N. 403 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 agosto 2008

Ordinanza dell'11 agosto 2008 emessa dal Tribunale di sorveglianza di
Venezia nel procedimento relativo a B. L.

Esecuzione  penale - Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena -
  Obbligo  del  differimento  in  caso  di  esecuzione della pena nei
  confronti  di donna incinta - Mancata previsione della possibilita'
  per  il  giudice  di  negare  il differimento quando lo ritenga non
  adeguato  alle finalita' previste dall'art. 27, comma terzo, Cost.,
  sussista  il  pericolo  di  eccezionale rilevanza di commissione di
  altri  delitti  e  la  detenzione  domiciliare  non  sia  idonea  a
  prevenire  il  pericolo  di  recidiva - Violazione del principio di
  ragionevolezza  - Lesione del principio della finalita' rieducativa
  della  pena  -  Lesione  dei  principi  a  base  della tutela della
  maternita' e del minore.
- Codice penale, art. 146, primo comma, n. 1.
- Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo, e 30.
(GU n.52 del 17-12-2008 )
                    IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Sentiti  il  Procuratore  generale e la difesa, che hanno concluso
come   da   verbale,   ha   pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel
procedimento  nei  confronti di B. L. , nata a Firenze il 22 novembre
1982,  alias  n. L.,  nata a Firenze il 22 novembre 1982, alias J. S.
nata  a  Zagabria  il  5  ottobre  1989,  alias J. S. o S., nata il 5
ottobre  1999 o 5ottobre 1988 o 1° gennaio 1988, o 1° gennaio 1989, o
22  novembre  1982,  alias  n. L.  nata il 22 novembre 1982, alias B.
n. L.  nata  a  Firenze  il  22  novembre 1982, e altri alias, codice
univoco   identificativo  025F06A  (ulteriori  CUI  per  correlazioni
dattiloscopiche 035D6XB, 0357UGC, 03F02JM), elettivamente domiciliata
al  momento della scarcerazione in Portogruaro (Venezia) in via Lago,
2,  assistita  di  fiducia daIl'avv. Alberto Simionati di Valdagno, e
Andrea  Zamperlin  del Foro di Ferrara, tendente alla concessione del
beneficio  del  differimento  dell'esecuzione della pena in relazione
alla   pena   inflitta  con  sentenza  del  Tribunale  di  Padova  in
composizione monocratica in data 5 aprile 2008.
                        M o t i v a z i o n e
   La  sedicente  B.  L.  veniva arrestata in Padova il 4 aprile 2008
nella flagranza del reato di furto aggravato continuato in abitazione
e  sottoposta a custodia cautelare in carcere con ordinanza emessa in
data  5  aprile  2008  ai  sensi  dell'art.  275, comma 4, c.p.p. dal
Tribunale  di  Padova, che reputava sussistenti le esigenze cautelari
di eccezionale rilevanza nonostante il dedotto stato di gravidanza.
   Con  sentenza  emessa  dal  Tribunale  di  Padova  in composizione
monocratica  in pari data veniva applicata la pena di anni tre e mesi
otto di reclusione.
   Non  appena  passata  in  giudicato  la  condanna, il difensore di
fiducia  presentava  istanza  di  differimento provvisorio davanti al
Magistrato di sorveglianza di Padova (essendo a quella data la B. L.,
ristretta  presso  la  Casa  circondariale  di  Rovigo),  adducendo a
sostegno lo stato di gravidanza dell'interessata.
   Acquisita  conferma  dal  sanitario  dell'istituto  della  dedotta
situazione  soggettiva  (la  detenuta  risultava  alla  ventinovesima
settimana  di  gestazione),  il  Magistrato di sorveglianza di Padova
disponeva   con   decreto   interinale   datato  31  maggio  2008  il
differimento  provvisorio  dell'esecuzione  della  pena  ex art. 684,
comma 2, c.p.p., eseguito in pari data.
   All'odierna  udienza, alla quale la condannata non e' comparsa, il
Procuratore   generale  ha  concluso  chiedendo  la  sospensione  del
procedimento  in  attesa  della  decisione della Corte costituzionale
sulla  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 146, comma
1,   n. 2),   c.p.   sollevata   d'ufficio  da  questo  Tribunale  di
sorveglianza  con ordinanza n. 715/2008 datata 13 maggio 2008, mentre
il difensore, nominato ex art. 97, c. 4, c.p.p. (non essendo comparso
nessuno  dei due difensori di fiducia nonostante la regolarita' delle
notifiche   e   degli   avvisi),  ha  richiesto  la  concessione  del
differimento   della   pena,   rimettendosi   sulla  sospensione  del
procedimento.
   Nell'odierno   procedimento  deve  essere  valutata  l'istanza  di
differimento  dell'esecuzione  ex  art.  146 c.p. in ordine alla pena
inflitta  con  sentenza  del  Tribunale  di  Padova  in  composizione
monocratica  in  data 5 aprile 2008, il cui residuo alla data odierna
e' di anni tre, mesi sei giorni quattro di reclusione.
   Dagli   atti  acquisiti  risulta  confermata  la  sussistenza  dei
presupposti  del differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena
ai   sensi  dell'art.  146,  comma  1,  n. 1),  c.p.,  risultando  la
condannata  in  stato di gravidanza, come attestato anche nel verbale
dell'udienza   tenutasi   recentemente   davanti   al  Magistrato  di
sorveglianza  di  Venezia  nel procedimento per il differimento della
misura  di  sicurezza  della casa di lavoro (v. verbale del 10 giugno
2008 in atti).
   L'esame   delle   vicende  cautelari  ed  esecutive  piu'  recenti
(tralasciando  la  considerevole  storia  criminale dell'interessata)
impone alcune considerazioni.
   Con  ordinanza  emessa  in  data  27  marzo 2006 dal Magistrato di
sorveglianza  di  Milano la B. L., con le generalita' di n. L. veniva
dichiarata  delinquente  abituale  su  richiesta  della Procura della
Repubblica  presso  il Tribunale di Pordenone (v. richiesta in atti);
con la stessa ordinanza veniva applicata la misura di sicurezza della
liberta'  vigilata  per  anni  uno  e mesi sei, in luogo della misura
detentiva,    in    considerazione    delle    condizioni   personali
dell'interessata, gia' destinataria dei provvedimenti di differimento
dell'esecuzione  della  pena emessi dal Magistrato di sorveglianza di
Milano in data 4 maggio 2005 e 9 luglio 2005 in quanto madre di prole
in   tenera  eta'.  A  sostegno  della  declaratoria  di  delinquenza
abituale,  il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Milano richiamava le
numerose  condanne  per reati contro il patrimonio e la persona, e la
natura sistematica dei delitti commessi in un arco temporale dal 1996
al 2003, si' da ritenere che «la stessa abbia improntato il suo stile
di   vita   alla  commissione  di  reati  contro  il  patrimonio,  in
particolare  di  furti  e  rapine,  traendo  dai proventi dei delitti
commessi i mezzi di sostentamento» (v. ordinanza in atti).
   Con  successiva  ordinanza  datata  26  settembre  2007, lo stesso
Magistrato  di  sorveglianza di Milano disponeva l'aggravamento della
misura  di sicurezza con la casa di lavoro per anni due, in quanto la
condannata  si era resa irreperibile e si era sottratta agli obblighi
della   liberta'   vigilata,   non   ottemperando   agli   inviti  di
presentazione  presso  la Questura di Padova per dare chiarimenti sui
suoi  spostamenti  ed essere sottoposta agli obblighi della misura, e
inoltre  era  stata  giudicata  nel  frattempo  per  direttissima per
l'ennesimo  furto  commesso  in  Bologna  in data 16 maggio 2007, per
essere  poi  scarcerata  in  data  1°  giugno  2007  per differimento
provvisorio  dell'esecuzione della pena. Il differimento in questione
risulta  ratificato  dal Tribunale di sorveglianza di Bologna in data
30  ottobre  2007  in  ordine  alla  pena  inflitta  con sentenza del
Tribunale   di  Bologna  in  data  17  maggio  2007;  nella  predetta
ordinanza,  acquisita  agli  atti,  il  Tribunale  di sorveglianza di
Bologna  rilevava che la condannata, indicata come n. B. L., aveva da
poco partorito.
   Non  appare  superfluo evidenziare che nel periodo compreso tra le
due  ordinanze  emesse  dal  Magistrato di sorveglianza di Milano (27
marzo  2006  -  26  settembre  2007)  la  B.  n. e' stata segnalata o
arrestata  tredici  volte per reati contro il patrimonio e violazione
delle   leggi   di   pubblica   sicurezza   (v.   elenco   precedenti
dattiloscopici).
