N. 10 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 9 gennaio 2009- 31 marzo 2008

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato in cancelleria il 9 gennaio 2009  (del  G.u.p.  presso  il
Tribunale di Verona). 
 
Parlamento  -  Immunita'  parlamentari  -  Procedimento  penale   nei
  confronti dei deputati Mario  Borghezio,  Umberto  Bossi  ed  altri
  imputati in concorso del reato di cui  all'art.  1  del  d.lgs.  14
  febbraio  1948,  n.  43  (formazione,  costituzione,  direzione   e
  partecipazione ad associazione  di  carattere  militare  con  scopi
  politici) - Deliberazione della  Camera  dei  deputati  in  data  2
  maggio  2007  di  insindacabilita'  -  Ricorso  per  conflitto   di
  attribuzione proposto  dal  giudice  dell'udienza  preliminare  del
  Tribunale di Verona - Denunciata mancanza di nesso fra la  condotta
  addebitata ai deputati e l'esercizio delle funzioni parlamentari. 
- Deliberazione della Camera dei deputati 2 maggio 2007. 
- Costituzione, art. 68, primo comma. 
(GU n.4 del 28-1-2009 )
    Sulla vicenda processuale il Procuratore della Repubblica  presso
il Tribunale di Verona ha chiesto il rinvio a giudizio  di  Augussori
Luigi, Bacchin Francesco Maria, Baldani Luca, Bevegni Lorenzo, Boatto
Stefano Mario, Borghezio Mario,  Bosio  Bernardino,  Bosisio  Alberto
Maria, Bossi Umberto, Brogantini Matteo, Calderoli Roberto, Cavaliere
Enrico, Cavallin Stefano, Cavallini Sergio,  Ceresa  Roberto,  Cerini
Fabiano, Chiappori Giacomo, Corini  Angelo,  Flego  Enzo,  Formentini
Marco, Garbin Giogo, Gobbo Gian Paolo, Gomarasca Moreno, Gnutti Vito,
Grammatica  Luciano,  Lonzar  Franco,  Maddalena  Giuseppe,  Magagnin
Patrizio, Magrotti Stefano, Marchini Corinto Amedeo, Maroni  Roberto,
Mazzonetto  Alberto,  Mercanzin  Marco,  Nicoletto  Giovanni,   Paggi
Riccardo, Pagliarini Giancarlo, Perin Renzo,  Pini  Tiziano,  Pollini
Alfredo,  Provenzi  Piercarlo,  Robbiani   Andrea   Ambrogio,   Savoi
Alessandro, Secco  Giampietro,  Speroni  Francesco,  Vascon  Luigino,
Zanardini Mario: 
        a) omissis; 
        b) omissis; 
        c) omissis; 
        d) del reato di cui agli artt. 81 c.p., 1, d.lgs. 14 febbraio
1948, n. 43, per avere, con piu'  azioni  esecutive  di  un  medesimo
disegno criminoso, promosso, costituito, diretto, e partecipato - con
molte altre persone, alcune identificate ed altre da  identificare  -
ad  una  associazione  di  carattere  militare  con  scopi  politici,
denominata «camicie verdi», poi confluita  in  altra  piu'  complessa
struttura denominata  GNP  (guardia  nazionale  padana),  organizzata
secondo precise regole di ammissione e reclutamento degli aderenti  -
tutti dotati di uniforme costituita da una camicia verde con  maniche
lunghe recante un particolare stemma  sulla  manica  sinistra  e  sul
taschino  sinistro  -  e  di  inquadramento  in  gruppi  territoriali
gerarchicamente organizzati,  con  l'individuazione  di  responsabili
locali tenuti a seguire rigorosamente le direttive del «capo» o delle
persone da lui delegate, ed a riferire periodicamente  sull'attivita'
compiuta in esecuzione di tali direttive;  associazione  contigua  al
movimento politico Lega Nord ed avente lo scopo di meglio  attuare  e
di rendere praticabili le  proclamate  finalita'  politiche  di  tale
movimento di creazione di nuove realta' statuali  -  rappresentandone
in qualche modo le istituzioni di polizia e militari  -  mediante  la
creazione   di   una   struttura   gerarchicamente   organizzata   cd
opportunamente addestrata per  un  eventuale  impiego  collettivo  in
azioni di violenza e minaccia - peraltro presentate  come  azioni  di
legittima difesa di pretesi diritti violati - ed  utilizzata,  anche,
per intimidire gli aderenti contrari  alle  direttive  politiche  dei
Vertici del  movimento,  e  quindi  impedirne  la  partecipazione  al
dibattito interno,  e  cosi'  imporre,  attraverso  la  riduzione  al
silenzio dei dissenzienti, all'interno dello  stesso  movimento  Lega
Nord una precisa linea politica. 
    Con l'aggravante del possesso di armi,  essendo  state  rinvenute
numerose  armi,  peraltro  legittimamente  detenute,   munizioni   ed
esplosivo nelle abitazioni di vari aderenti all'associazione. 
    In Verona in un periodo ricompreso tra giugno e settembre 1996  e
anche successivamente. 
    I procedimenti penali sono stati riuniti all'udienza  preliminare
del 13 febbraio 2001. 
    All'udienza preliminare del 5 ottobre 2006 e' stata  disposta  la
riunione del procedimento penale nei confronti di Francesco  Bacchin,
la  cui  posizione  processuale  era  stata  separata  nel  prosieguo
dell'udienza del 13 febbraio 2001 per  questioni  di  nullita'  delle
notifiche degli atti introduttivi. 
    All'udienza preliminare del 5 ottobre 2006 nei confronti di tutti
gli imputati e' stata pronunciata sentenza diproscioglimento ai sensi
dell'art. 129 c.p.p. per essere i fatti loro ascritti ai capi A, B  e
C della richiesta di rinvio a giudizio (violazioni degli  artt.  241,
283 e 271 c.p.) non piu' previsti dalla legge come  reato  (in  forza
della sentenza della Corte costituzionale n. 243 del 12  luglio  2001
che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 271  c.p.,  e
della  novella  legislativa  n.  85  del  24  febbraio  2006  che  ha
riformulato le violazioni di cui agli artt. 241 e 283  c.p.),  e  per
essere  il  reato  loro  ascritto  al  capo  D,  limitatamente   alla
violazione  dell'art.  2  del  d.lgs.   n.   43/1948,   estinto   per
prescrizione. 
