N. 421 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 - 21 luglio 2008
Ordinanza del 21 luglio 2008 emessa dal Tribunale di Napoli - Sezione fallimentare sui ricorsi riuniti proposti da Palumbo Anna ed altro contro I 4 Caini S.r.l. Fallimento e procedure concorsuali - Ricorso per dichiarazione di fallimento di societa' proposto da creditori - Mancata costituzione in giudizio della societa' - Esonero dalle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo per gli imprenditori commerciali che dimostrino il possesso congiunto dei requisiti dimensionali di cui all'art. 1, comma secondo, della legge fallimentare - Previsione introdotta dall'art. 1 del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 - Attribuzione al debitore dell'onere di provare la propria non assoggettabilita' al fallimento - Ritenuta possibilita' di pronunciare il fallimento dell'imprenditore commerciale insolvente esclusivamente per il mancato assolvimento del suddetto onere probatorio - Irragionevolezza - Omessa individuazione di un criterio sicuro e idoneo a discriminare tra soggetti fallibili e non fallibili, nonche' ad evitare procedure fallimentari inutili o dannose per la tutela dei creditori e per l'erario - Eccesso di delega - Violazione del criterio direttivo concernente l'estensione dei soggetti esonerati dall'applicabilita' del fallimento - Riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 570 del 1989. - Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, art. 1, comma secondo, come modificato dall'art. 1 del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169. - Costituzione, artt. 3 e 76, in relazione all'art. 1, comma 6, lett. a), n. 1, della legge delega 14 maggio 2005, n. 80.(GU n.54 del 31-12-2008 )
Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento, iscritto al n. 40/2008 reg. ricorsi, in esso riunito il procedimento n. 41/2008, aventi ad oggetto le istanze di dichiarazione di fallimento della societa' «I 4 Caini S.r.l.», rispettivamente proposte da Anna Palumbo e da Vincenzo Fioretti, entrambi rapp. ti e difesi dall'avv. Antonio Feluca presso il cui studio elett. te domiciliano in Napoli alla via Ponte di Tappia n. 82. Premesso in fatto 1. - Con ricorso depositato il 18 gennaio 2008 (ricorso contrassegnato con il n. 40/2008 di registro) Anna Palumbo ha chiesto che il tribunale di Napoli dichiarasse il fallimento della societa' «I 4 Caini S.r.l.», evidenziando di essere creditrice della complessiva somma di € 3.670,53 in ragione di decreto ingiuntivo n. 3454 emesso in data 14 novembre 2005 dal giudice del lavoro del Tribunale di Napoli e di non aver potuto realizzare nemmeno coattivamente il predetto credito stante l'esito negativo dell'intrapreso pignoramento mobiliare giusta verbale del 27 dicembre 2006. L'istante ha pure posto in rilievo «che ai sensi dell'art. 1, d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, dalla visura storica aggiornata al 3 gennaio 2008 la societa' I 4 Caini S.r.l. ha un capitale sociale deliberato, sottoscritto e versato di € 51.480,00» e che «dall'ultimo bilancio di esercizio depositato dalla societa' nel 2004 e relativo all'esercizio 2003 risultano debiti esigibili nell'esercizio per un totale di € 98.103,00 che, in uno al credito per cui si procede, soddisfa il requisito di cui all'art. 15, ultimo comma, legge fallimentare, come recentemente modificata dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169». Con decreto del 30 gennaio/1° febbraio 2008 il tribunale ha disposto la convocazione della ricorrente e del debitore per l'udienza del 23 aprile 2008 ore 11,30, disponendo «che il debitore depositi in cancelleria i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, nonche' situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata ad un data non anteriore di oltre due mesi rispetto a quella della fissata comparizione», invitando, altresi', «la parte piu' diligente a depositare in cancelleria: 1) la visura aggiornata dei protesti eventualmente pubblicati a carico del debitore, eseguita attraverso il sistema informativo centralizzato di Roma; 2) la certificazione, anche negativa, delle procedure esecutive, mobiliari ed immobiliari, pendenti a carico del debitore rilasciata dalla cancelleria del tribunale o dei tribunali nel cui circondario sono - ovvero sono state nel biennio anteriore al deposito del ricorso - ubicate la sede legale e/o le eventuali sedi secondarie .............. del debitore». Infine, sempre con il citato decreto di convocazione, il tribunale ha mandato la cancelleria «di provvedere con urgenza 1) ad acquisire, se non gia' agli atti, copia degli ultimi tre bilanci di esercizio depositati presso il competente registro delle imprese dal debitore, ove questa sia una societa' di capitali ........» ed a «2) richiedere - eventualmente anche a mezzo della Polizia Tributaria, all'Agenzia per la riscossione competente del luogo ove il debitore ha, ovvero ha avuto nel biennio anteriore al deposito del ricorso, la sede legale informazioni circa il titolare, la natura, l'ammontare, l'anno di riferimento e la scadenza dei crediti iscritti a ruolo a carico del debitore». 