N. 404 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 luglio - 11 agosto 2008
Ordinanza dell'11 agosto 2008 emessa dal Tribunale di sorveglianza di Venezia nel procedimento relativo a n. C. Esecuzione penale - Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena - Obbligo del differimento in caso di esecuzione della pena nei confronti di donna incinta - Mancata previsione della possibilita' per il giudice di negare il differimento quando lo ritenga non adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, comma terzo, Cost., sussista il pericolo di eccezionale rilevanza di commissione di altri delitti e la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena - Lesione dei principi a base della tutela della maternita' e del minore. - Codice penale, art. 146, primo comma, n. 1. - Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo, e 30.(GU n.52 del 17-12-2008 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Sentiti il Procuratore generale e la difesa, che hanno concluso come da verbale, ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento nei confronti di n. C. nata a Brescia il 31 luglio 1989, alias J.M.A. nata in Croazia il 24 ottobre 1992, alias N.C. nata in Romania o in Croazia o in Roma o in Bosnia il 31 luglio 1989, o il 30 luglio 1989 o il 1 gennaio 1989, e altri alias, codice univoco identificativo 01XM4N6 , elettivamente domiciliata al momento della scarcerazione in Roma, via Prenestina n. 600, di fatto irreperibile, assistita di fiducia dall'avv. Luciano Bason del Foro di Roma, tendente alla concessione del beneficio del differimento dell'esecuzione della pena in relazione alla pena inflitta con sentenza del Tribunale di Venezia, composizione monocratica in data 4 aprile 2008. M o t i v a z i o n e La sedicente N.C. veniva arrestata in Mestre (Venezia) il 3 aprile 2008 nella flagranza del reato di tentato furto aggravato in abitazione, e il giorno successivo patteggiava la pena di anni due di reclusione, applicata con sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. dal Tribunale di Venezia. La giovane nomade rimaneva, pero' in vinculis in quanto sottoposta a custodia cautelare in carcere con ordinanza emessa in pari data (4 aprile 2008) ai sensi dell'art. 275, comma 4, c.p.p. dal Tribunale di Venezia, che reputava sussistenti le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza pur risultando l'imputata in stato di gravidanza e inoltre madre di infante di eta' inferiore ad anni uno. Non appena passata in giudicato la condanna, il difensore di fiducia presentava istanza di differimento provvisorio davanti al Magistrato di sorveglianza di Venezia (essendo a quella data la n. ristretta presso la Casa reclusione donne di Venezia), adducendo a sostegno lo stato di gravidanza dell'interessata. Acquisita conferma dal sanitario dell'istituto della dedotta situazione soggettiva (la detenuta risultava al terzo mese di gestazione), il Magistrato di sorveglianza di Venezia richiedeva alla condannata l'indicazione di un domicilio per l'esecuzione della detenzione domiciliare, reputando piu' adeguata tale misura al contenimento della pericolosita' sociale emergente dai plurimi precedenti dattiloscopici e giudiziari. La detenuta indicava genericamente, quale domicilio, l'abitazione del marito asseritamente sita in Roma, via Prenestina n. 600, luogo la cui esistenza non veniva confermata dalle forze dell'ordine competenti (v. nota informativa Commissariato P.S. Prenestino di Roma datata 14 giugno 2008). Il Magistrato di sorveglianza disponeva, pertanto, con decreto interinale in data 16 giugno 2008 il differimento provvisorio della pena ex art. 684, comma 2 c.p.p., eseguito in pari data. Al momento della scarcerazione, la condannata eleggeva domicilio nello stesso luogo gia' risultato inesistente, e pertanto l'avviso di fissazione dell'odierna udienza le veniva ritualmente notificato presso il difensore di fiducia ex art. 677, comma 2-bis, c.p.p. All'odierna udienza, alla quale la condannata non e' comparsa, il Procuratore generale ha concluso chiedendo la sospensione del procedimento in attesa della decisione della Corte costituzionale sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 146, comma 1, n. 2) c.p. sollevata d'ufficio da questo tribunale di sorveglianza con ordinanza n. 715/08 datata 13 maggio 2008, mentre il difensore, nominato ex art. 97, comma 4, c.p.p. (non essendo comparso il difensore di fiducia nonostante la regolarita' delle notifiche e degli avvisi), ha richiesto la concessione del differimento della pena, rimettendosi sulla sospensione del procedimento. Nell'odierno procedimento deve essere valutata l'istanza di differimento dell'esecuzione ex art. 146 c.p. in ordine alla pena inflitta con sentenza del Tribunale di Venezia in composizione monocratica in data 4 aprile 2008, il cui residuo alla data odierna e' di anni uno, mesi nove e giorni sedici di reclusione. Dagli atti acquisiti risulta confermata la sussistenza dei presupposti del differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 146, comma 1, n. 1), c.p., risultando la condannata in stato di gravidanza . Il breve tempo trascorso dalla scarcerazione e l'andamento regolare della gestazione attestato nella relazione del sanitario dell'istituto acquisita agli atti fanno ritenere perdurante la sussistenza della condizione soggettiva legittimante il differimento obbligatorio della pena. L'esame delle vicende cautelari ed esecutive verificatesi solo negli ultimi mesi (tralasciando la considerevole storia criminale dell'interessata, appena diciottenne) impone alcune considerazioni. La n. (le cui esatte generalita' non sono note) qualche mese prima del delitto commesso in Mestre veniva arrestata in Roma in data 25 ottobre 2007 nella flagranza dei delitti di rapina impropria aggravata e lesioni personali (con la recidiva specifica reiterata infraquinquennale) e sottoposta a custodia cautelare in carcere ai sensi dell'art. 275, comma 4, c.p.p. dal Tribunale di Roma per esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, pur risultando madre di infante di eta' inferiore ad anni uno. Con sentenza del 13 novembre 2007 del Tribunale di Roma emessa ex art. 444 c.p.p. veniva applicata la pena di anni due e mesi due di reclusione, ma l'imputata rimaneva in vinculis; non appena passata in giudicato la condanna, la n. richiedeva il differimento dell'esecuzione al Magistrato di sorveglianza di Roma, il quale, accertato che la condannata risultava madre di un infante nato il 14 maggio 2007, concedeva con decreto interinale datato 13 dicembre 2007 la detenzione domiciliare provvisoria quale regime sostitutivo dell'esecuzione della pena, rilevando che la particolare gravita' del reato, commesso con violenza contro la persona appena cinque mesi dopo il parto, imponeva «un regime