N. 403 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 agosto 2008
Ordinanza dell'11 agosto 2008 emessa dal Tribunale di sorveglianza di Venezia nel procedimento relativo a B. L. Esecuzione penale - Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena - Obbligo del differimento in caso di esecuzione della pena nei confronti di donna incinta - Mancata previsione della possibilita' per il giudice di negare il differimento quando lo ritenga non adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, comma terzo, Cost., sussista il pericolo di eccezionale rilevanza di commissione di altri delitti e la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena - Lesione dei principi a base della tutela della maternita' e del minore. - Codice penale, art. 146, primo comma, n. 1. - Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo, e 30.(GU n.52 del 17-12-2008 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Sentiti il Procuratore generale e la difesa, che hanno concluso come da verbale, ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento nei confronti di B. L. , nata a Firenze il 22 novembre 1982, alias n. L., nata a Firenze il 22 novembre 1982, alias J. S. nata a Zagabria il 5 ottobre 1989, alias J. S. o S., nata il 5 ottobre 1999 o 5ottobre 1988 o 1° gennaio 1988, o 1° gennaio 1989, o 22 novembre 1982, alias n. L. nata il 22 novembre 1982, alias B. n. L. nata a Firenze il 22 novembre 1982, e altri alias, codice univoco identificativo 025F06A (ulteriori CUI per correlazioni dattiloscopiche 035D6XB, 0357UGC, 03F02JM), elettivamente domiciliata al momento della scarcerazione in Portogruaro (Venezia) in via Lago, 2, assistita di fiducia daIl'avv. Alberto Simionati di Valdagno, e Andrea Zamperlin del Foro di Ferrara, tendente alla concessione del beneficio del differimento dell'esecuzione della pena in relazione alla pena inflitta con sentenza del Tribunale di Padova in composizione monocratica in data 5 aprile 2008. M o t i v a z i o n e La sedicente B. L. veniva arrestata in Padova il 4 aprile 2008 nella flagranza del reato di furto aggravato continuato in abitazione e sottoposta a custodia cautelare in carcere con ordinanza emessa in data 5 aprile 2008 ai sensi dell'art. 275, comma 4, c.p.p. dal Tribunale di Padova, che reputava sussistenti le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nonostante il dedotto stato di gravidanza. Con sentenza emessa dal Tribunale di Padova in composizione monocratica in pari data veniva applicata la pena di anni tre e mesi otto di reclusione. Non appena passata in giudicato la condanna, il difensore di fiducia presentava istanza di differimento provvisorio davanti al Magistrato di sorveglianza di Padova (essendo a quella data la B. L., ristretta presso la Casa circondariale di Rovigo), adducendo a sostegno lo stato di gravidanza dell'interessata. Acquisita conferma dal sanitario dell'istituto della dedotta situazione soggettiva (la detenuta risultava alla ventinovesima settimana di gestazione), il Magistrato di sorveglianza di Padova disponeva con decreto interinale datato 31 maggio 2008 il differimento provvisorio dell'esecuzione della pena ex art. 684, comma 2, c.p.p., eseguito in pari data. All'odierna udienza, alla quale la condannata non e' comparsa, il Procuratore generale ha concluso chiedendo la sospensione del procedimento in attesa della decisione della Corte costituzionale sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 146, comma 1, n. 2), c.p. sollevata d'ufficio da questo Tribunale di sorveglianza con ordinanza n. 715/2008 datata 13 maggio 2008, mentre il difensore, nominato ex art. 97, c. 4, c.p.p. (non essendo comparso nessuno dei due difensori di fiducia nonostante la regolarita' delle notifiche e degli avvisi), ha richiesto la concessione del differimento della pena, rimettendosi sulla sospensione del procedimento. Nell'odierno procedimento deve essere valutata l'istanza di differimento dell'esecuzione ex art. 146 c.p. in ordine alla pena inflitta con sentenza del Tribunale di Padova in composizione monocratica in data 5 aprile 2008, il cui residuo alla data odierna e' di anni tre, mesi sei giorni quattro di reclusione. Dagli atti acquisiti risulta confermata la sussistenza dei presupposti del differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 146, comma 1, n. 1), c.p., risultando la condannata in stato di gravidanza, come attestato anche nel verbale dell'udienza tenutasi recentemente davanti al Magistrato di sorveglianza di Venezia nel procedimento per il differimento della misura di sicurezza della casa di lavoro (v. verbale del 10 giugno 2008 in atti). L'esame delle vicende cautelari ed esecutive piu' recenti (tralasciando la considerevole storia criminale dell'interessata) impone alcune considerazioni. Con ordinanza emessa in data 27 marzo 2006 dal Magistrato di sorveglianza di Milano la B. L., con le generalita' di n. L. veniva dichiarata delinquente abituale su richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone (v. richiesta in atti); con la stessa ordinanza veniva applicata la misura di sicurezza della liberta' vigilata per anni uno e mesi sei, in luogo della misura detentiva, in considerazione delle condizioni personali dell'interessata, gia' destinataria dei provvedimenti di differimento dell'esecuzione della pena emessi dal Magistrato di sorveglianza di Milano in data 4 maggio 2005 e 9 luglio 2005 in quanto madre di prole in tenera eta'. A sostegno della declaratoria di delinquenza abituale, il Magistrato di sorveglianza di Milano richiamava le numerose condanne per reati contro il patrimonio e la persona, e la natura sistematica dei delitti commessi in un arco temporale dal 1996 al 2003, si' da ritenere che «la stessa abbia improntato il suo stile di vita alla commissione di reati contro il patrimonio, in particolare di furti e rapine, traendo dai proventi dei delitti commessi i mezzi di sostentamento» (v. ordinanza in atti). Con successiva ordinanza datata 26 settembre 2007, lo stesso Magistrato di sorveglianza di Milano disponeva l'aggravamento della misura di sicurezza con la casa di lavoro per anni due, in quanto la condannata si era resa irreperibile e si era sottratta agli obblighi della liberta' vigilata, non ottemperando agli inviti di presentazione presso la Questura di Padova per dare chiarimenti sui suoi spostamenti ed essere sottoposta agli obblighi della misura, e inoltre era stata giudicata nel frattempo per direttissima per l'ennesimo furto commesso in Bologna in data 16 maggio 2007, per essere poi scarcerata in data 1° giugno 2007 per differimento provvisorio dell'esecuzione della pena. Il differimento in questione risulta ratificato dal Tribunale di sorveglianza di Bologna in data 30 ottobre 2007 in ordine alla pena inflitta con sentenza del Tribunale di Bologna in data 17 maggio 2007; nella predetta ordinanza, acquisita agli atti, il Tribunale di sorveglianza di Bologna rilevava che la condannata, indicata come n. B. L., aveva da poco partorito. Non appare superfluo evidenziare che nel periodo compreso tra le due ordinanze emesse dal Magistrato di sorveglianza di Milano (27 marzo 2006 - 26 settembre 2007) la B. n. e' stata segnalata o arrestata tredici volte per reati contro il patrimonio e violazione delle leggi di pubblica sicurezza (v. elenco precedenti dattiloscopici). La condannata veniva rintracciata per l'esecuzione della misura di sicurezza (come da ordine