2. - Con distinto ricorso, pure depositato il 18 gennaio 2008 (ricorso contrassegnato con il n. 41/2008 di registro), Vincenzo Fioretti ha chiesto che il Tribunale di Napoli dichiarasse il fallimento della societa' «I 4 Caini S.r.l.», evidenziando di essere creditore della complessiva somma di € 18.446,03 in ragione di decreto ingiuntivo n. 2903 emesso in data 28/29 settembre 2005 dal giudice del lavoro del Tribunale di Napoli, ponendo a base dell'iniziativa i medesimi argomenti del ricorso che precede. Il tribunale, con decreto del 30 gennaio/1° febbraio 2008, ha disposto la convocazione del debitore per l'udienza del 23 aprile 2008, chiedendo alle parti ed alla cancelleria di acquisire gli elementi informativi sopra indicati. 3. - All'udienza del 23 aprile 2008 la societa' I Caini non si e' costituta, nonostante la regolare notifica dei ricorsi intervenuta, ai sensi degli artt. 145, terzo comma e 149 c.p.c., giusta relate del 18 febbraio 2008. Il tribunale ha disposto la riunione del ricorso n. 41/2008 al procedimento n. 40/2008. La difesa dei ricorrenti ha posto in rilievo l'intervenuto deposito di altro ricorso di fallimento proposto da Scognamiglio Ciro nei confronti della medesima societa' «I 4 Caini». Il tribunale ha provveduto ad acquisire «i dati dell'Anagrafe tributaria concernenti la societa' fallenda incaricando per tale accertamento la cancelleria e sospendendo temporaneamente l'udienza. Alle ore 12,20, viene riaperto il verbale, il tribunale si riserva». Osserva in diritto 1. - Il procedimento in oggetto, instaurato dai ricorsi depositati il 18 gennaio 2008, va trattato e definito secondo la disciplina, sostanziale e processuale, della legge fallimentare introdotta dal decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, entrata in vigore il 1° gennaio 2008. 2. - I ricorrenti hanno compiutamente dimostrato di essere creditori della societa' «I 4 Caini S.r.l.», per il rispettivo importo di € 3.670,53 (pretesa rivendicata da Anna Palumbo) e di € 18.446,03 (pretesa rivendicata da Vincenzo Fioretti), come risulta dai relativi atti di precetto notificati il 6 maggio e l'11 dicembre 2006, che richiamano i menzionati decreti ingiuntivi, concessi con formula di provvisoria esecutivita' (e quello ottenuto da Vincenzo Fioretti pure munito di decreto di esecutorieta' ai sensi dell'art. 647 c.p.c.), nei confronti della societa' I 4 Caini S.r.l. 3. - La debitrice va, altresi', considerata in stato di insolvenza, come gia' risulta dal protratto inadempimento dei crediti sopra indicati, nonche' dall'esito negativo del tentativo di pignoramento mobiliare, da entrambi i ricorrenti eseguito in data 27 dicembre 2006, dai cui contenuti emerge l'irreperibilita' della societa' presso la sede legale. Va aggiunto, al riguardo, che dalla documentazione acquisita di ufficio dal tribunale in virtu' dei poteri conferitigli dall'art. 15 della legge fallimentare (cfr., in particolare, quanto recapitato dall'Agenzia della riscossione competente per territorio), risulta l'esistenza di ulteriori debiti scaduti per complessivi € 151.672,67 per le specifiche causali riportate in ciascuna delle cartelle indicate. Ebbene, la complessiva entita' dei descritti debiti, in uno al trasferimento di azienda intervenuto in data 5 ottobre 2005 (cfr. visura camerale in atti), consente, in assenza di contrarie evidenze, di ritenere sussistente la condizione di insolvenza c.d. rilevante della societa' «I 4 Caini S.r.l.», risultando, da un lato, il mancato pagamento delle plurime obbligazioni sopra menzionate riconduciblle ad una obiettiva ed irreversibile incapacita' economica-finanziaria della societa' e, per altro verso, superato il limite di cui all'art. 15 de1 r.d. n. 267/1942, come modificato dal d.lgs. n. 169/2007 (non si fa luogo a dichiarazione di fallimento se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dall'istruttoria prefallimentare e' complessivamente inferiore ad € 30.000,00) al di sotto del quale, anche in presenza di un accertato stato di insolvenza, non potrebbe comunque dichiararsi il fallimento dell'imprenditore. 4. - A mente dell'art. 1 del r.d. n. 267/1942, quale risultante dalle modifiche apportate dal gia' richiamato d.lgs. n. 169/2007, «1. Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attivita' commerciale, esclusi gli enti pubblici. 2. Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti: a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attivita' se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attivita' se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila». Nella fattispecie in rassegna la societa' debitrice non si e' costituita e, dunque, non ha dimostrato nulla di quanto previsto dalla citata disposizione. Peraltro, gli accertamenti disposti di ufficio dal tribunale ai sensi dell'art. 15, commi 4 e 6, l.f. hanno consentito di acquisire soltanto i dati Irpeg ed IVA degli anni di imposta 2003, 2002 e 2001, che, a tacer d'altro, si riferiscono a periodi estranei dall'ambito di osservazione prescritto dall'art. 1 l.f., che richiama i tre esercizi precedenti l'anno di deposito del ricorso e, dunque, nel caso di specie gli anni 2007, 2006 e 2005. Lo sviluppo istruttorio ha, poi, consentito, di accertare che l'ultimo bilancio depositato dalla societa' «i 4 Caini S.r.l.» e' quello relativo all'esercizio sociale chiusosi il 31 dicembre 2003, ancora una volta temporalmente fuori dall'ambito di indagine rilevante. Dunque, a voler dar seguito alla formulazione del riportato art. 1 l.f., il tribunale, preso atto della mancata dimostrazione degli elementi di cui alla citata disposizione ad opera del debitore, disposti i possibili accertamenti di ufficio, nella ritenuta insolvenza de «I 4 Caini S.r.l.», dovrebbe dichiarare il fallimento di detta societa'. Senonche', il Collegio dubita della legittimita' costituzionale del secondo comma della menzionata disposizione, apparendo in contrasto, con gli artt. 3 e 76 della Costituzione. La questione, che assume rilevanza nel caso concreto per quanto sopra osservato, si esamina separatamente in relazione alle menzionate disposizioni della Costituzione. 5. - La non manifesta infondatezza della ritenuta contrarieta' dell'art. 1, secondo comma l.f. in relazione all'art. 3 della Costituzione. L'assoggettamento di un imprenditore commerciale alla procedura fallimentare ha normativamente sempre richiesto (e richiede) non solo la sua insolvenza, ma anche la sua qualita' di imprenditore non piccolo (cfr. art. 1, primo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ovviamente prima della novella del 9 gennaio 2006 e, soprattutto, del 12 settembre 2007 ed art. 2221 c.c.) o - se si vuole - adoperando i criteri introdotti dal legislatore delegato il possesso di determinati requisiti dimensionali. Il regio decreto del 16 marzo 1942 escludeva, infatti, dalle disposizioni sul fallimento i piccoli imprenditori, chiarendo al secondo comma dell'art. 1 quali soggetti fossero da considerare tali. Dopo la pronuncia del 22 dicembre 1989, n. 570 della Corte costituzionale, con cui e' stato dichiarata l'incostituzionalita' dell'art. 1, secondo comma, del r.d. n. 267/1942, come modificato dalla legge 20 ottobre 1952, n. 1375, nella parte in cui prevedeva che «quando e' mancato l'accertamento ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, sono considerati piccoli imprenditori gli imprenditori esercenti un'attivita' commerciale nella cui azienda risulta investito un capitale non superiore a lire novecentomila», non e' certo venuto meno il principio di esclusione dal fallimento dei piccoli imprenditori, ma solo l'applicazione del criterio contemplato dalla citata disposizione. Giova muovere proprio dai contenuti di tale limpida pronuncia del giudice delle leggi per comprendere i criteri che devono ispirare ed a cui deve uniformarsi la norma che detta le regole della sottoposizione alle disposizioni sul fallimento degli imprenditori commerciali. La Corte ha precisato che «... le categorie di piccolo, medio e grande imprenditore, ed insolvente civile, nell'ordinamento economico e giuridico hanno posizioni nettamente differenziate. A fondare la distinzione, specie ai fini dell'assoggettabilita' o meno alla procedura fallimentare, occorre un criterio assolutamente idoneo e sicuro. I limiti devono essere stabiliti in relazione all'attivita' svolta, all'organizzazione dei mezzi impiegati, alla entita' dell'impresa ed alle ripercussioni che il dissesto produce nell'economia generale. La insussistenza di validi presupposti per la diversificazione delle situazioni soggettive che si volevano diversamente e distintamente disciplinate, crea anche disparita' di trattamento, tanto piu' che, altre norme (artt. 2083 e 2221 del codice civile) pongono piu' validi criteri di distinzione. Imprese molto modeste incorrono nelle procedure fallimentari e vengono meno le finalita' del fallimento. L'esiguo patrimonio attivo del fallito puo' rimanere assorbito interamente dalle spese della complessa procedura e a volte risulta persino insufficiente a coprire le spese anticipate dall'erario. Il fallimento finisce con l'essere un rimedio processuale impeditivo della tutela dei creditori e un mezzo di difesa insufficiente ...». La chiarezza e la lucidita' dei principi esposti esonerano da ulteriori argomenti per ritenere che l'assoggettabilita' al fallimento deve potersi fondare su di «un criterio assolutamente idoneo e sicuro», e cioe' su elementi oggettivi che tengano conto