ponga  a  fondamento  del  diniego la previsione dell'art.
98-bis  della  legge regionale della Lombardia n. 12/2005, cosi' come
introdotta  dall'art. 7 della legge Regione Lombardia n. 6/2006 (gia'
indicata in narrativa).
   Trattasi, in particolare, dell'ultimo comma dell'art. 98-bis cit.,
che  non  consente  l'apertura  di  nuovi centri di telefonia in sede
fissa   (per   tale   configurandosi   quello   gestito  dall'odierna
ricorrente)  nelle  more  della  individuazione degli appositi ambiti
territoriali da parte dei comuni.
   E'  proprio  dall'applicazione di tale norma al caso di specie che
e'  derivato il diniego comunale, diniego su cui non si e' dispiegata
alcuna  valutazione  discrezionale da parte dell'ente locale, a parte
l'accertamento  a  seguito del quale si e' stabilito che il centro di
che trattasi non e' sussumibile fra quelli «preesistenti».
   Ora,  poiche'  tale disposizione e' stata introdotta, come innanzi
accennato, dall'art. 7, l.r. n. 6/2006, e' proprio quest'ultima norma
ad  essere  sospettata di incostituzionalita' e ad assumere rilevanza
nella vertenza in esame.
   Le   norme   costituzionali  di  cui  si  sospetta  la  violazione
riguardano l'articolo 117 Cost., non soltanto in relazione al secondo
comma,  lett.  e), come richiesto da parte ricorrente, ma anche, come
ritenuto  d'ufficio  dal  Collegio,  in riguardo ai commi 1 e 3 della
stessa  norma,  venendo  in  rilievo la violazione sia del sistema di
riparto delle competenze legislative Stato Regione (art. 117, secondo
comma,   lett.   e),   che  dei  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario  (art.  117,  primo  comma  1) e, quindi, dei principi di
normazione  statuale  posti  nella  materia  dell'«ordinamento  della
comunicazione»  (art.  117,  terzo  comma);  infine  si  sospetta  la
violazione  anche  dell'art.  41  Cost.,  in  relazione  ai rilevanti
ostacoli  che le prescrizioni in materia di localizzazione dei centri
di  telefonia  in sede fissa, introdotte dalla legge regionale di cui
trattasi,  determinano  sulla  liberta'  di  iniziativa economica dei
gestori.
   Dalle  esposte  premesse  emerge,  dunque,  sotto il profilo della
rilevanza   della   questione   di   costituzionalita',  un  contesto
legislativo  che  ha  direttamente  determinato  in  modo  cogente il
contenuto  lesivo  dell'atto  impugnato,  senza lasciare o consentire
alcuna  mediazione  discrezionale  in  capo  alla  intimata autorita'
amministrativa.
   Sul piano, ancora, della rilevanza, va nuovamente chiarito che, in
relazione  alla  valutazione  di  non  manifesta  infondatezza  della
questione di costituzionalita' dell'art. 7 sopra indicato, la sezione
ha  adottato  un'ordinanza cautelare di sospensione del provvedimento
di  diniego  di  autorizzazione  dell'attivita'  di phone center, con
efficacia  limitata  al  periodo  di  tempo necessario a che la Corte
costituzionale si pronunci sulla questione stessa.
   Chiarita   la  rilevanza  della  questione,  il  Collegio  intende
evidenziare  a  carico  della  l.r.  n. 6/2006 - quanto all'ulteriore
profilo  della  non  manifesta  infondatezza  - anzitutto la sospetta
violazione dell'art. 117 della Costituzione.
   A tal fine, e' necessario premettere come l'articolo 1 della legge
regionale  in questione riconduca la deliberata normativa «nel quadro
delle competenze della regione e dei comuni in materia di commercio»;
e,  tuttavia,  il  riferimento  a siffatta materia (che rientra nella
legislazione  residuale  regionale  ex  art. 117, quarto comma Cost.)
sembra   al   Collegio   del   tutto  estraneo  all'effettivo  ambito
applicativo  della  legge stessa che, ai sensi dell'articolo 2, comma
primo,  consiste  nell'attivita'  di  «  ... cessione al pubblico di'
servizi  di  telefonia  in  sede fissa in locali aperti al pubblico»,
secondo le ulteriori specificazioni illustrate nei successivi commi.
   Un'attivita'  di tal fatta, per vero, non rientra nella vendita di
merci  all'ingrosso o al dettaglio, secondo quanto previsto dall'art.
4  del  decreto  legislativo  31  marzo  1998, n. 114 («Riforma della
disciplina  relativa al settore del commercio (...)». ne' rientra nei
settori  del  commercio definiti dall'art. 39 del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 112.