   La condannata veniva rintracciata per l'esecuzione della misura di
sicurezza  (come da ordine di consegna n. 27/2006 r.e.mis.sic. emesso
in  data  8  ottobre  2007 dalla Procura della Repubblica di Venezia)
solo  in  data  23  gennaio  2008 (dopo essere stata ancora una volta
denunciata in data 16 dicembre 2007 per violazione di domicilio dalla
Polizia  Municipale  di  Modena),  e  al  momento  della notifica del
provvedimento dichiarava di essere nuovamente in stato di gravidanza.
Il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Venezia, pertanto, accertata la
ricorrenza  dei  presupposti  per  il  differimento  della  misura di
sicurezza  ex  art.  211-bis  c.p.,  disponeva con decreto interinale
datato 1° febbraio 2008 il differimento provvisorio della misura.
   Poiche'  all'udienza  fissata  per la decisione in contraddittorio
sul  differimento  della misura di sicurezza la condannata non si era
presentata,  e il marito aveva dichiarato ai Carabinieri che la donna
si  trovava  in  Francia,  il  Magistrato  di sorveglianza di Venezia
revocava   con  ordinanza  datata  27  maggio  2008  il  differimento
provvisorio  della misura di sicurezza gia' concesso (v. ordinanza in
atti).
   La  nomade,  pero', non si trovava in Francia, come dichiarato dal
marito,  bensi' in carcere, in quanto dopo aver ottenuto il beneficio
in  questione  era  stata  arrestata  in data 4 aprile 2008 in Padova
nella  flagranza  di  due  furti in private dimore, fatti ai quali si
riferisce la condanna ad anni tre e mesi otto di reclusione della cui
esecuzione si tratta.
   Con  ordinanza  datata  5  aprile  2008 (emessa in pari data della
sentenza  di  condanna), il Tribunale di Padova applicava la custodia
cautelare in carcere per esigenze cautelari di eccezionale rilevanza,
pur  essendo  l'imputata  in  stato di gravidanza e madre di prole di
eta'  inferiore  ad  anni  tre,  evidenziando  il  «certo pericolo di
recidiva»,  desumibile  dalle di lei condizioni di vita, dall'assenza
di  fissa  dimora  e  di  regolare attivita' lavorativa, dai numerosi
precedenti giudiziari e dattiloscopici per reati contro il patrimonio
e   la  persona,  anche  recenti,  dall'intervenuta  declaratoria  di
delinquenza  abituale.  Il  giudice  padovano  reputava, inoltre, non
adeguata   una   diversa   misura  cautelare,  compresi  gli  arresti
domiciliari,  per l'impossibilita' di formulare una prognosi positiva
in  ordine  al  rispetto delle prescrizioni, anche tenuto conto della
condanna per evasione (v. ordinanza acquisita agli atti).
   Non  appare  superfluo  evidenziare  che  pur  essendo in stato in
gravidanza la giovane nomade commetteva i due furti ponendo in essere
delle  vere  e  proprie  acrobazie,  sia  per penetrare nelle private
dimore,  site  al  secondo  piano  di  un  condominio  attraverso  le
finestre,  sia per darsi alla fuga, calandosi da una finestra sita al
secondo  piano  e  finendo  sul  tetto  del  terrazzo sottostante (v.
sentenza  del Tribunale di Padova cit. in atti). Trattasi di episodio
non  isolato,  posto  che  anche  dalla  sentenza  del  Tribunale  di
Pordenone  datata  19  maggio 2004 si evince che la condannata, anche
allora  in stato di gravidanza, dopo aver tentato di introdursi in un
appartamento forzandone la porta in data 27 marzo 2003, si era data a
rocambolesca  fuga per le scale, nel corso della quale, oltre ad aver
cagionato  lesioni  personali  al proprietario dell'appartamento, era
caduta procurandosi delle escoriazioni (v. sentenza cit. in atti).
   Dopo  il  passaggio  in  giudicato della sentenza del Tribunale di
Padova,   la   B.   L.  richiedeva  ed  otteneva  dal  Magistrato  di
sorveglianza  di Padova il beneficio del differimento dell'esecuzione
della pena, e in data 31 maggio 2008 veniva scarcerata.
   Veniva,  pero',  arrestata  in data 3 giugno 2008 per l'esecuzione
della  misura  di  sicurezza  (essendo stato revocato il differimento
provvisorio  con  la  menzionata  ordinanza  datata 27 maggio 2008) e
ristretta  presso  la Casa reclusione donne di Venezia, che segnalava
lo  stato  di  gravidanza al competente Magistrato di sorveglianza di
Venezia;  questi,  rilevata  la presenza a carico della condannata di
precedenti per delitti commessi con violenza contro la persona, quali
rapina  e  lesioni personali (precedenti non risultanti all'epoca del
differimento  concesso  in  data  1° febbraio 2008 e legittimanti, ai
sensi  del  secondo  comma  dell'art.  211-bis  c.p.,  il ricovero in
adeguato  luogo  di  cura in luogo del differimento dell'esecuzione),
delegava  con decreto del 13 giugno 2008 i servizi sociali a reperire
un'idonea  struttura  o  luogo  di cura, al fine di poter disporre il
ricovero tale luogo in sostituzione del differimento dell'esecuzione,
unica  alternativa prevista dall'art. 211-bis, comma secondo, c.p., e
nel   contempo   richiedeva   al   Dipartimento  dell'amministrazione
penitenziaria il trasferimento in istituto idoneo, se esistente.
   A  seguito  del  mancato  reperimento  di  un'idonea  struttura  e
dell'intervenuta  comunicazione del Dipartimento dell'amministrazione
penitenziaria,   dalla   quale  risultava  l'assenza  nel  territorio
nazionale  di  altri  istituti  dotati di Casa di lavoro e sezione di
cura  adeguata,  il  Magistrato  di sorveglianza di Venezia disponeva
nuovamente  il  differimento  provvisorio  in  data  23  giugno 2008,
fissando  l'udienza  per  la  decisione in contraddittorio in data 10
luglio  2008.  A tale udienza la condannata si presentava in evidente
stato   di   gravidanza,  e  il  pubblico  ministero  concludeva  per
l'esecuzione  della  misura  di  sicurezza.  Perdurando  l'assenza di
alternative  praticabili,  il  Magistrato  di sorveglianza di Venezia
disponeva   con   ordinanza   emessa  fuori  udienza  il  rinvio  del
procedimento al fine di acquisire la disponibilita' del nosocomio del
luogo.  La notifica dell'ordinanza di rinvio non aveva buon esito, in
quanto   la   condannata   si  rendeva  nuovamente  irreperibile  (v.
comunicazione Carabinieri di Portogruaro in atti). Il procedimento e'
tuttora   pendente   perdurando   l'impossibilita'  di  dare  pratica
attuazione al disposto dell'art. 211-bis, secondo comma, c.p.
   Deve,  altresi', rilevarsi che nelle note informative agli atti la
B. n. e' descritta come una nomade di spiccata pericolosita' sociale,
che  ha  fatto  del  crimine  1'unca  fonte di sostentamento (v. nota
Commissariato  P.S.  di  Portogruaro  e  richiesta di declaratoria di
delinquenza   abituale  della  Procura  della  Repubblica  presso  il
Tribunale  di  Pordenone  datata  25  luglio 2005). I certificati del
casellario  a  nome di n. L. J. S., nata il 22 novembre 1982, e J. S.
nata  il  5  ottobre  1988, riportano altre dodici condanne per furti
plurimi   aggravati   consumati   e   tentati,   false  dichiarazioni
sull'identita'   personale,   evasione,   rapina   tentata,   lesioni
personali,  porto  di  oggetti  atti ad offendere, uso di atto falso,
violazione    delle   norme   sull'immigrazione.   Tali   certificati
verosimilmente  non  sono  completi, posto che non risulta riportata,
oltre  alla condanna della cui esecuzione si discute, la sentenza del
Tribunale  di Pordenone datata 19 maggio 2004, con la quale la B. con
le  generalita'  di n. L. e' stata condannata alla pena di anni tre e
mesi  otto  di reclusione per il delitti di tentata rapina impropria,
lesioni personali, furto aggravato in abitazione, false dichiarazioni
sull'identita'  personale,  porto  d'armi  (condanna  a seguito della
quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone ha
richiesto la declaratoria di delinquenza abituale). Risulta, inoltre,
che  la  condannata  al  fine  di  procurarsi l'impunita' dai delitti
commessi non ha esitato in alcune occasioni ad usare violenza fisica,
aggredendo  i  malcapitati  proprietari delle abitazioni in cui aveva
tentato di introdursi per commettere furti (v. sentenza del Tribunale
di  Pordenone  citata,  e  sentenza  del Tribunale per i minorenni di
Brescia  in  data  24  marzo 2000, con la quale la sedicente n. L. e'
stata  condannata alla pena di mesi dieci di reclusione per i delitti
di  rapina  impropria  aggravata  e lesioni personali, acquisite agli
atti).