dell'«attivita' svolta» e dell'«organizzazione dei mezzi impiegati» dall'imprenditore, dell'entita' dell'impresa» da questi esercitata e delle «ripercussioni che il (suo) dissesto produce nell'economia generale», evitando che «imprese molto modeste incorr(a)no nelle procedure fallimentari» e che vengano meno le finalita' del fallimento o, peggio, che questo si trasformi, nei fatti, addirittura in «un rimedio processuale impeditivo della tutela dei creditori». Ebbene, alla stregua di tali principi enunciati dalla Corte costituzionale, vincolanti anche per il legislatore, si ritiene vada interpretata anche la direttiva dell'estensione dell'area di non fallibilita' impartita dal legislatore delegante al Governo. Per la verita', in questa prospettiva si era posto l'art. 1 della legge 14 maggio 2005, n. 80 che, al comma quinto, aveva delegato al Governo «l'adozione, con l'osservanza dei principi e dei criteri direttivi di cui al sesto comma, di uno o piu' decreti legislativi recanti la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali di cui al r.d. 16 marzo 1942, n. 267», prevedendo al menzionato sesto comma che, nell'esercizio della citata delega, il Governo si sarebbe dovuto attenere, per quanto piu' direttamente interessa, a quello di «semplificare la disciplina attraverso l'estensione dei soggetti esonerati dall'applicabilita' dell'istituto e l'accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in materia». E' del tutto evidente che la finalita' del legislatore delegante, ispirata all'esigenza di un recupero di competitivita' del Paese anche sotto il profilo in questione, sia stata quella di porre rimedio al risultato, assai frequente nella pratica applicazione, di fallimenti dichiarati che si chiudevano con la realizzazione di un attivo spesso non sufficiente a coprire nemmeno le spese della procedura, e, dunque, con un bilancio negativo per i creditori e per l'intera collettivita'. Si comprendono, allora, le ragioni poste a fondamento del d.lgs. n. 5 del 2006, emanato in attuazione della predetta delega ed entrato in vigore il 16 luglio 2006, il quale, pur mantenendo il richiamo alla categoria dei piccoli imprenditori quali soggetti esentati dall'assoggettabilita' al fallimento, abbia poi indicato i parametri finalizzati a consentire l'individuazione dei soggetti da qualificare tali, agli effetti delle disposizioni della legge fallimentare, stabilendo che «ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attivita' commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente: a) hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila; b) hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attivita' se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila». La relazione illustrativa al predetto articolo chiariva che «l'ampliamento dei soggetti esonerati e' stato inteso in senso quantitativo e non meramente qualitativo», individuando tra i possibili criteri di riferimento idonei ad implementare il requisito dimensionale quelli che, «in via assolutamente alternativa tra di loro rispecchiano in maniera piu' congrua l'effettiva consistenza delle dimensioni effettivamente assunte dall'impresa insolvente e del patrimonio aziendale». Va da se' che, coerentemente all'impianto costituzionalmente orientato derivante dalla predetta pronuncia del giudice delle leggi e dalle intenzioni del legislatore delegante di restringere l'area della fallibilita', la prima stesura della riforma della legge fallimentare non abbia previsto nulla in merito alla ripartizione del corrispondente onere probatorio, prevedendo, invece, che il requisito dei ricavi potesse essere preso in considerazione in qualunque modo esso risultasse. Non puo', tuttavia, essere taciuto, al riguardo, il contrasto registratosi nella giurisprudenza di merito ed in dottrina sino all'intervento del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, tra la tesi che poneva a carico del fallendo l'onere di provare la sussistenza delle circostanze che lo esonerano dal fallimento, considerando in tal guisa l'esenzione come fatto impeditivo, e l'orientamento che, invece, costruiva tale esonero non come eccezione alla regola della fallibilita', ma quale criterio di delimitazione dell'ambito soggettivo di applicazione delle procedure concorsuali, con conseguente onere del ricorrente di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi della procedura, ivi compreso il carattere non piccolo dell'impresa o il superamento delle soglie della non fallibilita'. Sta di fatto che le argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale nella citata pronuncia del 22 dicembre 1989, n. 570 e l'orientamento della Corte di cassazione (cfr. Cass., 3 febbraio 1990, n. 744) davano forza all'idea secondo la quale non potesse dichiararsi il fallimento qualora non fossero stati, in qualunque modo e dunque anche al di fuori delle prove