N. 12 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 - 18 settembre 2008

Ordinanza del 22 settembre 2008 emessa dalla Corte d'appello di  Bari
nel  procedimento  civile  promosso  da  Rosati  Anita  contro  Poste
Italiane S.p.A.. 
 
Lavoro e  occupazione  -  Apposizione  di  termini  alla  durata  del
  contratto di lavoro subordinato -  Previsione,  per  i  giudizi  in
  corso alla data di entrata in vigore della norma censurata,  di  un
  indennizzo a carico del datore di lavoro e in favore del lavoratore
  di importo compreso tra un  minimo  di  2,5  ed  un  massimo  di  6
  mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto  -  Violazione
  del  principio  di  uguaglianza  per  la  diversa   disciplina   di
  fattispecie identiche in base alla pendenza o meno di un giudizio -
  Violazione dei vincoli derivanti dalla CEDU. 
- Decreto  legislativo  6  settembre  2001,  n.  368,   art.   4-bis,
  introdotto dall'art. 21, comma 1-bis, della legge 6 agosto 2008, n.
  133, [recte: art. 21,  comma  1-bis,  del decreto-legge  25  giugno
  2008, n. 112, inserito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133]. 
- Costituzione, artt. 3, 117, primo comma, in  relazione  all'art.  6
  della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
  liberta' fondamentali. 
(GU n.5 del 4-2-2009 )
                         LA CORTE DI APPELLO 
    Ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  di  lavoro
iscritta sul  ruolo  generale  affari  contenziosi  sotto  il  numero
d'ordine 489 dell'anno 2007 tra Rosati Anita, rappresentata e  difesa
dall'avv. D. Carpagnano appellante; 
    Contro Poste Italiane S.p.A. rappresentata e difesa dagli avv. L.
Fiorillo e G. Carrieri appellata; 
                              F a t t o 
    Con ricorso depositato il 21 giugno 2005 Rosati  Anita  conveniva
in giudizio innanzi al Tribunale di Trani, in funzione di giudice del
lavoro, la S.p.A. Poste Italiane. 
    Esponeva di aver lavorato  per  le  Poste,  con  le  mansioni  di
portalettere  iunior  e  con  inquadramento  nel  livello  E,  presso
l'Ufficio postale di Andria dal 20 gennaio 2005 al 31 marzo  2005  in
virtu' di un contratto di lavoro a tempo determinato, stipulato il 19
gennaio 2005. 
    Precisava  che  l'apposizione  del  termine  al   contratto   era
giustificata «ai sensi  dell'art.  1  del  d.lgs.  n.  368/2001,  per
ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di
provvedere  alla  sostituzione  del  personale  addetto  al  servizio
recapito presso il Polo Corrispondenza Puglia Basilicata assente  nel
periodo dal 20 gennaio 2005 al 31 marzo 2005». 
    Deduceva che l'apposizione del termine al suddetto contratto  era
illegittima perche' in contrasto con le disposizioni di legge vigenti
pro tempore, e in particolare con l'art. 1  del  d.lgs.  n.  368  del
2001, il quale consente la stipulazione di contratti a  termine  solo
«a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,  organizzativo
o sostitutivo» e  dispone  che  l'apposizione  stessa  e'  «priva  di
effetto se  non  risulta,  direttamente  o  indirettamente,  da  atto
scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1». 
    Alla luce di  tale  disposizione,  deduceva  che  la  motivazione
addotta era generica dal momento che  non  indicava  le  ragioni  che
avevano determinato l'apposizione del termine, si' da non  consentire
al lavoratore, prima, ed al giudice, poi, di valutare  l'effettivita'
della motivazione e la sussistenza del  necessario  nesso  eziologico
tra il motivo addotto e l'assunzione a tempo determinato. 