di consegna n. 27/2006 r.e.mis.sic. emesso in data 8 ottobre 2007 dalla Procura della Repubblica di Venezia) solo in data 23 gennaio 2008 (dopo essere stata ancora una volta denunciata in data 16 dicembre 2007 per violazione di domicilio dalla Polizia Municipale di Modena), e al momento della notifica del provvedimento dichiarava di essere nuovamente in stato di gravidanza. Il Magistrato di sorveglianza di Venezia, pertanto, accertata la ricorrenza dei presupposti per il differimento della misura di sicurezza ex art. 211-bis c.p., disponeva con decreto interinale datato 1° febbraio 2008 il differimento provvisorio della misura. Poiche' all'udienza fissata per la decisione in contraddittorio sul differimento della misura di sicurezza la condannata non si era presentata, e il marito aveva dichiarato ai Carabinieri che la donna si trovava in Francia, il Magistrato di sorveglianza di Venezia revocava con ordinanza datata 27 maggio 2008 il differimento provvisorio della misura di sicurezza gia' concesso (v. ordinanza in atti). La nomade, pero', non si trovava in Francia, come dichiarato dal marito, bensi' in carcere, in quanto dopo aver ottenuto il beneficio in questione era stata arrestata in data 4 aprile 2008 in Padova nella flagranza di due furti in private dimore, fatti ai quali si riferisce la condanna ad anni tre e mesi otto di reclusione della cui esecuzione si tratta. Con ordinanza datata 5 aprile 2008 (emessa in pari data della sentenza di condanna), il Tribunale di Padova applicava la custodia cautelare in carcere per esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, pur essendo l'imputata in stato di gravidanza e madre di prole di eta' inferiore ad anni tre, evidenziando il «certo pericolo di recidiva», desumibile dalle di lei condizioni di vita, dall'assenza di fissa dimora e di regolare attivita' lavorativa, dai numerosi precedenti giudiziari e dattiloscopici per reati contro il patrimonio e la persona, anche recenti, dall'intervenuta declaratoria di delinquenza abituale. Il giudice padovano reputava, inoltre, non adeguata una diversa misura cautelare, compresi gli arresti domiciliari, per l'impossibilita' di formulare una prognosi positiva in ordine al rispetto delle prescrizioni, anche tenuto conto della condanna per evasione (v. ordinanza acquisita agli atti). Non appare superfluo evidenziare che pur essendo in stato in gravidanza la giovane nomade commetteva i due furti ponendo in essere delle vere e proprie acrobazie, sia per penetrare nelle private dimore, site al secondo piano di un condominio attraverso le finestre, sia per darsi alla fuga, calandosi da una finestra sita al secondo piano e finendo sul tetto del terrazzo sottostante (v. sentenza del Tribunale di Padova cit. in atti). Trattasi di episodio non isolato, posto che anche dalla sentenza del Tribunale di Pordenone datata 19 maggio 2004 si evince che la condannata, anche allora in stato di gravidanza, dopo aver tentato di introdursi in un appartamento forzandone la porta in data 27 marzo 2003, si era data a rocambolesca fuga per le scale, nel corso della quale, oltre ad aver cagionato lesioni personali al proprietario dell'appartamento, era caduta procurandosi delle escoriazioni (v. sentenza cit. in atti). Dopo il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Padova, la B. L. richiedeva ed otteneva dal Magistrato di sorveglianza di Padova il beneficio del differimento dell'esecuzione della pena, e in data 31 maggio 2008 veniva scarcerata. Veniva, pero', arrestata in data 3 giugno 2008 per l'esecuzione della misura di sicurezza (essendo stato revocato il differimento provvisorio con la menzionata ordinanza datata 27 maggio 2008) e ristretta presso la Casa reclusione donne di Venezia, che segnalava lo stato di gravidanza al competente Magistrato di sorveglianza di Venezia; questi, rilevata la presenza a carico della condannata di precedenti per delitti commessi con violenza contro la persona, quali rapina e lesioni personali (precedenti non risultanti all'epoca del differimento concesso in data 1° febbraio 2008 e legittimanti, ai sensi del secondo comma dell'art. 211-bis c.p., il ricovero in adeguato luogo di cura in luogo del differimento dell'esecuzione), delegava con decreto del 13 giugno 2008 i servizi sociali a reperire un'idonea struttura o luogo di cura, al fine di poter disporre il ricovero tale luogo in sostituzione del differimento dell'esecuzione, unica alternativa prevista dall'art. 211-bis, comma secondo, c.p., e nel contempo richiedeva al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria il trasferimento in istituto idoneo, se esistente. A seguito del mancato reperimento di un'idonea struttura e dell'intervenuta comunicazione del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dalla quale risultava l'assenza nel territorio nazionale di altri istituti dotati di Casa di lavoro e sezione di cura adeguata, il Magistrato di sorveglianza di Venezia disponeva nuovamente il differimento provvisorio in data 23 giugno 2008, fissando l'udienza per la decisione in contraddittorio in data 10 luglio 2008. A tale udienza la condannata si presentava in evidente stato di gravidanza, e il pubblico ministero concludeva per l'esecuzione della misura di sicurezza. Perdurando l'assenza di alternative praticabili, il Magistrato di sorveglianza di Venezia disponeva con ordinanza emessa fuori udienza il rinvio del procedimento al fine di acquisire la disponibilita' del nosocomio del luogo. La notifica dell'ordinanza di rinvio non aveva buon esito, in quanto la condannata si rendeva nuovamente irreperibile (v. comunicazione Carabinieri di Portogruaro in atti). Il procedimento e' tuttora pendente perdurando l'impossibilita' di dare pratica attuazione al disposto dell'art. 211-bis, secondo comma, c.p. Deve, altresi', rilevarsi che nelle note informative agli atti la B. n. e' descritta come una nomade di spiccata pericolosita' sociale, che ha fatto del crimine 1'unca fonte di sostentamento (v. nota Commissariato P.S. di Portogruaro e richiesta di declaratoria di delinquenza abituale della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone datata 25 luglio 2005). I certificati del casellario a nome di n. L. J. S., nata il 22 novembre 1982, e J. S. nata il 5 ottobre 1988, riportano altre dodici condanne per furti plurimi aggravati consumati e tentati, false dichiarazioni sull'identita' personale, evasione, rapina tentata, lesioni personali, porto di oggetti atti ad offendere, uso di atto falso, violazione delle norme sull'immigrazione. Tali certificati verosimilmente non sono completi, posto che non risulta riportata, oltre alla condanna della cui esecuzione si discute, la sentenza del Tribunale di Pordenone datata 19 maggio 2004, con la quale la B. con le generalita' di n. L. e' stata condannata alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione per il delitti di tentata rapina impropria, lesioni personali, furto aggravato in abitazione, false dichiarazioni sull'identita' personale, porto d'armi (condanna a seguito della quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone ha richiesto la declaratoria di delinquenza abituale). Risulta, inoltre, che la condannata al fine di procurarsi l'impunita' dai delitti commessi non ha esitato in alcune occasioni ad usare violenza fisica, aggredendo i malcapitati proprietari delle abitazioni in cui aveva tentato di introdursi per commettere furti (v. sentenza del Tribunale di Pordenone citata, e sentenza del Tribunale per i minorenni di Brescia in data 24 marzo 2000, con la quale la sedicente n. L. e' stata condannata alla pena di mesi dieci di reclusione per i delitti di rapina impropria aggravata e lesioni personali, acquisite agli atti). Dai certificati acquisiti e dal nutrito elenco di precedenti dattiloscopici si evince, inoltre, che la condannata ha commesso delitti in tutto il territorio nazionale, nell'ambito del quale si sposta frequentemente da un capo all'altro della penisola, e inoltre che nel periodo tra il 16 luglio 1993 e il 4 aprile 2008 e' stata segnalata o arrestata circa cento volte declinando almeno 67 diverse generalita'. A fronte dei numerosi precedenti e segnalazioni, i periodi di carcerazione che risultano dall'archivio storico dell'amministrazione penitenziaria sono esigui (v. cartelle giuridiche storiche in atti), e risultano tutti seguiti dalla scarcerazione a breve dell'indagata con l'imposizione di misure cautelari non detentive o il collocamento in comunita' minorili, oppure dal differimento della pena ex art. 146 c.p. (v. differimento concesso dal Magistrato di sorveglianza di Milano in data 4 maggio 2005 e 9 luglio 2005, dal Tribunale di sorveglianza di Bologna in data 30 ottobre 2007, dal Magistrato di sorveglianza di Padova in data 31 maggio 2008). Esaminati gli atti acquisiti, questo Collegio non puo' che condividere il giudizio di spiccatissima pericolosita' sociale gia' formulato nei confronti dell'odierna istante da altre autorita' giudiziarie, il cui grado attuale esigerebbe, al fine di un suo adeguato contenimento, l'applicazione di una misura detentiva; parimenti, reputa certo, piu' che verosimile, l'abuso del richiesto differimento, ove concesso, al fine di commettere altri delitti contro il patrimonio, senza alcun riguardo per le esigenze alla cui tutela il beneficio e' preordinato, posto che gia' in passato la nascita degli altri tre figli (nati nel 2003, 2005 e 2006) non ha dissuaso la donna dal commettere delitti, cosi' come nessuna efficacia dissuasiva ha avuto la recente gravidanza. Questo Tribunale di sorveglianza, tuttavia, non puo' negare sic et simpliciter il differimento della pena (con conseguente esecuzione penale in carcere), potendo al piu' concedere, quale misura sostitutiva del richiesto differimento, la detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter, o.p., anche in assenza di una richiesta in tal senso dell'interessata. Non appare superfluo rammentare l'orientamento della giurisprudenza della dottrina e della giurisprudenza in ordine ai rapporti tra i due benefici. Nella vigenza della normativa preesistente alla legge n. 165/1998, parte della dottrina, facendo riferimento al dato testuale, che qualifica come obbligatorio il rinvio, lo riteneva prevalente rispetto alla detenzione domiciliare. Di diverso avviso coloro che si soffermavano sugli indubbi vantaggi che la detenzione domiciliare comporta per il condannato, tra i quali il fatto che il tempo trascorso in esecuzione della misura si consideri pena espiata. Oggi, a seguito della novella di cui alla legge n. 165/1998, la giurisprudenza e' orientata ad affermare che il legislatore ha modificato profondamente l'istituto della detenzione domiciliare, facendolo divenire, con l'introduzione del comma 1-ter (oltre che 1-bis), una delle misure alternative piu' duttili e piu' idonee a soddisfare le contrapposte esigenze del rispetto dei diritti della persona e di sicurezza della societa' (v. sentenza Cass., sez. I, n. 20480 del 2001). Tale misura, si afferma, «configura la polifunzionalita' del regime detentivo, mirato, per un verso, all'esigenza di effettivita' dell'espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi e, per altro verso, ad una sua esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanita'» (v. sentenza Cass., sez. I, n. 6952 del 2000). Riguardo ai criteri di scelta tra i due benefici, la giurisprudenza della Corte di legittimita' ha precisato che il Tribunale di sorveglianza deve fare una duplice verifica, dovendo prima verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per il differimento e poi disporre, eventualmente, la detenzione domiciliare in alternativa alla sospensione dell'esecuzione della pena quando ricorrano esigenze di tutela collettiva (sempre da tenere presenti in tema di esecuzione della pena) che rendano piu' adeguata l'esecuzione della pena in forma alternativa piuttosto che la sospensione dell'esecuzione (Cass., sez. I, sentenza n. 656 del 2000); piu' di recente, la Corte di legittimita' ha anche rilevato che la detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalita' il reinsenmento sociale del condannato, mentre il differimento della pena previsto dall'art. 146 e 147 c.p., anteriore all'ordinamento penitenziario vigente, ha finalita' diverse dall'individuazione del trattamento piu' opportuno nei confronti del condannato, mirando solo ad evitare che l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanita'. Alla luce di tali principi, a fronte di una richiesta il giudice deve valutare se le condizioni del condannato siano compatibili con le finalita' rieducative della pena e con le possibilita' concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all'esito di tale valutazione, l'espiazione della pena appaia contraria al senso di umanita' per le eccessive sofferenze da essa derivanti ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza dell'impossibilita' di proiettare in futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l'istituto del differimento (sentenza Cass., sez. I, n. 45758 del 14 novembre 2007, dep. il 6 dicembre 2007). Facendo applicazione di tali principi, non puo' non rilevarsi che le condizioni di vita individuali e sociali della condannata, i plurimi precedenti giudiziari e di polizia, e le conseguenti esigenze di sicurezza sociale, nonche' l'abuso del differimento della pena piu' volte ottenuto e del differimento della misura di sicurezza concesso in via interinale dal Magistrato di sorveglianza di Venezia in data 1° febbraio 2008 per perseverare nel crimine, indurrebbero a ritenere piu' adeguata al contenimento della pericolosita' sociale l'esecuzione della pena, quantomeno in forma alternativa. Nel caso di specie, pero', trattasi di condannata senza fissa dimora, che si sposta frequentemente da un capo all'altro della penisola, che non risulta aver soggiornato per un tempo apprezzabile in un determinato luogo e che solo saltuariamente compare in Portogruaro, dove pare vivano altri congiunti, per poi subito scomparire in base alle vicende cautelari o esecutive del momento e alle aspettative di benefici correlati allo stato di gravidanza o puerperio; davanti a questo Tribunale di sorveglianza neppure tramite i due difensori di fiducia, peraltro, l'interessata ha indicato un luogo idoneo ai fini dell'applicazione della detenzione domiciliare. Deve anche rilevarsi che non appare in alcun modo formulabile una favorevole prognosi di corretta gestione della misura, che e' misura a contenuto prescrittivo, e postula, per realizzare la funzione che le e' propria, la volonta' adesiva di chi vi e' sottoposto (in tal senso riguardo agli arresti domiciliari v. Corte costituzionale, sentenza n. 439/1995). Il grado di inaffidabilita' piu' volte dimostrato dalla condannata (che ha riportato una condanna per evasione e di recente si e' sottratta