offerte dalle parti, acquisiti elementi sufficienti a negare la sua qualita' di piccolo imprenditore, cosi' come autorevole dottrina considerava addirittura inconcepibile un onere probatorio principale del debitore, quando lo stesso non fosse il richiedente, essendo la domanda o l'iniziativa proposta contro di lui ed ogni onere spettando, quindi, al ricorrente ed al tribunale, con l'aggiunta che neppure la qualifica di piccolo imprenditore commerciale poteva essere oggetto di un onere probatorio principale del debitore. In effetti, appare fuori luogo richiamare nella predetta materia il rigore dei criteri di cui all'art. 2697 c.c. per la dirimente considerazione secondo cui l'oggetto della verifica coinvolta nel ricorso di fallimento, essendo riferita ad uno status e coinvolgendo interessi pubblici non appartiene alla categoria dei diritti disponibili e nessuna delle «due parti in causa» (il ricorrente ed il resistente o debitore) ha un diritto soggettivo alla dichiarazione di fallimento, la quale puo' intervenire solo se risultano soddisfatte le obiettive condizioni di accesso alla procedura concorsuale. Il che significa che non puo' postularsi un onere del ricorrente di provare la sussistenza di tali condizioni (ovvero il superamento di una o piu' soglie da parte del debitore), cosi' come non puo' sussistere un onere dell'imprenditore di provare la sua «piccolezza» ovvero di dimostrare di non avere superato le predette soglie, dovendo, invece, solo accertarsi con il contributivo assertivo e probatorio delle parti e con l'utilizzo dei poteri officiosi del giudice se l'imprenditore resti o meno sotto le soglie di fallibilita'. Senonche', il legislatore delegato con il decreto legislativo correttivo n. 169 del 2007, ha riformulato completamente il secondo com ma dell'art. 1 l.fall., stabilendo che «Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al comma 1, i quali dimostrino il possesso congiunto dei … requisiti» di cui alle seguenti lettere a), b) e c). La relazione illustrativa del decreto legislativo n. 169/2007 cosi' spiega la correzione: «… Le modifiche tengono conto del fatto che l'eccessiva riduzione dell'area della fallibilita' venutasi a determinare a seguito della novella del 2006 spesso ha impedito di assoggettare al fallimento ed alle conseguenti sanzioni penali imprenditori di rilevanti dimensioni con elevati livelli di indebitamento, danneggiando, in tal modo, sia i numerosi creditori insoddisfatti, che il sistema economico in generale. ... Piu' in dettaglio, va evidenziato il fatto che, per delimitare l'area dei soggetti esonerati dal fallimento, non viene piu' utilizzata la nozione di piccolo imprenditore commerciale, ma vengono indicati direttamente una serie di requisiti dimensionali massimi che gli imprenditori commerciali (resta quindi fermo l'esonero dalle procedure concorsuali di tutti gli imprenditori agricoli, piccoli e medio grandi) devono possedere congiuntamente per non essere assoggettati alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo. In questo modo, si superano i contrasti interpretativi sorti in ordine all'individuazione dei criteri di qualificazione delle nozioni di piccolo imprenditore (art. 2083 del cod. civ.), da una parte, e di imprenditore non piccolo (art. 1, l.f.), dall'altra: concetti entrambi contemplati dall'art. 1 della legge fallimentare, come modificato dal decreto legislativo n. 5 del 2006. ... Di notevole importanza, poiche' supera i gravi problemi interpretativi emersi in materia di distribuzione dell'onere della prova del presupposto soggettivo del fallimento, e' la disposizione volta a precisare che grava sul debitore l'onere di fornire la prova dei requisiti di non fallibilita', intesi come fatti impeditivi della dichiarazione di fallimento. E' quindi onere dell'imprenditore fallendo dimostrare di non aver superato (nel periodo di riferimento) alcuno dei tre parametri dimensionali previsti dalla norma in esame. Si evita, cosi', di «premiare» con la non fallibilita' quegli imprenditori che scelgono di non difendersi in sede di istruttoria prefallimentare o che non depositino la documentazione contabile dalla quale sarebbe possibile rilevare i dati necessari per verificare la sussistenza dei parametri dimensionali. In tale modo, qualora gli elementi probatori, dedotti dalle parti o acquisiti d'ufficio, non siano sufficienti a fornire la prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilita', l'imprenditore, permanendo l'incertezza sulla sussistenza o meno dei requisiti soggettivi di esenzione dal fallimento, resta assoggettato alla procedura fallimentare ...». Orbene, va subito preso atto che l'eliminazione, da parte del menzionato decreto correttivo, della categoria del piccolo imprenditore esclude ogni possibilita' di recuperare operativita' al disposto dell'art. 2221 c.c., da ritenersi, in effetti, implicitamente