N. 6 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 ottobre 2008

Ordinanza del 30 ottobre 2008  emessa  dal  Tribunale  di  Lucca  nel
procedimento  civile  promosso  da  Pieraccini  Paolo  contro   Cassa
Nazionale Forense. 
 
Previdenza - Atti e deliberazioni adottati dagli  enti  previdenziali
  di cui all'art. 1, comma 763,  della  legge  finanziaria  2007,  ed
  approvati dai Ministeri  vigilanti  prima  dell'entrata  in  vigore
  della legge  stessa  -  Previsione  di  salvezza  degli  effetti  -
  Incidenza su diritto fondamentale della persona  -  Violazione  del
  principio di uguaglianza, per disparita' di trattamento  e  lesione
  del principio di  affidamento  e  delle  legittime  aspettative  di
  lavoratori gia' in quiescenza per la sanatoria di atti  ab  origine
  illegittimi - Lesione  del  diritto  di  difesa  e  della  garanzia
  previdenziale - Richiamo alla ordinanza della Corte n. 124/2008  di
  manifesta inammissibilita' di identica  questione  sollevata  dallo
  stesso giudice rimettente in diverso giudizio. 
- Legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, secondo periodo. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 24 e 38. 
(GU n.4 del 28-1-2009 )
                             IL TRIBUNALE 
    Nella causa n. 779/2006 promossa da  Pieraccini  Pierpaolo  (Avv.
Gian Marco Sbrana), ricorrente, contro Cassa Nazionale Forense  (Avv.
Giovanni Del Seppia, Massimo Luciani), convenuto, all'udienza del  30
ottobre 2008 ha pronunziato la seguente ordinanza. 
    Premesso  che  con  ricorso  depositato  il  19  giugno  2006  il
ricorrente ha chiesto accertarsi il  diritto  alla  restituzione  dei
contributi versati ex art. 21 della legge n. 576/1980,  deducendo  la
illegittimita' della delibera del Comitato dei delegati  della  Cassa
nazionale di previdenza e assistenza forense del 28 febbraio  2003-23
luglio 2004 (successivamente integrata con delibera del  13  novembre
2004), con la quale e' stato soppresso il diritto  alla  restituzione
dei contributi versati, prevedendo in  sostituzione  l'erogazione  di
una pensione a base contributiva; 
        che la legge 20 settembre 1980, n. 576 («Riforma del  sistema
previdenziale forense») all'art. 21 («Restituzione  dei  contributi»)
dispone: 
          «Coloro che cessano dall'iscrizione alla Cassa  senza  aver
maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione  hanno
diritto di ottenere il rimborso dei contributi di  cui  all'art.  10,
nonche' degli eventuali  contributi  minimi  e  percentuali  previsti
dalla precedente legislazione, esclusi quelli di cui alla  tabella  E
allegata alla legge 22 luglio 1975, n. 319. 
          Sulle somme da rimborsare e' dovuto l'interesse legale  dal
1° gennaio successivo ai relativi pagamenti»; 
        che il diritto  alla  restituzione  dei  contributi  previsto
dalla specifica disposizione di legge costituisce, come  riconosciuto
dalla stesa difesa di  parte  convenuta,  un  particolare  beneficio,
eccezionalmente previsto dalla legge a favore dei  soggetti  iscritti
alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense (vedi  anche,
in motivazione, Corte cost., 9 dicembre 2005, n.439); 
        che  il  Comitato  dei  delegati  della  Cassa  nazionale  di
previdenza e assistenza forense in data 28  febbraio  2003  approvava
una prima delibera con la  quale  era  soppresso  tale  diritto  alla
restituzione   dei   contributi   versati,   sostituendolo   con   la
corresponsione di una pensione a carattere contributivo;  tale  prima
delibera del 23 febbraio 2003 veniva sottoposta  ad  osservazioni  da
parte del Ministero del lavoro, che richiedeva una serie di modifiche
ed emendamenti (vedi doc. 3 di  parte  convenuta);  le  richieste  di
modifiche ed emendamenti erano accolte dal Comitato dei delegati  con
la delibera del 23 luglio 2004 e  tale  delibera  era  approvata  dai
Ministeri vigilanti (vedi doc. 2 di parte convenuta); 
        che in base alla delibera del 23 luglio 2004 il  nuovo  testo
dell'art. 4 del regolamento generale della Cassa (in chiaro contrasto
con il disposto dell'art. 21 della legge n.  576/1980  in  precedenza
richiamato), con decorrenza dal primo dicembre 2004, recita: 
          «Art.   4:   Restituzione   dei   contributi   e   pensione
contributiva  - 1. Tutti i  contributi  versati  legittimamente  alla
Cassa  nazionale  di  previdenza  ed  assistenza  forense  non   sono
restituibili all'iscritto o ai suoi aventi  causa,  ad  eccezione  di
quelli relativi agli anni  di  iscrizione  dichiarati  inefficaci  ai
sensi dell'art. 22, ultimo comma, legge n. 576/1980. 