all'esecuzione della liberta' vigilata, rimanendo irreperibile fino a quando la gravidanza in corso le ha consentito di affrontare la vicenda esecutiva confidando nel benevolo trattamento previsto dalla legge), unitamente all'assoluta indifferenza alle norme penali e del vivere sociale evidenziata, non consentono in alcun modo di ritenere che la B. n. si atterrebbe alle prescrizioni minime tipiche della detenzione domiciliare. Pur in assenza di situazioni personali che precludano l'efficacia rieducativa della pena o che rendano contraria al senso di umanita' l'esecuzione penale in forma alternativa, questo tribunale di sorveglianza non puo', pertanto, che applicare il richiesto beneficio del differimento. Una diversa interpretazione non appare ragionevolmente sostenibile, senza inammissibili forzature del dato normativo; il tenore testuale dell'art. 146, comma 1, n. 1), c.p., nella parte in cui dispone «l'esecuzione e' differita» anziche' «puo' essere differita», non lascia dubbi interpretativi. Puo', al piu' rilevarsi che con la previsione contenuta nel comma 1-ter dell'art. 47-ter c.p., che introduce una disciplina differenziata rispetto a quella generale, anche in relazione ai limiti edittali, il legislatore sembra voler richiamare l'attenzione sulla necessita' di contemperare le esigenze di tutela delle condizioni del condannato con quelle di tutela della collettivita', rimettendo al tribunale di sorveglianza la scelta dello strumento piu' idoneo a perseguire tale contemperamento, si' da far ipotizzare che l'istituto del differimento obbligatorio abbia perso tale carattere, risultando rimessa la sua adozione alla valutazione discrezionale del tribunale di sorveglianza. Tuttavia tale argomento, a fronte del dato testuale inequivocabile e dell'assenza di' una normativa di raccordo tra la previsione del codice penale e la normativa penitenziaria, appare insufficiente a reputare consentito il diniego «secco» del differimento, nell'ipotesi disciplinata dall'art. 146, comma 1, n. 1) c.p. Ritiene, tuttavia, questo Collegio che la disposizione, cosi' formulata e intesa, attribuisca al sistema una connotazione criticabile sotto il profilo della razionalita' e costituzionalita', e che, pertanto, debba essere sollevata d'ufficio questione di legittimita' costituzionale della norma, per contrasto con gli articoli 3, 27 terzo comma, e 30 della Costituzione, ravvisandosene la rilevanza e la non manifesta infondatezza. Lo scrutinio di costituzionalita' e' gia' stato richiesto da questo Tribunale di sorveglianza con ordinanza n. 715/2008 datata 13 maggio 2008 in relazione alla disposizione di cui comma 1, n. 2), dell'art. 146 c.p., mentre nel caso di specie i dubbi di legittimita' costituzionale riguardano la previsione del comma 1, n. 1) della stessa norma, applicabile nel caso in esame. La questione e' rilevante ai fini della pronuncia sull'odierna istanza, essendo ineliminabile l'applicazione della norma nell'iter logico-giuridico che questo tribunale deve percorrere per la decisione conclusiva dell'odierno procedimento, in quanto il provvedimento interinale del Magistrato di sorveglianza di Padova e' destinato a produrre effetti fino alla decisione di questo organo collegiale, al quale compete la decisione in via definitiva in ordine al differimento della pena, istituto del quale risultano sussistenti i presupposti (in tal senso, per la rilevanza di analoga questione nonostante l'intervenuta scarcerazione provvisoria da parte del Magistrato di sorveglianza, v. Corte cost. sentenza n. 70 del 1994). In punto di non manifesta infondatezza, va premesso che e' indiscutibile la scelta del legislatore di tutelare anche nella fase dell'esecuzione penale le particolari esigenze delle donne in gravidanza o madri di figli in tenera eta'; sicuramente e fortemente condiviso da questo Collegio e' il principio secondo il quale tendenzialmente in un Paese democratico la detenzione delle donne in gravidanza e delle madri che accudiscono figli in tenera eta' dovrebbe essere prevista solo «in ultima istanza» (come raccomandato agli Stati membri di recente nella risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2008 sulla particolare situazione delle donne detenute e l'impatto della carcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare, al punto 14). Non sfugge, inoltre, al Collegio, come ricordato dalla Corte costituzionale, che «l'alternativa tra l'immediata esecuzione della pena o la sua temporanea inesigibilita' a causa di situazioni soggettive che il legislatore ritiene di qualificare come incompatibili con la carcerazione, non comporta soluzioni univoche sul piano costituzionale, dovendosi necessariamente ammettere spazi di valutazione normativa che ben possono contemperare l'obbligatorieta' della pena con le specifiche situazioni di chi vi deve essere sottoposto». Conferma l'assenza di soluzioni «a rime obbligate» la circostanza che nel progetto di riforma al codice penale predisposto dalla Commissione nominata con d.m. 23 novembre 2001 il differimento dell'esecuzione della pena per gravidanza e puerperio non sia previsto, mentre e' prevista la concessione (facoltativa) della conversione della pena detentiva con altra misura in caso di condannata incinta o madre di prole di eta' inferiore ad anni dieci (v. art. 81 n. 6 del progetto); il disegno di legge delega predisposto dall'ultima Commissione di riforma del codice penale istituita con d.m. 31 luglio 2006, invece, nel prevedere nuovamente l'istituto del differimento, non io qualifica come obbligatorio. Il legislatore ordinario, pero', nell'esercizio del suo potere discrezionale di dettare norme che incidono su interessi costituzionalmente rilevanti tra loro in rapporto di concorrenza o di confliggenza, incontra limiti di ordine costituzionale. Con riferimento alla normativa penitenziaria, la Corte costituzionale ha precisato che «eguaglianza di fronte alla pena significa proporzione della medesima alle personali responsabilita' ed alle esigenze di risposta che ne conseguono (sentenze n. 349 del 1993 e n. 299 del 1992), e che per l'attuazione di tali principi, ed in funzione della risocializzazione del reo, e' necessario assicurare progressivita' trattamentale e flessibilita' della pena (sentenze n. 445 del 1997 e 306 del 1993) e, conseguentemente, un potere discrezionale alla magistratura di sorveglianza nella concessione dei benefici penitenziari» (sentenza n. 504 del 1995 e n. 255 del 2006). Con sentenza n. 306 del 1993, ancora, la Corte ha affermato il principio secondo cui, nell'ambito delle finalita' che la Costituzione assegna alla pena (quella di prevenzione generale e di difesa sociale, con i connessi caratteri di retributivita' e affilttivita', e quella di prevenzione speciale e di rieducazione, che tendenzialmente comportano una certa flessibilita' della pena in funzione dell'obiettivo di risocializzazione del reo), il legislatore ordinario puo' - nei limiti della ragionevolezza - far tendenzialmente prevalere, di volta in volta, l'una o l'altra finalita', ma a patto che nessuna di esse risulti obliterata. Conformemente a tali principi, ai quali e' improntato tutto il settore dell'esecuzione penale, la concessione di ogni beneficio penitenziario deve essere preceduta, oltre che dall'accertamento della sussistenza dei requisiti di legittimita' di volta in volta prescritti dalla legge, anche da una valutazione del giudice sul raggiungimento