abrogato in virtu' dell'ingresso dell'impresa - come suol dirsi - «sotto soglia». Va pure preso atto della non sindacabile scelta legislativa di ampliare, rispetto alla prospettiva coltivata dal primo decreto legislativo del 9 gennaio 2006, l'ambito dei soggetti sottoposti alle disposizioni sul fallimento, non essendovi dubbi sul rilevo che il possesso congiunto degli elementi ora richiesti per non essere sottoposti a fallimento (ed i primi due, attivo patrimoniale e ricavi lordi, necessariamente ricorrenti per ciascuno dei tre anni considerati) ha comportato un'estensione dell'area della fallibilita'. Si prende, altresi', atto del rovesciamento di logica e di criteri operati dal legislatore delegato con il d.lgs. n. 169 del 2007 nella parte in cui ha previsto il fallimento dell'imprenditore commerciale insolvente che «non dimostri» di non essere compreso nell'area della non fallibilita' definita dalle lett. a), b) e c) del secondo comma, dell'art. 1 l. fall. Solo che tale ultima previsione non appare rispettosa dell'art. 3 della Costituzione, sembrando in violazione del principio di ragionevolezza. Essa, infatti, ha sostanzialmente disatteso le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale con la menzionata sentenza n. 570/89 non essendo il predetto criterio della mancata dimostrazione delle circostanze sopra indicate, ad opera di chi subisce l'iniziativa fallimentare, riferibile ad un «un criterio assolutamente idoneo e sicuro» e, dunque, ad un «criterio oggettivo» per il semplice rilevo che esso non dipende dall'accertamento dei predetti requisiti, ma dall'omessa dimostrazione di essi, restando cosi' affidato ad una incontrollabile variabile meramente soggettiva. Invero, l'addossare al debitore l'onere di provare la sua non assoggettabilita' a fallimento puo' far concretamente dipendere - come nel caso di specie - il fallimento da un comportamento, peraltro nemmeno necessariamente colpevole, del medesimo debitore e cio' in termini del tutto estranei alla natura ed all'importanza dell'attivita' economica e dei mezzi impiegati nell'impresa e senza alcun rapporto con le ripercussioni del dissesto dell'imprenditore sul sistema economico. In realta', appare del tutto incoerente stabilire dei requisiti dimensionali, ancorati a dati oggettivi, come pure ha previsto il decreto correttivo, per poi affidarli alla disponibilita' del soggetto cui si riferiscono. Tale soluzione potrebbe avere giuridico senso se la fallibilita' potesse ricondursi ad un diritto disponibile, ma cosi' non e', ostandovi il superiore interesse pubblico, che si concretizza nei criteri selettivi utilizzati dal legislatore per individuare l'area di sottoponibilita' dell'imprenditore insolvente alle disposizioni sul fallimento. Il legislatore delegato sembra chiarire nella riportata relazione illustrativa che il criterio in esame piu' che una regola di prova debba essere intesa come regola di giudizio. Non ignora il Collegio che una regola di giudizio sia immanente in ogni tipo di processo, ma, non puo' dubitarsi che essa debba essere ragionevole. Ebbene, il criterio di cui si discute non appare tale per piu' ordini di ragioni. Intanto, la regola in questione sembra operare in termini assolutamente irragionevoli poiche' non solo fa dipendere il fallimento da un comportamento, consapevole o meno, di una parte, ma addirittura lo affida alla disponibilita' di un soggetto, il debitore, che potrebbe avere un interesse contrario a quello pubblico. L'immanenza nel fallimento di interessi pubblicistici pare fuori discussione, essendo sufficiente porre in evidenza la predetta legittimazione del p.m. ai sensi dell'art 7 l.f., la natura di pubblico ufficiale del curatore a mente dell'art. 30 l.f., l'incidenza che il fallimento produce nei confronti di una comunita' indifferenziata di soggetti che all'esito del fallimento della propria controparte vedono modificati i propri diritti, come risulta dalla disciplina dei rapporti pendenti ai sensi dell'art. 72 l.f., senza tralasciare di considerare la predetta pronuncia del giudice delle leggi del 22 dicembre 1989, n. 570, ed e' resa manifesta nella normativa individuazione dell'area della non fallibilita' in presenza delle circostanze di cui alle lettere a), b) e c) della disposizione in commento. In tale direzione il discrimine tra la fallibilita' o meno non puo' essere consegnata ad un criterio soggettivo e non puo' variare a seconda che il soggetto decida o meno di costituirsi, non puo' cioe' dipendere ne' dalla scelta del debitore, ne' dal caso, apparendo irrazionale tale diversita' di trattamento in relazione alla necessaria verifica di elementi oggettivi in base ai quali poter o meno dichiarare il fallimento. Il predetto criterio, invece, non solo non impedisce, ma addirittura puo' favorire dichiarazioni di fallimenti di soggetti che non hanno i requisiti dimensionali