          2. Gli iscritti che abbiano compiuto il 65° anno di eta'  e
maturato piu' di cinque anni ma meno  di  trenta  anni  di  effettiva
iscrizione e contribuzione  alla  Cassa  nazionale  di  previdenza  e
assistenza forense e che non si  siano  avvalsi  dell'istituto  della
ricongiunzione ovvero della totalizzazione, hanno diritto a  chiedere
la  liquidazione  di  una  pensione   calcolata   con   il   criterio
contributivo, salvo  che  intendano  proseguire  nei  versamenti  dei
contributi al fine di raggiungere una maggiore anzianita' o  maturare
prestazioni di tipo retributivo»; 
        che, con riferimento alla disciplina previgente,  la  suprema
Corte aveva gia' avuto modo di chiarire  che  «in  tema  di  potesta'
normativa degli enti previdenziali privatizzati, le  disposizioni  in
tema di privatizzazione dei soggetti gestori di forme obbligatorie di
previdenza e assistenza (artt. 2 e 3, d.lgs. n.  509  del  1994)  non
hanno attribuito agli enti privatizzati il potere di  incidere  sulla
disciplina sostanziale di tali assicurazioni (v. Corte cost.  n.  248
del 1997 e sent. n. 15 del 1999), ne' sulla normativa in  materia  di
contributi e prestazioni, salvi i poteri di cui essi,  eventualmente,
gia' disponessero, sulla base della normativa preesistente. La  legge
n. 335 del 1995 ha, poi, perfezionato le  disposizioni  dirette  alla
garanzia di stabilita' di bilancio  dei  predetti  enti,  attribuendo
incisivi poteri in materia  di  contributi  e  prestazioni  quali  si
evincono dal riferimento, sub art. 3, comma 12, legge n. 335 del 1995
citata, alla "riparametrazione dei coefficienti di  rendimento  o  di
ogni altro criterio di determinazione del trattamento  pensionistico,
nel rispetto del principio del pro rata, in relazione alle anzianita'
gia' maturate rispetto all'introduzione delle modifiche derivanti dai
provvedimenti suddetti". Ne consegue che,  alla  stregua  del  tenore
letterale  della  menzionata  disposizione,   i   poteri   attribuiti
riguardano i criteri di determinazione della misura  dei  trattamenti
pensionistici e non anche i requisiti per l'accesso ai medesimi o per
la loro concreta fruizione. Ne' tale conclusione  e'  smentita  dalla
successiva  disposizione  dello   stesso   comma,   in   materia   di
pensionamenti anticipati di anzianita', per i quali e' prevista,  con
efficacia retroattiva, l'estensione  di  disposizioni  sui  requisiti
minimi di eta' e di contribuzione di cui dall'art. 1, commi 17 e  18,
della citata legge n. 335 del 1995» (vedi Cass. civ., sez. lavoro,  5
aprile 2005, n. 7010); 
        che in effetti la delibera del Comitato dei delegati  non  si
era  limitata   a   introdurre   una   «variazione   delle   aliquote
contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di
ogni altro criterio di determinazione del trattamento  pensionistico»
(art. 3, comma 12, legge n. 335 del 1995) ovvero  a  «determinare  la
misura e il metodo di calcolo delle prestazioni a favore degli aventi
diritto,  fissare  l'entita'  dei  contributi  dovuti,  stabilire  le
modalita' delle relative corresponsioni» (vedi art. 11, comma secondo
lettera d) dello Statuto), ma aveva escluso un  autonomo  e  distinto
beneficio gia' riconosciuto da norma di legge, sostituendolo  con  un
diverso trattamento; 
        che, quindi, sulla base della normativa  vigente  al  momento
