N. 94 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 9 dicembre - 28 novembre 2008

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 9 dicembre 2008 (del Commissario dello  Stato  per  la
Regione Siciliana). 
 
Miniere, cave e torbiere - Norme  della  Regione  Siciliana  -  Norma
  transitoria sulle autorizzazioni all'esercizio di cava -  Modifiche
  e integrazioni alle leggi  che  disciplinano  la  coltivazione  dei
  giacimenti minerari e delle cave nonche' l'estrazione di  materiali
  lapidei  di  pregio  -  Proroga  di  diritto  delle  autorizzazioni
  all'esercizio di cave per consentire il completamento dei  relativi
  programmi di coltivazione, nell'attesa della definizione del  piano
  regionale dei materiali di cava - Lamentata  proroga  generalizzata
  indipendentemente  dalla  estensione  delle  aree   interessate   e
  dall'eventuale regime vincolistico degli ambiti territoriali in cui
  le stesse ricadono, deroga alla V.I.A. - Ritenuto contrasto con  la
  normativa di attuazione di direttive comunitarie e  con  il  codice
  dell'ambiente - Ricorso del Commissario dello Stato per la  Regione
  Siciliana  -  Denunciata  violazione  della  competenza   esclusiva
  statale  in  materia  di  concorrenza   e   tutela   dell'ambiente,
  violazione del principio di tutela  dell'ambiente,  violazione  del
  vincolo di osservanza  della  normativa  comunitaria,  lesione  del
  principio  di  buon  andamento  della   pubblica   amministrazione,
  esorbitanza dai limiti statutari in  materia  di  miniere,  cave  e
  torbiere. 
- Delibera legislativa della Regione Siciliana 25 novembre  2008,  n.
  133, artt. 1 e 3, comma 2. 
- Costituzione, artt. 9, 11, 97, 117, commi primo e secondo, lett. e)
  ed s); statuto della Regione Siciliana, art. 14; direttiva  del  27
  giugno  1985,  n.  85/337/CEE;  direttiva  del  3  marzo  1997,  n.
  97/11/CE; direttiva del 26 marzo 2003, n.  2003/35/CE;  d.P.C.m.  3
  settembre 1999; d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 23 e 32. 
(GU n.3 del 21-1-2009 )
    L'Assemblea regionale Siciliana, nella  seduta  del  25  novembre
2008, ha approvato il disegno di  legge  n.  133  dal  titolo  «Norma
transitoria sulle autorizzazioni all'esercizio di cava», pervenuto  a
questo Commissario dello Stato, ai sensi e per gli effetti  dell'art.
28 dello statuto speciale, il 27 novembre 2008. 
    Il provvedimento legislativo apporta  modifiche  ed  integrazioni
alle vigenti leggi che disciplinano la  coltivazione  dei  giacimenti
minerari e delle cave nonche' l'estrazione di  materiali  lapidei  di
pregio e, nell'attesa  della  definizione  del  piano  regionale  dei
materiali di cava previsto dall'art. 4 della legge 9  dicembre  1980,
n.  127,  dispone  la  proroga  di   diritto   delle   autorizzazioni
all'esercizio di cave per consentire il  completamento  dei  relativi
programmi di coltivazione. 
    Nell'ambito del provvedimento, l'art. 1 ed il comma 2 dell'art. 3
danno adito a censure di incostituzionalita' per le  motivazioni  che
di seguito si illustrano. 
    L'art.  1  recita   come   segue:   Proroga   di   autorizzazioni
all'esercizio di cava - 1. Sino all'approvazione del Piano  regionale
del materiale da cava di cui alla legge regionale 9 dicembre 1980, n.