   Dai  certificati  acquisiti  e  dal  nutrito  elenco di precedenti
dattiloscopici  si  evince,  inoltre,  che  la condannata ha commesso
delitti  in  tutto  il territorio nazionale, nell'ambito del quale si
sposta  frequentemente da un capo all'altro della penisola, e inoltre
che  nel  periodo  tra  il 16 luglio 1993 e il 4 aprile 2008 e' stata
segnalata  o arrestata circa cento volte declinando almeno 67 diverse
generalita'.
   A  fronte  dei  numerosi  precedenti  e segnalazioni, i periodi di
carcerazione che risultano dall'archivio storico dell'amministrazione
penitenziaria  sono esigui (v. cartelle giuridiche storiche in atti),
e  risultano  tutti seguiti dalla scarcerazione a breve dell'indagata
con l'imposizione di misure cautelari non detentive o il collocamento
in comunita' minorili, oppure dal differimento della pena ex art. 146
c.p.  (v.  differimento  concesso  dal  Magistrato di sorveglianza di
Milano  in  data  4  maggio  2005  e  9 luglio 2005, dal Tribunale di
sorveglianza  di  Bologna  in data 30 ottobre 2007, dal Magistrato di
sorveglianza di Padova in data 31 maggio 2008).
   Esaminati  gli  atti  acquisiti,  questo  Collegio  non  puo'  che
condividere  il  giudizio di spiccatissima pericolosita' sociale gia'
formulato  nei  confronti  dell'odierna  istante  da  altre autorita'
giudiziarie,  il  cui  grado  attuale  esigerebbe,  al fine di un suo
adeguato   contenimento,  l'applicazione  di  una  misura  detentiva;
parimenti,  reputa  certo, piu' che verosimile, l'abuso del richiesto
differimento,  ove  concesso,  al  fine  di  commettere altri delitti
contro  il  patrimonio, senza alcun riguardo per le esigenze alla cui
tutela  il  beneficio  e'  preordinato,  posto che gia' in passato la
nascita  degli  altri  tre  figli (nati nel 2003, 2005 e 2006) non ha
dissuaso   la  donna  dal  commettere  delitti,  cosi'  come  nessuna
efficacia dissuasiva ha avuto la recente gravidanza.
   Questo Tribunale di sorveglianza, tuttavia, non puo' negare sic et
simpliciter  il  differimento  della pena (con conseguente esecuzione
penale   in   carcere),  potendo  al  piu'  concedere,  quale  misura
sostitutiva  del richiesto differimento, la detenzione domiciliare ex
art.  47-ter, comma 1-ter, o.p., anche in assenza di una richiesta in
tal senso dell'interessata.
   Non    appare    superfluo    rammentare    l'orientamento   della
giurisprudenza  della  dottrina  e  della giurisprudenza in ordine ai
rapporti tra i due benefici.
   Nella vigenza della normativa preesistente alla legge n. 165/1998,
parte  della  dottrina,  facendo  riferimento  al  dato testuale, che
qualifica   come  obbligatorio  il  rinvio,  lo  riteneva  prevalente
rispetto alla detenzione domiciliare. Di diverso avviso coloro che si
soffermavano  sugli  indubbi  vantaggi  che la detenzione domiciliare
comporta  per  il  condannato,  tra  i  quali  il  fatto che il tempo
trascorso in esecuzione della misura si consideri pena espiata. Oggi,
a   seguito   della   novella  di  cui  alla  legge  n. 165/1998,  la
giurisprudenza  e'  orientata  ad  affermare  che  il  legislatore ha
modificato  profondamente  l'istituto  della  detenzione domiciliare,
facendolo  divenire,  con  l'introduzione  del comma 1-ter (oltre che
1-bis),  una  delle  misure  alternative piu' duttili e piu' idonee a
soddisfare  le  contrapposte  esigenze del rispetto dei diritti della
persona  e  di  sicurezza  della societa' (v. sentenza Cass., sez. I,
n. 20480   del   2001).   Tale  misura,  si  afferma,  «configura  la
polifunzionalita'   del  regime  detentivo,  mirato,  per  un  verso,
all'esigenza   di  effettivita'  dell'espiazione  della  pena  e  del
necessario  controllo  cui  vanno sottoposti i soggetti pericolosi e,
per altro verso, ad una sua esecuzione mediante forme compatibili con
il senso di umanita'» (v. sentenza Cass., sez. I, n. 6952 del 2000).
   Riguardo   ai   criteri   di   scelta   tra  i  due  benefici,  la
giurisprudenza  della  Corte  di  legittimita'  ha  precisato  che il
Tribunale  di  sorveglianza  deve  fare una duplice verifica, dovendo
prima  verificare  la  sussistenza  delle  condizioni richieste dalla
legge   per   il  differimento  e  poi  disporre,  eventualmente,  la
detenzione    domiciliare    in    alternativa    alla    sospensione
dell'esecuzione  della  pena  quando  ricorrano  esigenze  di  tutela
collettiva  (sempre  da  tenere  presenti in tema di esecuzione della
pena)  che  rendano  piu'  adeguata  l'esecuzione della pena in forma
alternativa piuttosto che la sospensione dell'esecuzione (Cass., sez.
I,   sentenza  n. 656  del  2000);  piu'  di  recente,  la  Corte  di
legittimita' ha anche rilevato che la detenzione domiciliare, al pari
delle  altre misure alternative alla detenzione, ha come finalita' il
reinsenmento  sociale  del  condannato,  mentre il differimento della
pena  previsto  dall'art.  146  e 147 c.p., anteriore all'ordinamento
penitenziario  vigente,  ha finalita' diverse dall'individuazione del
trattamento piu' opportuno nei confronti del condannato, mirando solo
ad evitare che l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto
alla  salute  e  del senso di umanita'. Alla luce di tali principi, a
fronte di una richiesta il giudice deve valutare se le condizioni del
condannato  siano compatibili con le finalita' rieducative della pena
e  con  le possibilita' concrete di reinserimento sociale conseguenti
alla   rieducazione.   Qualora,   all'esito   di   tale  valutazione,
l'espiazione  della pena appaia contraria al senso di umanita' per le
eccessive  sofferenze  da  essa  derivanti  ovvero  appaia  priva  di
significato   rieducativo   in   conseguenza  dell'impossibilita'  di
proiettare  in futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve
trovare  applicazione  l'istituto  del  differimento (sentenza Cass.,
sez. I, n. 45758 del 14 novembre 2007, dep. il 6 dicembre 2007).
   Facendo  applicazione di tali principi, non puo' non rilevarsi che
le  condizioni  di  vita  individuali  e  sociali della condannata, i
plurimi precedenti giudiziari e di polizia, e le conseguenti esigenze
di  sicurezza  sociale,  nonche'  l'abuso del differimento della pena
piu'  volte  ottenuto  e  del  differimento della misura di sicurezza
concesso  in via interinale dal Magistrato di sorveglianza di Venezia
in  data 1° febbraio 2008 per perseverare nel crimine, indurrebbero a
ritenere  piu'  adeguata  al contenimento della pericolosita' sociale
l'esecuzione della pena, quantomeno in forma alternativa.
   Nel  caso  di  specie,  pero',  trattasi di condannata senza fissa
dimora,  che  si  sposta  frequentemente  da  un capo all'altro della
penisola,  che non risulta aver soggiornato per un tempo apprezzabile
in  un  determinato  luogo  e  che  solo  saltuariamente  compare  in
Portogruaro,  dove  pare  vivano  altri  congiunti,  per  poi  subito
scomparire  in  base alle vicende cautelari o esecutive del momento e
alle  aspettative  di  benefici  correlati allo stato di gravidanza o
puerperio; davanti a questo Tribunale di sorveglianza neppure tramite
i  due  difensori  di fiducia, peraltro, l'interessata ha indicato un
luogo idoneo ai fini dell'applicazione della detenzione domiciliare.