della proposizione del ricorso, la domanda  del  ricorrente  appariva
fondata e meritevole di accoglimento; 
        che in corso di causa e' intervenuta  la  legge  27  dicembre
2006, n. 296 «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)»,  che  all'art.  1,
comma 763 testualmente dispone:  «All'articolo  3,  comma  12,  della
legge 8 agosto 1995, n. 335, il  primo  e  il  secondo  periodo  sono
sostituiti dai seguenti: "Nel  rispetto  dei  principi  di  autonomia
affermati dal decreto legislativo 30  giugno  1994,  n.  509,  e  dal
decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, e con esclusione  delle
forme   di   previdenza   sostitutive   dell'assicurazione   generale
obbligatoria, allo scopo di assicurare l'equilibrio  di  bilancio  in
attuazione di quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, del  suddetto
decreto legislativo n. 509 del 1994,  la  stabilita'  delle  gestioni
previdenziali di cui ai predetti decreti legislativi e' da ricondursi
ad un arco temporale  non  inferiore  ai  trenta  anni.  Il  bilancio
tecnico di cui al predetto articolo 2, comma  2, e'  redatto  secondo
criteri determinati con decreto  del  Ministro  del  lavoro  e  della
previdenza sociale di concerto con il Ministro dell'economia e  delle
finanze, sentite le associazioni e le fondazioni  interessate,  sulla
base  delle  indicazioni  elaborate  dal  Consiglio  nazionale  degli
attuari nonche' dal Nucleo di valutazione della spesa  previdenziale.
In esito alle risultanze e  in  attuazione  di  quanto  disposto  dal
suddetto articolo 2, comma 2, sono adottati dagli  enti  medesimi,  i
provvedimenti   necessari   per   la   salvaguardia   dell'equilibrio
finanziario di lungo termine, avendo presente il  principio  del  pro
rata  in  relazione  alle anzianita'  gia'  maturate  rispetto   alla
introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti  suddetti  e
comunque tenuto conto dei criteri  di gradualita'  e  di equita'  fra
generazioni.  Qualora  le  esigenze  di  riequilibrio   non   vengano
affrontate, dopo aver sentito l'ente interessato e la valutazione del
Nucleo di  valutazione  della  spesa  previdenziale,  possono  essere
adottate le misure di  cui  all'articolo  2,  comma  4,  del  decreto
legislativo 30 giugno 1994, n. 509". Sono fatti salvi gli atti  e  le
deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui  al
presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della  data
di entrata in vigore della presente legge»; 
        che la convenuta Cassa Forense ha chiesto  il  rigetto  della
domanda anche sulla base della sopravvenienza, in corso di  giudizio,
dell'art. 1, comma 763 della legge finanziaria per il 2007; 
    Ritenuto   che   deve   sollevarsi,   d'ufficio,   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 763,  secondo  periodo
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 («Sono fatti salvi gli atti e le
deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui  al
presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della  data
di entrata in vigore della presente legge») in relazione  agli  artt.
2, 3, 23, 24, 38 Cost..; 
    Considerato, circa la rilevanza: che, come  esposto,  la  domanda
del ricorrente volta  ad  ottenere  la  restituzione  dei  contributi
versati, in relazione al disposto di cui all'art. 21 della  legge  n.