127 e, in ogni caso, per non piu' di tre anni, qualora non sia  stato
completato   il   programma   di   coltivazione    autorizzato,    le
autorizzazioni rilasciate  dal  Distretto  minerario,  ad  esclusione
delle isole Eolie, sono prorogate di diritto  fino  al  completamento
del programma medesimo. Ai  soli  fini  dell'abbandono  in  sicurezza
delle cave, e per quelle rilasciate in sicurezza, sono consentite  le
attivita' conseguenti che dovranno  essere  completate  entro  dodici
mesi dalla relativa comunicazione di inizio lavori.  L'autorizzazione
amministrativa e'  rilasciata,  su  richiesta  corredata  da  perizia
asseverata  da  tecnico  abilitato,  di  concerto  con  1'Assessorato
regionale del territorio e dell'ambiente e dell'Assessorato regionale
dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione entro il
termine di sessanta giorni. Ove tecnicamente strettamente  necessario
il piano di messa in sicurezza potra' interessare le aree contermini. 
    2. Sino all'approvazione dei relativi piani  di  gestione  e,  in
ogni caso, per non piu' di due anni, qualora non sia stato completato
il programma di coltivazione  autorizzato  per  l'esercizio  di  cave
ricadenti in ambiti di siti di importanza comunitaria (SIC), zone  di
speciale conservazione (ZSC) e zone di protezione speciale (ZPS),  le
autorizzazioni rilasciate dal Distretto minerario sono  prorogate  di
diritto sino al completamento del programma medesimo, fatte salve  le
valutazioni di incidenza di cui all'art. 1 della  legge  regionale  8
maggio 2007, n. 13. 
    3. Per le finalita' di cui ai commi 1 e 2, entro il  sessantesimo
giorno antecedente alla  data  di  scadenza  dell'autorizzazione,  il
titolare della medesima comunica al Distretto minerario  la  volonta'
di proseguire l'attivita' estrattiva fino al completamento del  piano
di coltivazione precedentemente autorizzato, allegando una  relazione
tecnica contenente  il  programma  di  utilizzazione  del  giacimento
residuo. Il Distretto minerario  autorizza  la  proroga  nel  termine
perentorio di sessanta giorni dal  ricevimento  della  comunicazione,
previa verifica della sussistenza dei requisiti di legge di chi ne fa
richiesta. La proroga e' autorizzata solo nei casi in cui  sia  stata
estratto almeno il 60 per cento del volume  assentito  con  la  prima
autorizzazione. 
    La norma sopratrascritta prevede che, in  caso  di  completamento
del programma di coltivazione  autorizzato,  le  autorizzazioni  gia'
rilasciate siano tutte indistintamente  «prorogate  di  diritto»  con
termini variabili di  durata  e  senza  alcuna  condizione,  sino  al
completamento  del  programma   medesimo,   indipendentemente   dalle
estensione   delle   aree   interessate   e   dall'eventuale   regime
vincolistico degli ambiti territoriali in cui le stesse ricadono. 
    Al riguardo si ritiene utile evidenziare che con l'art. 91,  l.r.
n. 6/2001 il legislatore siciliano  ha  introdotto  la  procedura  di
valutazione di impatto ambientale in ossequio alle disposizioni della
direttiva comunitaria  27  giugno  1985  82/337/CEE,  concernente  la
V.I.A. di determinati progetti pubblici  e  privati  (successivamente
modificata dalla direttiva comunitaria  3  marzo  1997,  97/11/CE)  e
secondo le disposizioni stabilite dal d.P.C.m. 3 settembre 1999. 
    Orbene, poiche' l'art. 1 della legge teste' approvata costituisce
una sostanziale deroga alla normativa di attuazione di una  direttiva
comunitaria, e' necessario verificare  se  la  prevista  «proroga  di
diritto»,  comportando  l'esclusione  dalla  ordinaria  procedura  di
valutazione di impatto ambientale,  si  ponga  in  contrasto  con  la
direttiva stessa. 
    All'uopo occorre procedere ad un'analisi preliminare della  norma
comunitaria per verificare quali  sono  i  principi  ed  i  contenuti
vincolanti per gli Stati membri e  quali  gli  eventuali  margini  di
discrezionalita' concessi in ordine all'individuazione  dei  progetti
da sottoporre alla valutazione di impatto ambientale. 