da parte del condannato di uno stadio del percorso rieducativo adeguato al beneficio richiesto, e sulla conseguente idoneita' rieducativa di quest'ultimo, nonche' sull'idoneita' a prevenire il pericolo di recidiva. Nelle proprie decisioni, il giudice di sorveglianza deve aver riguardo ai risultati del trattamento individualizzato, o, in caso di assenza di trattamento, al comportamento tenuto in liberta', e verificare la sussistenza delle condizioni per un adeguato reinserimento sociale, al fine di garantire la proporzionalita' e l'individualizzazione del trattamento sanzionatorio, oltre che l'ineludibile finalita' rieducativa della pena. Come innanzi accennato, il differimento secondo la giurisprudenza non ha finalita' rieducativa, ma tende solo ad evitare che in presenza di determinate situazioni l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanita'; la potesta' punitiva dello Stato nella fase dell'esecuzione della pena incontra, per vero, un limite invalicabile in quelle situazioni in cui per le condizioni personali del reo l'esecuzione dalla pena contrasterebbe con il senso di umanita' o non potrebbe avere alcuna efficacia rieducativa (cfr. Cass. sentenza 1138 del 26 aprile 1994). In assenza di tali estreme condizioni, tuttavia, non appare giustificata la compromissione delle finalita' della pena previste dalla Costituzione, in quanto, pur essendo istituto anteriore all'entrata in vigore della Carta costituzionale, l'istituto del rinvio dell'esecuzione deve essere interpretato alla luce ditali principi. Pur non rientrando, inoltre, tra i benefici premiali, difettando la natura premiale, trattasi pur sempre di un beneficio che pur se previsto dal codice penale all'interno di un capo (il secondo) di contenuto assai vario ed eterogeneo, ha una concreta incidenza nella vicenda esecutiva e penitenziaria, e' demandato alla competenza del Giudice di sorveglianza e pertanto deve soggiacere, salvi i limiti anzidetti, ai principi vigenti in materia penitenziaria, in particolare al principio del finalismo rieducativo della pena. Nel caso di specie, il beneficio del differimento provvisorio (concesso dal Magistrato di sorveglianza di Venezia con riferimento alla misura di sicurezza e dal Magistrato di sorveglianza di Bologna e di Milano in ordine ad altri titoli esecutivi) si e' gia' rivelato non adeguato, sia sotto il profilo rieducativo sia sul piano della prevenzione speciale, ma nonostante l'abuso dei benefici gia' concessi e la ricaduta nel crimine questo tribunale di sorveglianza non puo' rigettare l'istanza, salvo optare, come gia' esposto, per una misura che con certezza non troverebbe regolare esecuzione. Risulta, cosi', violato il principio della proporzionalita' e individualizzazione del trattamento sanzionatono, ma anche il principio della progressivita' trattamentale, in base al quale «nel caso di abuso dei benefici gia' concessi o di altre irregolarita' comportamentali deve conseguire una regressione nel percorso trattamentale» (cosi' come, all'inverso, «il maturarsi di positive esperienze non potra' non generare un ulteriore passaggio nella scala degli istituti di risocializzazione»; v. sul punto Corte costituzionale sent. n. 445/1997 con riferimento ai permessi premio). L'importanza della progressivita' trattamentale e' stata piu' volte ribadita dalla Corte costituzionale, che ha affermato che tale principio rappresenta il «fulcro attorno al quale si e' dipanata la propria giurisprudenza, doverosamente attenta a rimarcare l'esigenza che ciascun istituto si modelli e viva nel concreto come strumento dinamicamente volto ad assecondare la funzione rieducativa della pena». Nel caso in esame, all'abuso del differimento e alla certa inefficacia della detenzione domiciliare non puo', pero' conseguire il diniego di concessione del differimento, ma puo' solo conseguire la concessione di un beneficio gia' rivelatosi inadeguato, senza che possa essere tenuta in alcuna considerazione l'impossibilita' di formulare una prognosi di futura astensione da comportamenti di tipo deviante, tenuto conto della reiterazione di condotte criminose e della dimostrata adesione a modelli di vita incentrati su attivita' illecite, in quanto la norma non consente, sulla base di tale giudizio prognostico, il rigetto del beneficio. Solo in relazione alle situazioni legittimanti un rinvio facoltativo dell'esecuzione il comma 4 dell'art. 147 c.p.(aggiunto dalla legge n. 40/2001) dispone che il provvedimento «non puo' essere adottato o se e' adottato e' revocato se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti»; anche tale disposizione conferma la diversa scelta del legislatore in ordine al differimento obbligatorio, riguardo al quale non e' consentito analogo apprezzamento del giudice. Generalmente si afferma, riguardo all'istituto del differimento, che le finalita' della pena possono essere procrastinate e rimodulate a seguito di una esecuzione differita; nel caso di specie, pero', puo' ragionevolmente affermarsi che allo scadere del termine del differimento (ovvero tra oltre un anno, periodo nel corso del quale verosimilmente la B. n. continuera' a perseverare nel crimine) l'esecuzione non potra' agevolmente essere ripristinata, considerata l'abilita' dimostrata dalla condannata nel rendersi irreperibile e nel fare uso di numerose false generalita'. Tenuto conto della giovane eta', e delle abitudini di vita dei nomadi, alla data dell'inizio di una nuova esecuzione la B. n. potrebbe essere nuovamente incinta e cosi' via per chissa' quanto tempo ancora. Conferma tale assunto la circostanza che risultano ancora non eseguite alla data odierna le pene differite tra il 2005 e il 2006 ai sensi dell'art. 146 c.p., cosi' come dalla documentazione acquisita, non risultano espiate le pene inflitte con le altre numerose condanne risultanti dal casellario (v. cartelle giuridiche storiche in atti). A cio' si aggiunga che le situazioni soggettive che impongono il differimento obbligatorio della pena precludono anche l'applicazione delle misure di sicurezza, come dimostra la vicenda all'esame del Magistrato di sorveglianza di Venezia, tuttora priva di soluzione nonostante la gia' intervenuta declaratoria di delinquenza abituale e l'applicazione della misura della casa di lavoro. Come emerge dall'esame dei dati statistici, e come questo tribunale di sorveglianza ha avuto modo di verificare direttamente nel corso dei numerosi procedimenti iscritti sulle istanze di differimento avanzate da donne nomadi ristrette nelle Casa reclusione donne di Venezia (istituto dotato di nido), la strumentalizzazione dell'istituto del differimento (che da extrema ratio in alcuni casi diventa la regola) ha di fatto creato una sorta di immunita' per le donne nomadi in eta' fertile che possono dedicarsi indisturbate alle loro attivita' illecite potendo confidare sul trattamento previsto dall'at. 146 c.p. per le donne in stato di gravidanza o madri di figli in tenera eta'; considerato che generalmente si tratta di donne che iniziano a procreare precocemente, appena adolescenti, e che per le abitudini di vita non conoscono il fenomeno del controllo delle nascite, e' di tutta evidenza l'imponenza del fenomeno e le pressanti esigenze di tutela della collettivita' che ne conseguono. Piu' che un temporaneo differimento (che potrebbe non compromettere le finalita' della pena) si finisce per avere un differimento a tempo indeterminato, per giunta