contemplati, aprendo procedure concorsuali oltre che inutili, anche dannose per gli interessi dei soggetti coinvolti e per la collettivita', tanto piu' se si considera che nulla sembra precludere al debitore che non si sia costituito o che, pur essendosi costituito, non si sia difeso sullo specifico punto della sua estraneita' all'area degli imprenditori commerciali insolventi fallibili delineata dal secondo comma dell'art. 1 l.fall. nel procedimento di primo grado, di proporre reclamo, ai sensi dell'art. 18 l.fall., avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento e di dimostrare in quella sede di essere in possesso di tutti i requisiti di cui alle lettere a), b) e c) del secondo comma del predetto art. 1. Difficile, poi, sarebbe conciliare il predetto criterio nell'ipotesi in cui sia il debitore a chiedere il proprio fallimento. Sembra sul punto di poter escludere, sul piano della coerenza logica prima che giuridica, che debba applicarsi alla lettera la nuova formulazione del secondo comma dell'art. 1 l.fall., ed esigere che il debitore che chieda il proprio fallimento dimostri di non essere fallibile, non avendo evidentemente alcun interesse a fornire una siffatta prova. Meno che mai puo' secondarsi l'idea secondo la quale l'omessa dimostrazione di cui sopra da parte del debitore istante possa condurre tout court (al pari di quanto dovrebbe accadere secondo la norma in commento nel caso in cui l'iniziativa sia adottata da altri legittimati ed il debitore non dimostri alcunche') all'apertura della procedura concorsuale poiche' cio' finirebbe con il sancire la categoria del fallimento «a richiesta del debitore», che non sembra proprio contemplato nell'attuale assetto normativo. In coerenza con la ratio della disposizione e con l'art. 14 l.fall. va, invece, ritenuto che, in tale evenienza, sul debitore ricorrente incomba l'onere di dimostrare non gia' la sua non assoggettabilita', ma la sua sottoponibilita' alle disposizioni sul fallimento, il che conferma l'irragionevolezza del criterio del secondo comma dell'art. 1 l.fall., la cui operativita' non puo' variare a seconda del soggetto istante, meno che mai in base al principio di cui all'art. 2697 c.c. e quello, ad esso correlato, di vicinanza della prova, i quali, oltre a non aver rango costituzionale, devono, peraltro, ritenersi impropriamente richiamati allorche', come nel caso del procedimento per la dichiarazione di fallimento, non siano in gioco diritti di cui le parti possano disporre. Le riflessioni che precedono non sembrano superabili considerando la valutazione comparativa che si intuisce essere stata effettata dal legislatore tra l'esigenza di assicurate tutela al diritto di credito e quella di evitare al contempo l'apertura di procedure concorsuali economicamente improduttive. La soluzione offerta, infatti, per le ragioni sopra espresse, riposa su di un criterio che appare non razionale e sembra inidoneo a garantire il rispetto delle esigenze che si intendono tutelare, finendo, al postutto, solo con l'evitare «di "premiare" con la non fallibilita' quegli imprenditori che scelgono di non difendersi in sede di istruttoria prefallimentare o che non depositino la documentazione contabile dalla quale sarebbe possibile rilevare i dati necessari per verificare la sussistenza dei parametri dimensionali» (cosi' la relazione illustrativa al d.lgs. 12 settembre 2007 n. 169 sub art. 1 l.f.), ridando, in tal modo spazio, ad una prospettiva meramente sanzionatoria del fallimento che il legislatore delegante aveva abbandonato, come pure chiarito dalla relazione illustrativa al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 9, e che appare in contrasto con i principi affermati dalla Corte costituzionale nella piu' volte citata pronuncia del 1989 n. 570. Non pare, allora, manifestamente infondato ritenere che la norma in questione sia contraria al principio di ragionevolezza, essendo foriera di irrazionali disparita' di trattamento nella parte in cui, stabilendo che «Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento gli imprenditori di cui al comma 1, i quali dimostrino il possesso congiunto dei ... requisiti» di cui alle seguenti lettere a), b) e c), prevede che sia dichiarato il fallimento del debitore nel caso in cui, all'esito del procedimento, residui incertezza sulla sussistenza o meno dei requisiti di cui alle predette lettere a), b) e c) del secondo comma dell'art. 1 l.f., come risultante dal correttivo alla novella del d.lgs. del 9 gennaio 2006, n. 5, introdotto dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169. 