    La direttiva 83/337/CEE, modificata dalle direttive  97  novembre
CE e 2003/35/CE, ha introdotto i  principi  generali  di  valutazione
d'impatto ambientale per completare  e  coordinare  le  procedure  di
autorizzazione dei progetti pubblici e privati che possono  avere  un
rilevante impatto sull'ambiente. 
    La direttiva contiene l'elenco delle opere da sottoporre a V.I.A.
In particolare nell'allegato I sono individuate le opere per le quali
la V.I.A. e' obbligatoria in tutto il territorio dell'Unione  Europea
(art. 4, n. 1) e nell'allegato II sono enumerati  i  progetti  per  i
quali gli Stati membri devono stabilire, caso per caso,  mediante  un
esame del progetto o mediante soglia o criteri dagli stessi  fissati,
se il progetto debba  essere  sottoposto  a  valutazione  di  impatto
ambientale (art. 4,  n.  2)  sulla  base  dei  criteri  di  selezione
riportati nell'allegato III. 
    Per una migliore ricognizione dei motivi  che  hanno  indotto  la
Comunita' europea a predisporre l'obbligatorieta' della procedura  di
V.I.A. per determinati progetti si Ritiene utile riportare di seguito
alcuni passi delle premesse alla direttiva: 
        «Il consiglio della Comunita'  europea:  considerando  che  i
programmi d'azione della Comunita' europea in materia ambientale  del
1973, del 1976 e del 1983, i cui  orientamenti  generali  sono  stati
approvati dal Consiglio della Comunita' europea e dai  rappresentanti
dei governi degli Stati membri, sottolineano che la migliore politica
ecologica consiste nell'evitare fin dall'inizio inquinamenti ed altre
perturbazioni, anziche' combatterne successivamente  gli  effetti,  e
affermano che in tutti i processi  tecnici  di  programmazione  e  di
decisione si deve tenere subito conto delle  eventuali  ripercussioni
sull'ambiente, che a tal fine prevedono l'adozione di  procedure  per
valutare queste ripercussioni (...); considerando che 1'esistenza  di
disparita' tra le legislazioni vigenti negli Stati membri in  materia
di valutazione ambientale dei progetti pubblici e privati puo' creare
condizioni di concorrenza  ineguali  e  avere  percio'  un  incidenza
diretta sul funzionamento del mercato comune, previsto dall'art.  100
del trattato (...),  considerando  che  occorre  introdurre  principi
generali  di  valutazione  dell'impatto  ambientale  allo  scopo   di
completare e coordinare le procedure di autorizzazione  dei  progetti
pubblici  e  privati  che  possono   avere   un   impatto   rilevante
sull'ambiente (...);  considerando  che  i  principi  di  valutazione
ambientale devono essere armonizzati, in particolare per  quello  che
riguarda  i  progetti  da  sottoporre  a  valutazione,  i  principali
obblighi dei committenti e  il  contenuto  della  valutazione  (...);
considerando che, per i  progetti  soggetti  a  valutazione,  debbono
essere  fornite  determinate  informazioni  essenziali  relative   al
progetto e alle sue ripercussioni (...), considerando che gli effetti
di un progetto sull'ambiente debbono essere valutati  per  proteggere
la salute umana, contribuire con un migliore ambiente  alla  qualita'
della vita, provvedere al mantenimento della varieta' della specie  e
conservare la capacita' di  riproduzione  dell'ecosistema  in  quanto
risorsa essenziale di vita; ha adottato la presente direttiva (...)». 
    Al riguardo, non puo' non evidenziarsi come l'introduzione  della
V.I.A obbligatoria abbia risolto alcune  criticita'  dell'ordinamento
derivanti dalla disarmonia tra le procedure  ambientali  di  progetti
pubblici e privati rilevanti per l'ambiente. 