   L'attivita'  terziaria  in  esame  sembra, per vero, riconducibile
alla  materia  dell'ordinamento  delle comunicazioni (art. 117, terzo
comma,     Cost.     rimessa     alla     legislazione    concorrente
Stato-regione) ascrivendosi,  piu'  specificamente,  al  «servizio di
comunicazione  elettronica»,  quale categoria introdotta dall'art. 2,
par.  1,  lett.  c)  della  dir.  7  marzo  2002  n. 2002/21/CE,  con
conseguente  applicazione della disciplina di derivazione comunitaria
(comprensiva,  altresi',  delle  direttive  2202/19/CE,  2002/20/CE e
2002/22/CE),  complessivamente recepita dall'italia con il cd. codice
delle  comunicazioni  elettroniche,  di cui al decreto legislativo 1°
agosto 2003, n. 259.
   Appaiono,  infatti,  del  tutto  pertinenti  ai casi di specie, le
definizioni  mirate a delimitare il campo di applicazione del decreto
medesimo,  ai  sensi dell'articolo 1, comma 1, con peculiare riguardo
alle   lettere   bb)   («rete   telefonica   pubblica:  una  rete  di
comunicazione  elettronica  utilizzata per fornire servizi telefonici
accessibili  al  pubblico») ed alle lettere oo) («telefono pubblico a
pagamento:  qualsiasi apparecchio telefonico accessibile al pubblico,
utilizzabile  con  mezzi  di pagamento che possono includere monete o
carte di credito o di addebito o schede prepagate, comprese le schede
con codice di accesso»).
   La  rilevata  derivazione europea di tale normativa comporta, poi,
che   la  materia  ivi  trattata  (ordinamento  delle  comunicazioni)
vincola,   anche   con   riguardo   al   rispetto  del  principio  di
proporzionalita',  la  Regione, non solo, ai sensi dell'articolo 117,
terzo  comma, entro i limiti della legislazione statale di principio,
ma,  piu' in radice, ai sensi dell'articolo 117, primo comma, secondo
cui   ogni  legge  della  Repubblica  deve  conformarsi  ai  «vincoli
derivanti dagli obblighi comunitari».
   In   via   strettamente   consequenziale,   il  rispetto  di  tali
disposizioni  finisce,  poi,  per impingere su profili trasversali di
legislazione esclusiva statale, ex art. 117, secondo comma Cost., con
specifico  riguardo  alla  tutela della concorrenza (lett. e) nonche'
alla  determinazione  (e  salvaguardia)  dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i' diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su  tutto  il  territorio  nazionale  (lett.  m), anche in
conformita' all'interesse generale che connota tali servizi, ai sensi
dell'art. 3 del citato decreto n. 259/2003.
   In proposito, va' altresi' evidenziato il disposto del primo comma
dell'art.   3  del  d.lgs.  cit.,  il  quale  garantisce  i  «diritti
inderogabili   di  liberta'  delle  persone  nell'uso  dei  mezzi  di
comunicazione  elettronica»  con  espresso  richiamo a quel regime di
(libera)   concorrenza  che  rinforza  il  legame  dell'attivita'  in
questione   alla   «materia-funzione»   devoluta   alla  legislazione
esclusiva statale.
   I  principi  di derivazione comunitaria e costituzionale, inoltre,
risultano  espressamente  ribaditi  dall'art.  4 del medesimo decreto
legislativo,  il  quale prevede (primo comma) che la disciplina delle
reti   e   dei   servizi   e'   volta   a   salvaguardare  i  diritti
costituzionalmente  garantiti di «liberta' di comunicazione», nonche'
di  «liberta'  di  iniziativa  economica e suo esercizio in regime di
concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di
comunicazione    elettronica   secondo   criteri   di   obiettivita',
trasparenza,  non  discriminazione  e  proporzionalita'»  (sul punto,
Corte costituzionale n. 236/2005).
   Il  terzo  comma  dello stesso art. 4 dispone, tra l'altro, che la
suddetta  disciplina  e' volta anche a «promuovere la semplificazione
dei  procedimenti  amministrativi  e  la  partecipazione  ad essi dei
soggetti  interessati, attraverso l'adozione di procedure tempestive,
non  discriminatorie  e  trasparenti  nei confronti delle imprese che
forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica».
   Puntualizzato   quanto  sopra,  va  poi  affermato  che  la  norma
regionale  -  nella  sua  unilaterale  iniziativa  di regolazione del
settore  (erroneamente  riportato  al  commercio) - ha, non soltanto,
introdotto  un regime autorizzativo ulteriore e duplicativo, rispetto
al  sistema  delineato  in  sede  comunitaria,  come  recepito con il
decreto  legislativo  n. 259/2003,  ma  ha,  oltretutto,  subordinato
l'insediamento   dei   ridetti   centri   di  telefonia  alla  previa
pianificazione  urbanistica  degli ambiti territoriali destinati alla
loro localizzazione.