lasciato alla libera scelta delle interessate, le quali non indicando intenzionalmente un domicilio, o dimostrando una sicura inaffidabilita' incompatibile con la detenzione domiciliare (come nel caso in esame), o sottraendosi all'esecuzione della detenzione domiciliare gia' concessa possono lucrare, quale alternativa inevitabile, il differimento della pena. A cio' si aggiunga che il legislatore ha inasprito con l'introduzione dell'art. 624-bis c.p. ad opera della legge 26 marzo 2001, n. 128, il trattamento sanzionatorio dei furti in abitazione, reati diventati di grave allarme sociale poiche' comportano un serio turbamento della vita che si svolge tra le mura domestiche, oltre ad arrecare un danno patrimoniale; con tale inasprimento, il legislatore ha riconosciuto la particolare rilevanza degli interessi lesi dal delitto, e pertanto l'ordinamento non puo' poi lasciare di fatto impunite le «professioniste» dei furti in abitazione, come l'odierna istante, gia' dichiarata delinquente abituale dal 27 marzo 2006 e mai sottoposta (se non per breve tempo) all'esecuzione di una misura di sicurezza o di una pena. Puo' affermarsi, pertanto, che nel caso di specie tutte le finalita' che la Costituzione assegna alla pena risultano obliterate, con conseguente violazione del principio sancito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 306 del 1993. Totalmente svilita e' la finalita' di prevenzione generale e di difesa sociale - finalita' la cui realizzazione dipende, come e' noto, non soltanto dalla minaccia legale della sanzione penale, ma anche e soprattutto dalla sua concreta esecuzione - giacche' la rigida e prevedibile sospensione del momento esecutivo esclude che la pena irrogata possa svolgere alcuna funzione di intimidazione e dissuasione rispetto a possibili futuri comportamenti criminosi, sia ne confronti del concreto destinatario di essa, sia nei confronti degli altri soggetti che si trovano nella medesima situazione. Del tutto vanificato e' anche il profilo retributivo-affittivo della pena posto che la rinuncia alla relativa esecuzione (di fatto a tempo indeterminato per le ragioni esposte) lascia sostanzialmente impunito il reato commesso. Come gia' evidenziato, infine, risultano obliterate del tutto le finalita' di prevenzione speciale e di rieducazione della pena, che appaiono riferibili al caso concreto. La magistratura di sorveglianza deve, infatti, in presenza dei presupposti previsti dall'art. 146 comma 1 n. 1) e 2), c.p., sospendere l'esecuzione della pena detentiva, in base ad un rigido automatismo, che non puo' essere temperato da alcuna valutazione di merito volta ad assicurare il perseguimento delle finalita' della pena e l'individualizzazione e proporzionalita' del trattamento, in relazione alle concrete necessita' specialpreventive, rieducative e risocializzatrici del caso; alle situazioni regolamentate dalla norma puo' essere, di fatto, riconducibile una varieta' e molteplicita' di situazioni personologiche e criminologiche, tra loro profondamente differenti, meritevoli di diverso trattamento, che non puo', invece, essere assicurato. E' del tutto evidente, pertanto, che la generalizzata ed automatica applicazione del trattamento di favore previsto dalla disposizione censurata, nell'assegnare un identico beneficio a condannati che presentino fra loro differenti stadi del percorso di risocializzazione e diversi gradi di pericolosita' sociale, compromette, ad un tempo, non soltanto il principio di uguaglianza, finendo per omologare fra loro, senza alcuna plausibile ratio, situazioni diverse, ma anche la stessa funzione rieducativa della pena, posto che il riconoscimento di un beneficio che non risulti correlato alla positiva evoluzione nel trattamento compromette inevitabilmente l'essenza stessa della progressivita', che costituisce il tratto saliente dell'iter riabiltativo. L'automatismo che si rinviene nella norma denunciata e' poi in contrasto con i principi di proporzionalita' e individualizzazione della pena come precisati dalla richiamata giurisprudenza. Ne consegue il contrasto della norma censurata con l'art. 27, terzo comma, Costituzione, oltre che con l'art. 3 della Costituzione. La norma stessa appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione anche per lesione del canone della ragionevolezza. In via generale, il bilanciamento degli interessi coinvolti ed il sacrificio di alcuni di essi, in favore di altri, soggiacciono al limite della ragionevolezza della scelta legislativa, nel senso di una non arbitraria e non ingiustificata composizione dei valori in giuoco. Nel giudizio sulla razionalita' di una disciplina non si deve guardare solo alla posizione formale di chi ne e' destinatario ma anche alla funzione e allo scopo cui essa e' preordinata (Corte cost. sentenza n. 54 del 1968). Sotto tale profilo, sulla base dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita' puo' affermarsi che la ratio delle norme sul differimento obbligatorio e' la tutela della salute e dell'umanita' della pena; sicuramente finalizzato alla tutela della salute della donna e del nascituro e' il rinvio in presenza dello stato di gravidanza, mentre il differimento nel primo anno di vita del bambino puo' essere ricondotto, oltre che all'esigenza di assicurare il senso di umanita' della pena, anche alla tutela dell'interesse del minore ad un corretto sviluppo della personalita', e, in funzione di tale interesse, alla tutela del rapporto che in tale periodo necessariamente si svolge tra madre e figlio, non tanto e non solo per cio' che attiene ai bisogni piu' propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalita' del bambino (v. con riferimento ad altre norme che prevedono benefici nel periodo immediatamente susseguente al parto v. sentenza n. 376 del 2000 Corte costituzionale). Se questa e' la ratio dell'istituto del differimento, che incide su altri interessi pure costituzionalmente rilevanti, deve ritenersi che la norma sia espressiva di un giudizio di valore risultante dalla ponderazione di due interessi in conflitto, entrambi costituzionalmente rilevanti. Caratteristica dei valori (o principi) costituzionali soggetti a bilanciamento, e' la non predeterminabilita' in assoluto, una volta per tutte, dei loro rapporti reciproci di sovra o sottordinazione. La prevalenza dell'uno sull'altro, quando il bilanciamento non sia rimesso caso per caso al giudice, ma sia operato dalla legge nella forma di una norma astratta, deve essere collegata a determinate condizioni tipiche. In assenza di tali condizioni l'esito della valutazione comparativa non puo' essere il medesimo. Percio', una norma di questo tipo, per essere costituzionalmente legittima, non deve escludere, in ordine all'interesse postergato, la possibilita' della prova dell'inesistenza, nel caso concreto, delle condizioni che, secondo il bilanciamento sotteso alla norma stessa, giustificano la precedenza attribuita all'interesse antagonistico (v. in tal senso sentenza Corte costituzionale 1° aprile 1992, n. 149). In applicazione di analogo principio, con riferimento all'istituto del differimento della pena nei confronti dei condannati affetti da AIDS, la Corte costituzionale con sentenza n. 438 del 1995 ha ritenuto non conforme al canone della ragionevolezza l'art. 146, primo comma n. 3), c.p., nella parte in cui non consente di accertare in concreto se ai fini dell'esecuzione della pena le effettive condizioni