    Chiedeva, pertanto, che, previa declaratoria della  nullita'  del
termine apposto al contratto in questione, fosse dichiarato  che  fra
le parti  si  era  instaurato  ab  origine  un  contratto  di  lavoro
subordinato a tempo indeterminato e che  la  convenuta  S.p.A.  Poste
Italiane fosse condannata a riammetterla in servizio con le  mansioni
indicate nel contratto stipulato ed al pagamento  in  suo  favore  di
tutte le retribuzioni maturate a far tempo dal momento in  cui  aveva
posto a disposizione delle Poste le  sue  energie  lavorative,  oltre
rivalutazione monetaria, interessi legali e con vittoria di spese  in
distrazione. 
    Instaurato  il  contraddittorio,   la   societa'   convenuta   si
costituiva in  giudizio  e  sosteneva  la  piena  legittimita'  della
apposizione del termine deducendo che l'art. 1,  legge  n.  230/1962,
che prevede la necessita' dell'indicazione nominativa  della  persona
assente sostituita, doveva ritenersi superato dalle  disposizioni  di
legge successive, ovvero dal  d.lgs.  n.  368/2001,  nel  cui  quadro
nessuna  norma  impone   l'indicazione   nominativa   del   personale
sostituito. Aggiungeva inoltre che «ai sensi della nuova  disciplina,
l'ingiustificatezza  del  termine   mai   potrebbe   determinare   la
conversione a tempo indeterminato  del  rapporto»  e  che,  al  piu',
avrebbe dovuto essere applicato il principio generale della  nullita'
del contratto per contrasto con norma imperativa  (art.  1418  c.c.).
Infine,  riguardo  alle  pretese   economiche,   eccepiva   l'aliunde
perceptum, considerato il tempo  trascorso  tra  la  risoluzione  del
contratto  e  l'iniziativa  giudiziaria  e  la  possibilita'  per  il
lavoratore di ridurre o evitare il danno con l'ordinaria diligenza. 
    Il Giudice  del  lavoro  del  Tribunale  di  Trani  rigettava  il
ricorso. 
    A fondamento di tale decisione osservava  che  l'apposizione  del
termine era conforme alle previsioni di cui all'art.  1  del  decreto
legislativo n. 368/2001, concordando con le Poste sul fatto  che  «la
genericita'  del  presupposto  indicato  dalla  legge   quale   fatto
legittimante l'assunzione a termine induce  ad  escludere  che  debba
esistere  un  nesso  di  causalita'  specifico  tra  una  determinata
situazione  aziendale  e  l'intervenuta  assunzione  a  termine.  Una
diversa opzione interpretativa ricondurrebbe il contratto  a  termine
in  un  limitato  ambito  di  ipotesi  eccezionali,  correlato  cioe'
all'esistenza  di  situazioni  tipiche  che  dovrebbero   legittimare
l'apposizione del termine al  contratto  e  che  pertanto  dovrebbero
costituire oggetto di prova con onere a carico del datore». 
    Avverso tale sentenza il lavoratore proponeva appello con ricorso
del 27 febbraio 2007 contestando tutti i passaggi  della  motivazione
del Tribunale  di  Trani  e  chiedendo  la  riforma  integrale  della
sentenza e l'accoglimento della sua domanda. 
    Instaurato  il  contraddittorio,  la  S.p.a.  Poste  Italiane  si
costituiva chiedendo il rigetto dell'impugnazione, difendendo le tesi
sostenute nella sentenza impugnata  e  riproponendo  le  eccezioni  e
difese svolte in primo grado. 
                            D i r i t t o 
    Il contratto di lavoro a termine stipulato  in  data  20  gennaio
2005 ha la seguente motivazione: «... ai sensi dell'art. 1 del d.lgs.
n. 368/2001, per ragioni  di  carattere  sostitutivo  correlate  alla
specifica esigenza di  provvedere  alla  sostituzione  del  personale
addetto al servizio recapito presso  il  Polo  Corrispondenza  Puglia
Basilicata assente nel periodo dal 20 gennaio 2005 al 31 marzo 2005». 