penitenziario rigoroso e contenitivo della pericolosita' sociale dimostrata in maniera persistente e indifferente alla maternita'». In data 2 gennaio 2008, tuttavia, la condannata si allontanava dal luogo prescritto (un campo nomadi di Roma) e il Magistrato di sorveglianza di Roma disponeva con decreto datato 8 gennaio 2008, ratificato dal Tribunale di sorveglianza di Roma con ordinanza emessa in data 28 febbraio 2008, la sospensione interinale della detenzione domiciliare, non eseguita per l'irreperibilita' della condannata. In data 4 marzo 2008 la n. veniva nuovamente arrestata nella flagranza del delitto di tentato furto aggravato in abitazione in Scafati, e veniva sottoposta a custodia cautelare in carcere con ordinanza del Tribunale di Nocera Inferiore datata 5 marzo 2008, pur avendo dedotto di essere nuovamente incinta e di essere madre di un infante di eta' inferiore ad anni uno; riteneva, infatti, il giudice sussistenti le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza ex art. 275, comma 4, c.p.p., tenuto conto dei numerosissimi precedenti specifici per reati commessi anche in eta' minore in diverse localita' del territorio nazionale, denotanti «una proclivita' e un'abitualita' non comune a commettere reati di furto in privare dimore» (v. ordinanza del 5 marzo 2008 del Tribunale di Nocera Inferiore). Con decreto interinale emesso in data 21 marzo 2008, tuttavia, il Magistrato di sorveglianza di Salerno concedeva il differimento dell'esecuzione in ordine alla pena di cui alla menzionata sentenza del Tribunale di Roma datata 13 novembre 2007 (nel frattempo nuovamente posta in esecuzione), e in pari data il Tribunale di Nocera Inferiore disponeva la sostituzione della custodia cautelare in carcere con il divieto di dimora in Roma in ordine al tentato furto in Scalati. Con ordinanza datata 25 giugno 2008 il Tribunale di sorveglianza di Salerno ratificava il decreto interinale del Magistrato di sorveglianza di Salerno e concedeva il differimento fino al 31 ottobre 2008. Qualche giorno dopo la scarcerazione, la n. veniva arrestata in Mestre nella flagranza del menzionato tentativo di furto, commesso in concorso con una minorenne; per tale episodio veniva inflitta la pena della cui esecuzione oggi si discute, ed applicata la custodia cautelare in carcere, per «il notevolissimo pericolo di recidiva»desumibile dalla storia delinquenziale della stessa, e la ritenuta non concedibilita' degli arresti domiciliari per l'impossibilita' di formulare una prognosi positiva in ordine al rispetto delle prescrizioni (v. ordinanza di custodia cautelare datata 4 aprile 2008 del Tribunale di Venezia in composizione monocratica, in atti). Deve, altresi', rilevarsi che nelle note informative trasmesse dalle forze dell'ordine a questo Tribunale di sorveglianza la n. e' descritta come una nomade di spiccata pericolosita' sociale, che ha fatto del crimine (in particolare dei furti in private dimore) l' unica fonte di sostentamento ed e' priva di fissa dimora (v. nota Questura di Venezia Commissariato P.S. di Mestre datata 5 giugno 2008). Il certificato del casellario, che si compone di ben sei pagine nonostante la giovane eta', evidenzia sedici condanne per plurimi furti in abitazione consumati e tentati, possesso ingiustificato di strumenti atti a forzare serrature, rapina e lesioni personali. Dai certificati acquisiti e dal nutrito elenco di precedenti dattiloscopici si evince, inoltre, che la n. ha commesso delitti in tutto il territorio nazionale, nell'ambito del quale si sposta frequentemente da un capo all'altro della penisola, e' stata segnalata o arrestata ben 126 volte e ha fornito numerosissime generalita' diverse (v. elenco trasmesso dal Commissariato P.S. di Mestre e relazione datata 5 giugno 2008); a fronte dei numerosi precedenti e segnalazioni, i periodi di carcerazione che risultano dall'archivio storico dell'amministrazione penitenziaria sono esigui (v. cartelle giuridiche storiche in atti), e risultano seguiti a breve dalla scarcerazione dell'indagata con l'imposizione di misure cautelari non detentive o collocamento in comunita' minorile, oppure dal differimento della pena ex art. 146 c.p. o della detenzione domiciliare in luogo del differimento (v. ordinanze di differimento del Tribunale per i minorenni di Torino in data 22 luglio 2005, del Magistrato di sorveglianza di Salerno in data 21 marzo 2008, del Magistrato di sorveglianza di Venezia in data 16 giugno 2008 e ordinanza di applicazione della detenzione domiciliare provvisoria del Magistrato di sorveglianza di Roma datata 13 dicembre 2007). Esaminati gli atti acquisiti, questo Collegio non puo' che condividere il giudizio di spiccatissima pericolosita' sociale gia' formulato nei confronti dell'odierna istante da altre autorita' giudiziarie, il cui grado attuale esigerebbe, al fine di un suo adeguato contenimento, l'applicazione di una misura detentiva; parimenti, reputa certo, piu' che verosimile, l'abuso del richiesto differimento, ove concesso, al fine di commettere altri delitti contro il patrimonio, senza alcun riguardo per le esigenze alla cui tutela il beneficio e' preordinato, posto che gia' in passato la nascita dei primi due figli (avvenuta il 28 dicembre 2004 e il 14 maggio 2007) non ha dissuaso la donna dal commettere delitti, cosi' come nessuna efficacia dissuasiva ha avuto la recente gravidanza. Questo Tribunale di sorveglianza, tuttavia, non puo' negare sic et simpliciter il differimento della pena (con conseguente esecuzione penale in carcere), potendo al piu' concedere, quale misura sostitutiva del richiesto differimento, la detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter o.p., misura gia' di recente concessa dal Magistrato di sorveglianza di Roma e rivelatasi inadeguata, essendo la n. evasa il 2 gennaio 2008 dal luogo prescritto, commettendo altri tre furti in epoca successiva (uno in Scalati e due in Mestre, v. precedenti dattiloscopici). Non appare superfluo rammentare l'orientamento della giurisprudenza della dottrina e della giurisprudenza in ordine ai rapporti tra il differimento e la detenzione domiciliare. Nella vigenza della normativa preesistente alla legge n. 165/1998, parte della dottrina, facendo riferimento al dato testuale, che qualifica come obbligatorio il rinvio, lo riteneva prevalente rispetto alla detenzione domiciliare. Di diverso avviso coloro che si soffermavano sugli indubbi vantaggi che la detenzione domiciliare comporta per il condannato, tra i quali il fatto che il tempo trascorso in esecuzione della misura si consideri pena espiata. Oggi, a seguito della novella di cui alla legge n. 165/1998, la giurisprudenza e' orientata ad affermare che il legislatore ha modificato profondamente l'istituto della detenzione domiciliare, facendolo divenire, con l'introduzione del comma 