   Deve  anche rilevarsi che non appare in alcun modo formulabile una
favorevole  prognosi di corretta gestione della misura, che e' misura
a  contenuto  prescrittivo, e postula, per realizzare la funzione che
le  e'  propria,  la volonta' adesiva di chi vi e' sottoposto (in tal
senso  riguardo  agli  arresti  domiciliari  v. Corte costituzionale,
sentenza   n. 439/1995).  Il  grado  di  inaffidabilita'  piu'  volte
dimostrato  dalla  condannata  (che  ha  riportato  una  condanna per
evasione  e  di recente si e' sottratta all'esecuzione della liberta'
vigilata, rimanendo irreperibile fino a quando la gravidanza in corso
le  ha  consentito  di affrontare la vicenda esecutiva confidando nel
benevolo  trattamento  previsto dalla legge), unitamente all'assoluta
indifferenza  alle norme penali e del vivere sociale evidenziata, non
consentono  in alcun modo di ritenere che la B. n. si atterrebbe alle
prescrizioni minime tipiche della detenzione domiciliare.
   Pur  in assenza di situazioni personali che precludano l'efficacia
rieducativa  della  pena o che rendano contraria al senso di umanita'
l'esecuzione   penale  in  forma  alternativa,  questo  tribunale  di
sorveglianza non puo', pertanto, che applicare il richiesto beneficio
del differimento.
   Una    diversa    interpretazione   non   appare   ragionevolmente
sostenibile,  senza  inammissibili  forzature  del dato normativo; il
tenore  testuale  dell'art. 146, comma 1, n. 1), c.p., nella parte in
cui   dispone  «l'esecuzione  e'  differita»  anziche'  «puo'  essere
differita»,  non lascia dubbi interpretativi. Puo', al piu' rilevarsi
che  con  la  previsione  contenuta  nel comma 1-ter dell'art. 47-ter
c.p.,  che  introduce  una disciplina differenziata rispetto a quella
generale,  anche  in  relazione  ai  limiti  edittali, il legislatore
sembra voler richiamare l'attenzione sulla necessita' di contemperare
le  esigenze  di tutela delle condizioni del condannato con quelle di
tutela  della  collettivita', rimettendo al tribunale di sorveglianza
la   scelta   dello   strumento   piu'   idoneo   a  perseguire  tale
contemperamento,   si'   da   far   ipotizzare   che  l'istituto  del
differimento  obbligatorio  abbia  perso  tale  carattere, risultando
rimessa  la sua adozione alla valutazione discrezionale del tribunale
di  sorveglianza. Tuttavia tale argomento, a fronte del dato testuale
inequivocabile  e  dell'assenza  di' una normativa di raccordo tra la
previsione  del  codice  penale  e la normativa penitenziaria, appare
insufficiente   a   reputare   consentito   il  diniego  «secco»  del
differimento, nell'ipotesi disciplinata dall'art. 146, comma 1, n. 1)
c.p.
   Ritiene,  tuttavia,  questo  Collegio  che  la disposizione, cosi'
formulata   e   intesa,   attribuisca  al  sistema  una  connotazione
criticabile  sotto il profilo della razionalita' e costituzionalita',
e  che,  pertanto,  debba  essere  sollevata  d'ufficio  questione di
legittimita'  costituzionale  della  norma,  per  contrasto  con  gli
articoli  3,  27 terzo comma, e 30 della Costituzione, ravvisandosene
la  rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza.  Lo  scrutinio di
costituzionalita'  e'  gia'  stato  richiesto  da questo Tribunale di
sorveglianza  con  ordinanza  n. 715/2008  datata  13  maggio 2008 in
relazione  alla  disposizione  di  cui  comma 1, n. 2), dell'art. 146
c.p.,   mentre   nel   caso   di   specie  i  dubbi  di  legittimita'
costituzionale  riguardano  la  previsione  del  comma 1, n. 1) della
stessa norma, applicabile nel caso in esame.
   La  questione  e'  rilevante  ai fini della pronuncia sull'odierna
istanza,  essendo  ineliminabile l'applicazione della norma nell'iter
logico-giuridico   che   questo  tribunale  deve  percorrere  per  la
decisione   conclusiva   dell'odierno   procedimento,  in  quanto  il
provvedimento  interinale del Magistrato di sorveglianza di Padova e'
destinato  a  produrre  effetti  fino alla decisione di questo organo
collegiale, al quale compete la decisione in via definitiva in ordine
al  differimento della pena, istituto del quale risultano sussistenti
i  presupposti  (in  tal senso, per la rilevanza di analoga questione
nonostante  l'intervenuta  scarcerazione  provvisoria  da  parte  del
Magistrato di sorveglianza, v. Corte cost. sentenza n. 70 del 1994).
   In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  va  premesso  che e'
indiscutibile  la scelta del legislatore di tutelare anche nella fase
dell'esecuzione   penale  le  particolari  esigenze  delle  donne  in
gravidanza  o madri di figli in tenera eta'; sicuramente e fortemente
condiviso  da  questo  Collegio  e'  il  principio  secondo  il quale
tendenzialmente  in un Paese democratico la detenzione delle donne in
gravidanza  e  delle  madri  che  accudiscono  figli  in  tenera eta'
dovrebbe  essere prevista solo «in ultima istanza» (come raccomandato
agli Stati membri di recente nella risoluzione del Parlamento europeo
del 13 marzo 2008 sulla particolare situazione delle donne detenute e
l'impatto  della  carcerazione  dei  genitori  sulla  vita  sociale e
familiare,  al  punto  14).  Non  sfugge,  inoltre, al Collegio, come
ricordato   dalla   Corte   costituzionale,  che  «l'alternativa  tra
l'immediata  esecuzione della pena o la sua temporanea inesigibilita'
a  causa  di  situazioni  soggettive  che  il  legislatore ritiene di
qualificare  come  incompatibili  con  la  carcerazione, non comporta
soluzioni    univoche    sul    piano    costituzionale,    dovendosi
necessariamente  ammettere  spazi  di  valutazione  normativa che ben
possono  contemperare  l'obbligatorieta' della pena con le specifiche
situazioni  di  chi vi deve essere sottoposto». Conferma l'assenza di
soluzioni  «a  rime  obbligate»  la  circostanza  che nel progetto di
riforma  al  codice penale predisposto dalla Commissione nominata con
d.m.  23 novembre 2001 il differimento dell'esecuzione della pena per
gravidanza  e  puerperio  non  sia  previsto,  mentre  e' prevista la
concessione  (facoltativa) della conversione della pena detentiva con
altra  misura  in caso di condannata incinta o madre di prole di eta'
inferiore ad anni dieci (v. art. 81 n. 6 del progetto); il disegno di
legge  delega  predisposto  dall'ultima  Commissione  di  riforma del
codice  penale  istituita  con  d.m.  31  luglio  2006,  invece,  nel
prevedere  nuovamente  l'istituto  del differimento, non io qualifica
come obbligatorio.
   Il  legislatore  ordinario,  pero',  nell'esercizio del suo potere
discrezionale   di   dettare   norme   che   incidono   su  interessi
costituzionalmente rilevanti tra loro in rapporto di concorrenza o di
confliggenza, incontra limiti di ordine costituzionale.
   Con   riferimento   alla   normativa   penitenziaria,   la   Corte
costituzionale  ha  precisato  che  «eguaglianza  di fronte alla pena
significa  proporzione  della medesima alle personali responsabilita'
ed  alle  esigenze di risposta che ne conseguono (sentenze n. 349 del
1993  e n. 299 del 1992), e che per l'attuazione di tali principi, ed
in funzione della risocializzazione del reo, e' necessario assicurare
progressivita'  trattamentale  e  flessibilita'  della pena (sentenze
n. 445  del  1997  e  306  del  1993)  e, conseguentemente, un potere
discrezionale alla magistratura di sorveglianza nella concessione dei
benefici penitenziari» (sentenza n. 504 del 1995 e n. 255 del 2006).
   Con  sentenza  n. 306  del  1993, ancora, la Corte ha affermato il
principio   secondo   cui,   nell'ambito   delle   finalita'  che  la
Costituzione  assegna  alla pena (quella di prevenzione generale e di
difesa   sociale,  con  i  connessi  caratteri  di  retributivita'  e
affilttivita',  e  quella  di prevenzione speciale e di rieducazione,
che  tendenzialmente comportano una certa flessibilita' della pena in
funzione dell'obiettivo di risocializzazione del reo), il legislatore
ordinario   puo'   -   nei   limiti   della   ragionevolezza   -  far
tendenzialmente  prevalere,  di  volta  in  volta,  l'una  o  l'altra
finalita', ma a patto che nessuna di esse risulti obliterata.