    E' pacifico tra le parti che, data l'epoca  di  stipulazione  del
contratto, la normativa di riferimento e'  costituita  dal  d.lgs.  6
settembre 2001, n. 368. 
    L'art. 1 di tale  decreto  legislativo  dispone:  «E'  consentita
l'apposizione di un termine  alla  durata  del  contratto  di  lavoro
subordinato a fronte di ragioni  di  carattere  tecnico,  produttivo,
organizzativo o sostitutivo». 
    Il secondo comma aggiunge: «L'apposizione del termine e' priva di
effetto se non risulta, direttamente o indirettamente da atto scritto
nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1». 
    Quindi le ragioni possono essere di varia natura e devono  essere
specificate nell'atto scritto. 
    Tra le ragioni di varia natura che devono essere  specificate  vi
sono anche le «ragioni di carattere sostitutivo». 
    Il concetto di ragioni  sostitutive  e'  semplice  ed  intuitivo:
collega  la  legittimita'  dell'apposizione  del   termine   con   la
sostituzione di uno o piu' altri lavoratori. 
    Il problema  che  si  pone  nella  fattispecie  in  esame  e'  il
seguente: e' sufficiente  enunciare  che  l'apposizione  del  termine
avviene per ragioni di carattere sostitutivo di altri lavoratori o e'
necessario  indicare  anche  di  che  tipo   specifico   di   ragioni
sostitutive si tratta e chi e' o chi sono i  lavoratori  per  la  cui
sostituzione avviene l'assunzione a termine? 
    Nelle  riflessioni  sulla  norma  vengono   richiamati   i   suoi
precedenti. 
    La legge 18 aprile 1962,  n.  230  richiedeva  l'indicazione  dei
lavoratori sostituiti. 
    Si potrebbe ipotizzare pertanto che, essendo stata eliminata tale
precisazione, l'indicazione dei lavoratori sostituiti  non  sia  piu'
necessaria. 
    La soluzione e' pero' troppo sbrigativa, perche'  il  legislatore
del 1962 e quello del 2001 hanno seguito due tecniche diverse. 
    Il primo stabili' una presunzione generale di contratto  a  tempo
indeterminato, ammettendo l'apposizione del termine solo in una serie
di casi analiticamente specificati. 
    Il  secondo,  pur  considerando  sempre  il  contratto  a   tempo
determinato una deroga rispetto  alla  regola  generale  (cfr.  Corte
d'appello Bari, 20 luglio 2005,  in  Foro  it.),  ha  individuato  le
ipotesi in cui l'apposizione del termine e' consentita affidandosi ad
una tecnica per clausole generali e collegando la  legittimita'  alla
sussistenza   di   ragioni   di   carattere   tecnico,    produttivo,
organizzativo o sostitutivo. 
    Le due norme non sono quindi confrontabili. 
    Il secondo intervento  non  consiste  nella  eliminazione  di  un
inciso presente nel  primo  a  parita'  di  struttura  normativa,  ma
trasforma la formulazione della regola, richiedendo  la  presenza  di
ragioni di cui indica solo il tipo e che in sede contrattuale  devono
essere «specificate» (come richiede espressamente il secondo comma). 
    Se  ad  esempio,  l'assunzione  a  termine  avviene  per  ragioni
organizzative, il contratto individuale non puo' limitarsi a ripetere
la formula o ad enunciare generiche ragioni organizzative,  rimanendo
all'interno di un'indicazione meramente tipologica e  di  genere,  ma
deve  indicare  le  specifiche  ragioni  organizzative  che  spiegano
l'apposizione del termine. 
    E' evidente  che  all'interno  del  tipo  «ragioni  di  carattere
sostitutivo» la specificazione  che  il  contratto  individuale  deve
contenere non  puo'  non  dare  un'adeguata  risposta  alla  domanda:
sostituzione di chi e per quale motivo? 