   Ed,  invero,  tornando al comma 2 dell'articolo 3 di tale decreto,
ivi  si  prevede che «la fornitura di reti e servizi di comunicazione
elettronica,  che e' di preminente interesse generale, e' libera e ad
esse  si  applicano  le  disposizioni  del  Codice»,  fatte  salve al
successivo comma «le limitazioni derivanti da esigenze della difesa e
della  sicurezza  dello  Stato, della protezione civile, della salute
pubblica   e  della  tutela  dell'ambiente  e  della  riservatezza  e
protezione  dei  dati  personali, poste da specifiche disposizioni di
legge  o  da  disposizioni  regolamentari  di  attuazione»  (testuali
concetti  sono  poi  ribaditi  nell'articolo  25,  comma primo, dello
stesso decreto).
   A  fronte  della  conclamata  liberta' di fornitura dei servizi di
comunicazioni  elettronica  (ivi compresi - come sopra visto - quelli
connessi  all'esercizio  di  un phone center), il decreto legislativo
n. 259/03  prevede,  poi,  che  l'espletamento  di tali servizi venga
subordinato  ad  una  (sola) «autorizzazione generale», in rigoroso e
vincolato recepimento della normativa europea.
   Tralasciando,  a  questo  punto,  l'esame  delle norme della legge
regionale  specificamente  intervenute ad imporre un ulteriore titolo
abilitativo  e  per  le  quali i dubbi di legittimita' costituzionale
sono  stati  gia'  a  suo  tempo  sollevati  da  questa  sezione, con
ordinanze   attualmente   all'esame   della   Corte   costituzionale,
dev'essere  ora  evidenziata  l'incompatibilita'  dell'art.  7,  l.r.
n. 6/2006  con  le  vincolanti  previsioni  di  matrice comunitaria e
statuale   che  la  legislazione  regionale  non  e'  legittimata  ad
alterare, ai sensi dei primi 3 commi dell'art. 117 Cost.
   A   fronte,  infatti,  della  proclamazione  dell'art.  3,  d.lgs.
n. 259/2003, per cui, giova ribadire, «la fornitura di reti e servizi
di   comunicazione   elettronica  (nell'ambito  della  quale  rientra
l'attivita' di cessione di servizi di telefonia in sede fissa) ... e'
libera», la ridetta norma regionale introduce nel sistema un elemento
di  rigidita',  che  si  traduce  in  una programmazione quantitativa
dell'offerta,  nella imposizione di limiti quantitativi, oltre a vere
e  proprie  preclusioni  temporali,  all'apertura  di nuove strutture
commerciali nella regione.
   Ma,  al di la' del contrasto con le esigenze di salvaguardia della
concorrenza, patrocinate dal d.lgs. n. 259 cit., 1'art. 7 della legge
regionale  lombarda  si  palesa  in insanabile conflitto anche con le
analoghe  esigenze  che  hanno ispirato il disposto dell'art. 3, d.l.
n. 223/2006,  conv.  in  legge  n. 248/2006  (recante,  tra  l'altro,
disposizioni  urgenti  per  il rilancio economico e sociale) che, tra
l'altro,  esonera  lo  svolgimento  delle  attivita'  commerciali dal
rispetto  di  distanze minime obbligatorie tra attivita' appartenenti
alla medesima tipologia di esercizio.
   Ebbene,  sembra  al  Collegio  che la previsione di cui all'art. 7
cit.  sia  idonea  ad  alterare  il regime di sostanziale liberta' di
fornitura dei servizi de quibus, cosi' come delineato in via primaria
dall'ordinamento  comunitario  ed  in  via  attuativa dalla normativa
statale di recepimento.
   Cio',  in  quanto l'insediamento delle attivita' commerciali viene
assoggettato   a   barriere   ed   ostacoli   di  tipo  normativo  ed
amministrativo  comunque  vietati  dalla  normativa  statale  (cfr. i
citati  articoli  3  e  4  del  decreto  n. 259/2003,  l'art. 3, d.l.
n. 233/2006),   in   quanto   volti   a  porre  una  regolamentazione
strutturale  del  mercato  consistente,  appunto,  nel predeterminare
rigidamente  i  limiti  quantitativi alla possibilita' di entrata nel
mercato stesso di nuovi operatori.
   Quanto  sopra viene, cosi', a provocare una sospetta lesione della
concorrenza,  per  le  inevitabili  limitazioni poste all'apertura di
nuovi  esercizi,  a  cagione  della  pianificazione  del numero degli
stessi, attuata tramite la previsione della necessaria individuazione
in  sede  urbanistica  delle  aree  destinate  all'insediamento degli
esercizi commerciali di che trattasi.