   Conformemente  a  tali  principi,  ai quali e' improntato tutto il
settore  dell'esecuzione  penale,  la  concessione  di ogni beneficio
penitenziario  deve  essere  preceduta,  oltre  che dall'accertamento
della  sussistenza  dei  requisiti  di legittimita' di volta in volta
prescritti  dalla  legge,  anche  da  una valutazione del giudice sul
raggiungimento  da  parte  del  condannato di uno stadio del percorso
rieducativo  adeguato  al  beneficio  richiesto,  e sulla conseguente
idoneita'  rieducativa  di  quest'ultimo,  nonche'  sull'idoneita'  a
prevenire  il  pericolo  di  recidiva.  Nelle  proprie  decisioni, il
giudice   di   sorveglianza  deve  aver  riguardo  ai  risultati  del
trattamento  individualizzato,  o, in caso di assenza di trattamento,
al  comportamento  tenuto  in  liberta',  e verificare la sussistenza
delle  condizioni  per  un adeguato reinserimento sociale, al fine di
garantire la proporzionalita' e l'individualizzazione del trattamento
sanzionatorio,  oltre  che  l'ineludibile finalita' rieducativa della
pena.
   Come  innanzi accennato, il differimento secondo la giurisprudenza
non  ha  finalita'  rieducativa,  ma  tende  solo  ad  evitare che in
presenza di determinate situazioni l'esecuzione della pena avvenga in
spregio  del diritto alla salute e del senso di umanita'; la potesta'
punitiva  dello Stato nella fase dell'esecuzione della pena incontra,
per  vero,  un limite invalicabile in quelle situazioni in cui per le
condizioni  personali  del reo l'esecuzione dalla pena contrasterebbe
con  il  senso  di  umanita'  o  non  potrebbe avere alcuna efficacia
rieducativa (cfr. Cass. sentenza 1138 del 26 aprile 1994). In assenza
di  tali  estreme  condizioni,  tuttavia,  non appare giustificata la
compromissione    delle   finalita'   della   pena   previste   dalla
Costituzione,  in  quanto, pur essendo istituto anteriore all'entrata
in   vigore   della   Carta  costituzionale,  l'istituto  del  rinvio
dell'esecuzione  deve  essere interpretato alla luce ditali principi.
Pur  non  rientrando, inoltre, tra i benefici premiali, difettando la
natura  premiale,  trattasi  pur  sempre  di  un beneficio che pur se
previsto  dal  codice  penale  all'interno di un capo (il secondo) di
contenuto  assai vario ed eterogeneo, ha una concreta incidenza nella
vicenda  esecutiva  e penitenziaria, e' demandato alla competenza del
Giudice  di  sorveglianza  e pertanto deve soggiacere, salvi i limiti
anzidetti,   ai   principi   vigenti  in  materia  penitenziaria,  in
particolare al principio del finalismo rieducativo della pena.
   Nel  caso  di  specie,  il  beneficio del differimento provvisorio
(concesso  dal  Magistrato di sorveglianza di Venezia con riferimento
alla  misura di sicurezza e dal Magistrato di sorveglianza di Bologna
e  di Milano in ordine ad altri titoli esecutivi) si e' gia' rivelato
non  adeguato,  sia  sotto il profilo rieducativo sia sul piano della
prevenzione   speciale,  ma  nonostante  l'abuso  dei  benefici  gia'
concessi  e  la ricaduta nel crimine questo tribunale di sorveglianza
non  puo'  rigettare  l'istanza, salvo optare, come gia' esposto, per
una misura che con certezza non troverebbe regolare esecuzione.
   Risulta,  cosi',  violato  il  principio  della proporzionalita' e
individualizzazione   del   trattamento  sanzionatono,  ma  anche  il
principio  della  progressivita' trattamentale, in base al quale «nel
caso  di  abuso  dei  benefici gia' concessi o di altre irregolarita'
comportamentali   deve   conseguire   una  regressione  nel  percorso
trattamentale»  (cosi'  come,  all'inverso, «il maturarsi di positive
esperienze non potra' non generare un ulteriore passaggio nella scala
degli   istituti   di   risocializzazione»;   v.   sul   punto  Corte
costituzionale sent. n. 445/1997 con riferimento ai permessi premio).
L'importanza  della  progressivita' trattamentale e' stata piu' volte
ribadita  dalla  Corte  costituzionale,  che  ha  affermato  che tale
principio  rappresenta  il «fulcro attorno al quale si e' dipanata la
propria  giurisprudenza, doverosamente attenta a rimarcare l'esigenza
che  ciascun  istituto  si modelli e viva nel concreto come strumento
dinamicamente  volto  ad  assecondare  la  funzione rieducativa della
pena».
   Nel  caso  in  esame,  all'abuso  del  differimento  e  alla certa
inefficacia  della  detenzione domiciliare non puo', pero' conseguire
il  diniego  di concessione del differimento, ma puo' solo conseguire
la  concessione di un beneficio gia' rivelatosi inadeguato, senza che
possa  essere  tenuta  in  alcuna  considerazione l'impossibilita' di
formulare  una prognosi di futura astensione da comportamenti di tipo
deviante,  tenuto  conto  della  reiterazione di condotte criminose e
della  dimostrata  adesione a modelli di vita incentrati su attivita'
illecite,  in  quanto  la  norma  non  consente,  sulla  base di tale
giudizio  prognostico,  il  rigetto  del beneficio. Solo in relazione
alle situazioni legittimanti un rinvio facoltativo dell'esecuzione il
comma  4  dell'art. 147 c.p.(aggiunto dalla legge n. 40/2001) dispone
che  il  provvedimento  «non puo' essere adottato o se e' adottato e'
revocato  se  sussiste  il  concreto  pericolo  della  commissione di
delitti»;  anche  tale  disposizione  conferma  la diversa scelta del
legislatore in ordine al differimento obbligatorio, riguardo al quale
non e' consentito analogo apprezzamento del giudice.
   Generalmente  si  afferma, riguardo all'istituto del differimento,
che le finalita' della pena possono essere procrastinate e rimodulate
a  seguito  di  una  esecuzione differita; nel caso di specie, pero',
puo'  ragionevolmente  affermarsi  che  allo  scadere del termine del
differimento  (ovvero  tra oltre un anno, periodo nel corso del quale
verosimilmente  la  B.  n. continuera'  a  perseverare  nel  crimine)
l'esecuzione  non potra' agevolmente essere ripristinata, considerata
l'abilita'  dimostrata  dalla  condannata nel rendersi irreperibile e
nel fare uso di numerose false generalita'.
   Tenuto  conto  della  giovane  eta', e delle abitudini di vita dei
nomadi,   alla  data  dell'inizio  di  una  nuova  esecuzione  la  B.
n. potrebbe  essere nuovamente incinta e cosi' via per chissa' quanto
tempo  ancora.  Conferma  tale  assunto  la circostanza che risultano
ancora non eseguite alla data odierna le pene differite tra il 2005 e
il  2006 ai sensi dell'art. 146 c.p., cosi' come dalla documentazione
acquisita,  non  risultano  espiate  le  pene  inflitte  con le altre
numerose  condanne  risultanti dal casellario (v. cartelle giuridiche
storiche in atti).
   A  cio'  si aggiunga che le situazioni soggettive che impongono il
differimento  obbligatorio della pena precludono anche l'applicazione
delle  misure  di  sicurezza,  come dimostra la vicenda all'esame del
Magistrato  di  sorveglianza  di  Venezia, tuttora priva di soluzione
nonostante la gia' intervenuta declaratoria di delinquenza abituale e
l'applicazione della misura della casa di lavoro.