    Del resto, nel momento in cui si  usa  il  termine  «ragioni»  si
indica un concetto che, per sua natura, implica la possibilita' della
spiegazione e della verifica. 
    Un  altro  raffronto  e'  quello  con  la  disciplina   specifica
introdotta, per le Poste, dalla contrattazione  collettiva  in  forza
della delega in bianco (come ha  spiegato  la  Corte  di  cassazione)
conferita in materia alle organizzazioni sindacali dall'art. 23 della
legge n. 56 del 1987. 
    L'art. 23 disponeva: «L'apposizione di un termine alla durata del
contratto di lavoro, oltre che nelle ipotesi di cui all'art. 1  della
legge i8 aprile 1962, n. 230, e' consentita nelle ipotesi individuate
nei contratti collettivi di lavoro stipulati con sindacati  nazionali
o locali aderenti alle  confederazioni  maggiormente  rappresentative
sul piano nazionale». 
    Per le Poste il contratto collettivo che compi' quest'operazione,
e' il CCNL del 26 novembre 1994, il cui art. 8, secondo comma,  cosi'
recita: «In attuazione di quanto previsto  dall'art.  23,  punto  1),
della legge 28 febbraio 1987,  n.  56,  l'ente  potra'  assumere  con
contratto a tempo determinato, oltre che nelle ipotesi previste dalle
leggi di cui al comma precedente, nei seguenti casi: 
        necessita' di espletamento del servizio  in  concomitanza  di
assenze per ferie nel periodo 
        giugno-settembre; 
        incrementi di attivita' in dipendenza di eventi eccezionali o
esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo che non sia
possibile soddisfare con il normale organico; 
        punte di piu' intensa attivita' stagionale. 
    Il numero dei lavoratori assunti  con  contratto  a  termine  non
potra' superare la quota percentuale  massima  del  10%  rispetto  al
numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato». 
    Pertanto, con riferimento alle  ferie,  il  contratto  collettivo
Poste, in attuazione della delega di cui all'art. 23 della  legge  n.
56/1987 e' quindi, in aggiunta alle ipotesi previste dalla  legge  n.
230/1960, previde la possibilita' di assunzioni a termine in caso  di
«necessita' di espletamento del servizio in concomitanza  di  assenze
per ferie nel periodo giugno - settembre» (la  previsione  e'  stata,
poi, riproposta in formulazione identica con l'art. 25  del  C.C.N.L.
11 gennaio 2001). 
    Ci si e' chiesti se tale previsione collettiva comportasse o meno
la  necessita'  dell'indicazione,  nel  contratto  di  assunzione   a
termine, del lavoratore da sostituire. 
    La  giurisprudenza  della  Corte  di   cassazione   ha   espresso
orientamenti diversi. 
    Una serie di sentenze hanno  affermato  che,  anche  in  sede  di
applicazione   della   normativa    contrattuale,    e'    necessaria
l'indicazione del lavoratore o dei lavoratori  sostituiti  (cfr.,  ad
es. Cass. 1° dicembre 2003, n. 18354). 
    Sentenze piu' recenti hanno invece  sostenuto  il  contrario  (un
breve passaggio in  Cass.  28  agosto  2006,  n.  18602;  piu'  ampia
motivazione  in  Cass.  9  agosto  2006,  n.  17957;  in  ultimo   la
recentissima Cass. 5 settembre 2008, n. 22512). 
    Non e' il caso di addentrarsi in questo confronto di orientamenti
della cassazione su di una normativa ormai superata. 
    E' necessario, pero', sottolineare che, anche nelle sentenze  che
interpretano  questa  normativa  nel  senso  meno  garantista  per  i
lavoratori, la Corte  di  cassazione  ha  compiuto  due  affermazioni
importanti,   che   rendono   questa   giurisprudenza   inapplicabile
all'interpretazione del decreto legislativo n. 368/2001 (e quindi  ai
casi del tipo di quello in esame). 