576/1980 e dell'art. 3, comma dodicesimo  della  legge  335/1995  nel
testo vigente al momento della presentazione  del  ricorso,  appariva
fondata prima della sopravvenienza dell'art. 1,  comma  763,  secondo
periodo della legge 27 dicembre 2006, n. 296; 
        che in effetti l'art. 3,  comma  dodicesimo  della  legge  n.
335/1995 nel testo vigente al momento  dell'adozione  delle  delibere
delle quali il ricorrente contesta la legittimita' prevedeva che  gli
enti   previdenziali    privatizzati    potessero    adottare    solo
«provvedimenti  di  variazione  delle   aliquote   contributive,   di
riparametrazione dei coefficienti  di  rendimento  o  di  ogni  altro
criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto
del principio del pro rata in relazione alle anzianita' gia' maturate
rispetto   alla   introduzione   delle   modifiche   derivanti    dai
provvedimenti suddetti»; 
        che l'art. 1, comma 763 della legge 27 dicembre 2006, n.  296
da un lato, al primo periodo, modifica l'art. 3, comma 12 della legge
n. 335/1995 ampliando considerevolmente l'autonomia ed i poteri degli
enti   previdenziali   privalizzati    (stabilendo    che    possono,
genericamente, essere adottati «tutti i provvedimenti  necessari  per
la  salvaguardia  dell'equilibrio  finanziario  di  lungo  termine»);
dall'altro, contestualmente, al  secondo  periodo,  ha  espressamente
fatto «salvi ... gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale
adottati dagli enti ... ed approvati dai  Ministeri  vigilanti  prima
della data di  entrata  in  vigore  della  presente  legge»  (secondo
periodo del comma 763); 
        che gli atti ed i  provvedimenti  precedentemente  emanati  e
«fatti  salvi»  sono  quelli  gia'  sottoposti  ad  approvazione  dei
Ministeri vigilanti e, quindi, a norma  dell'art.  3,  comma  secondo
decreto legislativo 30 giugno 1994,  n.  509:  «a)  lo  statuto  e  i
regolamenti, nonche' le relative integrazioni o modificazioni; b)  le
delibere in materia di contributi e prestazioni»; 
        che  la  delibera  del  Comitato  dei  delegati  della  Cassa
nazionale di previdenza e assistenza forense del 28 febbraio  2003-23
luglio 2004 della  quale  il  ricorrente  lamenta  la  illegittimita'
rientra tra «gli atti e le  deliberazioni  in  materia  previdenziale
adottati dagli enti ... ed approvati dai  Ministeri  vigilanti  prima
della data di entrata in vigore» della legge finanziaria per il  2007
e quindi tra quelli «fatti salvi» dalla disposizione in esame; 
        questo Tribunale, in altra controversia, aveva gia' sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'  art.  1,  comma  763,
secondo periodo della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (vedi  ordinanza
12 luglio 2007  del  Tribunale  di  Lucca  nei  procedimenti  riuniti
vertenti tra i signori P.  G.  e  P.  L.  e  la  Cassa  nazionale  di
previdenza  ed  assistenza  a  favore   dei   ragionieri   e   periti
commerciali, iscritta  al  n.  700  del  registro  ordinanze  2007  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  40,  prima
serie  speciale,  dell'anno  2007)  e  la  Corte  costituzionale   ha
dichiarato tale questione manifestamente inammissibile, osservando in
motivazione: «e' di tutta evidenza che il  giudice  a  quo  chiede  a
questa Corte un avallo all'interpretazione (non univoca,  ne'  basata
su un diritto vivente) che ritiene deve essere attribuita alla  norma
censurata; che il rimettente, oltretutto,  illustra  diverse  letture
ermeneutiche  della  norma,   cosi'   dando   atto   di   un   dubbio
interpretativo che chiede alla Corte di risolvere; che, pertanto,  la
questione non risulta diretta a dirimere un  dubbio  di  legittimita'