    Il processo penale  verte,  pertanto,  unicamente  sulla  residua
imputazione di cui all'originario capo D della domanda  di  giudizio,
ossia la violazione dell'art. 1 del d.lgs. n. 43/1948 citato. 
    Con ordinanza n. 102 del 7 marzo 2007  la  Corte  costituzionale,
richiamata la propria sentenza  di  inammissibilita'  n.  267  del  7
luglio 2005, ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato sollevato da questo  giudice  nei
confronti del Senato della Repubblica in relazione alle deliberazioni
adottate dall'Assemblea  nella  seduta  del  31  gennaio  2001  (doc.
IV-quater n. 60) con le quali e' stato ritenuto che i  fatti  oggetto
del procedimento penale in epigrafe a carico dei senatori Vito Gnutti
e Francesco  Speroni  concernono  opinioni  espresse  da  membri  del
Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni e, in quanto tali, sono
insindacabili (la decisione della Corte costituzionale e' fondata sul
profilo che il conflitto contro la  stessa  delibera  del  Senato  e'
stato  riproposto  nel  corso  della  stessa  fase  del  giudizio   e
dall'identico giudice, ossia dal g.u.p.). 
    Con sentenza pronunciata all'udienza  preliminare  del  31  marzo
2008 questo giudice ha, pertanto dichiarato non doversi procedere, ai
sensi dell'art. 129 c.p.p. e dell'art. 6, comma 8, della legge n. 140
del 20 giugno 2003, nei confronti degli imputati Gnutti e Speroni per
difetto della condizione di procedibilita', operando  l'eccezione  al
principio di obbligatorieta' della legge penale sancito  dall'art.  3
c.p. in quanto gli imputati  sono  stati  ritenuti  immuni  ai  sensi
dell'art. 68, comma primo, della Costituzione. 
    Con ordinanza in data 9 ottobre  2006  questo  Giudice,  respinta
l'eccezione formulata all'udienza preliminare del 5 ottobre  2006  ai
sensi dell'art. 68, comma primo,  della  Costituzione  nell'interesse
degli imputati onorevoli Umberto  Bossi,  Roberto  Calderoli,  Enrico
Cavaliere, Giacomo  Chiappori,  Luigino  Vascon,  Enzo  Flego,  Mario
Borghezio, Roberto Maroni, Giancarlo Pagliarini, Marco  Formentini  e
Gian Paolo Gobbo (Gobbo  gia'  membro  del  Parlamento  europeo),  ha
rimesso  gli  atti  al  Parlamento  italiano  e,  per  il  Gobbo,  al
Parlamento europeo, applicando le disposizioni degli artt.  3,  commi
quarto e quinto, della legge n. 140 del 20 giugno 2003  e  68,  comma
primo, della Costituzione, nonche' dell'art.  10  del  protocollo  di
Bruxelles dell'8 aprile 1965, reso esecutivo in Italia con  legge  n.
437 del 3 maggio 1966. 
    Con nota del 27 novembre 2006  il  Presidente  del  Senato  della
Repubblica ha comunicato che alcuno dei predetti  imputati  ricopriva
la carica di senatore all'epoca dei fatti. Con nota del 12 marzo 2007
il Presidente della Camera  dei  deputati  ha  comunicato  che  Marco
Formentini ed Enzo Flego non erano deputati al momento dei fatti. 
    Con decisione del 24 ottobre 2007 l'Assemblea di  Strasburgo,  in
relazione all'ordinanza pronunciata da questo Giudice  il  9  ottobre
2006 con cui gli  atti  sono  stati  trasmessi  anche  al  Parlamento
europeo, ha ritenuto di non difendere l'immunita' ne' i privilegi del
parlamentare europeo on. Gian Paolo  Gobbo,  reputando  che  i  fatti
attribuitigli non siano coperti da immunita' parlamentare. 
    Con nota del  4  maggio  2007  il  Presidente  della  Camera  dei
deputati ha comunicato che l'Assemblea, nella  seduta  del  2  maggio
2007, ha approvato la relazione doc. IV-quater n. 9, deliberando  che
i fatti per i quali e' in corso il presente processo penale a  carico
di  Mario  Borghezio,  Umberto  Bossi,  Enrico   Cavaliere,   Giacomo
Chiappori, Giancarlo Pagliarini, Luigino  Vascon,  Roberto  Maroni  e
Roberto Calderoli, deputati all'epoca dei fatti, concernono  opinioni
espresse da membri del Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni,
ai sensi dell'art. 68, comma primo, della Costituzione. 
    Il pubblico ministero  ha  chiesto  che  questo  giudice  sollevi
conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti  della
Camera dei deputati in relazione alla  delibera  di  insindacabilita'
approvata il 2 maggio 2007. 
    Le difese degli imputati  hanno  chiesto,  in  principalita',  la
pronuncia di sentenza ex art. 129 c.p.p. in quanto gli  imputati  non
possono essere chiamati a rispondere ai  sensi  dell'art.  68,  comma
primo, della Costituzione e dell'art. 6,  comma  8,  della  legge  n.
140/2003; hanno osservato, inoltre, che il conflitto di  attribuzione
contro la Camera dei deputati sarebbe inammissibile poiche' la  Corte
costituzionale ha gia' adottato simile  decisione  nel  conflitto  di
attribuzione contro il Senato della Repubblica. 
    Questo giudice ritiene di riproporre il conflitto di attribuzione
tra i poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati,  in
relazione  alle  citate  deliberazioni   del   2   maggio   2007   di
insindacabilita', ex art. 68, comma primo,  della  Costituzione,  dei
fatti per i quali si procede a carico degli imputati Mario Borghezio,
Umberto  Bossi,  Enrico  Cavaliere,  Giacomo  Chiapparti,   Giancarlo
Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, dando
lettura alle Parti del presente ricorso. 
               Sul ritenuto conflitto di attribuzione 
    Rileva questo  giudice  che,  nel  presente  processo,  la  Corte
costituzionale non e' stata mai investita  della  risoluzione  di  un
conflitto  di  attribuzione  contro  la  delibera  della  Camera  dei
deputati con la quale, in data 2 maggio 2007, i fatti  addebitati  ai
parlamentari  Mario  Borghezio,  Umberto  Bossi,  Enrico   Cavaliere,
Giacomo Chiapparti, Giancarlo  Pagliarini,  Luigino  Vascon,  Roberto
Maroni e Roberto Calderoli,  sono  stati  ritenuti  insindacabili  ai
sensi dell'art. 68 comma primo della Costituzione. 