    La  prima  e'   che   «1'interpretazione   della   contrattazione
collettiva  in  tutte  le  implicazioni  e'  riservata  all'esclusiva
competenza del giudice di merito le cui valutazioni soggiacciono,  in
sede di legittimita', ad un  sindacato  limitato  alla  verifica  del
rispetto dei canoni legali  di  ermeneutica  ed  al  controllo  della
sussistenza  di  una  motivazione  logica  e  coerente»  (cfr.  Cass.
17957/2006, cit.). 
    La seconda, piu' rilevante ai fini di questa decisione, e' che la
deroga operata dalla contrattazione collettiva in forza della  delega
in bianco conferitale dall'art. 23 della legge del 1987, in tantu  e'
possibile in quanto il legislatore nel 1987 ha costruito  un  sistema
di regolamentazione che ha il suo perno nell'«esame congiunto»  delle
parti sociali che costituisce «idonea garanzia per  i  lavoratori  ed
efficace salvaguardia dei loro diritti». 
    Il legislatore ha, quindi, creato, nel 1987, un sistema  con  una
forte componente di «garantismo collettivo», nel quale la tutela  dei
diritti dei lavoratori veniva in parte cospicua affidata al ruolo  ed
ai  poteri  conferiti  alle  organizzazioni  sindacali   maggiormente
rappresentative. La conseguenza di questa ricostruzione e' che in  un
nuovo sistema  in  cui  questo  forte  elemento  di  controllo  e  di
contro-bilanciamento  e'  stato  eliminato,  l'interpretazione  della
norma deve attenersi a criteri rigorosi, vuoi  perche'  il  punto  di
riferimento non sara' piu' la ricerca della comune  intenzione  delle
parti contrattuali (art. 1362 cod. civ.), bensi' i  canoni  oggettivi
delineati dalle preleggi (art. 12 cod. civ.),  vuoi,  e  soprattutto,
perche' il sistema delineato nel 2001 non assegna piu' alcuno  spazio
alla necessita' del consenso sindacale ed al riconoscimento formale e
sostanziale del controllo sindacale che esso comporta. 
    Riassumendo, l'interprete dell'art. 1 del decreto legislativo  n.
368/2001  non  puo'  utilizzare  gli  orientamenti  ermeneutici  nati
all'interno di un sistema delineato nel 1987 su  equilibri  e  poteri
normativi diversi, e non puo' operare una comparazione letterale  con
la norma originaria del 1962 perche', come si e' visto, la  struttura
e le tecniche utilizzate dal legislatore sono del tutto differenti. 
    Con  l'art.  1  del  decreto  legislativo  n.  368  del  2001  il
legislatore detta due regole fondamentali: l'apposizione del  termine
e' consentita solo per  ragioni  di  carattere  tecnico,  produttivo,
organizzativo o sostitutivo (primo comma) ed e' priva di  effetto  se
tali ragioni  non  vengono  specificate  nell'atto  scritto  (secondo
comma). 
    Se ci si muove all'interno delle ragioni sostitutive, e' evidente
che  non  ci  si  puo'  limitare  a  indicare  il  tipo  di   ragioni
parafrasando  la  dizione  legislativa,  ma   bisogna   adempiere   a
quell'onere di specificazione che la  norma  impone  alle  parti  che
stipulano il contratto individuale di lavoro (in assenza peraltro nel
nuovo sistema di una delega di funzioni regolative al sindacato). 
    Indicare ragioni specifiche significa non limitarsi ad  enunciare
il tipo delle ragioni, ma segnalare chi viene sostituito, per  quanto
tempo e per  quale  ragione  (ferie,  gravidanza,  malattia,  congedi
parentali, permessi per formazione, ecc.). 