    Per quanto attiene nello specifico ai progetti aventi ad  oggetto
le cave, la direttiva: 
        1) assoggetta a V.I.A. obbligatoria  i  progetti  relativi  a
«cave e attivita' minerarie a cielo aperto con  superficie  del  sito
superiore a 25 ettari» (allegato I, punto 19); 
        2) sottopone ad una verifica, al fine  di  procedere  o  meno
alla V.I.A., i progetti aventi ad oggetto «cave, attivita'  minerarie
a cielo aperto e torbiere (progetti non  compresi  nell'allegato  I)»
(allegato I, punto 2, lett. a). 
    Pertanto mentre per i progetti sub 1) e' indiscutibile che  tutti
debbano essere assoggettati a V.I.A. obbligatoria, potendo  lo  Stato
membro soltanto introdurre soglie piu' severe di quelle  comunitarie,
come disposto dal d.P.R. 12 aprile 1998  e  s.m.i.,  applicato  dalla
Regione Siciliana, che sottopone a V.I.A. le «cave e torbiere con piu
di 500.000 mc/a  di  materiale  estratto  o  di  un'area  interessata
superiore a 20 h». 
    Per quanto attiene invece alla fattispecie sub  2)  la  Corte  di
giustizia europea con costante giurisprudenza (ex  plurimis  sentenza
16 settembre 1999 n. 435) ha chiarito  che  non  e'  consentito  agli
Stati membri, «dispensare a priori e globalmente dalle  procedure  di
V.I.A. determinate classi  di  progetti,  elencati  nell'allegato  II
della Direttiva 85/337/CEE, ovvero sottrarre alla suddetta  procedura
uno specifico progetto in forza di un atto  legislativo  nazionale  o
sulla base di un esame in concreto del progetto». 
    Costante  e  consolidata  giurisprudenza  nazionale  ha  altresi'
precisato che l'art. 4, n. 2 ed il relativo allegato della  direttiva
85/337/CEE devono interpretarsi nel senso che gli Stati  membri  sono
tenuti ad assoggettare alla V.I.A. i progetti previsti  nell'allegato
stesso   che   «siano   capaci   di   provocare   impatti   rilevanti
sull'ambiente» (Consiglio di Stato, sez. VI,  sentenza  28  settembre
2001 n. 5169). 
    Inoltre secondo la Corte di  giustizia,  gli  Stati  membri,  per
quanto concerne i progetti di cui all'allegato  II  della  direttiva,
possono fissare criteri o soglie che pero' «non  hanno  lo  scopo  di
sottrarre anticipatamente all'obbligo di  valutazione  talune  classi
complete di progetti elencati nell'allegato II,  che  si  prevede  di
attuare nel territorio di uno Stato membro, ma mirano  unicamente  ad
agevolare  la  valutazione  delle  caratteristiche  complete  di   un
progetto al fine di stabilire  se  sia  soggetto  al  detto  obbligo»
(decisione n. 133/94 del 2 maggio 1996). 
    L'art.  2,  n.  3  della  direttiva  contempla,  per  determinati
progetti,  in  margini  ristretti  e   per   casi   eccezionali,   la
possibilita' di deroga alla V.I.A. a condizione  che  la  Commissione
sia informata prima del rilascio dell'autorizzazione dei  motivi  che
giustificano l'esenzione. 
    Alla luce di quanto esposto, l'art. 1 della delibera  legislativa
di cui  trattasi  appare  eccedere  il  margine  di  discrezionalita'
concesso al legislatore dagli artt. 2 e 4  della  direttiva,  poiche'
sottrae di fatto ed a  priori,  con  l'artificio  della  «proroga  di
diritto», la categoria delle autorizzazioni scadute o  prossime  alla
scadenza che  non  hanno  completato  il  programma  di  coltivazione
autorizzato  e  che  andrebbero  piuttosto   soggette,   qualora   ne
sussistano  i  presupposti,  alle  procedure  per  il  rinnovo,   con
conseguente valutazione degli interessi pubblici coinvolti e verifica
preventiva delle situazioni vincolistiche e di  assetto  territoriale
dei luoghi, eventualmente sopravvenute nel  periodo  di  vigenza  del
provvedimento autorizzatorio originario. 