    Esiste  dunque  l'interesse  a  ricorrere,   in   ragione   della
variazione intervenuta nella situazione  processuale  dei  nominativi
imputati, nelle  more  della  udienza  preliminare,  in  forza  della
recente citata delibera della Camera dei deputati. 
    Ad avviso del ricorrente le declaratorie di inammissibilita'  dei
ricorsi con cui era stato sollevato conflitto contro il Senato  della
Repubblica - e di cui alla sentenza della Corte n. 267 del 2005 e  ad
alla ordinanza della Corte n. 102 del 2007 -, spiegano i loro effetti
unicamente con riguardo alle  posizioni  processuali  degli  imputati
Gnutti e Speroni (per i quali, infatti, e' stata pronunciata sentenza
di non doversi procedere). 
    La considerazione che precede trova fondamento anche nel  dettato
di cui all'art. 38 della legge n. 87 del 1953 secondo  il  quale  «La
Corte costituzionale risolve il conflitto  sottoposto  al  suo  esame
dichiarando  il  potere  al  quale  spettano   le   attribuzioni   in
contestazione  e,  ove  sia  stato  emanato  un   atto   viziato   da
incompetenza, lo annulla». 
    Nel caso in esame, il ricorso viene proposto contro la Camera dei
deputati e avverso la delibera del 2 maggio 2007,  ossia  avverso  un
atto nuovo e distinto dalla delibera all'epoca adottata da  un  altro
ramo del Parlamento, e cioe' dal Senato della Repubblica,  e  che  si
ritiene viziato da incompetenza. 
    Agli onorevoli Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico  Cavaliere,
Giacomo Chiappori,  Giancarlo  Pagliarini,  Luigino  Vascon,  Roberto
Maroni e  Roberto  Calderoli  e'  contestato  di  avere  partecipato,
promuovendola, costituendola e dirigendola, ad  una  associazione  di
carattere militare articolata in piu' compagnie  corrispondenti  alle
province del Nord d'italia, denominata  «Camicie  Verdi»  o  «Guardia
Nazionale Padana»; lo scopo politico dell'associazione e' individuato
nel programma  perseguito  dal  partito  Lega  Nord  cui  i  predetti
parlamentari hanno aderito, diretto ad  affermare  l'autonomia  della
c.d.  «Padania»   o   «Nazione   Padana»   e   la   sua   separazione
dall'ordinamento costituzionale, creando  una  entita'  statuale  del
tutto autonoma. 
    Collocati al vertice, o componenti  di  rilievo,  di  istituzioni
proprie della c.d.  «Repubblica  Federale  Padana»,  costituite  come
apparati burocratici paralleli ed antagonisti alle istituzioni  dello
Stato Italiano (Bossi e Maroni rispettivamente capo e  portavoce  del
«Comitato di Liberazione della  Padania»,  e  Maroni  altresi'  quale
presidente del Governo Provvisono della Padama»,  Cavaliere  e  Gobbo
quali componenti del predetto «Comitato di  Liberazione»;  Borghezio,
Pagliarini, Chiappori  e  Cavaliere  quali  componenti  del  «Governo
Provvisorio della Padania»; Vascon quale  responsabile,  succeduto  a
Flego, delle Camicie Verdi per il Veneto; Calderoli individuato,  tra
gli  altri,  quale  promotore  delle  menzionate  istituzioni   della
«Nazione Padana» nell'ambito delle assemblee  del  «Parlamento  della
Padania»), i nominati  parlamentari,  secondo  la  tesi  accusatoria,
hanno contribuito a  costituire,  potenziare  e  dirigere  il  gruppo
associativo   «Camicie   Verdi»   o   «Guardia   Nazionale   Padana»,
teorizzandone le finalita', coordinando le modalita' di impiego degli
appartenenti all'associazione, provocando l'adesione di terzi a detta
associazione ed ai suoi scopi attraverso un'attivita'  di  diffusione
del programma. 
    Come argomentato da questo giudice nell'ordinanza di trasmissione
degli atti al Parlamento in data 9 ottobre 2006, ai  sensi  dell'art.
3, comma quarto, della legge n.  140/2003,  risulta  dagli  atti  del
fascicolo del Pubblico ministero che la  «Guardia  Nazionale  Padana»
sia stata costituita quale struttura  a  sostegno  delle  iniziative,
nonche' a difesa, delle istituzioni della c.d.  «Repubblica  Federale
Padana», e cioe' i citati Parlamento e Governo - di  cui  i  nominati
parlamentari  facevano  parte  -  nonche'  il   c.d.   «Comitato   di
Liberazione della Padania» - al cui vertice erano collocati  Bossi  e
Maroni. 
    Le adesioni alla Guardia Nazionale Padana, riservate ai cittadini
padani, sono state inoltrate, come da statuto, ai predetti Parlamento
e Governo - e dunque  agli  imputati  parlamentari  che  ne  facevano
parte. 
    Nell'atto  di  fondazjone  del  «Comitato  di  Liberazione  della
Padania» (istituzione presieduta, si ripete, da Bossi e da Maroni) si
legge, all'art.8, che il C.L.P.  si  dota  di  un  servizio  d'ordine
organizzato  nell'ambito  dei  territori  della  Padania,  che  viene
denominato «Camicie Verdi». 
    Nello «Statuto della Federazione delle  Compagnie  della  Guardia
Nazionale Padana» (la federazione e' apparato in cui  si  e'  evoluta
l'originaria struttura delle  Camicie  Verdi),  tra  le  disposizioni
transitorie, si legge che la  federazione  sarebbe  stata  retta  dai
membri del Governo Provvisorio  della  Padania  (tra  cui  Borghezio,
Pagliarini, Chiappori e Cavaliere). Nella prospettazione dell'accusa,
cosi' delineata alla stregua della richiesta di rinvio a  giudizio  e
degli atti contenuti nel fascicolo trasmesso dal pubblico  ministero,
i nominativi parlamentari avrebbero pertanto sovrinteso, attraverso i
descritti ruoli e attivita' in seno alle «istituzioni  padane»,  alla
complessiva gestione degli associati,  cosi'  partecipando,  mediante
attivita' di  promozione,  proselitismo,  diffusione  del  programma,
organizzazione e direzione della struttura, ad  una  associazione  di
carattere  militare;   essa   e'   articolata   in   piu'   compagnie
corrispondenti alle province del Centro-Nord d'Italia, e'  dotata  di
una forza di intervento in ragione dell'attitudine e/o  potenzialita'
al dispiego  di  forza  fisica  od  intimidatoria,  con  capacita'  e
possibilita' di farne uso; lo  scopo  politico  dell'associazione  e'
individuato nel programma perseguito dal partito  Lega  Nord,  cui  i
nominati parlamentari hanno aderito, diretto ad affermare l'autonomia
della  cd.  «Padania»  o  «Nazione  Padana»  e  la  sua   separazione
dall'ordinamento costituzionale, creando  una  entita'  statuale  del
tutto autonoma. 