1-ter (oltre che 1-bis), una delle misure alternative piu' duttili e piu' idonee a soddisfare le contrapposte esigenze del rispetto dei diritti della persona e di sicurezza della societa' (v. sentenza Cass., sez. I , n. 20480 del 2001). Tale misura, si afferma, «configura la polifunzionalita' del regime detentivo, mirato, per un verso, all'esigenza di effettivita' dell'espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi e, per altro verso, ad una sua esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanita'» (v. sentenza Cass., sez. I , n. 6952 del 2000). Riguardo ai criteri di scelta tra i due benefici, la giurisprudenza della Corte di legittimita' ha precisato che il Tribunale di sorveglianza deve fare una duplice verifica, dovendo prima verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per il differimento e poi disporre, eventualmente, la detenzione domiciliare in alternativa alla sospensione dell'esecuzione della pena quando ricorrano esigenze di tutela collettiva (sempre da tenere presenti in tema di esecuzione della pena) che rendano piu' adeguata l'esecuzione della pena in forma alternativa piuttosto che la sospensione dell'esecuzione (Cass., sez. I, sentenza n. 656 del 2000); piu' di recente, la Corte di legittimita' ha anche rilevato che la detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalita' il reinserimento sociale del condannato, mentre il differimento della pena previsto dall'art. 146 e 147 c.p., anteriore all'ordinamento penitenziario vigente, ha finalita' diverse dall'individuazione del trattamento piu' opportuno nei confronti del condannato, mirando solo ad evitare che l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanita'. Alla luce di tali principi, a fronte di una richiesta il giudice deve valutare se le condizioni del condannato siano compatibili con le finalita' rieducative della pena e con le possibilita' concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all'esito di tale valutazione, l'espiazione della pena appaia contraria al senso di umanita' per le eccessive sofferenze da essa derivanti ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza dell'impossibilita' di proiettare in futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l'istituto del differimento (sentenza Cass., sez. I, n. 45758 del 14 novembre 2007, dep. il 6 dicembre 2007). Facendo applicazione di tali principi, non puo' non rilevarsi che le condizioni di vita individuali e sociali della condannata, i plurimi precedenti giudiziari e di polizia, e le conseguenti esigenze di sicurezza sociale, nonche' il reiterato abuso dei benefici da ultimo concessi in via interinale dal Magistrato di sorveglianza di Roma in data 13 novembre 2007 e del Magistrato di sorveglianza di Salerno in data 21 marzo 2008 per perseverare nel crimine, indurrebbero a ritenere piu' adeguata al contenimento della pericolosita' sociale l'esecuzione della pena, quantomeno in forma alternativa. Nel caso di specie, pero', difetta il requisito minimo necessario, ovvero un luogo idoneo all'esecuzione della misura. Trattasi, infatti, di condannata senza fissa dimora, che si sposta frequentemente da un capo all'altro della penisola, che non risulta aver soggiornato per un tempo apprezzabile in un determinato luogo, e che , inoltre, esplicitamente invitata dal Magistrato di sorveglianza di Venezia ad indicare un luogo idoneo all'esecuzione della detenzione domiciliare, ha volutamente dato indicazioni vaghe e risultate non veritiere; neppure davanti a questo Tribunale di sorveglianza l'interessata e il suo difensore di fiducia hanno indicato un qualsivoglia riferimento idoneo all'applicazione della detenzione domiciliare. Deve anche rilevarsi che non appare in alcun modo formulabile una favorevole prognosi di corretta gestione della misura, che e' misura a contenuto prescrittivo, e postula, per realizzare la funzione che le e' propria, la volonta' adesiva di chi vi e' sottoposto (in tal senso riguardo agli arresti domiciliari v. Corte cost., sentenza n. 439/1995). Il grado di inaffidabilita' piu' volte dimostrato dalla condannata (che anche di recente, come innanzi esposto, e' evasa dalla detenzione domiciliare concessale in ragione della particolare situazione familiare dal Magistrato di sorveglianza di Roma e in passato si e' allontanata dalle comunita' per minori in cui era stata collocata), unitamente all'assoluta indifferenza alle norme penali e del vivere sociale evidenziata, non consentono in alcun modo di ritenere che la n. Si atterrebbe alle prescrizioni minime tipiche della detenzione domiciliare. Pur in assenza di situazioni personali che precludano l'efficacia rieducativa della pena o che rendano contraria al senso di umanita' l'esecuzione penale in forma alternativa, questo Tribunale di sorveglianza non puo', pertanto, che applicare il richiesto beneficio del differimento. Una diversa interpretazione non appare ragionevolmente sostenibile, senza inammissibili forzature del dato normativo; il tenore testuale dell'art. 146, comma 1, n. 1), c.p., nella parte in cui dispone «l'esecuzione e' differita» anziche' «puo' essere differita», non lascia dubbi interpretativi. Puo', al piu', rilevarsi che con la previsione contenuta nel comma 1-ter dell'art. 47-ter c.p., che introduce una disciplina differenziata rispetto a quella generale, anche in relazione ai limiti edittali, il legislatore sembra voler richiamare l'attenzione sulla necessita' di contemperare le esigenze di tutela delle condizioni del condannato con quelle di tutela della collettivita', rimettendo al Tribunale di sorveglianza la scelta dello strumento piu' idoneo a perseguire tale contemperamento, si' da far ipotizzare che l'istituto del differimento obbligatorio abbia perso tale carattere, risultando rimessa la sua adozione alla valutazione discrezionale del Tribunale di sorveglianza. Tuttavia tale argomento, a fronte del dato testuale inequivocabile e dell'assenza di una normativa di raccordo tra la previsione del codice penale e la normativa penitenziaria, appare insufficiente a reputare consentito il diniego «secco» del differimento, nell'ipotesi disciplinata dall'art. 146, comma 1, n. 1) c.p. Ritiene, tuttavia, questo Collegio che la disposizione, cosi' formulata e intesa, attribuisca al sistema una connotazione criticabile sotto il profilo della razionalita' e costituzionalita', e che, pertanto, debba essere sollevata d'ufficio questione di legittimita' costituzionale della norma, per contrasto con gli artt. 3, 27, terzo comma, e 30 Cost., ravvisandosene la rilevanza e la non manifesta infondatezza. Lo scrutinio di costituzionalita' e' gia' stato richiesto da questo tribunale di sorveglianza con ordinanza n. 715/08 datata 13 maggio 2008 in relazione alla disposizione di cui comma 1, n. 2), dell'art. 146 c.p., mentre nel