    I progetti di cave, le cui autorizzazioni sarebbero «prorogate di
diritto» potrebbero peraltro essere  stati  approvati,  nel  rispetto
della normativa all'epoca vigente e alle preesistenti  situazioni  di
ordine ambientale, senza preventiva procedura di V.I.A. o di verifica
di impatto ambientale, nonche'  alla  valutazione  di  compatibilita'
paesaggistica prevista dall'art. 146 del d.lgs. 22 gennaio  2004,  n.
42, come sostituito dall'art. 16 del d.llgs. 24 marzo 2006, n. 157. 
    Ed invero dai chiarimenti forniti dall'amministrazione regionale,
ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. n. 488/1969, (all. I) si  evince  che
avrebbero diritto alla proroga  per  la  prosecuzione  dell'attivita'
estrattiva nel periodo 2008/2010, 68 attivita' di cave, pari a  circa
il  12%  di  quelle  autorizzate  ed  in  esercizio  sul   territorio
regionale, di cui alcune di grandi dimensioni e/o ricadenti  in  aree
protette (ZPZ e S.I.C.) ed altre mai sottoposte a procedure di V.I.A.
o di verifica in quanto precedenti all'entrata in vigore  del  d.P.R.
del 1996. 
    Va altresi' posto in evidenza  che  codesta  ecc.ma  Corte  nella
sentenza n. 273 del 1998 ha chiarito che: 
        «Secondo 1'ordinamento italiano, peraltro  interpretabile  in
logico collegamento con la direttiva comunitaria  85/337/CEE  del  27
giugno 1985, la materia della valutazione d'impatto  ambientale,  pur
potendosi articolare in una  molteplicita'  di  discipline  regionali
resta regolata, per i progetti di  opere  pubbliche  di  rilievo  non
elevato, dall'art. 40, legge 22 febbraio 1994, n. 146 (la norma ha ad
oggetto i progetti inclusi  nell'allegato  11  alla  direttiva),  che
costituisce la base normativa dell'atto di indirizzo e  coordinamento
governativo approvato con d.P.R. 12 aprile  1996,  la  qualificazione
d'importanza dell'impatto ambientale per i predetti  progetti  e'  il
risultato di un apprezzamento  tecnico-discrezionale  necessariamente
unitario su tutto il territorio dello Stato e, come tale, impegna  le
regioni e le province autonome all'interno della ragionevole banda di
oscillazione del trenta per cento in piu' o in meno  prestabilita  in
quell'atto di indirizzo». 
    Si ritiene di  dover  sottolineare  al  riguardo  che  norme  che
realizzano  effetti  innovativi  sui  livelli   di   sicurezza,   che
dovrebbero  essere   identici   nell'intero   territorio   nazionale,
potrebbero nei fatti realizzare alterazioni sotto  il  profilo  della
concorrenza in danno di quelle imprese che si trovano ad  operare  in
regioni la cui disciplina piu' gravosa costringe ad affrontare  oneri
maggiori. 
    Al fine di prevenire l'obiezione che la natura di «proroga» e non
di «nuova autorizzazione» degli atti  in  questione  possa  valere  a
sottrarli dall'ambito applicativo della direttiva, si  ritiene  utile
svolgere le seguenti considerazioni. 
    La durata di ogni singola autorizzazione e' elemento fondamentale
del  provvedimento  autorizzativo,  alla  scadenza   del   quale   e'
diritto-dovere dell'amministrazione competente verificare l'eventuale
mutamento delle condizioni territoriali ed  ambientali,  nonche'  gli
aggiornamenti intervenuti sul quadro normativo di  riferimento  prima
di potere assumere una qualsiasi decisione liberatoria  sia  pure  in
termini prescrittivi o, in alternativa, interdittivi. 
    Il limite temporale di un'autorizzazione  all'esercizio  di  cava
dunque  e'  il  punto  cronologico  oltre   il   quale   l'intervento
autorizzativo cessa di esistere. 