   Come   emerge  dall'esame  dei  dati  statistici,  e  come  questo
tribunale  di  sorveglianza  ha avuto modo di verificare direttamente
nel  corso  dei  numerosi  procedimenti  iscritti  sulle  istanze  di
differimento avanzate da donne nomadi ristrette nelle Casa reclusione
donne  di  Venezia  (istituto dotato di nido), la strumentalizzazione
dell'istituto  del  differimento (che da extrema ratio in alcuni casi
diventa  la  regola) ha di fatto creato una sorta di immunita' per le
donne  nomadi in eta' fertile che possono dedicarsi indisturbate alle
loro  attivita'  illecite  potendo confidare sul trattamento previsto
dall'at.  146  c.p.  per  le  donne in stato di gravidanza o madri di
figli in tenera eta'; considerato che generalmente si tratta di donne
che  iniziano a procreare precocemente, appena adolescenti, e che per
le  abitudini  di  vita non conoscono il fenomeno del controllo delle
nascite, e' di tutta evidenza l'imponenza del fenomeno e le pressanti
esigenze di tutela della collettivita' che ne conseguono. Piu' che un
temporaneo  differimento (che potrebbe non compromettere le finalita'
della   pena)   si   finisce   per  avere  un  differimento  a  tempo
indeterminato,   per   giunta   lasciato  alla  libera  scelta  delle
interessate,  le quali non indicando intenzionalmente un domicilio, o
dimostrando   una   sicura   inaffidabilita'   incompatibile  con  la
detenzione  domiciliare  (come  nel  caso  in  esame), o sottraendosi
all'esecuzione  della  detenzione  domiciliare  gia' concessa possono
lucrare, quale alternativa inevitabile, il differimento della pena. A
cio'  si  aggiunga che il legislatore ha inasprito con l'introduzione
dell'art. 624-bis c.p. ad opera della legge 26 marzo 2001, n. 128, il
trattamento sanzionatorio dei furti in abitazione, reati diventati di
grave  allarme  sociale  poiche' comportano un serio turbamento della
vita che si svolge tra le mura domestiche, oltre ad arrecare un danno
patrimoniale;  con  tale inasprimento, il legislatore ha riconosciuto
la particolare rilevanza degli interessi lesi dal delitto, e pertanto
l'ordinamento   non   puo'   poi   lasciare   di  fatto  impunite  le
«professioniste»  dei  furti  in  abitazione, come l'odierna istante,
gia'  dichiarata  delinquente  abituale  dal  27  marzo  2006  e  mai
sottoposta  (se  non per breve tempo) all'esecuzione di una misura di
sicurezza o di una pena.
   Puo'  affermarsi,  pertanto,  che  nel  caso  di  specie  tutte le
finalita' che la Costituzione assegna alla pena risultano obliterate,
con   conseguente   violazione  del  principio  sancito  dalla  Corte
costituzionale con sentenza n. 306 del 1993. Totalmente svilita e' la
finalita'  di prevenzione generale e di difesa sociale - finalita' la
cui  realizzazione dipende, come e' noto, non soltanto dalla minaccia
legale  della  sanzione  penale,  ma  anche  e  soprattutto dalla sua
concreta  esecuzione  -  giacche' la rigida e prevedibile sospensione
del  momento  esecutivo  esclude  che la pena irrogata possa svolgere
alcuna  funzione  di intimidazione e dissuasione rispetto a possibili
futuri   comportamenti  criminosi,  sia  ne  confronti  del  concreto
destinatario  di  essa, sia nei confronti degli altri soggetti che si
trovano  nella  medesima situazione. Del tutto vanificato e' anche il
profilo  retributivo-affittivo  della pena posto che la rinuncia alla
relativa  esecuzione  (di  fatto a tempo indeterminato per le ragioni
esposte) lascia sostanzialmente impunito il reato commesso. Come gia'
evidenziato,  infine,  risultano obliterate del tutto le finalita' di
prevenzione  speciale  e  di  rieducazione  della  pena, che appaiono
riferibili al caso concreto.
   La  magistratura  di  sorveglianza  deve, infatti, in presenza dei
presupposti  previsti  dall'art.  146  comma  1  n. 1)  e  2),  c.p.,
sospendere  l'esecuzione  della  pena detentiva, in base ad un rigido
automatismo,  che  non puo' essere temperato da alcuna valutazione di
merito  volta  ad  assicurare  il perseguimento delle finalita' della
pena  e  l'individualizzazione e proporzionalita' del trattamento, in
relazione  alle  concrete necessita' specialpreventive, rieducative e
risocializzatrici del caso; alle situazioni regolamentate dalla norma
puo'  essere, di fatto, riconducibile una varieta' e molteplicita' di
situazioni  personologiche  e  criminologiche, tra loro profondamente
differenti,  meritevoli di diverso trattamento, che non puo', invece,
essere assicurato.
   E'   del   tutto  evidente,  pertanto,  che  la  generalizzata  ed
automatica  applicazione  del  trattamento  di  favore previsto dalla
disposizione   censurata,  nell'assegnare  un  identico  beneficio  a
condannati  che  presentino fra loro differenti stadi del percorso di
risocializzazione   e   diversi   gradi   di  pericolosita'  sociale,
compromette,  ad  un tempo, non soltanto il principio di uguaglianza,
finendo  per  omologare  fra  loro,  senza  alcuna  plausibile ratio,
situazioni  diverse,  ma  anche  la stessa funzione rieducativa della
pena,  posto  che  il  riconoscimento di un beneficio che non risulti
correlato   alla  positiva  evoluzione  nel  trattamento  compromette
inevitabilmente    l'essenza   stessa   della   progressivita',   che
costituisce  il tratto saliente dell'iter riabiltativo. L'automatismo
che  si  rinviene  nella  norma  denunciata e' poi in contrasto con i
principi  di  proporzionalita'  e individualizzazione della pena come
precisati dalla richiamata giurisprudenza.
   Ne  consegue  il  contrasto  della  norma censurata con l'art. 27,
terzo comma, Costituzione, oltre che con l'art. 3 della Costituzione.
   La   norma   stessa   appare  in  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione anche per lesione del canone della ragionevolezza.
   In  via generale, il bilanciamento degli interessi coinvolti ed il
sacrificio  di  alcuni  di  essi, in favore di altri, soggiacciono al
limite  della  ragionevolezza  della scelta legislativa, nel senso di
una  non  arbitraria  e non ingiustificata composizione dei valori in
giuoco.
   Nel  giudizio  sulla  razionalita'  di  una disciplina non si deve
guardare  solo  alla  posizione  formale di chi ne e' destinatario ma
anche alla funzione e allo scopo cui essa e' preordinata (Corte cost.
sentenza n. 54 del 1968). Sotto tale profilo, sulla base dei principi
affermati dalla giurisprudenza di legittimita' puo' affermarsi che la
ratio  delle  norme  sul differimento obbligatorio e' la tutela della
salute  e  dell'umanita'  della  pena;  sicuramente  finalizzato alla
tutela  della  salute  della  donna  e  del nascituro e' il rinvio in
presenza  dello stato di gravidanza, mentre il differimento nel primo
anno   di   vita  del  bambino  puo'  essere  ricondotto,  oltre  che
all'esigenza  di  assicurare  il  senso di umanita' della pena, anche
alla  tutela  dell'interesse del minore ad un corretto sviluppo della
personalita',  e,  in  funzione  di  tale  interesse, alla tutela del
rapporto  che  in  tale periodo necessariamente si svolge tra madre e
figlio,  non  tanto  e  non solo per cio' che attiene ai bisogni piu'
propriamente  biologici,  ma  anche  in  riferimento alle esigenze di
carattere  relazionale  e  affettivo che sono collegate allo sviluppo
della personalita' del bambino (v. con riferimento ad altre norme che
prevedono benefici nel periodo immediatamente susseguente al parto v.
sentenza n. 376 del 2000 Corte costituzionale).
   Se  questa  e' la ratio dell'istituto del differimento, che incide
su  altri interessi pure costituzionalmente rilevanti, deve ritenersi
che la norma sia espressiva di un giudizio di valore risultante dalla
ponderazione    di    due    interessi    in    conflitto,   entrambi
costituzionalmente  rilevanti. Caratteristica dei valori (o principi)
costituzionali     soggetti    a    bilanciamento,    e'    la    non
predeterminabilita'  in  assoluto,  una  volta  per  tutte,  dei loro
rapporti reciproci di sovra o sottordinazione. La prevalenza dell'uno
sull'altro,  quando il bilanciamento non sia rimesso caso per caso al
giudice,  ma  sia  operato  dalla  legge  nella  forma  di  una norma
astratta,  deve essere collegata a determinate condizioni tipiche. In
assenza  di tali condizioni l'esito della valutazione comparativa non
puo'  essere  il  medesimo.  Percio',  una  norma di questo tipo, per
essere  costituzionalmente  legittima,  non deve escludere, in ordine
all'interesse     postergato,    la    possibilita'    della    prova
dell'inesistenza, nel caso concreto, delle condizioni che, secondo il
bilanciamento  sotteso  alla norma stessa, giustificano la precedenza
attribuita  all'interesse  antagonistico  (v.  in  tal senso sentenza
Corte costituzionale 1° aprile 1992, n. 149).