    Indicare ragioni specifiche  significa  fornire  indicazioni  che
consentano  il  controllo  delle  ragioni   indicate.   Una   ragione
giustificatrice o e' controllabile o non e', tanto piu' se  la  legge
impone di specificarla. 
    E' a questo punto evidente che, ove mai fosse  accolta  l'opzione
interpretativa fin qui esposta, si dovrebbe concludere che la formula
adottata nel contratto di lavoro predisposto dalle  Poste  e'  troppo
generica   perche'   possa   ritenersi   specificata    la    ragione
dell'apposizione del termine. 
    Essa, secondo la tesi dell'appellante, non indica neanche il tipo
delle ragioni sostitutive: non precisa,  infatti,  se  si  tratta  di
sostituzioni per ferie o per altro tipo di  assenza,  limitandosi  ad
una  formula  del  tutto  tautologica:  «per  ragioni  di   carattere
sostitutivo correlate alla specifica esigenza di sostituzione». 
    Quando  poi  tenta  di  tracciare  la   specifica   esigenza   di
sostituzione, in realta' non compie alcuna  specificazione  rimanendo
nella  massima  vaghezza  perche'  non  sono  indicati  i  lavoratori
sostituiti,  ne'  (quanto  meno  in  generale),  le   ragioni   della
sostituzione  (ferie,  malattia,   gravidanza,   distacchi,   congedi
parentali, ecc. del sostituto),  ne'  la  durata  della  assenza  del
dipendente o dei dipendenti sostituiti, ne' viene indicato  l'ufficio
in cui l'assenza si e' verificata, posto che si fa riferimento ad  un
area vasta quale e' il «Polo Corrispondenza Puglia Basilicata ». 
    Ove  le  tesi  sviluppate  dall'appellante  fossero  accolte,  si
dovrebbe pervenire alla conclusione che nella fattispecie le  ragioni
dell'apposizione del termine non sono adeguatamente specificate e non
consentono alcun controllo;  controllo,  peraltro,  che  deve  essere
effettuabile ab initio, posto che la specificazione, per legge,  deve
essere contenuta nel contratto di assunzione e non puo' essere quindi
rinviata ad un momento successivo. 
    Ne dovrebbe conseguire, in ipotesi,  che  il  contratto  a  tempo
determinato  stipulato  tra  le  odierne  parti  e'  illegittimo  per
contrasto con il primo ed il secondo comma dell'art. 1 del  d.lgs.  6
settembre 2001, n. 368  con  la  conseguenza  che  l'apposizione  del
termine dovrebbe essere considerata priva di effetto ed il  contratto
dichiarato sin dall'inizio a tempo indeterminato. 
    Secondo la piu' recente giurisprudenza della Corte di  cassazione
(Cass. 21 maggio 2008 n. 12985) confermativa di tutta  una  serie  di
decisioni di giudici di merito, infatti,  non  solo  la  mancanza  di
forma scritta del contratto, ma anche la mancata  specificazione  nel
contratto delle ragioni di cui al comma i comporta  come  conseguenza
che «1'apposizione del termine e' priva di effetto»  (secondo  comma,
art. 1, d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368). 
    Su tale conclusione incide in  maniera  determinante  l'art.  21,
comma 1-bis, della legge 6  agosto  2008,  n.  133  («Conversione  in
legge, con modificazioni del decreto-legge 25 giugno  2008,  n.  112,
recante  disposizioni  urgenti  per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica e la perequazione tributaria») che recita: 
        1-bis. Dopo l'art. 4  del  decreto  legislativo  6  settembre
2001, n. 368, e' inserito il seguente: 
          «Art.   4-bis.   (Disposizione   transitoria    concernente
l'indennizzo per la violazione delle norme in materia di  apposizione
e di proroga del termine). - 1. Con riferimento ai  soli  giudizi  in
corso alla data di entrata in vigore della presente  disposizione,  e
fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso  di  violazione
delle disposizioni di cui agli artt. 1, 2 e 4, il datore di lavoro e'
tenuto  unicamente  a  indennizzare  il  prestatore  di'  lavoro  con
un'indennita' di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un  massimo
di sei mensilita' dell'ultima retribuzione globale  di  fatto,  avuto
riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 della legge 15 luglio  1966,
n. 604, e successive modificazioni.». 