costituzionale, ma si risolve nella richiesta alla Corte di  avallare
l'opzione ermeneutica che il remittente, tra le diverse  prospettate,
ritiene preferibile; che, quindi, la questione, cosi' come  proposta,
deve essere dichiarata manifestamente inammissibile» (vedo  ordinanza
30 aprile 2008 n. 124); 
        che la riproposizione della questione -  previa  integrazione
della motivazione - e' possibile addirittura nel corso  del  medesimo
giudizio ed e'  pacifica,  nella  giurisprudenza  costituzionale,  la
emendabilita' delle carenze motivazionali che abbiano  condotto  alla
declaratoria di inammissibilita' (vedi  ad  esempio  Corte  cost.  10
febbraio 2006, n. 50); 
        che questo giudice intende sollevare nuovamente questione  di
legittimita' costituzionale, integrando ed emendando la  motivazione,
al fine di  meglio  chiarire:  a)  l'impossibilita'  di  fornire  una
«interpretazione adeguatrice» in relazione al tenore  testuale  della
disposizione ed agli altri possibili parametri interpretativi ; b) la
insussistenza di qualsiasi «dubbio interpretativo» ovvero intento  di
utilizzare strumentalmente il giudizio  costituzionale  per  avallare
una data interpretazione rispetto ad un'altra, pure possibile; c) che
l'unica interpretazione possibile  della  disposizione  pone  fondati
dubbi di legittimita' costituzionale; 
        che in effetti l'interpretazione adeguatrice  corrisponde  ad
un preciso ed ineludibile dovere del giudice, il quale  e'  tenuto  a
ricavare dalle disposizioni interpretate, tutte le volte che cio' sia
possibile, norme compatibili con  la  Costituzione;  che  il  Giudice
delle leggi ha precisato, a piu' riprese, che «in linea di principio,
le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche'  e'
possibile darne interpretazioni incostituzionali (e  qualche  giudice
ritenga di darne), ma perche' e'  impossibile  darne  interpretazioni
costituzionali» (sentenza n. 356/1966), specificando  che  i  giudici
non possono abdicare all'interpretazione  adeguatrice  (ordinanza  n.
451/1994) e che, nell'adempimento  del  compito  di  interpretare  le
norme di cui devono fare applicazione, «di fronte  a  piu'  possibili
interpretazioni di un sistema normativo, essi sono tenuti a scegliere
quella che risulti conforme a Costituzione» (ordinanza n. 121/1994); 
        che, tuttavia, «l'interpretazione adeguatrice dei giudici  ha
possibilita' di esplicazione soltanto quando una  disposizione  abbia
carattere "polisenso" e da essa sia enucleabile, senza manipolare  il
contenuto  della  disposizione,  una   norma   compatibile   con   la
Costituzione attraverso l'impiego dei canoni  ermeneutici  prescritti
dagli artt. 12 e 14  delle  disposizioni  sulla  legge  in  generale,
mentre nell'impossibilita' di conformare  la  norma  in  termini  non
incostituzionali il giudice non puo' disapplicarla, ma deve rimettere
la questione di legittimita' costituzionale  al  vaglio  del  Giudice
delle leggi»; che, in particolare, il giudice  ordinario,  e'  tenuto
autonomamente  a  verificare,  con  l'uso  di  tutti  gli   strumenti
ermeneutici  dei  quali  dispone,  se  una  data   disposizione possa
realmente assumere un significato costituzionalmente  compatibile  e,
qualora  le  premesse   ermeneutiche   della   soluzione   proclamata
costituzionalmente     obbligata      travalichino      i      limiti
dell'interpretazione letterale-logico-sistematica, il giudice «ha  il
dovere di non attenersi a quella soluzione, per la  decisiva  ragione
che,  in  caso  contrario,  disapplicherebbe  una  norma  vigente   e
arrecherebbe un vulnus ai principi di legalita' e di soggezione  alla
legge» (cosi' in motivazione, Cass., s.u. penali, 17 maggio 2004,  n.