   In applicazione di analogo principio, con riferimento all'istituto
del  differimento  della pena nei confronti dei condannati affetti da
AIDS,  la  Corte  costituzionale  con  sentenza  n. 438  del  1995 ha
ritenuto  non  conforme  al  canone  della ragionevolezza l'art. 146,
primo comma n. 3), c.p., nella parte in cui non consente di accertare
in  concreto  se  ai  fini  dell'esecuzione  della  pena le effettive
condizioni  di  salute  del condannato siano compatibili con lo stato
detentivo,    poiche'    intanto   si   puo'   ritenere   ragionevole
l'allontanamento  dal  carcere in quanto la relativa permanenza negli
istituti  cagioni  un  pregiudizio  alla  salute del soggetto e degli
altri   detenuti,   posto   che   altrimenti   risulterebbero   senza
giustificazione  compromessi  altri  beni  riconosciuti  come primari
dalla Carta fondamentale.
   Nel  caso  di  specie,  la  restrizione  in carcere nel periodo di
gestazione  non  ha cagionato alcun concreto pregiudizio alla B. come
emerge  dal  certificato del sanitario della Casa reclusione donne di
Venezia.  In  carcere,  inoltre,  la  detenuta godeva dell'assistenza
sanitaria assicurata in istituto.
   Per   converso,   come   evidenziato,   nei  periodi  di  liberta'
conseguenti  ai  benefici  ottenuti,  la B. n. non ne ha fatto uso al
fine  di  dedicarsi alla cura dei figli in tenera eta', ma piu' volte
(anche  in occasione delle precedenti gravidanze) e' stata denunciata
e  arrestata  in  flagranza mentre era dedita al furto, lontana dagli
accampamenti  dove  i figli erano verosimilmente affidati a parenti o
altri   componenti   del   gruppo,  ed  ha  tenuto  un  atteggiamento
irresponsabile,  perseverando nel proprio stile di vita antinormativo
e  inadatto  sia ad una gestante che ad una madre di tiglio in tenera
eta'.  Solo  per  rammentare  gli  ultimi episodi criminosi, commessi
abusando  del  differimento  della misura di sicurezza concessole, ha
tenuto  un  atteggiamento  potenzialmente  idoneo  a compromettere la
salute   propria  e  deI  nascituro,  oltre  che  l'evoluzione  della
gravidanza, dandosi ad acrobatiche e pericolose azioni criminose, non
esitando  a calarsi da una finestra sita al secondo piano e a saltare
sul tetto sottostante.
   Come  emerge  dagli  studi sociologici in materia, spesso le donne
nomadi  sono  indotte  o  addirittura  costrette  al delitto dai loro
uomini,   e   per  dedicarsi  a  tale  attivita'  lasciano  i  minori
nell'accampamento affidandoli a parenti o a terzi, salvo portarli con
se'  in  alcune delle imprese criminose, al fine di ottenere, in caso
di arresto, un benevolo trattamento cautelare.
   Come   ricordato   dalla  Corte  costituzionale  nella  menzionata
sentenza  n. 438  del  1995,  «il  rinvio  dell'esecuzione della pena
detentiva  si e' sempre saldamente attestato intorno a un presupposto
unificante,  vale  a  dire  le  particolari  condizioni di salute del
condannato   e   la   ritenuta   inconciliabilta'  delle  stesse  con
l'altrettanto  peculiare  regime  carcerario.  Illuminanti,  a questo
proposito,  sono  alcuni  passaggi  della  Relazione ministeriale sul
progetto  del  codice  penale  ove,  appunto, si giustifica il rinvio
obbligatorio  dell'esecuzione della pena nel caso della donna incinta
che  abbia  partorito da meno di sei mesi, proprio con le difficolta'
di  assistenza  negli  stabilimenti  carcerari  che quelle condizioni
personali necessariamente richiedono».
   La  concreta  realta'  delle  istituzioni carcerarie e', tuttavia,
profondamente  mutata  rispetto  all'epoca  di  entrata in vigore del
codice   penale,  sulla  scia  dei  principi  affermati  dalla  Carta
costituzionale  in  materia  di  esecuzione penale, e dell'incessante
processo di riforma dell'ordinamento penitenziario che ne e' seguito.
L'assistenza  alla  detenuta  in  stato di gestazione non rappresenta
piu', generalmente, un problema nella realta' degli istituti di pena,
tenuto  anche  conto della possibilita' di ricorrere al trasferimento
esterno  ex  art.  11 c.p., e inoltre la carcerazione puo' comportare
rischi  per la gestazione di gran lunga inferiori rispetto allo stato
di  liberta'  nei  casi  in cui, come in quello in esame, lo stato di
liberta'  non  si  accompagni  ad  uno  stile di vita, anche sotto il
profilo  igienico-sanitario,  oltre  che  delle abitudini quotidiane,
adeguato  alla  particolare  situazione.  A  cio' si aggiunga che nel
concedere  il beneficio del differimento il tribunale di sorveglianza
non   puo'   imporre  alcuna  prescrizione  finalizzata  alla  tutela
dell'interesse  del  nascituro,  posto  che  secondo  la  consolidata
giurisprudenza  l'imposizione  di obblighi accessori e' incompatibile
con  la  concessione  del  beneficio  (Cass.  sez. I, 2 dicembre 1992
n. 4591), e pertanto non puo' essere imposto alla B. n. il divieto di
porre  in  essere  azioni  acrobatiche e pericolose per l'incolumita'
fisica.
   In  alcuni  casi,  pertanto,  non  puo' a priori escludersi che in
alcuni istituti di pena siano assicurati alla gestante e al nascituro
un'assistenza   piu'  adeguata  da  punto  di  vista  sanitario,  non
assicurata   in  alcuni  gruppi  familiari  inseriti  in  culture  di
microcriminalita' prive di riferimenti abitativi stabili.
   E'  proprio  la  rigida  presunzione  stabilita dal legislatore ad
apparire  priva  di  adeguato  fondamento e tale da rendere dubbia la
razionalita'  di  una  norma  dalla cui concreta applicazione possono
generarsi  ingiustificate  compromissioni di altri interessi tutelati
dall'ordinamento,  nel  caso  di  specie  di un certo rilievo, tenuto
conto  della  commissione di delitti anche con violenza alla persona.
Le ipotesi del differimento obbligatorio per la donna incinta o madre
di  figlio  di  eta'  inferiore  ad anni uno sono le sole, tra quelle
previste  dall'art.  146  c.p.,  a  non  ammettere alcuna verifica in
concreto sulla sussistenza di una effettiva situazione di pregiudizio
agli  interessi  che  la  norma  tende  a  tutelare o di contrarieta'
dell'esecuzione  penale  al  senso  di  umanita'  (verifica prevista,
invece, nelle ipotesi dei condannati affetti da AIDS o altra malattia
particolarmente   grave),   ed   inoltre   che   hanno  una  difforme
regolamentazione   in   sede   cautelare  e  in  sede  esecutiva.  La
possibilita' di verificare la sussistenza di una effettiva situazione
di pregiudizio allo stato di gestazione conseguente alla carcerazione
o  di  contrarieta'  dell'esecuzione  penale  al  senso  di  umanita'
(verifica  che  andrebbe  effettuata  caso per caso in relazione alle
strutture  disponibili,  alla  personalita'  della  condannata e alle
condizioni di vita della famiglia) consentirebbe, invece, un'adeguata
composizione  degli  interessi  confliggenti  e la salvaguardia della
ratio  dell'istituto  del  differimento,  le  cui  finalita', invece,
vengono in casi come quello in esame completamente snaturate.
   La  disposizione  impugnata  deve ritenersi non conforme al canone
della ragionevolezza nella parte in cui non consente, quando vi siano
significative   esigenze   di   sicurezza  sociale  e  la  detenzione
domiciliare  non sia adeguata a prevenire il pericolo di recidiva, di
accertare  in  concreto  se  ai  fini  dell'esecuzione  della pena la
carcerazione  comporti  un  effettivo  pregiudizio,  tale  da rendere
contraria   al  senso  di  umanita'  l'esecuzione  penale,  e  se  la
scarcerazione  «secca»  sia  effettivamente  idonea  ad assicurare la
tutela  degli  interessi ai quali il beneficio e' preordinato. Da qui
il  contrasto della norma denunciata con l'art. 3 della Costituzione,
ravvisabile  non  solo  sotto  il profilo della violazione del canone
della  ragionevolezza,  per le ragioni evidenziate, ma anche sotto il
profilo  della  razionale  uniformita'  del trattamento normativo, in
quanto  in  presenza delle medesime condizioni (stato di gestazione e
presenza  di  un figlio in tenera eta') e' consentito solo nella fase
cautelare  disporre la carcerazione, sia pure ove sussistano esigenze
di  eccezionale  rilevanza.  Non e' senza rilievo il fatto che l'art.