caso di specie i dubbi di legittimita' costituzionale riguardano la previsione del comma 1, n. 1 ), della stessa norma, applicabile nel caso in esame. La questione e' rilevante ai fini della pronuncia sull'odierna istanza, essendo ineliminabile l'applicazione della norma nell'iter logico-giuridico che questo Tribunale deve percorrere per la decisione conclusiva dell'odierno procedimento, in quanto il provvedimento interinale del Magistrato di sorveglianza di Venezia e' destinato a produrre effetti fino alla decisione di questo organo collegiale, al quale compete la decisione in via definitiva in ordine al differimento della pena, istituto del quale risultano sussistenti i presupposti (in tal senso, per la rilevanza di analoga questione nonostante l'intervenuta scarcerazione provvisoria da parte del Magistrato di sorveglianza, v. Corte cost. sentenza n. 70 del 1994). In punto di non manifesta infondatezza, va premesso che e' indiscutibile la scelta del legislatore di tutelare anche nella fase dell'esecuzione penale le particolari esigenze delle donne in gravidanza o madri di figli in tenera eta'; sicuramente e fortemente condiviso da questo Collegio e' il principio secondo il quale tendenzialmente in un paese democratico la detenzione delle donne in gravidanza e delle madri che accudiscono figli in tenera eta' dovrebbe essere prevista solo «in ultima istanza» (come raccomandato agli Stati membri di recente nella risoluzione del Parlamento europeo del 13 marzo 2008 sulla particolare situazione delle donne detenute e l'impatto della carcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare, al punto 14). Non sfugge , inoltre, al Collegio, come ricordato dalla Corte Costituzionale, che «l'alternativa tra l'immediata esecuzione della pena o la sua temporanea inesigibilita' a causa di situazioni soggettive che il legislatore ritiene di qualificare come incompatibili con la carcerazione, non comporta soluzioni univoche sul piano costituzionale, dovendosi necessariamente ammettere spazi di valutazione normativa che ben possono contemperare l'obbligatorieta' della pena con le specifiche situazioni di chi vi deve essere sottoposto». Conferma l'assenza di soluzioni «a rime obbligate» la circostanza che nel progetto di riforma al codice penale predisposto dalla Commissione nominata con d.m. 23 novembre 2001 il differimento dell'esecuzione della pena per gravidanza e puerperio non sia previsto, mentre e' prevista la concessione (facoltativa) della conversione della pena detentiva con altra misura in caso di condannata incinta o madre di prole di eta' inferiore ad anni dieci (v. art. 81 n. 6 del progetto ); il disegno di legge delega predisposto dall'ultima Commissione di riforma del codice penale istituita con d.m. 31 luglio 2006, invece, nel prevedere nuovamente l'istituto del differimento, non lo qualifica come obbligatorio. Il legislatore ordinario, pero', nell'esercizio del suo potere discrezionale di dettare norme che incidono su interessi costituzionalmente rilevanti tra loro in rapporto di concorrenza o di confliggenza, incontra limiti di ordine costituzionale. Con riferimento alla normativa penitenziaria, la Corte costituzionale ha precisato che «eguaglianza di fronte alla pena significa proporzione della medesima alle personali responsabilita' ed alle esigenze di risposta che ne conseguono (sentenze n. 349 del 1993 e n. 299 del 1992), e che per l'attuazione di tali principi, ed in funzione della risocializzazione del reo, e' necessario assicurare progressivita' trattamentale e flessibilita' della pena (sentenze n. 445 del 1997 e 306 del 1993) e, conseguentemente, un potere discrezionale alla magistratura di sorveglianza nella concessione dei benefici penitenziari» (sentenza n. 504 del 1995 e n. 255 del 2006). Con sentenza n. 306 del 1993, ancora, la Corte ha affermato il principio secondo cui, nell'ambito delle finalita' che la Costituzione assegna alla pena (quella di prevenzione generale e di difesa sociale, con i connessi caratteri di retributivita' e afflittivita', e quella di prevenzione speciale e di rieducazione, che tendenzialmente comportano una certa flessibilita' della pena in funzione dell'obiettivo di risocializzazione del reo), il legislatore ordinario puo' - nei limiti della ragionevolezza - far tendenzialmente prevalere, di volta in volta, l'una o l'altra finalita', ma a patto che nessuna di esse risulti obliterata. Conformemente a tali principi, ai quali e' improntato tutto il settore dell'esecuzione penale, la concessione di ogni beneficio penitenziario deve essere preceduta, oltre che dall'accertamento della sussistenza dei requisiti di legittimita' di volta in volta prescritti dalla legge, anche da una valutazione del giudice sul raggiungimento da parte del condannato di uno stadio del percorso rieducativo adeguato al beneficio richiesto, e sulla conseguente idoneita' rieducativa di quest'ultimo, nonche' sull'idoneita' a prevenire il pericolo di recidiva. Nelle proprie decisioni, il giudice di sorveglianza deve aver riguardo ai risultati del trattamento individualizzato, o, in caso di assenza di trattamento, al comportamento tenuto in liberta', e verificare la sussistenza delle condizioni per un adeguato reinserimento sociale, al fine di garantire la proporzionalita' e l'individualizzazione del trattamento sanzionatorio, oltre che l'ineludibile finalita' rieducativa della pena. Come innanzi accennato, il differimento secondo la giurisprudenza non ha finalita' rieducativa, ma tende solo ad evitare che in presenza di determinate situazioni l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanita'; la potesta' punitiva dello Stato nella fase dell'esecuzione della pena incontra, per vero, un limite invalicabile in quelle situazioni in cui per le condizioni personali del reo l'esecuzione dalla pena contrasterebbe con il senso di umanita' o non potrebbe avere alcuna efficacia rieducativa (cfr. Cass., sentenza 1138 del 26 aprile 1994). In assenza di tali estreme condizioni, tuttavia, non appare giustificata la compromissione delle finalita' della pena previste dalla Costituzione, in quanto, pur essendo istituto anteriore all'entrata in vigore della Carta costituzionale, l'istituto del rinvio dell'esecuzione deve essere interpretato alla luce di tali principi. Pur non rientrando, inoltre, tra i benefici premiali, difettando la natura premiate, trattasi pur sempre di un beneficio che pur se previsto dal codice penale all'interno di un capo (il secondo) di' contenuto assai vario ed eterogeneo, ha una concreta incidenza nella vicenda esecutiva e penitenziaria, e' demandato alla competenza del giudice di sorveglianza e pertanto deve soggiacere, salvi i limiti anzidetti, ai principi vigenti in materia penitenziaria, in particolare al principio del finalismo rieducativo della