    Prorogare il termine di un'autorizzazione comporta  una  modifica
sostanziale che per la direttiva 85/337/CE, secondo la giurisprudenza
della Corte di giustizia europea, deve essere considerata come  nuova
autorizzazione (decisione 7 gennaio 2004 n. 201/02, punti  44-47)  da
sottoporre alle procedure stabilite dalla  normativa  vigente  e  nel
caso specifico dalla direttiva medesima (V.I.A. o verifica di  V.I.A.
a seconda dei casi). 
    La Corte di giustizia, nella richiamata sentenza, nel chiarire la
nozione  di  «autorizzazione»  ha  precisato  che  sarebbe  contrario
all'effetto utile della direttiva sottrarre alla V.I.A. provvedimenti
che al di la' del nomen iuris hanno comunque  un  effetto  abilitante
nel  senso  che  il  privato,  in  assenza  di  un   atto   esplicito
dell'amministrazione, non potrebbe avviare  l'attivita'.  I  predetti
provvedimenti,    comunque    denominati,    costituiscono    «nuove»
autorizzazioni in senso «sostanziale» per cui le autorita' competenti
hanno l'obbligo  di  effettuare,  qualora  occorra,  una  valutazione
dell'impatto ambientale. 
    Nella recente sentenza di luglio del 2008 nella causa c215/06, la
Corte di giustizia nel punto n. 49 ha  altresi'  affermato  che  «gli
Stati membri devono attuare la direttiva 85/337  modificata  in  modo
pienamente conforme ai precetti da essa stabiliti tenendo  conto  del
suo obiettivo essenziale che consiste nel garantire  che,  prima  del
rilascio di un'autorizzazione per progetti, per i  quali  si  prevede
notevole impatto ambientale, per natura, dimensione o ubicazione, sia
prevista un'autorizzazione e una valutazione di impatto (in tal senso
anche le sentenze 19 settembre 2000 causa c 287/98 e 23 novembre 2006
causa c486/04). 
    Dimostrata con  le  suesposte  argomentazioni  la  difformita'  e
conseguente  violazione  dei  principi  della  direttiva  comunitaria
85/337/CE  delle  norme   contenute   all'art.   1   della   delibera
legislativa, va  rilevato  che  le  stesse  violano  l'art.  9  della
Costituzione poiche' non assicurano la dovuta  tutela  dell'ambiente.
Esse infatti escludono sostanzialmente la possibilita' di  verificare
l'eventuale   compromissione   del   territorio    derivante    dalla
prosecuzione di diritto  dell'attivita'  estrattiva  ed  addirittura,
consentono attivita' all'interno di giacimenti minerari dismessi  nel
dichiarato intento di assicurarne l'abbandono in sicurezza, ancorche'
gia' non rilasciati in «sicurezza», sulla base di una  richiesta  del
privato corredata da perizia asseverata da tecnico abilitato. 
    Con  le  disposizioni  in  questione  il  legislatore   regionale
esorbita dalla competenza attribuitagli  dallo  Statuto  Speciale  in
materia di miniere, cave e torbiere introducendo una implicita deroga
alla procedura di V.I.A. e di verifica di V.I.A. in palese dissonanza
con quanto prescritto dagli artt. 23 e 32 del d.lgs. n. 152/2006. 
    La Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato
la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (art. 117,  secondo  comma,
lett. s). 
    Secondo la consolidata giurisprudenza di  codesta  ecc.ma  Corte,
confermata nella  pronuncia  n.  378  del  2007,  spetta  allo  Stato
disciplinare l'ambiente come una entita'  organica,  dettare,  cioe',
norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti
considerate  come  parti  del  tutto.  La   disciplina   unitaria   e
complessiva del bene ambientale inserisce  infatti  ad  un  interesse
pubblico  di   valore   costituzionale   primario   (Sentenza   Corte
costituzionale   n.   151/1986)   ed   assoluto    (sentenza    Corte
costituzionale n. 210/1987) e deve garantire, cosi' come prescrive il
diritto  comunitario,  un  elevato  livello  di  tutela,  come   tale
inderogabile da altre discipline di settore. 