    Sulla base di tale norma, poiche' il  presente  giudizio  era  in
corso alla data di entrata in vigore della  medesima  ed  e'  tuttora
pendente,  la  ritenuta  illegittimita'   del   contratto   a   tempo
determinato stipulato tra le parti  per  mancanza  di  specificazione
delle  ragioni  giustificatrici  dell'apposizione  del  termine  (ove
condivisa  da  questa  Corte)  dovrebbe  comportare,  non   gia'   la
conseguenza che  l'apposizione  del  termine  dev'essere  considerata
priva  di  effetto  ed  il  contratto  deve  essere  dichiarato   sin
dall'inizio  a  tempo  indeterminato,  con  conseguente  diritto  del
lavoratore ad essere riammesso in  servizio  ed  alla  corresponsione
delle retribuzioni dall'epoca in cui  ha  posto  le  proprie  energie
lavorative  a  disposizione  del  datore  di  lavoro   (eventualmente
detratto  l'aliunde  perceptum),  bensi'  soltanto  il   diritto   di
percepire un'indennita' di importo compreso tra un minimo di  2,5  ed
un massimo di 6 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto. 
    Tale nuova normativa, ad avviso di questa Corte d'appello, appare
non infondatamente sospetta di violare il principio di eguaglianza di
cui all'art. 3 Costituzione. 
    Ad alimentare tale sospetto basti  pensare  che,  ove  mai  altro
lavoratore nelle stesse identiche condizioni dell'odierna  appellante
(assunto cioe' con contratto a tempo determinato di  identico  tenore
dal 20 gennaio 2005 al  31  marzo  2005)  facesse  valere  le  stesse
ragioni di illegittimita' con un giudizio introdotto ex novo in  data
odierna, e comunque dopo la  data  di  entrata  in  vigore  dell'art.
4-bis, quel lavoratore avrebbe diritto alla riassunzione e  non  gia'
all'indennita' sopra richiamata non  essendo  a  lui  applicabile  la
norma transitoria. 
    Anzi, a ben vedere, la stessa odierna appellante  se,  invece  di
adire immediatamente il giudice dei lavoro con il suo ricorso del  21
giugno 2005, avesse proposto la causa dopo l'entrata in vigore  della
norma transitoria di cui qui si discute,  avrebbe  pieno  titolo  per
chiedere la riassunzione in servizio. 
    Ne  consegue  che  diverse  persone,  nella  medesima  situazione
giuridica, si troverebbero a godere di una tutela dei propri  diritti
sensibilmente diversa (sicuramente meno intensa nel caso di coloro ai
quali  viene  riconosciuto  soltanto   l'indennizzo)   senza   alcuna
giustificazione se non quella di aver proposto la domanda  giudiziale
in tempi diversi pur nell'identita'  del  quadro  normativo  generale
applicabile alle rispettive  fattispecie.  Tutto  cio'  con  evidente
violazione del principio di ragionevolezza. 
    Senza dire che, per effetto della nuova  norma,  paradossalmente,
verrebbe penalizzato proprio colui che per primo ha fatto ricorso  al
giudice, di modo  che  la  norma  appare,  in  un  certo  qual  modo,
irragionevolmente punitiva nei confronti di chi ha mostrato di  voler
reagire prontamente ad una violazione di legge. 
    Sotto altro aspetto, la  norma  denunciata  sembra  in  contrasto
anche con il generale principio dell'affidamento legittimamente posto
dal cittadino sulla certezza di sicurezza dell'ordinamento  giuridico
quale elemento essenziale dello  Stato  di  diritto;  principio  piu'
volte valorizzato dalla giurisprudenza costituzionale. 