di salute del condannato siano compatibili con lo stato detentivo, poiche' intanto si puo' ritenere ragionevole l'allontanamento dal carcere in quanto la relativa permanenza negli istituti cagioni un pregiudizio alla salute del soggetto e degli altri detenuti, posto che altrimenti risulterebbero senza giustificazione compromessi altri beni riconosciuti come primari dalla Carta fondamentale. Nel caso di specie, la restrizione in carcere nel periodo di gestazione non ha cagionato alcun concreto pregiudizio alla B. come emerge dal certificato del sanitario della Casa reclusione donne di Venezia. In carcere, inoltre, la detenuta godeva dell'assistenza sanitaria assicurata in istituto. Per converso, come evidenziato, nei periodi di liberta' conseguenti ai benefici ottenuti, la B. n. non ne ha fatto uso al fine di dedicarsi alla cura dei figli in tenera eta', ma piu' volte (anche in occasione delle precedenti gravidanze) e' stata denunciata e arrestata in flagranza mentre era dedita al furto, lontana dagli accampamenti dove i figli erano verosimilmente affidati a parenti o altri componenti del gruppo, ed ha tenuto un atteggiamento irresponsabile, perseverando nel proprio stile di vita antinormativo e inadatto sia ad una gestante che ad una madre di tiglio in tenera eta'. Solo per rammentare gli ultimi episodi criminosi, commessi abusando del differimento della misura di sicurezza concessole, ha tenuto un atteggiamento potenzialmente idoneo a compromettere la salute propria e deI nascituro, oltre che l'evoluzione della gravidanza, dandosi ad acrobatiche e pericolose azioni criminose, non esitando a calarsi da una finestra sita al secondo piano e a saltare sul tetto sottostante. Come emerge dagli studi sociologici in materia, spesso le donne nomadi sono indotte o addirittura costrette al delitto dai loro uomini, e per dedicarsi a tale attivita' lasciano i minori nell'accampamento affidandoli a parenti o a terzi, salvo portarli con se' in alcune delle imprese criminose, al fine di ottenere, in caso di arresto, un benevolo trattamento cautelare. Come ricordato dalla Corte costituzionale nella menzionata sentenza n. 438 del 1995, «il rinvio dell'esecuzione della pena detentiva si e' sempre saldamente attestato intorno a un presupposto unificante, vale a dire le particolari condizioni di salute del condannato e la ritenuta inconciliabilta' delle stesse con l'altrettanto peculiare regime carcerario. Illuminanti, a questo proposito, sono alcuni passaggi della Relazione ministeriale sul progetto del codice penale ove, appunto, si giustifica il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena nel caso della donna incinta che abbia partorito da meno di sei mesi, proprio con le difficolta' di assistenza negli stabilimenti carcerari che quelle condizioni personali necessariamente richiedono». La concreta realta' delle istituzioni carcerarie e', tuttavia, profondamente mutata rispetto all'epoca di entrata in vigore del codice penale, sulla scia dei principi affermati dalla Carta costituzionale in materia di esecuzione penale, e dell'incessante processo di riforma dell'ordinamento penitenziario che ne e' seguito. L'assistenza alla detenuta in stato di gestazione non rappresenta piu', generalmente, un problema nella realta' degli istituti di pena, tenuto anche conto della possibilita' di ricorrere al trasferimento esterno ex art. 11 c.p., e inoltre la carcerazione puo' comportare rischi per la gestazione di gran lunga inferiori rispetto allo stato di liberta' nei casi in cui, come in quello in esame, lo stato di liberta' non si accompagni ad uno stile di vita, anche sotto il profilo igienico-sanitario, oltre che delle abitudini quotidiane, adeguato alla particolare situazione. A cio' si aggiunga che nel concedere il beneficio del differimento il tribunale di sorveglianza non puo' imporre alcuna prescrizione finalizzata alla tutela dell'interesse del nascituro, posto che secondo la consolidata giurisprudenza l'imposizione di obblighi accessori e' incompatibile con la concessione del beneficio (Cass. sez. I, 2 dicembre 1992 n. 4591), e pertanto non puo' essere imposto alla B. n. il divieto di porre in essere azioni acrobatiche e pericolose per l'incolumita' fisica. In alcuni casi, pertanto, non puo' a priori escludersi che in alcuni istituti di pena siano assicurati alla gestante e al nascituro un'assistenza piu' adeguata da punto di vista sanitario, non assicurata in alcuni gruppi familiari inseriti in culture di microcriminalita' prive di riferimenti abitativi stabili. E' proprio la rigida presunzione stabilita dal legislatore ad apparire priva di adeguato fondamento e tale da rendere dubbia la razionalita' di una norma dalla cui concreta applicazione possono generarsi ingiustificate compromissioni di altri interessi tutelati dall'ordinamento, nel caso di specie di un certo rilievo, tenuto conto della commissione di delitti anche con violenza alla persona. Le ipotesi del differimento obbligatorio per la donna incinta o madre di figlio di eta' inferiore ad anni uno sono le sole, tra quelle previste dall'art. 146 c.p., a non ammettere alcuna verifica in concreto sulla sussistenza di una effettiva situazione di pregiudizio agli interessi che la norma tende a tutelare o di contrarieta' dell'esecuzione penale al senso di umanita' (verifica prevista, invece, nelle ipotesi dei condannati affetti da AIDS o altra malattia particolarmente grave), ed inoltre che hanno una difforme regolamentazione in sede cautelare e in sede esecutiva. La possibilita' di verificare la sussistenza di una effettiva situazione di pregiudizio allo stato di gestazione conseguente alla carcerazione o di contrarieta' dell'esecuzione penale al senso di umanita' (verifica che andrebbe effettuata caso per caso in relazione alle strutture disponibili, alla personalita' della condannata e alle condizioni di vita della famiglia) consentirebbe, invece, un'adeguata composizione degli interessi confliggenti e la salvaguardia della ratio dell'istituto del differimento, le cui finalita', invece, vengono in casi come quello in esame completamente snaturate. La disposizione impugnata deve ritenersi non conforme al canone della ragionevolezza nella parte in cui non consente, quando vi siano significative esigenze di sicurezza sociale e la detenzione domiciliare non sia adeguata a prevenire il pericolo di recidiva, di accertare in concreto se ai fini dell'esecuzione della pena la carcerazione comporti un effettivo pregiudizio, tale da rendere contraria al senso di umanita' l'esecuzione penale, e se la scarcerazione «secca» sia effettivamente idonea ad assicurare la tutela degli interessi ai quali il beneficio e' preordinato. Da qui il contrasto della norma denunciata con l'art. 3 della Costituzione, ravvisabile non solo sotto il profilo della violazione del canone della ragionevolezza, per le ragioni evidenziate, ma anche sotto il profilo della razionale uniformita' del trattamento normativo, in quanto in presenza delle medesime condizioni (stato di gestazione e presenza di un figlio in tenera eta') e' consentito solo nella fase cautelare disporre la carcerazione, sia pure ove sussistano esigenze di eccezionale rilevanza. Non e' senza rilievo il fatto che l'art. 275 c.p.p. sia stato rimaneggiato con la legge 26 marzo 2001, n. 128, una legge dunque posteriore alla legge 8 marzo 2001, n. 40 che ha modificato l'art. 146 c.p. estendendo il differimento