pena. Nel caso di specie, il beneficio del differimento provvisorio si e' gia' rivelato non adeguato, sia sotto il profilo rieducativo sia sul piano della prevenzione speciale, e cosi' pure la detenzione domiciliare, apertamente violata, ma nonostante l'abuso dei benefici gia' concessi questo Tribunale di sorveglianza non puo' negare il differimento, salvo optare per una nuova concessione di una misura che con certezza non troverebbe regolare esecuzione. Risulta, cosi', violato il principio della proporzionalita' e individualizzazione del trattamento sanzionatorio, ma anche il principio della progressivita' trattamentale, in base al quale «nel caso di abuso dei benefici gia' concessi o di altre irregolarita' comportamentali deve conseguire una regressione nel percorso trattamentale» (cosi' come, all'inverso, «il maturarsi di positive esperienze non potra' non generare un ulteriore passaggio nella scala degli istituti di risocializzazione»; v. sul punto Corte cost. sent. n. 445/1997 con riferimento ai permessi premio). L'importanza della progressivita' trattamentale e' stata piu' volte ribadita dalla Corte costituzionale, che ha affermato che tale principio rappresenta il «fulcro attorno al quale si e' dipanata la propria giurisprudenza, doverosamente attenta a rimarcare l'esigenza che ciascun istituto si modelli e viva nel concreto come strumento dinamicamente volto ad assecondare la funzione rieducativa della pena»; espressione normativa della biunivoca correlazione che deve necessariamente stabilirsi tra la progressione (o regressione) nel trattamento rieducativo e la risposta conseguente sul piano dell'accesso agli istituti di risocializzazione e' la norma di cui al comma 2 dell'art. 58-quater o.p., che prevede, in caso di revoca di una misura alternativa alla detenzione, il divieto di concessione dei benefici previsti dal comma 1 della norma per un periodo di tre anni dalla data del provvedimento di revoca. Nel caso in esame, alla revoca della detenzione domiciliare provvisoria non puo', pero' conseguire il diniego di concessione del differimento, non compreso nella previsione del comma 1 dell'art. 58-quater o.p, ma puo' solo conseguire la concessione di un beneficio ben piu' ampio di quello rivelatosi inadeguato, senza che possa essere tenuta in alcuna considerazione l'impossibilita' di formulare una prognosi di futura astensione da comportamenti di tipo deviante, tenuto conto della reiterazione di condotte criminose e della dimostrata adesione a modelli di vita incentrati su attivita' illecite, in quanto la norma non consente, sulla base di tale giudizio prognostico, il rigetto del beneficio. Solo in relazione alle situazioni legittimanti un rinvio facoltativo dell'esecuzione il comma 4 dell'art. 147 c.p.( aggiunto dalla legge n. 40/2001) dispone che il provvedimento «non puo' essere adottato o se e' adottato e' revocato se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti»; anche tale disposizione conferma la diversa scelta del legislatore in ordine al differimento obbligatorio, riguardo al quale non e' consentito analogo apprezzamento del giudice. Generalmente si afferma, riguardo all'istituto del differimento, che le finalita' della pena possono essere procrastinate e rimodulate a seguito di una esecuzione differita; nel caso di specie, pero', puo' ragionevolmente affermarsi che allo scadere del termine del differimento (ovvero tra circa un anno e mezzo, periodo nel corso del quale verosimilmente la n. continuera' a perseverare nel crimine) l'esecuzione non potra' agevolmente essere ripristinata, considerata l'abilita' dimostrata dalla condannata nel rendersi irreperibile e nel fare uso di numerose false generalita'. Tenuto conto della giovane eta', e delle abitudini di vita dei nomadi, alla data dell'inizio di una nuova esecuzione la n. potrebbe essere nuovamente incinta e cosi' via per chissa' quanto tempo ancora. Conferma tale assunto la circostanza che la condannata risulta avere ottenuto il differimento dell'esecuzione in data 22 luglio 2005 con ordinanza del Tribunale per i minorenni di Torino in ordine alla pena di mesi dieci di reclusione inflitta con sentenza del G.u.p. presso il Tribunale per i minorenni di Torino in data 20 maggio 2005 e alla data odierna risulta ancora ineseguita la relativa pena (v. cartelle giuridiche in atti e casellario). Dalla documentazione acquisita, inoltre, non risultano espiate le pene inflitte con le altre numerose condanne risultanti dal casellario. Come emerge dall'esame dei dati statistici, e come questo tribunale di sorveglianza ha avuto modo di verificare direttamente nel corso dei numerosi procedimenti iscritti sulle istanze di differimento avanzate da donne nomadi ristrette nelle Casa reclusione donne di Venezia (istituto dotato di nido), la strumentalizzazione dell'istituto del differimento (che da extrema ratio in alcuni casi diventa la regola) ha di fatto creato una sorta di immunita' per le donne nomadi in eta' fertile che possono dedicarsi indisturbate alle loro attivita' illecite potendo confidare sul trattamento previsto dall'art. 146 c.p. per le donne in stato di gravidanza o madri di figli in tenera eta'; considerato che generalmente si tratta di donne che iniziano a procreare precocemente, appena adolescenti, e che per le abitudini di vita non conoscono il fenomeno del controllo delle nascite, e' di tutta evidenza l'imponenza del fenomeno e le pressanti esigenze di tutela della collettivita' che ne conseguono. Piu' che un temporaneo differimento (che potrebbe non compromettere le finalita' della pena) si finisce per avere un differimento a tempo indeterminato, per giunta lasciato alla libera scelta delle interessate, le quali non indicando intenzionalmente un domicilio, o dimostrando una sicura inaffidabilita' incompatibile con la detenzione domiciliare, o sottraendosi all'esecuzione della detenzione domiciliare gia' concessa (tutte ipotesi sussistenti nel caso in esame), possono lucrare, quale alternativa inevitabile, il differimento della pena. A cio' si aggiunga che il legislatore ha inasprito con l'introduzione dell'art. 624-bis c.p. ad opera della legge 26 marzo 2001, n. 128 il trattamento sanzionatorio dei furti in abitazione, reati diventati di grave allarme sociale poiche' comportano un serio turbamento della vita che si svolge tra le mura domestiche, oltre ad arrecare un danno patrimoniale; con tale inasprimento, il legislatore ha riconosciuto la particolare rilevanza degli interessi lesi dal delitto, e pertanto l'ordinamento non puo' poi lasciare di fatto impunite le «professioniste» dei furti in abitazione, come l'odierna istante. Puo' affermarsi, pertanto, che nel caso di specie tutte le finalita' che la Costituzione assegna alla pena risultano obliterate, con conseguente violazione del principio