275 c.p.p. sia stato rimaneggiato con la legge 26 marzo 2001, n. 128,
una  legge  dunque  posteriore  alla legge 8 marzo 2001, n. 40 che ha
modificato  l'art.  146  c.p. estendendo il differimento obbligatorio
fino  ad  un  anno  di  vita del bambino. Sino a prova del contrario,
pertanto, l'interprete e' portato a ritenere che il legislatore abbia
consapevolmente    tenuto   distinta   la   disciplina   del   rinvio
dell'esecuzione   della   pena   rispetto  a  quella  della  custodia
cautelare.
   E'  pacifico che le misure cautelari si distinguano dalla pena per
natura  e  finalita', si' da non apparire irragionevole, in astratto,
una  difforme  disciplina  (v.  in  tal  senso  Corte  cost. sentenza
n. 25/1979);  come affermato dalla giurisprudenza di legittimita' (v.
sentenza  Cass.  n. 43014  del  2001) scopo della misura cautelare e'
quello  di  assicurare  una o piu' delle esigenze di cui alle lettere
a),  b) e c) del primo comma dell'art. 274 c.p. Si tratta, dunque, di
una  finalita'  da un lato contingente in quanto legata all'evolversi
di una fase procedimentale, dall'altro strumentale, in quanto posta a
garanzia delle indagini e del processo, oltre che della collettivita'
quando sussista il pericolo della commissione di altri reati. In tale
ottica,  il  legislatore  si e' posto il problema di un bilanciamento
tra  le esigenze di cautela e le esigenze di tutela della salute o di
altre situazioni personali dell'indagato, contemperando tali esigenze
con la previsione dei limiti alla custodia cautelare in carcere nelle
ipotesi previste dall'art. 275, comma 4, c.p.p.
   Nel  caso  di  specie,  pero'  (come  in  altri casi analoghi), le
esigenze  cautelari  di  eccezionale  rilevanza  ritenute di volta in
volta  sussistenti  a  carico  della B. n. nelle menzionate ordinanze
custodiali   sono   rappresentate  dalle  esigenze  di  tutela  della
collettivita',  previste  dall'art.  274,  comma  1,  lett c); non si
tratta,  quindi,  di  esigenze  poste a garanzia delle indagini e del
processo,  tipiche  solo  delle  misure  cautelari  e  non della pena
(esigenze  che  potrebbero  giustificare una difforme disciplina), ma
delle esigenze di tutela della collettivita' alla cui salvaguardia e'
finalizzata  anche la pena, la cui composita funzione comprende anche
le  esigenze  di  prevenzione  e  di  tutela  della collettivita'. In
presenza  delle  medesime  esigenze  di  sicurezza  sociale  e  delle
medesime situazioni personali, l'ordinamento consente solo al giudice
della  cautela  la salvaguardia delle prime, ove siano di eccezionale
rilevanza,  mentre  dopo il passaggio in giudicato le stesse esigenze
sono  postergate  e  nessuna  verifica  e'  consentita  al giudice di
sorveglianza  in  merito  all'eccezionalita'  delle stesse esigenze e
all'esistenza  effettiva  di pregiudizio per la madre e il nascituro.
Come  emerge  dall'esposizione dei fatti, la condannata e' rimasta in
carcere   sottoposta  a  custodia  cautelare  fino  al  passaggio  in
giudicato  della  condanna,  e  fino  a tale momento l'ordinamento ha
consentito al Giudice della cautela la salvaguardia delle esigenze di
sicurezza  sociale, mentre dopo l'irrevocabilita' della sentenza tali
esigenze  non  possono  avere  alcuna rilevanza, se non ai fini della
concessione  della  detenzione  domiciliare,  nel  caso di specie non
concedibile per la certa inaffidabilita' della condannata, gia' evasa
dagli arresti domiciliari e sottrattasi all'esecuzione della liberta'
vigilata,  oltre  che  per l'intenzionale mancata comunicazione di un
luogo   in   cui   eseguire  la  misura;  in  caso  di  ulteriore  (e
irragionevole)   concessione   della   detenzione   domiciliare,   ne
conseguirebbe    verosimilmente   una   inarrestabile   sequenza   di
sottrazioni alla detenzione domiciliare e di ripristino della stessa,
che  da un lato svilirebbe l'essenza stessa della misura e dall'altra
lascerebbe di fatto integralmente sguarnite le esigenze che la misura
e'  invece  destinata  a salvaguardare (in tal senso, con riferimento
agli  arresti domiciliari per i malati di AIDS, v. Corte cost. n. 439
del  1995).  Appare  irragionevole  che  in  presenza  delle medesime
condizioni  e  delle  medesime  esigenze da salvaguardare il difforme
trattamento  previsto  dalla  legge  sia  determinato da un dato solo
formale   quale   il  passaggio  in  giudicato  della  sentenza  (che
determinata  la  trasformazione  giuridica  della  condanna in titolo
esecutivo),  indipendente  dal comportamento del reo. Con riferimento
ad  altra  ipotesi  di  differimento  obbligatorio  (per i condannati
affetti da AIDS) la Corte costituzionale ha, invece, reso omogenea la
disciplina  in  sede  cautelare ed esecutiva con le sentenze n. 438 e
439 del 1995.
   Ancora,   sotto   il   profilo  della  razionale  uniformita'  del
trattamento   normativo,   va   rilevato   che   in   altri   settori
l'ordinamento,  nel  prevedere  particolari  forme  di  tutela  della
maternita' e del minore nella fase immediatamente successiva al parto
non oblitera la salvaguardia delle esigenze di sicurezza sociale:
    basti  pensare  al  divieto di espulsione della donna in stato di
gravidanza  o nei sei mesi successivi al parto previsto dall'art. 19,
d.lgs.   n. 286/1998   (divieto   esteso  all'espulsione  del  marito
convivente  della  donna  a  seguito della sentenza della Corte cost.
n. 376  del  27  luglio  2000), che trova un limite nelle esigenze di
tutela e sicurezza dello Stato.
   Deve, infine, rilevarsi che la particolare normativa di favore per
le  donne in stato di gravidanza e puerperio puo' indurre, come nella
pratica  gia'  avviene,  ad  una  strumentalizzazione a tini illeciti
della maternita' e del rapporto di filiazione, con conseguente scelta
della  procreazione al solo fine di ottenere l'impunita' di fatto dai
delitti   commessi;   ne  consegue  lo  snaturamento  della  funzione
dell'istituto, con lesione dell'art. 30 della Costituzione.
   Per  le  esposte ragioni, ritiene questo tribunale di sorveglianza
che  si imponga la sospensione del procedimento e la rimessione degli
atti   alla   Corte   costituzionale,   risultando  rilevante  e  non
manifestamente  infondata la questione di costituzionalita' dell'art.
146,  comma 1, n. 1), c.p., nella parte in cui in cui non consente al
tribunale di sorveglianza di accertare in concreto se la tutela delle
esigenze   della   madre   e  del  nascituro  sia  incompatibile  con
l'esecuzione della pena in carcere, e, conseguentemente, di negare il
differimento  dell'esecuzione  della pena quando il beneficio non sia
ritenuto  adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, terzo comma,
della  Costituzione  e  la  detenzione  domiciliare  non sia idonea a
prevenire il pericolo di recidiva.
                              P. Q. M.
   Visti  ed  applicati  gli  articoli 1 legge n. 1/1948, 23 legge 11
marzo 1953 n. 87, 146 c.p.,678, 684 c.p.p. Dichiara rilevante ai fini
del  giudizio  e non manifestamente infondata, nei termini esposti in
motivazione,  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art.
146,  primo  comma,  n. 1), c.p., in riferimento agli articoli 3, 27,
terzo  comma, e 30 della Costituzione, nella parte in cui non prevede
che  il  Giudice  possa  negare il differimento quando lo ritenga non
adeguato  alle  finalita'  previste  dall'art. 27, terzo comma, della
Costituzione  e  sussista  il  pericolo  di  eccezionale rilevanza di
commissione  di  altri  delitti,  la  detenzione  domiciliare non sia
idonea  a  prevenire  il pericolo di recidiva, e inoltre l'espiazione
della  pena possa avvenire senza pregiudizio per le esigenze tutelate
dalla norma.
   Sospende  il procedimento e dispone l'immediata trasmissione degli
atti   alla  Corte  costituzionale,  riservando  la  definizione  del
procedimento all'esito della decisione della Corte adita.
   Ordina  che,  a  cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia
comunicata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
   Manda per le notifiche e comunicazioni prescritte alla condannata,
al  difensore,  al  Procuratore  generale  della Repubblica presso la
Corte d'appello di Venezia.
     Cosi' deciso in Venezia, in data 15 luglio 2008.
                      Il Presidente: Tamburino
                                           Il giudice estensore: Vono