23016); 
        che, pur in assenza, allo stato, di un diritto  vivente,  non
puo' imporsi al giudice di applicare  una  disposizione  secondo  una
interpretazione che, sia pure adottata in altre pronunzie di  merito,
sia tuttavia motivatamente  ritenuta  contraria  al  tenore  testuale
della disposizione  e  travalicante  il  significato  (unico,  lo  si
ripete) che puo' essere  desunto  sulla  base  dei  corretti  criteri
ermeneutici; 
        che, in particolare, nella fattispecie: 
          A)  la  disposizione  non  puo'  essere  intesa  come  mera
«conferma  di  efficacia»  degli  agli  atti  e  deliberazioni   gia'
legittimi secondo la previgente disciplina, in quanto si  tratterebbe
di una sostanziale  interpretatio  abrogans:  una  simile  norma  non
avrebbe  alcuna  ragion  d'essere,  posto  che,  secondo  i  principi
generali, un atto ab origine  legittimo  non  diventa  illegittimo  o
perde efficacia in relazione ad una norma sopravvenuta  che  modifica
(peraltro  nella  sostanza  ampliandolo)  il  potere  e   l'autonomia
dell'organo che ha emesso l'atto; 
          B) la disposizione neppure puo'  essere  interpretata  come
«sanatoria» ma  con  effetti  limitati  al  solo  periodo  successivo
all'entrata in vigore  della  legge,  posto  che, testualmente,  sono
fatti  salvi,  dal  punto  di  vista  oggettivo,  «gli  atti   ed   i
provvedimenti» gia' adottati prima dell'entrata in vigore della legge
e, quindi sono resi, per disposizione di fonte  primaria,  valide  le
deliberazioni assunte  in  precedenza,  con  la  relativa  decorrenza
temporale: la «salvezza» dell'atto  (amministrativo  o  comunque  non
legislativo) disposta con la legge successiva comporta che tale  atto
debba essere considerato legittimo ab  origine,  anche  se  contrario
alla  legge  previgente;  la  «salvezza»  comporta  la  validita'   e
legittimita' sopravvenuta della regolamentazione contenuta  nell'atto
«sanato» con la relativa efficacia temporale; la fonte  primaria  nel
momento in cui «fa salvo» un atto  precedente  alla  sua  entrata  in
vigore ha «naturalmente» (e salva  espressa  disposizione  contraria)
effetto retroattivo, coincidente con quello di  decorrenza  dell'atto
«sanato»; 
        che il secondo periodo del comma 763 della  finanziaria  2007
con la relativa disposizione di «salvezza» degli atti precedentemente
emanati deve  poi  essere  ricollegato,  in  via  di  interpretazione
sistematica,  con  quanto   stabilito   al   periodo   immediatamente
precedente   (ovvero:   ampliamento   dei   poteri   delle   gestioni
previdenziali autonome, per garantire la salvaguardia dell'equilibrio
finanziario di lungo termine  e,  in  particolare,  soppressione  del
vincolo del necessario rispetto del criterio  «pro  rata»,  che  deve
essere solo tenuto  presente  e  contemperato  con  altri  criteri  e
principi, tra i quali l'equita' tra generazioni):  la  ratio  risulta
quindi quella  di  salvaguardare  e  mantenere  ferme  le  precedenti
regolamentazioni gia' approvate in sede  ministeriale,  anche  se  in
ipotesi illegittime secondo la  legge  precedente,  perche'  gia'  in
linea con i nuovi criteri, ovvero «piu' rigorose» dal punto di  vista
dell'arco di tempo di valutazione dell'equilibrio finanziario  e  del
mancato rispetto (almeno in termini  rigidi)  del  criterio  del  pro
rata, a vantaggio delle generazioni future; 