sancito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 306 del 1993. Totalmente svilita e' la finalita' di prevenzione generale e di difesa sociale - finalita' la cui realizzazione dipende, come e' noto, non soltanto dalla minaccia legale della sanzione penale, ma anche e soprattutto dalla sua concreta esecuzione - giacche' la rigida e prevedibile sospensione del momento esecutivo esclude che la pena irrogata possa svolgere alcuna funzione di intimidazione e dissuasione rispetto a possibili futuri comportamenti criminosi, sia nei confronti del concreto destinatario di essa, sia nei confronti degli altri soggetti che si trovano nella medesima situazione. Del tutto vanificato e' anche il profilo retributivo-affittivo della pena posto che la rinuncia alla relativa esecuzione (di fatto a tempo indeterminato per le ragioni esposte) lascia sostanzialmente impunito il reato commesso. Come gia' evidenziato, infine, risultano obliterate del tutto le finalita' di prevenzione speciale e di rieducazione della pena, che appaiono riferibili al caso concreto. La magistratura di sorveglianza deve, infatti, in presenza dei presupposti previsti dall'art. 146, comma 1 n. 1) e 2), c.p., sospendere l'esecuzione della pena detentiva, in base ad un rigido automatismo, che non puo' essere temperato da alcuna valutazione di merito volta ad assicurare il perseguimento delle finalita' della pena e l'individualizzazione e proporzionalita' del trattamento, in relazione alle concrete necessita' specialpreventive, neducative e risocializzatrici del caso; alle situazioni regolamentate dalla norma puo' essere, di fatto, riconducibile una varieta' e molteplicita' di situazioni personologiche e criminologiche, tra loro profondamente differenti, meritevoli di diverso trattamento, che non puo', invece, essere assicurato. E' del tutto evidente, pertanto, che la generalizzata ed automatica applicazione del trattamento di favore previsto dalla disposizione censurata, nell'assegnare un identico beneficio a condannati che presentino fra loro differenti stadi del percorso di risocializzazione e diversi gradi di pericolosita' sociale, compromette, ad un tempo, non soltanto il principio di uguaglianza, finendo per omologare fra loro, senza alcuna plausibile ratio, situazioni diverse, ma anche la stessa funzione rieducativa della pena, posto che il riconoscimento di un beneficio che non risulti correlato alla positiva evoluzione nel trattamento compromette inevitabilmente l'essenza stessa della progressivita', che costituisce il tratto saliente dell'iter riabilitativo. L'automatismo che si rinviene nella norma denunciata e' poi in contrasto con i principi di proporzionalita' e individualizzazione della pena come precisati dalla richiamata giurisprudenza. Ne consegue il contrasto della norma censurata con l'art. 27, terzo comma, Cost., oltre che con l'art. 3 Cost. La norma stessa appare in contrasto con l'art. 3 Cost. anche per lesione del canone della ragionevolezza. In via generale, il bilanciamento degli interessi coinvolti ed il sacrificio di alcuni di essi, in favore di altri, soggiacciono al limite della ragionevolezza della scelta legislativa, nel senso di una non arbitraria e non ingiustificata composizione dei valori in giuoco. Nel giudizio sulla razionalita' di una disciplina non si deve guardare solo alla posizione formale di chi ne e' destinatario ma anche alla funzione e allo scopo cui essa e' preordinata (Corte cost. sentenza n. 54 del 1968). Sotto tale profilo, sulla base dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita' puo' affermarsi che la ratio delle norme sul differimento obbligatorio e' la tutela della salute e dell'umanita' della pena; sicuramente finalizzato alla tutela della salute della donna e del nascituro e' il rinvio in presenza dello stato di gravidanza, mentre il differimento nel primo anno di vita del bambino puo' essere ricondotto, oltre che all'esigenza di assicurare il senso di umanita' della pena, anche alla tutela dell'interesse del minore ad un corretto sviluppo della personalita', e, in funzione di tale interesse, alla tutela del rapporto che in tale periodo necessariamente si svolge tra madre e figlio, non tanto e non solo per cio' che attiene ai bisogni piu' propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalita' del bambino (v. con riferimento ad altre norme che prevedono benefici nel periodo immediatamente susseguente al parto v. sentenza n. 376 del 2000 Corte costituzionale). Se questa e' la ratio dell'istituto del differimento, che incide su altri interessi pure costituzionalmente rilevanti, deve ritenersi che la norma sia espressiva di un giudizio di valore risultante dalla ponderazione di due interessi in conflitto, entrambi costituzionalmente rilevanti. Caratteristica dei valori (o principi) costituzionali soggetti a bilanciamento, e' la non predeterminabilita' in assoluto, una volta per tutte, dei loro rapporti reciproci di sovra o sottordinazione. La prevalenza dell'uno sull'altro, quando il bilanciamento non sia rimesso caso per caso al giudice, ma sia operato dalla legge nella forma di una norma astratta, deve essere collegata a determinate condizioni tipiche. In assenza di tali condizioni l'esito della valutazione comparativa non puo' essere il medesimo. Percio', una norma di questo tipo, per essere costituzionalmente legittima, non deve escludere, in ordine all'interesse postergato, la possibilita' della prova dell'inesistenza, nel caso concreto, delle condizioni che, secondo il bilanciamento sotteso alla norma stessa, giustificano la precedenza attribuita all'interesse antagonistico (v. in tal senso sentenza Corte cost. 1° aprile 1992, n. 149). In applicazione di analogo principio, con riferimento all'istituto del differimento della pena nei confronti dei condannati affetti da AIDS, la Corte costituzionale con sentenza n. 438 del 1995 ha ritenuto non conforme al canone della ragionevolezza l'art. 146, primo comma n. 3), c.p., nella parte in cui non consente di accertare in concreto se ai fini' dell'esecuzione della pena le effettive condizioni di salute del condannato siano compatibili con lo stato detentivo, poiche' intanto si puo' ritenere ragionevole l'allontanamento dal carcere in quanto la relativa permanenza negli istituti cagioni un pregiudizio alla salute del soggetto e degli altri detenuti, posto che altrimenti risulterebbero senza giustificazione compromessi altri beni riconosciuti come primari dalla Carta fondamentale. Nel caso di specie, la restrizione in carcere nel periodo di gestazione non ha cagionato alcun concreto pregiudizio alla N., come emerge dal certificato del sanitario della Casa reclusione donne di Venezia datato 27 maggio 2008. Nel carcere femminile di Venezia, inoltre, la detenuta godeva dell'assistenza sanitaria assicurata in istituto. Per