obbligatorio fino ad un anno di vita del bambino. Sino a prova del contrario, pertanto, l'interprete e' portato a ritenere che il legislatore abbia consapevolmente tenuto distinta la disciplina del rinvio dell'esecuzione della pena rispetto a quella della custodia cautelare. E' pacifico che le misure cautelari si distinguano dalla pena per natura e finalita', si' da non apparire irragionevole, in astratto, una difforme disciplina (v. in tal senso Corte cost. sentenza n. 25/1979); come affermato dalla giurisprudenza di legittimita' (v. sentenza Cass. n. 43014 del 2001) scopo della misura cautelare e' quello di assicurare una o piu' delle esigenze di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma dell'art. 274 c.p. Si tratta, dunque, di una finalita' da un lato contingente in quanto legata all'evolversi di una fase procedimentale, dall'altro strumentale, in quanto posta a garanzia delle indagini e del processo, oltre che della collettivita' quando sussista il pericolo della commissione di altri reati. In tale ottica, il legislatore si e' posto il problema di un bilanciamento tra le esigenze di cautela e le esigenze di tutela della salute o di altre situazioni personali dell'indagato, contemperando tali esigenze con la previsione dei limiti alla custodia cautelare in carcere nelle ipotesi previste dall'art. 275, comma 4, c.p.p. Nel caso di specie, pero' (come in altri casi analoghi), le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza ritenute di volta in volta sussistenti a carico della B. n. nelle menzionate ordinanze custodiali sono rappresentate dalle esigenze di tutela della collettivita', previste dall'art. 274, comma 1, lett c); non si tratta, quindi, di esigenze poste a garanzia delle indagini e del processo, tipiche solo delle misure cautelari e non della pena (esigenze che potrebbero giustificare una difforme disciplina), ma delle esigenze di tutela della collettivita' alla cui salvaguardia e' finalizzata anche la pena, la cui composita funzione comprende anche le esigenze di prevenzione e di tutela della collettivita'. In presenza delle medesime esigenze di sicurezza sociale e delle medesime situazioni personali, l'ordinamento consente solo al giudice della cautela la salvaguardia delle prime, ove siano di eccezionale rilevanza, mentre dopo il passaggio in giudicato le stesse esigenze sono postergate e nessuna verifica e' consentita al giudice di sorveglianza in merito all'eccezionalita' delle stesse esigenze e all'esistenza effettiva di pregiudizio per la madre e il nascituro. Come emerge dall'esposizione dei fatti, la condannata e' rimasta in carcere sottoposta a custodia cautelare fino al passaggio in giudicato della condanna, e fino a tale momento l'ordinamento ha consentito al Giudice della cautela la salvaguardia delle esigenze di sicurezza sociale, mentre dopo l'irrevocabilita' della sentenza tali esigenze non possono avere alcuna rilevanza, se non ai fini della concessione della detenzione domiciliare, nel caso di specie non concedibile per la certa inaffidabilita' della condannata, gia' evasa dagli arresti domiciliari e sottrattasi all'esecuzione della liberta' vigilata, oltre che per l'intenzionale mancata comunicazione di un luogo in cui eseguire la misura; in caso di ulteriore (e irragionevole) concessione della detenzione domiciliare, ne conseguirebbe verosimilmente una inarrestabile sequenza di sottrazioni alla detenzione domiciliare e di ripristino della stessa, che da un lato svilirebbe l'essenza stessa della misura e dall'altra lascerebbe di fatto integralmente sguarnite le esigenze che la misura e' invece destinata a salvaguardare (in tal senso, con riferimento agli arresti domiciliari per i malati di AIDS, v. Corte cost. n. 439 del 1995). Appare irragionevole che in presenza delle medesime condizioni e delle medesime esigenze da salvaguardare il difforme trattamento previsto dalla legge sia determinato da un dato solo formale quale il passaggio in giudicato della sentenza (che determinata la trasformazione giuridica della condanna in titolo esecutivo), indipendente dal comportamento del reo. Con riferimento ad altra ipotesi di differimento obbligatorio (per i condannati affetti da AIDS) la Corte costituzionale ha, invece, reso omogenea la disciplina in sede cautelare ed esecutiva con le sentenze n. 438 e 439 del 1995. Ancora, sotto il profilo della razionale uniformita' del trattamento normativo, va rilevato che in altri settori l'ordinamento, nel prevedere particolari forme di tutela della maternita' e del minore nella fase immediatamente successiva al parto non oblitera la salvaguardia delle esigenze di sicurezza sociale: basti pensare al divieto di espulsione della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto previsto dall'art. 19, d.lgs. n. 286/1998 (divieto esteso all'espulsione del marito convivente della donna a seguito della sentenza della Corte cost. n. 376 del 27 luglio 2000), che trova un limite nelle esigenze di tutela e sicurezza dello Stato. Deve, infine, rilevarsi che la particolare normativa di favore per le donne in stato di gravidanza e puerperio puo' indurre, come nella pratica gia' avviene, ad una strumentalizzazione a tini illeciti della maternita' e del rapporto di filiazione, con conseguente scelta della procreazione al solo fine di ottenere l'impunita' di fatto dai delitti commessi; ne consegue lo snaturamento della funzione dell'istituto, con lesione dell'art. 30 della Costituzione. Per le esposte ragioni, ritiene questo tribunale di sorveglianza che si imponga la sospensione del procedimento e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, risultando rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 146, comma 1, n. 1), c.p., nella parte in cui in cui non consente al tribunale di sorveglianza di accertare in concreto se la tutela delle esigenze della madre e del nascituro sia incompatibile con l'esecuzione della pena in carcere, e, conseguentemente, di negare il differimento dell'esecuzione della pena quando il beneficio non sia ritenuto adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione e la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva.
P. Q. M. Visti ed applicati gli articoli 1 legge n. 1/1948, 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, 146 c.p.,678, 684 c.p.p. Dichiara rilevante ai fini del giudizio e non manifestamente infondata, nei termini esposti in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 146, primo comma, n. 1), c.p., in riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma, e 30 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il Giudice possa negare il differimento quando lo ritenga non adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione e sussista il pericolo di eccezionale rilevanza di commissione di altri delitti, la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva, e inoltre l'espiazione della pena possa avvenire senza pregiudizio per le esigenze tutelate dalla norma. Sospende il procedimento e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, riservando la definizione del procedimento all'esito della decisione della Corte adita. Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Manda per le notifiche e comunicazioni prescritte alla condannata, al difensore, al Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Venezia. Cosi' deciso in Venezia, in data 15 luglio 2008. Il Presidente: Tamburino Il giudice estensore: Vono