   Anche  nel  caso in cui la condizione (della previa pianificazione
comunale)  introdotta  dall'art.  7  della  legge regionale n. 6/2006
dovesse   intendersi   riferita   (solo)   agli   interessi  pubblici
strumentali  all'attivita'  di  comunicazione elettronica (nel quadro
delle  citate  «limitazioni»  a tale attivita', previste e consentite
dagli  artt. 3 e 25 del decreto legislativo 259/2003), resta il fatto
che  anche  siffatte limitazioni sembrano afferire a materie comunque
(tutte) estranee a quella potesta' legislativa residuale ex art. 117,
quarto  comma  Cost., che la Regione Lombardia ha invece inteso nella
specie esercitare.
   Basti pensare:
     alle esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato ed alla
tutela   dell'ambiente   (legislazione  esclusiva  statale  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera d);
     alle   esigenze  di  protezione  civile  e  di  salute  pubblica
(legislazione concorrente ex art. 117, terzo comma).
   Va  precisato,  poi,  che anche le limitazioni di tipo edilizio od
urbanistico   (peraltro   non  espressamente  comprese  nella  citata
elencazione  di  cui  agli  artt.  3  e  25  del  decreto legislativo
n. 259/2003)  sono subordinate alla concorrenza legislativa di poteri
Stato-Regioni  sotto  la  voce del «governo del territorio», ai sensi
del citato comma 3 dell'art. 117 Cost.
   Nessuna  attinenza  rivestono, poi, le problematiche connesse alla
riservatezza   e   protezione   dei  dati  personali  (queste  ultime
invece espressamente  previste  fra le limitazioni di cui sopra), non
perseguibili  con  le  disposizioni  urbanistiche  e,  comunque, gia'
considerate  e  regolate  dal  legislatore  statale, nel quadro delle
esigenze di sicurezza pubblica (con il citato decreto-legge 27 luglio
2005  recante  «nuove  disposizioni  antiterrorismo  per gli internet
point  ed i pubblici esercizi che mettano a disposizioni del pubblico
postazioni  per  comunicazioni  telematiche»,  convertito nella legge
155/2005).
   In  definitiva, cio' che emerge da quanto sopra evidenziato e' che
la  norma  in esame produce un chiaro effetto di contingentamento del
mercato attraverso l'uso dello strumento urbanistico.
   Cio', oltre a risultare contrastante con l'art. 117, commi primo e
secondo,  lett.  e) e terzo della Cost., per la lesione che ne deriva
al principio di libera concorrenza, nella triplice valenza cogente da
esso   attinta   (a)   quale   vincolo   derivante   dall'ordinamento
comunitario;   b)   quale  regola  la  cui  tutela  e'  rimessa  alla
legislazione  statuale  esclusiva  e c) quale principio cardine della
normazione  statuale nella materia «ordinamento delle comunicazioni»)
si  pone  anche  in  contraddizione  col  principio della liberta' di
iniziativa  economica  privata,  garantita  dall'art. 41 Cost., cosi'
producendo  riverberi lesivi, sotto altro profilo, della tutela della
concorrenza  garantita dall'ordinamento europeo (cfr. sul punto anche
la  segnalazione  in  data  6 agosto 2007 formalizzata dall'Autorita'
garante  della  concorrenza e del Mercato al Presidente della Regione
Lombardia  proprio  in  relazione  «... agli effetti distorsivi della
concorrenza  che  derivano dalle disposizioni ... dettate dalla legge
Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6»).
   In sostanza la liberta' suddetta, favorita dal legislatore statale
nella  disciplina  come sopra riferita del codice delle comunicazioni
verrebbe invece osteggiata dal legislatore regionale in spregio, sia,
come gia' detto, dell'art. 117, terzo comma, Cost., che, dell'art. 41
cit.
   Sulla base delle esposte considerazioni si ritiene rilevante e non
manifestamente infondata la presente questione costituzionalita', che
si  solleva  pertanto  ai sensi dell'articolo 23 della legge 11 marzo
1953, n. 87 con riguardo all'art. 7 della l.r. 3 marzo 2006, n. 6, in
relazione agli artt. 41 e 117 della Costituzione.
                              P. Q. M.
   Visto  l'art.  23  della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara, nei
sensi   di   cui  in  motivazione,  rilevante  e  non  manifestamente
infondata,  in  relazione  agli artt. 41 e 117 della Costituzione, la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 7 della l.r. 3
marzo 2006, n. 6
   Sospende,  per  1'effetto,  il  presente  giudizio  ed  ordina  la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
   Dispone  inoltre  la notifica della presente ordinanza alle parti'
in  causa  ed  al  Presidente  della  Regione  Lombardia,  nonche' la
comunicazione  della  medesima  al Presidente del Consiglio regionale
della Lombardia.
   Cosi'  deciso  in  Milano,  alla Camera di consiglio del 27 maggio
2008.
                       Il Presidente: Zucchini
                                              L'estensore: Plantamura