6. - La non manifesta infondatezza della ritenuta contrarieta' dell'art. 1, secondo comma l.f. in relazione all'art. 76, comma primo, della Costituzione. La distribuzione dell'onere probatorio disegnata dal legislatore delegato con il d.lgs. n. 169/2007 suscita, poi, dubbi di costituzionalita' anche per violazione dell'art. 76, primo comma, Costituzione sotto il profilo dell'eccesso di delega in quanto potenzialmente idonea a contraddire, di fatto e nella sua concreta applicazione, la direttiva della legge delega concernente l'estensione del novero dei soggetti esclusi dal fallimento. Si e' gia' osservato come il principio posto del legislatore delegante fosse quello di restringere l'area della fallibilita'. La prima stesura della novella aveva, a tal proposito, indicato in positivo dei parametri oggettivi, avendo ben chiara la lezione del giudice delle leggi (cfr. art. 1 della relazione illustrativa al decreto del 9 gennaio 2006, n. 5). Orbene, la regola introdotta dal correttivo del 2007 sembra prescindere e, comunque, pare contraria alla citata finalita' indicata dal legislatore delegante. Ha previsto, infatti, questa volta in negativo, dei requisiti dimensionali oggettivi per la non fallibilita', evidentemente considerando al di sotto di tali limiti l'area di esonero, ma assegnando al debitore l'onere della relativa dimostrazione, cosi' finendo per ritenerli elementi dai quali poter prescindere. Omettendo ogni considerazione sulla cd. prova negativa, va osservato che tale regola sembra porsi irragionevolmente in contrasto con la direttiva della riduzione dell'area della fallibilita', declinando l'esenzione dell'imprenditore dal fallimento non tanto su verificabili parametri oggettivi, ma sulla dimostrazione della loro sussistenza, cosi' legittimando la dichiarazione di fallimento di debitori sol perche' non provano di possederli, mettendo fuori gioco, quindi, proprio i limiti dimensionali dell'impresa che servivano a delimitare l'area della fallibilita' secondo quanto disposto dalla legge delega. Risulta, allora, evidente, a prescindere da ancora prematuri e non rilevanti, ai fini de quibus, dati statistici, che in siffatti termini l'area della fallibilita' si sia, nei fatti ed in modo incontrollabile, estesa contrariamente alle intenzioni ed alle direttive del legislatore delegato. Non puo', infatti, certamente negarsi che in tale assetto normativo sia destinato a fallire, se non prova di non aver superato i parametri di cui all'art. 1 l.f., anche il piccolo imprenditore o quello sotto soglia, cosi' finendo con l'ampliare secondo incontrollabili variabili, disancorate da qualsiasi parametro obiettivo, l'ambito di sottoposizione alla procedura fallimentare in una sorta di presunzione di fallibilita' fino a prova contraria, che non pare, francamente, risultare consentanea agli obiettivi indicati del legislatore delegante. Anche sotto tale profilo, dunque, pare lecito dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma secondo, l.f. nella parte in cui, stabilendo che «Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento ... gli imprenditori di cui al comma 1, i quali dimostrino il possesso congiunto dei ... requisiti» di cui alle seguenti lettere a), b) e c), prevede che sia dichiarato il fallimento del debitore nel caso in cui, all'esito del procedimento, residui incertezza sulla sussistenza o meno dei requisiti di cui alle predette lettere a), b) e c) del secondo comma dell'art. 1 l.f., come risultante dal correttivo alla novella del d.lgs. del 9 gennaio 2006, n. 5, introdotto dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169. 8. - Alla stregua delle considerazioni svolte va, allora, disposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione sulle evidenziate questioni pregiudiziali di legittimita' costituzionale, siccome ritenute rilevanti e non manifestamente infondate. Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
P. Q. M. Dichiara rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 76 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, come modificato dal d.lgs. n. 169/2007 sulla base della previsione di cui all'art. 1, comma sesto, lettera a), n. 1, della legge 14 maggio 2005, n. 80, nella parte in cui, stabilendo che «Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento … gli imprenditori di cui al comma 1, i quali dimostrino il possesso congiunto dei ... requisiti» di cui alle seguenti lettere a), b) e c), prevede che sia dichiarato il fallimento del debitore nel caso in cui, all'esito del procedimento, residui incertezza sulla sussistenza o meno dei requisiti di cui alle predette lettere a), b) e c) del secondo comma dell'art. 1 l.f., come risultante dal correttivo alla novella del d.lgs. del 9 gennaio 2006, n. 5, introdotto dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169. Ordina alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera dei deputati, ed alle parti costituite; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni anche alle parti; Sospende il giudizio in corso. Cosi' deciso in Napoli, nella Camera di consiglio del 2 luglio 2008. Il Presidente: Celentano Il giudice estensore: Canaia