    In tale prospettiva, si deve rimarcare che la giurisprudenza piu'
recente (cfr. ancora una volta Cass. 21 maggio 2008,  n.  12985)  non
dubita che alla violazione dell'art. 1 del d.lgs. n.  368/2001  debba
conseguire la sanzione della conversione del rapporto  di  lavoro  in
rapporto a tempo indeterminato per nullita' parziale  della  clausola
appositiva del  termine,  con  la  conseguente  instaurazione  di  un
contratto di lavoro a tempo indeterminato. 
    E  di  tanto,  a  ben  vedere,  non  dubita  neanche  lo   stesso
legislatore il quale, altrimenti, piuttosto che la norma  transitoria
di cui all'art. 4-bis, espressamente dichiarata applicabile  ai  soli
procedimenti in  corso,  avrebbe  dettato  una  norma  interpretativa
ovvero una norma  destinata  stabilmente  a  regolare  tutti  i  casi
presenti e futuri. 
    Ne consegue, dunque, che la nuova norma  viola  il  principio  di
affidamento dei cittadini sulla certezza  dell'ordinamento  giuridico
posto che solo ad una parte di essi, e cioe'  a  coloro  che  avevano
intrapreso   i   giudizi    (ancora    pendenti)    affidandosi    ad
un'interpretazione giurisprudenziale consolidata, nega  il  beneficio
della riassunzione con contratto  di  lavoro  a  tempo  indeterminato
sostituendolo con quello, molto meno satisfattivo, di  un'indennita',
oltretutto modesta. 
    La norma denunciata sembra, altresi', contrastare con l'art. 117,
comma 1,  Costituzione,  (secondo  cui  la  potesta'  legislativa  e'
esercitata  dallo  Stato  e  dalle   regioni   nel   rispetto   della
Costituzione,  nonche'   dei   vincoli   derivanti   dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali), in relazione all'art. 6
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo  e  delle
liberta' fondamentali del 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, n. 848. 
    La norma della Convenzione, alla quale lo Stato italiano si  deve
conformare, nell'affermare che ogni persona ha diritto ad  un  giusto
processo dinanzi ad un Tribunale indipendente ed imparziale,  impone,
in  definitiva,  al   potere   legislativo   di   non   intromettersi
nell'amministrazione della giustizia allo  scopo  di  influire  sulla
risoluzione di una controversia o di  una  determinata  categoria  di
controversia. 
    Nella  fattispecie  in  esame  certamente  non  infondato  e'  il
sospetto  che,  con  la  norma  transitoria  piu'  volte  citata,  il
legislatore abbiamo violato il suddetto principio. 
    Alla stregua di tutte le considerazioni sin qui esposte, la Corte
ritiene di dover  sollevare  di  ufficio  questione  di  legittimita'
costituzionale della norma indicata in  dispositivo,  sospendendo  il
giudizio. 
                              P. Q. M. 
    Sospende, ai sensi dell'art. 23, comma 2, della  legge  11  marzo
1953 n. 87, il giudizio in  epigrafe  indicato  e  solleva  d'ufficio
questione di legittimita' costituzionale del comma 1-bis dell'art. 21
della legge 6 agosto 2008 n. 133, con cui, dopo l'art. 4 del  decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e' stato inserito l'art. 4-bis,
per contrasto con gli artt. 3 e 117, comma 1, Costituzione; 
    Manda alla cancelleria di  notificare  la  presente  ordinanza  a
tutte le parti in causa ed al Presidente dei Consiglio  dei  ministri
nonche' di comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Dispone la trasmissione dell'ordinanza e degli atti del  giudizio
alla Corte costituzionale unitamente alla prova delle notificazioni e
delle comunicazioni prescritte. 
    Cosi' deciso in Bari, nella camera di consiglio del 18  settembre
2008 
                Il Presidente estensore: Castellaneta