    Diversamente da quanto sostenuto nella relazione approvata  dalla
Camera dei deputati all'Assemblea del  2  maggio  2007,  secondo  cui
«l'associazione delle Camicie Verdi altre non  era  che  un  Servizio
d'ordine simile a quelli organizzati dai  partiti  in  occasione  dei
comizi e dellle, manifestazioni di piazza ancora oggi cosi' frequenti
nella vita politica e sociale italiana», ritiene questo giudice che i
risultati delle indagini preliminari testimonino aspetti  per  contro
significativi con riguardo alle caratteristiche dell'associazione  in
oggetto:  per  un  verso,   l'imponente   lavoro   di   reclutamento,
organizzazione ed impiego degli  appartenenti  all'associazione;  per
altro  verso,  la  struttura   organizzativa   di   tipo   gerarchico
piramidale, al cui vertice e' stato posto un responsabile federale al
quale si relazionano i responsabili regionali  («nazionali»,  secondo
il lessico dell'associazione, poiche' ogni regione del centro-nord e'
elevata  al  rango  di  «nazione»  della  Repubblica  Federale)  e  i
responsabili  provinciali,   contraddistinta   da   regole   per   la
costituzione  e   l'arruolamento;   in   terzo   luogo,   gli   esiti
investigativi conforterebbero la tesi  secondo  cui  detta  forza  di
intervento sia stata destinata ad operare, e di fatto impiegata, come
struttura operativa di immediata mobilizzazione, ossia una  sorta  di
apparato parallelo alle forze armate od alle forze di  polizia  dello
Stato  (tali  caratteristiche  sono  emerse  anche  dall'esame  della
documentazione   sequestrata   in   occasione   delle   perquisizioni
domiciliari a carico dei dirigenti, del responsabile federale  e  dei
responsabili regionali e provinciali della Guardia  Nazionale  Padana
eseguite nel settembre e  nel  novembre  1996;  dai  contenuti  delle
conversazioni telefoniche intercettate, in astratto utilizzabili  nei
confronti dei terzi non parlamentari alla luce della  sentenza  della
Corte costituzionale n. 390/2007 che ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo l'art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge n.  140/2003).  Dai
fatti storici emerge dunque, di tutta evidenza, come  accanto  ad  un
governo - che ha emanato propri decreti, proposte di legge e delibere
- e ad un parlamento - riunitosi periodicamente in proprie sedi e che
ha emesso dichiarazioni a carattere costituente -, si sia  costituito
un comitato di liberazione nazionale con forze di intervento  diffuse
sul territorio ed una forza di sostegno con articolazione  gerarchica
definita attraverso la individuazione di responsabili su piu' livelli
territoriali; apparati  riuniti  e  contraddistinti  da  una  propria
bandiera (il sole celtico verde su sfondo bianco) ed un proprio  inno
nazionale («Va  pensiero»  tratto  dall'opera  lirica  Nabucco),  con
apposite forme  di  pubblicita'  legale  e  di  stampa  (la  Gazzetta
Ufficiale  della  Padania)  con  diffusione  capillare   e   concreta
idoneita' a raccogliere Consensi di massa. 
    Oltre ai suddetti apparati burocratico  istituzionali,  anche  la
struttura  di  appoggio  delle  istituzioni  costituita  quale  forza
gerarchicamente organizzata e'  organismo  parallelo  ed  antagonista
alla analoga istituzione dello Stato, alle sue forze armate; a  mezzo
di essi e  con  la  loro  stessa  costituzione  e'  stato  ampiamente
manifestato il perseguimento del proposito secessionista,  avviandosi
alla sua attuazione pratica. 
    La connotazione della Guardia Nazionale Padana,  evolutasi  nella
Federazione delle Compagnie della Guardia Nazionale Padana, sorta dal
nucleo iniziale delle Camicie Verdi, e' parsa dunque  quella  di  una
pluralita' di persone, o  formazione  sociale,  avente  il  carattere
della stabilita', articolata in una serie di ruoli -  attraverso  cui
sono esplicate le funzioni essenziali dirette prima alla costituzione
ed al consolidamento, quindi al massimo rafforzamento dell'ente  come
tale -, rivolta al perseguimento di  uno  scopo  politico  -  che  si
identifica nel programma politico del partito Lega Nord -,  e  dotata
di  una  forza  di  intervento,  in   ragione   dell'attitudine   e/o
potenzialita' al  dispiego  di  forza  fisica  o  intimidatoria,  con
capacita' e possibilita' di farne uso, di modo che la lotta politica,
anziche' sulla pacifica discussione, sarebbe stata impostata sull'uso
di mezzi violenti e sulla creazione di un'atm,osfera di paura (non  a
caso tra i reclutati e gli stessi dirigenti delle  Camicie  Verdi  vi
erano anche legittimi detentori di armi da sparo, e nella domanda  di
adesione alla Guardia  Nazionale  Padana,  mediante  compilazione  di
moduli predisposti da inviare al Governo  ed  al  Parlamento  di  cui
facevano parte  gli  onorevoli  odierni  imputati,  vi  era  espresso
riferimento al possesso di porto d'armi; soltanto in epoca successiva
si leggera' nello Statuto della  Federazione  delle  Compagnie  della
Guardia Nazionale Padana, all'art. 2, che uno dei principi ispiratori
e' «il rifiuto di ogni attivita' che implichi,  anche  indirettamente
il ricorso all'uso delle armi o della violenza» all'art. 3  che,  tra
gli  scopi  della  Federazione,   ricorre   quello   di   «combattere
gandhianamente ingiustizie sociali ed assumere le difese  di  chi  ha
bisogno della solidarieta' umana, anche  attraverso  l'assunzione  di
iniziative pacifiche e non violente,  ivi  inchise  la  disobbedienza
civile e la resistenza passiva contro ogni tipo di oppressione»,  nel
Regolamento delle «Camicie Verdi» si vietera', all'art. 2,  il  porto
di armi durante  lo  svolgimento  dei  servizi  di  sicurezza;  nella
proposta di legge 11 gennaio 1998 di iniziativa  del  «Governo  della
Padania»  inerente  le  «norme  per  la  costituzione  della  Guardia
Nazionale Padana» all'art. 3 si leggera' che,  tra  i  requisiti  per
l'iscrizione, e' richiesta la «buona condotta civile  certificata  da
autorita' o testimoniata  da  cinque  cittadini  e  1'inesistenza  di
precedenti condanne penali e procedimenti penali  in  corso  per  ...
delitti di violenza privata aggravata contro le persone». 