converso, come evidenziato, nei periodi di liberta' conseguenti ai benefici ottenuti, la n. non ne ha fatto uso al fine di dedicarsi alla cura dei figli in tenera eta', ma piu' volte (anche in occasione delle precedenti gravidanze) e' stata denunciata e arrestata in flagranza mentre era dedita al furto, lontana dagli accampamenti dove i figli erano verosimilmente affidati a parenti o altri componenti del gruppo, ed ha tenuto un atteggiamento irresponsabile, perseverando nel proprio stile di vita antinormativo e inadatto sia ad una gestante che ad una madre di figlio in tenera eta'. Come emerge dagli studi sociologici in materia, spesso le donne nomadi sono indotte o addirittura costrette al delitto dai loro uomini, e per dedicarsi a tale attivita' lasciano i minori nell'accampamento affidandoli a parenti o a terzi, salvo portarli con se' in alcune delle imprese criminose, al fine di ottenere, in caso di arresto, un benevolo trattamento cautelare. Come ricordato dalla Corte costituzionale nella menzionata sentenza n. 438 del 1995, «il rinvio dell'esecuzione della pena detentiva si e' sempre saldamente attestato intorno a un presupposto unificante, vale a dire le particolari condizioni di salute del condannato e la ritenuta inconciliabilita' delle stesse con l'altrettanto peculiare regime carcerario. Illuminanti , a questo proposito, sono alcuni passaggi della Relazione ministeriale sul progetto del codice penale ove, appunto, si giustifica il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena nel caso della donna incinta che abbia partorito da meno di sei mesi, proprio con le difficolta' di assistenza negli stabilimenti carcerari che quelle condizioni personali necessariamente richiedono». La concreta realta' delle istituzioni carcerarie e', tuttavia, profondamente mutata rispetto all'epoca di entrata in vigore del codice penale, sulla scia dei principi affermati dalla Carta costituzionale in materia di esecuzione penale, e dell'incessante processo di riforma dell'ordinamento penitenziario che ne e' seguito. L'assistenza alla detenuta in stato di gestazione non rappresenta piu', generalmente, un problema nella realta' degli istituti di pena, tenuto anche conto della possibilita' di ricorrere al trasferimento esterno ex art. 11 o.p., e inoltre la carcerazione puo' comportare rischi per la gestazione di gran lunga inferiori rispetto allo stato di liberta' nei casi in cui, come in quello in esame, lo stato di liberta' non si accompagni ad uno stile di vita, anche sotto il profilo igienico-sanitario, oltre che delle abitudini quotidiane, adeguato alla particolare situazione. A cio' si aggiunga che nel concedere il beneficio del differimento il Tribunale di sorveglianza non puo' imporre alcuna prescrizione finalizzata alla tutela dell'interesse del nascituro, posto che secondo la consolidata giurisprudenza l'imposizione di obblighi accessori e' incompatibile con la concessione del beneficio (Cass., sez. I, 2 dicembre 1992, n. 4591). In alcuni casi, pertanto, non puo' a priori escludersi che in alcuni istituti di pena siano assicurati alla gestante e al nascituro un'assistenza piu' adeguata da punto di vista sanitario, non assicurata in alcuni gruppi familiari inseriti in culture di microcriminalita' prive di riferimenti abitativi stabili. E' proprio la rigida presunzione stabilita dal legislatore ad apparire priva di adeguato fondamento e tale da rendere dubbia la razionalita' di una norma dalla cui concreta applicazione possono generarsi ingiustificate compromissioni di altri interessi tutelati dall'ordinamento. Le ipotesi del differimento obbligatorio per la donna incinta o madre di figlio di eta' inferiore ad anni uno sono le sole, tra quelle previste dall'art. 146 c.p., a non ammettere alcuna verifica in concreto sulla sussistenza di una effettiva situazione di pregiudizio agli interessi che la norma tende a tutelare o di contrarieta' dell'esecuzione penale al senso di umanita' (verifica prevista, invece, nelle ipotesi dei condannati affetti da AIDS o altra malattia particolarmente grave), ed inoltre che hanno una difforme regolamentazione in sede cautelare e in sede esecutiva. La possibilita' di verificare la sussistenza di una effettiva situazione di pregiudizio allo stato di gestazione conseguente alla carcerazione o di contrarieta' dell'esecuzione penale al senso di umanita' (verifica che andrebbe effettuata caso per caso in relazione alle strutture disponibili , alla personalita' della condannata e alle condizioni di vita della famiglia) consentirebbe, invece, un'adeguata composizione degli interessi configgenti e la salvaguardia della ratio dell'istituto del differimento, le cui finalita', invece, vengono in casi come quello in esame completamente snaturate. La disposizione impugnata deve ritenersi non conforme al canone della ragionevolezza nella parte in cui non consente, quando vi siano significative esigenze di sicurezza sociale e la detenzione domiciliare non sia adeguata a prevenire il pericolo di recidiva, di accertare in concreto se ai fini dell'esecuzione della pena la carcerazione comporti un effettivo pregiudizio, tale da rendere contraria al senso di umanita' l'esecuzione penale, e se la scarcerazione «secca» sia effettivamente idonea ad assicurare la tutela degli interessi ai quali il beneficio e' preordinato. Da qui il contrasto della norma denunciata con l'art. 3 Cost., ravvisabile non solo sotto il profilo della violazione del canone della ragionevolezza, per le ragioni evidenziate, ma anche sotto il profilo della razionale uniformita' del trattamento normativo, in quanto in presenza delle medesime condizioni (stato di gestazione e presenza di un figlio in tenera eta') e' consentito solo nella fase cautelare disporre la carcerazione, sia pure ove sussistano esigenze di eccezionale rilevanza. Non e' senza rilievo il fatto che l'art. 275 c.p.p. sia stato rimaneggiato con la legge 26 marzo 2001, n. 128, una legge dunque posteriore alla legge 8 marzo 2001, n. 40 che ha modificato l'art. 146 c.p. estendendo il differimento obbligatorio fino ad un anno di vita del bambino. Sino a prova del contrario, pertanto, l'interprete e' portato a ritenere che il legislatore abbia consapevolmente tenuto distinta la disciplina del rinvio dell'esecuzione della pena rispetto a quella della custodia cautelare. E' pacifico che le misure cautelari si distinguano dalla pena per natura e finalita' , si' da non apparire irragionevole, in astratto, una difforme disciplina (v. in tal senso Corte cost. sentenza n. 25/1979); come affermato dalla giurisprudenza di legittimita' (v. sentenza Cass. n. 43014 del 2001) scopo della misura cautelare e' quello di assicurare una o piu' delle esigenze di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma dell'art. 274 c.p. Si tratta, dunque, di