        che, pur in assenza di significativi lavori  preparatori  (la
disposizione non figurava  nel  disegno  di  legge  originario  e  fu
introdotta con il «maxiemendamento» governativo sul quale fu posta la
fiducia), occorre considerare che l'intervento legislativo fu operato
quando era  gia'  insorto  un  nutrito  contenzioso  in  merito  alla
legittimita' delle deliberazioni  assunte  dagli  enti  previdenziali
privatizzati che, per esigenze di  equilibrio  delle  gestioni  e  di
equita'  intergenerazionale,   avevano   introdotto   modifiche   nei
parametri pensionistici anche non nel pieno  rispetto  del  principio
del pro rata ed inciso anche sui requisiti di accesso e fruizione  di
determinati trattamenti pensionistici; 
        che,   quindi,   non   puo'    sussistere    alcun    «dubbio
interpretativo» e l'unica  e  sola  interpretazione  possibile  della
disposizione, avuto riguardo al  «significato  proprio  delle  parole
secondo la connessione di esse» («salvezza»  riferita  oggettivamente
«agli  atti   e   deliberazioni»   precedentemente   emanati),   alla
collocazione sistematica (immediatamente successiva alla introduzione
della possibilita' di adottare «tutti i provvedimenti necessari», con
possibili «deroghe» al principio del «pro  rata»),  alle  circostanze
storiche  relative  alla  emanazione  (contenzioso  in  merito   alla
legittimita' delle delibere che non avevano «rispettato» il principio
del «pro rata») inducono univocamente ad attribuire alla disposizione
il significato di una norma di «sanatoria» con la quale  sono  «fatti
salvi» atti  e  provvedimenti  precedentemente  emanati  (pur  se  in
ipotesi illegittimi per la legislazione previdente),  con  «naturale»
efficacia retroattiva, riferita per relazione alla  decorrenza  degli
atti «sanati»; 
        che, lo si ripete, una diversa interpretazione,  non  essendo
obbiettivamente possibile sulla base dei comuni canonici ermeneutici,
condurrebbe questo giudice a violare i principi  di  legalita'  e  di
soggezione alla legge; 
         che l'unica e sola  interpretazione  coerente  con  il  dato
testuale e sistematico e' quella che la  disposizione  oggetto  della
questione di costituzionalita' (sopravvenuta nel corso del  giudizio)
e' diretta (in piena aderenza con il dato testuale) a far  «salve»  e
«valide»  le  delibere  delle   quali   il   ricorrente   assume   la
illegittimita'  in  base  alla  legge  previgente;  che   quindi   la
disposizione deve trovare applicazione da parte di questo  giudice  e
dall'eventuale  accoglimento  della  questione  di  costituzionalita'
discenderebbe un mutamento nel quadro normativo di riferimento. 
    Considerato,  circa  la non manifesta  infondatezza  che  codesta
Corte ha piu' volte chiarito che «le  leggi  di  sanatoria  non  sono
costituzionalmente precluse in via di  principio  ma  che,  tuttavia,
trattandosi  di  ipotesi   eccezionali,   la   loro   giustificazione
dev'essere  sottoposta  a  uno  scrutinio  particolarmente  rigoroso,
aggiungendo che l'intervento legislativo in  sanatoria  puo'  "essere
ragionevolmente giustificato soltanto dallo stretto collegamento  con
le specifiche peculiarita' del caso" (sent. n. 94 del 1995), cosi' da
doversi "escludere che possa  risultare  arbitraria  la  sostituzione
della disciplina generale - originariamente applicabile - con  quella
eccezionale successivamente emanata" (sent. n.  100  del  1987;  cfr.