    Secondo la tesi del Pubblico ministero  l'apparato  organizzativo
originario di cui si discute, supportato da attivita' di propaganda e
proselitismo, e'  parso  non  riconoscere  il  metodo  democratico  e
pacifico  di  azione  politica,  articolandosi  in  corpi  e  reparti
organizzati in guisa militare e dotati di «gradi ed  uniformi»;  cio'
che, al di la' dell'aspetto «ideale»  di  usurpazione  del  monopolio
statuale della forza, andava a materialmente turbare la tranquillita'
dei cittadini intaccando tale bene collettivo sociale,  prima  ancora
che quello squisitamente politico  della  esclusiva  pertinenza  allo
Stato dei poteri di coazione. 
    La Giunta  per  le  autorizzazioni,  la  cui  proposta  e'  stata
approvata dalla Camera dei deputati nella seduta del 2  maggio  2007,
ha ritenuto che i fatti addebitati agli  onorevoli  Mario  Borghezio,
Umberto  Bossi,  Enrico  Cavaliere,  Giacomo   Chiappori,   Giancarlo
Pagliarmi,  Luigino  Vascon,  Roberto  Maroni  e  Roberto   Calderoli
concernono   opinioni   espresse   nell'esercizio   della    funzione
parlamentare e, in quanto tali, sono insindacabili ai sensi dell'art.
68, primo comma, della Costituzione. 
    Nella parte motiva della relazione della  Giunta  si  legge:  «La
Giunta ha constatato, a sua volta, che oggi  le  specifiche  condotte
ascritte  ai   singoli   deputati   imputati   consistono   nell'aver
''contribuito  a  costituire,  potenziare  e   dirigere   il   gruppo
associativo Camicie Verdi o Guardia Nazionale  Padana,  teorizzandone
le finalita', coordinando le modalita' di impiego degli  appartenenti
all'associazione, provocando l'adesione di terzi a detta associazione
ed a suoi scopi attraverso un'attivita' di diffusione del  programma.
In particolare (...) la Guardia Nazionale Padana e' stata  costituita
a sostegno delle iniziative nonche' a difesa delle istituzioni  della
cosiddetta Repubblica Federale Padana, e cioe' i citati parlamento  e
governo  nonche'  il  cosiddetto  Comitato   di   Liberazione   della
Padania''. Orbene, a giudizio unanime della  Giunta  e'  apparso  che
tali condotte (al di la' di una valutazione di  merito  che  potrebbe
per alcuni inclinare al folkloristico e per altri  al  cattivo  gusto
istituzionale)  possano  agevolmente  ricondursi  al   novero   delle
manifestazioni pubbliche tutelate dall'art.  21  della  Costituzione,
dei momenti di riunione e associazione partitica di  cui  agli  artt.
17, 18 e 49 del della  Costituzione  stessa  e  in  definitiva  delle
opinioni espresse in connessioni  con  la  funzione  parlamentare  ai
sensi  dell'art.  68,  primo  comma,  della  Costituzione.  E'  noto,
infatti, che la Lega Nord nelle legislature XIII e  XIV  ha  avanzato
numerose proposte di legge volte a introdurre in Italia una forma  di
Stato marcatamente federalista, fino a chiedere e  a  ottenere  nella
XIV legislatura per il deputato Bossi la  titolarita'  del  ministero
delle riforme istituzionali e a concorrere  all'approvazione  di  una
modifica costituzionale che, a  detta  della  stragrande  maggioranza
dell'opinione pubblica italiana, andava sotto il nome di devolution e
come tale e' stata sottoposta a referendum, confermativo del 25 e  26
giugno 2006. 
    Nella parte conclusiva della relazione in esame si legge, infine,
che  «Da  ultimo,  e  per  completezza,   si   puo'   osservare   che
l'associazione delle Camicie Verdi altro  non  era  che  un  servizio
d'ordine, simile a qualli organizzati dai partiti  in  occasione  dei
comizi e delle manifestazioni di piazza ancora oggi  cosi'  frequenti
nella  vita  politica  e  sociale  italiana.  All'evidenza,  la  mera
esistenza e organizzazione di tali servizi d'ordine non costituiscono
di per se' un  attacco  all'integrita'  dello  Stato  e  alla  quiete
pubblica. 
    Ad avviso di questo giudice  -  che  considerazioni  analoghe  ha
espresso nell'ordinanza di trasmissione degli atti al Parlamento,  in
data 9 ottobre 2006 - gli atti integranti il reato di  partecipazione
ad una associazione di  tipo  militare,  svolgendo  in  essa  compiti
promozionali, direttivi e organizzativi, nonche' sovrintendendo  alle
adesioni al gruppo da  parte  di  terze  persone,  sono  estranei  al
concetto  di  opinioni   espresse   nell'esercizio   delle   funzioni
parlamentari, ancorche' letti nel contesto ideologico da  cui  si  e'
mossa l'azione politica della Lega Nord ed il programma secessionista
cui  i  parlamentari   imputati   hanno   aderito.   D'altronde,   il
perseguimento dello «scopo politico» da  parte  dell'associazione  e'
uno  degli  elementi  costitutivi  della  fattispecie  incriminatrice
prevista dall'art. 1, d.lgs.  n.  43  del  1948,  onde  la  finalita'
politica non potrebbe, da un lato, integrare un requisito  del  reato
e, dall'altro lato e al  tempo  stesso,  consistere  in  un'opera  di
divulgazione   delle   attivita'   parlamentari   in   quanto    tale
insindacabile e, dunque, con l'effetto di  rendere  non  punibile  la
condotta delittuosa. 