    La disciplina unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa  in
via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella  dettata  dalle
regioni o dalle province autonome in materie di competenza propria ed
in riferimento ad altri interessi. Cio' comporta  che  la  disciplina
ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva
dello Stato, investendo l'ambiente nel complesso e  quindi  anche  in
ciascuna sua parte, viene ad operare come un limite  alla  disciplina
che le regioni dettano in altre materie di loro competenza. 
    Pertanto nelle materie oggetto di disciplina della presente legge
anche  il  legislatore   siciliano   nell'esercizio   della   propria
competenza legislativa esclusiva  e'  sottoposto  al  rispetto  degli
standards  minimi  ed  uniformi  di  tutela  posti  in  essere  dalla
legislazione nazionale ex art. 117, secondo  comma,  lett.  s)  della
Costituzione, oltre che al rispetto della  normativa  comunitaria  di
riferimento, secondo quanto disposto dall'art. 117, primo comma della
Costituzione. 
    L'art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001 ha sancito che: 
        «sino all'adeguamento dei rispettivi statuti le  disposizioni
della presente legge costituzionale si applicano anche alle regioni a
statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per
le parti in cui prevedono forme di autonomia piu'  ampia  rispetto  a
quelle gia' attribuite». 
    Lo  statuto  speciale  siciliano  non  prevede  espressamente  la
materia ambiente e pertanto necessita verificare, di volta in  volta,
sotto quale aspetto la tutela ambientale venga  considerata,  poiche'
la Regione Siciliana gode di competenza esclusiva  sotto  il  profilo
urbanistico, della tutela del paesaggio e delle cave e miniere. 
    Orbene poiche' la normativa  censurata,  sebbene  direttamente  e
specificatamente riconducibile alla materia delle cave,  investe  non
solo la complessiva tutela dell'ambiente, ma anche il rispetto  della
normativa  comunitaria  e  la  tutela  del  principio  della   libera
concorrenza, deve concludersi che nel caso specifico,  la  disciplina
degli standards minimi  di  tutela  uniformi  sull'intero  territorio
nazionale sia attribuita allo Stato  anche  per  quanto  riguarda  la
Sicilia. 
    L'art. 1 della delibera legislativa e' altresi' censurabile sotto
il  profilo  dell'art.   97   della   Costituzione   in   quanto   le
autorizzazioni una volta venute a scadenza, richiedono il rinnovo  di
un procedimento del tutto autonomo secondo procedure concorsuali  che
non possono essere derogate a favore del precedente destinatario  del
provvedimento non sussistendo per l'amministrazione alcun obbligo  di
accedere  alla  richiesta   di   quest'ultimo,   ben   potendo   essa
determinarsi in senso negativo sia per  ragioni  soggettive  sia  per
motivi di pubblico interesse (Consiglio di Stato, sez. IV sentenza n.
952 del 15 giugno 98 T.a.r. Toscana, sez. I, sentenza n.  79  del  24
aprile 97). 
    La disposizione teste' approvata e' pertanto in conflitto con  il
principio di buon andamento della p.a. di cui all'articolo  97  della
Costituzione giacche' impedisce agli organi amministrativi competenti
di svolgere una adeguata istruttoria e di procedere alla ponderazione
dei diversi interessi coesistenti, privilegiando invece la tutela  di
quelli economici del privato imprenditore, che peraltro potrebbe  non
avere completato il programma di coltivazione delle  cave  anche  per
propria negligenza e disinteresse. 
    Anche la disposizione dell'art. 3, secondo comma  della  delibera
legislativa in questione e' da ritenere in contrasto  con  l'art.  97
della Costituzione. Essa infatti recita come segue: 
        «Dopo il  comma  3  dell'art.  29  della  legge  regionale  9
dicembre 1980, n. 127, e' inserito il seguente  comma:  ''3-bis)  nei
casi  di  sconfinamento  accidentale  dal  progetto  di  coltivazione
autorizzato, le disposizioni del comma 3 si applicano solo  nei  casi
di recidiva''». 