anche sent. n. 402 del 1993, sent. n. 346 del 1991 e  sent.  474  del
1988, oltre alla gia' citata  sent.  n.  94  del  1995)»  (cosi',  in
motivazione, la sentenza n. 14/1999); 
        che, in particolare, e' stato precisato :  lo  «scrutinio  di
costituzionalita' estremamente rigoroso» deve essere condotto  «tanto
sotto il profilo del rispetto del principio costituzionale di parita'
di  trattamento,  quanto  sotto  il  profilo  della  salvaguardia  da
indebite interferenze nei  confronti  dell'esercizio  della  funzione
giurisdizionale» (sentenza  n.  94/1995),  sottolineandosi  che  solo
pubblici interessi «possono giustificare sanatorie di atti ab origine
illegittimi (sent. n. 94 del 1995,  402  del  1993,  100  del  1987),
atteso  che  la  volonta'  di  sanatoria,  per  poter  legittimamente
superare, alla stregua dell'art.  3  in  riferimento,  nella  specie,
all'art. 97 Cost., una precedente valutazione dell'interesse pubblico
gia' operata dalla legge, deve essere  sostenuta  dall'assunzione  di
altro interesse pubblico, non irragionevolmente idoneo a giustificare
il contrasto che viene a crearsi tra due  diverse  manifestazioni  di
volonta'  legislativa   concorrenti   sulla   medesima   fattispecie»
(sentenza n. 141/1999); 
        che la Corte costituzionale in alcune pronunzie  ha  statuito
che «in materia di ordinamento pensionistico, sono costituzionalmente
illegittime quelle modificazioni legislative che, intervenendo in una
fase  avanzata  del  rapporto  di  lavoro  oppure  quando  sia   gia'
subentrato lo stato di quiescenza, peggiorino, senza  un'inderogabile
esigenza, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento
pensionistico   in   precedenza   spettante,   con   la   conseguente
irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente  nutrite
dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della  propria
attivita' lavorativa» (vedi Corte cost., 14 luglio 1988, n.822); 
        che nella specie il ricorrente ha dedotto che la decisione di
riscriversi, all'eta' di 61 anni, all'Albo degli avvocati e quindi di
riprendere la contribuzione alla Cassa, era stata  presa  proprio  in
relazione alla  possibilita',  allora  garantita,  di  richiedere  la
restituzione dei contributi nel caso (pressoche' certo) di cessazione
dall'iscrizione  alla  Cassa  senza   aver   maturato   i   requisiti
assicurativi per il diritto alla pensione; 
        che, essendosi gia' determinato un contenzioso in merito alla
legittimita'  della  delibera  l'intervento  della  disposizione   di
sanatoria (senza peraltro alcuna specifica previsione  in  merito  ai
giudizi pendenti) rischia  di  ledere  «l'affidamento  del  cittadino
nella sicurezza giuridica, quale elemento essenziale dello  Stato  di
diritto» (Corte cost. 10 febbraio 1993 n. 39, 26 gennaio 1994 nn. 6 e
16, 28 febbraio 1997 n. 50, 23 dicembre 1997 n. 432, 22 novembre 2000
n. 525); 
        che quindi la disposizione di «sanatoria» dei precedenti atti
e provvedimenti degli enti previdenziali privatizzati,  pur  ispirata
ad esigenze di equilibrio di bilancio delle gestioni previdenziali e,
soprattutto,  di  equita'  tra  generazioni,  si  pone  tuttavia   in
contrasto con  l'affidamento  nella  sicurezza  giuridica  e  con  le
legittime aspettative dei lavoratori,  sanando  un  atto  ab  origine
illegittimo, quando sono gia' pendenti  i  giudizi  fondati  su  tale
illegittimita' e cosi' peggiorando in misura notevole ed  in  maniera
definitiva il trattamento in precedenza spettante, sulla  base  della
normativa vigente al momento della  proposizione  della  domanda,  in
contrasto con i principi desumibili dagli artt. 2, 3,  24,  38  della
Costituzione; 
        che, peraltro, una sanatoria cosi' «generalizzata», estesa  a
tutti i provvedimenti amministrativi degli enti di previdenza,  anche
se non  rispettosi  del  principio  del  pro  rata  ed  incidenti  su
trattamenti garantiti da disposizioni di legge  risulta  di  per  se'
irragionevole ed in contrasto con il principio di riserva di legge ex
art. 23 Cost. applicabile in materia (vedi sul punto da ultimo  Corte
cost. 14 giugno 2007 n. 190); 
                               P. Q. M. 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 763,  secondo  periodo
della legge 27 dicembre 2006, n. 296 («Sono fatti salvi gli atti e le
deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui  al
presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della  data
di entrata in vigore della presente legge») in relazione  agli  artt.
2, 3, 23, 24, 38 Cost. 
    Sospende il giudizio in corso; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa ed al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti. 
        Lucca, addi' 30 ottobre 2008 
                       Il giudice: Nannipieri