    Le   condotte   addebitate   ai   suddetti   parlamentari    sono
comportamenti materiali, che incidono  direttamente  e  negativamente
sulla sicurezza delle persone, e che per loro natura sono  del  tutto
avulsi dalla manifestazione del pensiero, ossia dalle «opinioni». 
    La proposta della Giunta delle autorizzazioni non  ha  affrontato
in modo esaustivo il tema della  connessione  tra  l'esercizio  delle
funzioni parlamentari e le attivita'  svolte,  invece,  in  relazione
all'associazione vietata dalla legge, ne' ha esplicitato  le  ragioni
per cui attivita' materiali come  quelle  piu'  volte  descritte  nei
paragrafi  superiori  possano   ricondursi   alla   categoria   delle
«opinioni» espresse nell'esercizio delle funzioni di parlamentare. 
    Pare, invece, che la Giunta  abbia  qualificato  le  condotte  in
violazione dell'art. 1 del d.lgs n. 43/1948 come una  proiezione  del
disegno politico  portato  avanti  nelle  istituzioni,  esaltando  in
particolare le iniziative volte ad introdurre in Italia una forma  di
Stato federalista, e sottolineando come  il  gruppo  parlamentare  di
appartenenza dei deputati in questione si  chiamasse  Lega  nord  per
l'indipendenza  della  Padania»  nella  XIII  legislatura,  e   «Lega
nord-Padania» nella XIV. 
    Se cosi' fosse, deve evidenziarsi come la tesi  in  questione  si
discosti  dai   principi   stabiliti   dalla   Corte   costituzionale
sull'ambito  di  operativita'  della  particolare  garanzia  prevista
dall'art. 68, comma primo, Costituzione. 
    Nella sentenza n. 137 del 17 maggio  2001  la  Corte  ha  infatti
affermato che: «La prerogativa parlamentare non puo'  infatti  essere
estesa  sino  a  comprendere  gli  insulti  -  di  cui  e'   comunque
discutibile la qualificazione come opinioni - solo perche'  collegati
con le ''battaglie'' condotte da  esponenti  parlamentari  in  favore
delle loro tesi politiche; cosi' argomentando, il  nesso  funzionale,
lungi dal tradursi in una corrispondenza tra  espressioni  verbali  e
atti parlamentari tipici, si risolverebbe in un generico collegamento
con  un  contesto  politico   indeterminabile,   del   tutto   avulso
dall'esercizio  di  funzioni  parlamentari  suscettibili  di   essere
concretamente  individuate.  A   maggior   ragione   la   prerogativa
parlamentare di cui all'art. 68 Costituzione non puo' essere riferita
ai comportamenti materiali che sono stati qualificati come resistenza
a pubblico  ufficiale.  L'art.  68,  primo  comma,  Costituzione,  si
riferisce unicamente alle ''opinioni espresse'' e  ai  ''voti  dati''
dai membri del Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni,  mentre
gli  atti  di  resistenza  e  di  violenza  descritti  nel  capo   di
imputazione ... non sono in alcun modo qualificabili come tali». 
    Non ignora questo giudice l'impostazione secondo cui nel concetto
di  opinione  rientrano  anche  comportamenti  materiali  diretti  ad
illustrare le iniziative svolte nella qualita'  di  parlamentare,  ma
Ritiene  tuttavia  che  debba  trattarsi  di  comportamenti  che  non
incidano negativamente sui diritti  di  altri  individui,  mentre  la
fattispecie  incriminatrice  la  cui  violazione  e'  addebitata   ai
parlamentari, per sua natura, crea turbativa all'ordine  pubblico  ed
e' lesiva della sicurezza sociale. 
    Qualificando i fatti in contestazione come «opinioni» - cio'  che
non si condivide -, la Giunta ne ha poi ritenuto la connessione  alla
funzione parlamentare in ragione dell'intento divulgativo del disegno
politico portato avanti nelle istituzioni, il  disegno  cioe'  di  un
assetto costituzionale diverso dall'attuale. 
    Ritiene questo giudice che affermare  l'esistenza  di  un  «nesso
funzionale»  con  l'attivita'   parlamentare   per   il   fatto   che
l'asociazione «Camicie Verdi» persegua il  programma  politico  della
Lega Nord, cui  i  senatori  hanno  aderito,  sia  una  petizione  di
principio poiche', come argomentato in premessa, lo «scopo  politico»
e' gia' di per se' un requisito  imprescindibile  del  reato  di  cui
trattasi. 
    Cosi' facendo la Giunta ha finito col riscontrare una connessione
sufficiente nella semplice posizione politica  del  movimento  cui  i
parlamentari appartengono. 
    La tesi della Giunta pare allora  discostarsi  dalle  consolidate
linee giurisprudenziali della Corte costituzionale  secondo  cui  gli
atti del parlamentare svolti extra moenia sono insindacabili solo  se
e  nella  misura  in  cui  siano  «identificabili»   come   attivita'
parlamentare, vale a dire abbiano una «corrispondenza sostanziale» di
contenuto con atti parlamentari tipici (ex plurimis sentenze  n.  10,
11, 56, 58, 82, 320, 321 e 420 del 2000; n. 137 e 289  del  2001;  n.
50, 51, 52, 79, 207, 257, 270, 294 e 421 del 2002; n. 298, 347 e  348
del 2004; n. 79 del 2005; n. 336 e 383 del 2006;  n.  52,  151,  152,
236, 271 e29l del 2007). 