una finalita' da un lato contingente in quanto legata all'evolversi di una fase procedimentale, dall'altro strumentale, in quanto posta a garanzia delle indagini e del processo, oltre che della collettivita' quando sussista il pericolo della commissione di altri reati. In tale ottica, il legislatore si e' posto il problema di un bilanciamento tra le esigenze di' cautela e le esigenze di tutela della salute o di altre situazioni personali dell'indagato, contemperando tali esigenze con la previsione dei limiti alla custodia cautelare in carcere nelle ipotesi previste dall'art. 275, comma 4, c.p.p. Nel caso di specie, pero' (come in altri casi analoghi), le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza di volta in volta ritenute sussistenti a carico della n. nelle menzionate ordinanze custodiali sono rappresentate dalle esigenze di tutela della collettivita', previste dall'art. 274, comma 1, lett. c); non si tratta, quindi, di esigenze poste a garanzia delle indagini e del processo, tipiche solo delle misure cautelari e non della pena (esigenze che potrebbero giustificare una difforme disciplina), ma delle esigenze di tutela della collettivita' alla cui salvaguardia e' finalizzata anche la pena, la cui composita funzione comprende anche le esigenze di prevenzione e di tutela della collettivita'. In presenza delle medesime esigenze di sicurezza sociale e delle medesime situazioni personali, l'ordinamento consente solo al Giudice della cautela la salvaguardia delle prime, ove siano di eccezionale rilevanza, mentre dopo il passaggio in giudicato le stesse esigenze sono postergate e nessuna verifica e' consentita al giudice di sorveglianza in merito all'eccezionalita' delle stesse esigenze e all'esistenza effettiva di pregiudizio per la madre e il nascituro. Come emerge dall'esposizione delle ultime vicende relative al titolo esecutivo di cui si discute, la n. e' rimasta in carcere sottoposta a custodia cautelare fino al passaggio in giudicato delle condanne di cui alla sentenza del Tribunale di Roma del 13 novembre 2007 e del Tribunale di Venezia in data 4 aprile 2008, e fino a tale momento l'ordinamento ha consentito al giudice della cautela la salvaguardia delle esigenze di sicurezza sociale, mentre dopo l'irrevocabilita' delle sentenze tali esigenze non possono avere alcuna rilevanza, se non ai fini della concessione della detenzione domiciliare, nel caso di specie non concedibile per la certa inaffidabilita' della condannata, gia' evasa dalla detenzione domiciliare, e l'intenzionale mancata comunicazione di un luogo in cui eseguire la misura; in caso di ulteriore (e irragionevole) concessione della detenzione . domiciliare, ne conseguirebbe verosimilmente una inarrestabile sequenza di sottrazioni alla detenzione domiciliare e di ripristino della stessa, che da un lato svilirebbe l'essenza stessa della misura e dall'altra lascerebbe di fatto integralmente sguarnite le esigenze che la misura e' invece destinata a salvaguardare (in tal senso, con riferimento agli arresti domiciliari per i malati di AIDS, v. Corte cost. n. 439 del 1995). Appare irragionevole che in presenza delle medesime condizioni e delle medesime esigenze da salvaguardare il difforme trattamento previsto dalla legge sia determinato da un dato solo formale quale il passaggio in giudicato della sentenza (che determinata la trasformazione giuridica della condanna in titolo esecutivo), indipendente dal comportamento del reo. Con riferimento ad altra ipotesi di differimento obbligatorio (per i condannati affetti da AIDS) la Corte costituzionale ha, invece, reso omogenea la disciplina in sede cautelare ed esecutiva con le sentenze n. 438 e 439 del 1995. Ancora, sotto il profilo della razionale uniformita' del trattamento normativo, va rilevato che in altri settori l'ordinamento, nel prevedere particolari forme di tutela della maternita' e del minore nella fase immediatamente successiva al parto non oblitera la salvaguardia delle esigenze di sicurezza sociale: basti pensare al divieto di espulsione della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto previsto dall'art. 19, d.lgs. n. 286/1998 (divieto esteso all'espulsione del marito convivente della donna a seguito della sentenza della Corte cost. n. 376 del 27 luglio 2000), che trova un limite nelle esigenze di tutela e sicurezza dello Stato. Deve, infine, rilevarsi che la particolare normativa di favore per le donne in stato di gravidanza e puerperio puo' indurre, come nella pratica gia' avviene, ad una strumentalizzazione a fini illeciti della maternita' e del rapporto di filiazione, con conseguente scelta della procreazione al solo fine di ottenere l'impunita' di fatto dai delitti commessi; ne consegue lo snaturamento della funzione dell'istituto, con lesione dell'art. 30 Cost. Per le esposte ragioni, ritiene questo Tribunale di sorveglianza che si imponga la sospensione del procedimento e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, risultando rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 146, comma 1, n. 1), c.p., nella parte in cui in cui non consente al Tribunale di sorveglianza di accertare in concreto se la tutela delle esigenze della madre e del nascituro sia incompatibile con l'esecuzione della pena in carcere, e, conseguentemente, di negare il differimento dell'esecuzione della pena quando il beneficio non sia ritenuto adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione e la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva.
P. Q. M. Visti ed applicati gli artt. 1, legge n. 1/1948, 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, 146 c.p., 678, 684 c.p.p. Dichiara rilevante ai fini del giudizio e non manifestamente infondata, nei termini esposti in motivazione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 146, primo comma, n. 1), c.p., in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 30 Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice possa negare il differimento quando lo ritenga non adeguato alle finalita' previste dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione e sussista il pericolo di eccezionale rilevanza di commissione di altri delitti, la detenzione domiciliare non sia idonea a prevenire il pericolo di recidiva, e inoltre l'espiazione della pena possa avvenire senza pregiudizio per le esigenze tutelate dalla norma. Sospende il procedimento e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, riservando la definizione del procedimento all'esito della decisione della Corte adita. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Manda per le notifiche e comunicazioni prescritte alla condannata, al difensore, al Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Venezia Cosi' deciso in Venezia, in data 15 luglio 2008. Il Presidente: Tamburino Il giudice estensore: Vono