    L'art.  29  della  legge  regionale  9  dicembre  1980,  n.  127,
contenente il corpus organico di  norme  circa  la  disciplina  delle
attivita' estrattive e della coltivazione delle cave e del  materiale
lapideo  di  pregio,  individua  nel  primo  comma  l'esercizio   non
autorizzato dell'attivita' di escavazione  o  la  prosecuzione  della
medesima dopo la notifica del provvedimento di decadenza o di  revoca
quali comportamenti illeciti da cui deriva l'ordinanza  di  immediata
sospensione dei lavori e la  contestuale  informazione  all'autorita'
giudiziaria competente da parte  dell'ingegnere  capo  del  distretto
minerario. 
    Unitamente al  provvedimento  di  sospensione  dei  lavori  viene
disposta a carico del trasgressore  l'applicazione  di  una  sanzione
amministrativa, il cui importo e' raddoppiato in caso di  recidiva  e
triplicato in seguito,  nonche'  aumentato  della  meta'  qualora  il
trasgressore prosegua nell'attivita' di escavazione (secondo comma). 
    Contestualmente alla suddetta pena  pecuniaria  e'  prevista  dal
terzo comma  l'esclusione  del  responsabile  dell'illecito,  per  un
periodo  di  dieci  anni,   dalla   possibilita'   di   ottenere   il
provvedimento  di  autorizzazione  alla  coltivazione  di  giacimenti
minerari e di cave sull'intero territorio regionale. 
    Il combinato disposto della norma censurata con  il  terzo  comma
dell'art. 29 della legge regionale 9 dicembre 1980, n.  127  comporta
quindi il venir meno della menzionata sanzione dell'esclusione per un
periodo di dieci anni dalla possibilita' di ottenere l'autorizzazione
per coloro i  quali  abbiano  svolto  attivita'  di  escavazioni  non
autorizzate  qualora  cio'  sia  avvenuto  per   uno   «sconfinamento
accidentale» rispetto al progetto autorizzato. 
    L'estrema genericita' della fattispecie esimente e  l'assenza  di
elementi obiettivi sulle dimensioni dello sconfinamento e  sulle  sue
conseguenze inducono a ritenere  la  norma  non  compatibile  con  il
principio  di  cui  all'art.  97  della  Costituzione.  Essa  infatti
potrebbe essere invocata a  buon  diritto,  e  indipendentemente  dal
danno ambientale arrecato, anche da coloro i quali, per imprudenza  o
imperizia,   ma   «accidentalmente»,   abbiano   sconfinato,    anche
ampiamente, dal giacimento autorizzato. 
    La disposizione inoltre potrebbe dare luogo a dubbi ed incertezze
nell'attuazione ingenerando difformita' applicative, poiche'  rimette
alla   discrezionalita'   dell'organo   accertatore    la    verifica
dell'accidentalita' dello sconfinamento. 
                              P. Q. M. 
    Con riserva di presentazione di memorie illustrative nei  termini
di legge, il sottoscritto prefetto dott. Alberto Di Pace, Commissario
dello Stato per la Regione Siciliana, ai  sensi  dell'art.  28  dello
statuto speciale,  con  il  presente  atto  impugna  i  sottoelencati
articoli del disegno di legge n. 133 dal  titolo  «Norma  transitoria
sulle autorizzazioni all'esercizio di cava» approvato  dall'Assemblea
Regionale Siciliana il 25 novembre 2008: 
        l'art. 1, per violazione degli artt. 9, 11, 97, 117  primo  e
secondo comma lett. e) ed s) della Costituzione nonche' dell'art.  14
dello statuto speciale; 
        l'art. 3, secondo comma per  violazione  dell'art.  97  della
Costituzione. 
          Palermo, addi' 28 novembre 2008 
    Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana: Di Pace