    Appare qui  rilevante  riportare  alcuni  passaggi  tratti  dalla
sentenza «pilota» n. 10 del 2000: 
        «E'   pacifico   che    costituiscono    opinioni    espresse
nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori
della camera e dei suoi vari  organi  ...  L'attivita'  politica  del
parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi di  per  se'
esplicazione della funzione parlamentare nel  senso  preciso  cui  si
riferisce l'art. 68, primo comma, Cosi' ... Ne'  si  puo'  accettare,
senza vanificare tale delimitazione, una definizione  della  funzione
del  parlamentare  cosi'  generica  da   ricomprendervi   l'attivita'
politica che egli svolga in qualsiasi sede,  e  nella  quale  la  sua
qualita' di membro delle Camere sia irrilevante. Nel linguaggio e nel
sistema della Costituzione, le ''funzioni'' riferite agli organi  non
indicano  generiche  finalita',   ma   riguardano   ambiti   e   modi
giuridicamente  definiti:  e  questo  vale  anche  per  la   funzione
parlamentare, ancorche' essa si connoti  per  il  suo  carattere  non
specializzato. Discende da quanto osservato che la semplice comunanza
di argomento fra dichiarazione che si pretende lesiva e  le  opinioni
espresse dal deputato o dal senatore in sede  parlamentare  non  puo'
bastare a fondare l'estensione alla prima della immunita'  che  copre
le seconde. Tanto meno puo' bastare a tal fine la  ricorrenza  di  un
contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si  inserisca
... In questo senso va precisato il significato del nesso  funzionale
che deve riscontarsi, per potere ritenere la insindacabilita', tra la
dichiarazione e l'attivita' parlamentare.  Non  cioe'  come  semplice
collegamento di argomento o di contesto fra attivita' parlamentare  e
dichiarazione, ma come identificabilita' della  dichiarazione  stessa
quale espressione di attivita' parlamentare». 
    Nei comportamenti addebitati  ai  parlamentari  Mario  Borghezio,
Umberto  Bossi,  Enrico  Cavaliere,  Giacomo   Chiappori,   Giancarlo
Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli  manca
del tutto la riproduzione o divulgazione di una precedente  attivita'
parlamentare rispetto alla quale i  fatti  in  esame  presentino  una
«sostanziale identita' di contenuti» tale  da  comportare  un  «nesso
funzionale». 
    I parlamentari  non  avrebbero  certamente  svolto  attivita'  di
propaganda, all'interno delle Camere,  di  una  associazione  vietata
dalla legge  -  giacche'  intra  moenia  essi  sono  sottoposti  alla
sorveglianza della Presidenza dell'Assemblea e delle  Commissioni  -,
ed e' allora del  tutto  irrilevante  che  detta  associazione  fosse
animata dall'identico spirito  indipendentista  e  secessionista  che
contraddistingue il programma politico del  partito  di  appartenenza
dei senatori. 
    Ne' e'  decisiva,  sotto  tale  profilo,  la  circostanza  che  i
comportamenti incriminati, che la Giunta riconduce  al  novero  delle
manifestazioni pubbliche e dei momenti di  riunione  ed  associazione
partitica tutelati dagli artt. 21, 17, 18 e  49  della  Costituzione,
siano stati posti in essere fuori dalla sede parlamentare e per  tale
motivo avrebbero assunto connotazioni differenti  rispetto  a  quelli
realizzabili all'interno delle Camere. 
    La Corte costituzionale ha infatti  precisato  che  la  legge  n.
140/2003 - il cui art. 3,  comma  primo,  rinvia  all'art.  68  comma
primo, Costituzione per tutte le attivita' ivi  descritte  «espletate
anche fuori del Parlamento» - «non ha innovato 1'art. 68 Costituzione
ma ne ha precisato l'ambito. fissando principi gia' enucleabili dalla
Costituzione  e  dalla  giurisprudenza  costituzionale,  e  cioe'  le
opinioni  espresse  e  gli  atti  compiuti  dai   parlamentari   sono
insindacabili anche se compiuti fuori del Parlamento, ma  soltanto  a
condizione che sussista un preciso collegamento di scopo (c.d.  nesso
funzionale) tra l'atto compiuto ed il mandato parlamentare». Gli atti
non tipici del parlamentare «debbono comunque  essere  connessi  alla
funzione  parlamentare,   a   prescindere   da   ogni   criterio   di
localizzazione, in concordanza con le  indicazioni  ricavabili  dalla
giurisprudenza costituzionale  in  materia,dalla  quale  e'  comunque
enucleabile il principio, che  costituisce  oggi  il  limite  estremo
della prerogativa dell'insindacabilita', secondo cui questa non  puo'
mai trasformarsi  in  un  privilegio  personale,  quale  sarebbe  una
immunita' dalla giurisdizione conseguente alla  mera  ''qualita''  di
parlamentare» (sent. n. 120 e 347 del 2004; n. 151 del 2007). 
    Nel senso del difetto di riferibilita' alla funzione parlamentare
dei comportamenti posti in essere da uno degli imputati nel  presente
processo, attualmente parlamentare europeo,  l'onorevole  Gian  Paolo
Gobbo, si e' espresso, da ultimo, il Parlamento europeo, cui gli atti
sono stati trasmessi da questo giudice con ordinanza  del  9  ottobre
2006. 
    Con decisione del 24 ottobre 2007 l'Assemblea  di  Strasburgo  ha
ritenuto di non difendere l'immunita' ne' i privilegi dell'on. Gobbo,
reputando che i fatti a lui attribuiti non siano coperti da immunita'
parlamentare. 
    L'Assemblea ha considerato  che  «stando  al  pubblico  ministero
italiano, l'obiettivo delle Camicie Verdi era di creare un  movimento
organizzato  gerarchicamente,  addestrato  per  intraprendere  azioni
collettive di carattere violento o intimidatorio e  utilizzato  anche
per dissuadere i propri membri dall'opporsi alle direttive  politiche
dei capi, nonche' per evitare che  sorgesse  disaccordo  in  seno  al
movimento,  contribuendo  cosi'  a   imporre   una   linea   politica
determinata  dalla  Lega  Nord  e   mettendo   a   tacere   qualsiasi
manifestazione di dissenso al suo interno»; che,  inoltre  «1'art.  9
del protocollo sui privilegi e sulle immunita'  accorda  ai  deputati
l'immunita' assoluta da procedimenti giudiziari solo nel  caso  delle
opinioni  espresse  e  dei  voti  dati  nell'esercizio   delle   loro
funzioni»; che, infine «la  partecipazione  ad  un  movimento  i  cui
membri indossavano un'uniforme di stile militare e che a quanto  pare
intendeva raggiungere i propri obiettivi mediante l'uso potenziale  o
effettivo  della  forza,   e'   chiaramente   in   contraddizione   e
incompatibile con il ruolo e le responsabilita' inerenti a un mandato
parlamentare e che, pertanto, tale partecipazione  nomi  puo'  essere
ritenuta  un  legittimo  esercizio  del  diritto   di   liberta'   di
espressione ne' il normale esercizio delle funzioni di deputato a  un
parlamento eletto che rappresenta i cittadini»; pertanto, l'Assemblea
ha ritenuto che «ai sensi dell'art. 9 del  protocollo  dell'8  aprile
1965 sui privilegi e sulle immunita' delle Comunita' europee e, nella
misura in  cui  e'  pertinente,  dell'art.  68,  primo  comma,  della
Costituzione italiana, l'immunita' parlamentare  non  copra  i  fatti
attribuiti  all'on.  Gian  Paolo  Gobbo  e  decide  pertanto  di  non
difenderne l'immunita' ne' i privilegi». 
    La deliberazione della Camera dei deputati, approvata il 2 maggio
2007, si rivela allora, ad avviso di questo giudice, in contrasto col
potere  ed  il  dovere  di  assicurare  l'esercizio  della   funzione
giurisdizionale attribuito dalla Costituzione  in  capo  agli  uffici
giudiziari, in primo luogo per il radicale difetto  di  riferibilita'
dei comportamenti posti in essere dai parlamentari  Mario  Borghezio,
Umberto  Bossi,  Enrico  Cavaliere,  Giacomo   Chiappori,   Giancarlo
Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto  Calderoli  alla
funzione parlamentare e, in  secondo  luogo,  per  avere  fondato  la
decisione sulla base di valutazioni di merito della  vicenda  oggetto
del  presente  processo,   espressamente   riconducendo   all'intento
divulgativo  del  programma  politico  teorizzato  in  Parlamento  la
realizzazione di condotte materiali, quali appunto la promozione,  la
direzione e l'organizzazione di un'associazione vietata dalla  legge,
e,  in  aggiunta,  arrivando  ad  escludere  che  le  Camicie   Verdi
Costituissero struttura integrante  la  figura  dell'associazione  di
tipo militare vietata  dalla  legge  (nella  parte  conclusiva  della
relazione si legge, infatti, come sopra riportato, che «...  si  puo'
osservare che l'associazione delle  Camicie  Verdi  non  era  che  un
servizio  d'ordine,  simile  a  quelli  organizzati  dai  partiti  in
occasione dei comizi e delle mnanifestazioni di  piazza  ancora  oggi
cosi' frequenti nella vita politica e sociale italiana. All'evidenza,
la mera esistenza e  organizzazione  di  tali  servizi  d'ordine  non
costituiscono di per se' un attacco all'integrita' dello Stato e alla
quiete pubblica»). 
    Cosi'   facendo   la   Camera   ha   mostrato   di    condividere
l'impostazione, seguita dalla prassi  parlamentare  a  partire  dalla
XIII  legislatura,   fondata   sui   criteri   che   la   prerogativa
costituzionale   copre   tutti    i    comportamenti    riconducibili
all'attivita' politica latu sensu intesa del parlamentare, e  che  la
sua ricorrenza non e' esclusa anche di fronte a comportamenti che  in
astratto possono rivestire natura illecita. 
    In conclusione, poiche' la deliberazione  della  Camera  esorbita
dall'ambito  derogatorio  consentito  dall'art.  68,   primo   comma,
Costituzione, risultano violati, da un lato,  anche  gli  artt.  101,
secondo comma, 102, primo comma, e 104,  primo  comma,  Costituzione,
posti a tutela della titolarita' della  funzione  giurisdizionale  in
capo alla magistratura e della  legalita'  ed  indipendenza  del  suo
esercizio; dall'altro l'art. 3, primo  comma,  Costituzione,  per  la
disparita' di trattamento  che  in  tal  modo  viene  introdotta  tra
cittadini ordinari e  parlamentari,  consentendosi  a  questi  ultimi
condotte in ipotesi integranti figure di  reato  prive  di  qualsiasi
connessione con la funzione parlamentare. 
    Questo giudice intende percio' sottoporre  al  vaglio  regolatore
della Corte costituzionale l'uso del potere esercitato  dalla  Camera
dei deputati che, con delibera in data 2 maggio 2007, ha ritenuto che
i  fatti  addebitati  ai  parlamentari,  all'epoca  deputati,   Mario
Borghezio,  Umberto  Bossi,  Enrico  Cavaliere,  Giacomo   Chiappori,
Giancarlo  Pagliarini,  Luigino  Vascon,  Roberto  Maroni  e  Roberto
Calderoli, e loro ascritti quale violazione dell'art, 1 del d.lvo  n.
43/1948 come delineata al capo D della richiesta di rinvio a giudizio
e specificata nel presente ricorso, rientrino nelle opinioni espresse
nell'esercizio   delle   loro   funzioni    parlamentari,    rendendo
improcedibile nei loro confronti l'azione penale e  non  esercitatile
la giurisdizione. 
  Consegue ex lege (artt. 37, quinto  comma,  e  23,  secondo  comma,
legge n. 87 del 1953) la sospensione del processo nei  confronti  dei
predetti parlamentari, nonche', tenuto conto della concorde richiesta
delle Parti formulata  gia'  all'udienza  del  5  ottobre  2006,  nei
confronti dei coimputati essendo  tutti  chiamati  a  rispondere  del
medesimo reato,  che  integra  una  figura  di  concorso  di  persone
necessario e sussistendo dunque, connessione ai sensi  dell'art.  12,
lettera a) c.p.p. 
                              P. Q. M. 
    Visto l'art. 37, legge n. 87 dell'11 marzo 1953; 
    Solleva  conflitto  di  attribuzioni,  con  ricorso  alla   Corte
costituzionale, in ordine al corretto uso del potere di decidere  con
riguardo alla ricorrenza dei presupposti di applicabilita'  dell'art.
68, comma primo, della Costituzione conie esercitato dalla Camera dei
deputati  con  le  delibere  del  2  maggio  2007  relativamente   al
procedimento penale indicato in epigrafe a carico dei deputati  Mario
Borghezio,  Umberto  Bossi,  Enrico  Cavaliere,  Giacomo   Chiappori,
Giancarlo  Paglierini,  Luigino  Vascon,  Roberto  Maroni  e  Roberto
Calderoni in ordine alla imputazione di cui al capo D  della  rubrica
come specificata in narrativa. 
    Dispone la sospensione del processo nei confronti  di  tutti  gli
imputati. 
    Manda alla cancelleria  per  il  deposito  del  presente  ricorso
presso la Corte costituzionale. 
        Verona, addi' 31 marzo 2008 
                      Il giudice: Rita Caccamo 
Avvertenza 
    L'ammissibilita' del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza n. 374/2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, la s.s.,
n. 48 del 19 novembre 2008.