N. 23 ORDINANZA 26 - 30 gennaio 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Circolazione stradale - Infrazioni al codice della strada  -  Ricorso
  al giudice di pace avverso il verbale di accertamento - Rigetto del
  ricorso e conseguente determinazione della sanzione in  misura  non
  inferiore  al  minimo  edittale  stabilito  dalla  legge   per   la
  violazione  accertata  -  Lamentata  violazione  del  principio  di
  ragionevolezza e asserita  disparita'  di  trattamento  rispetto  a
  coloro  che  propongono  ricorso  al  prefetto  -   Esercizio   non
  irragionevole della discrezionalita' del  legislatore  -  Manifesta
  infondatezza della questione. 
- D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada), art.  204-bis,
  comma 7, introdotto dall'art.  4,  comma  1-septies,  del  d.l.  27
  giugno 2003, n. 151, convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
  comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.5 del 4-2-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Giovanni Maria FLICK; 
Giudici:  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE  SIERVO,  Alfio  FINOCCHIARO,
  Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,
  Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe  TESAURO,  Paolo  Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO; 
ha pronunciato la seguente 
                              Ordinanza 
nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'articolo  204-bis,
comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice
della  strada),  introdotto  dall'art.  4,   comma   1-septies,   del
decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche  ed  integrazioni  al
codice della strada), convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214, promosso  con  ordinanza
del 5 marzo 2008 dal Giudice  di  pace  di  Milano  nel  procedimento
civile vertente tra A. M. e il Comune di Milano, iscritta al  n.  286
del registro ordinanze 2008 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 40, 1ª serie  serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 14 gennaio  2009  il  giudice
relatore Alfonso Quaranta. 
    Ritenuto che il Giudice di  pace  di  Milano  ha  sollevato -  in
riferimento  all'articolo  3  della   Costituzione -   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo  204-bis,  comma  7,  del
decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
strada), introdotto dall'art. 4, comma 1-septies,  del  decreto-legge
27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed  integrazioni  al  codice  della
strada), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 1° agosto 2003, n. 214; 
        che il giudice a quo premette, in punto di  fatto,  di  dover
esaminare un'opposizione proposta avverso verbale di contestazione di
infrazione stradale, elevato in ragione della violazione dell'art. 7,
comma 14, del codice della strada, evidenziando, altresi',  di  dover
rigettare la stessa, non avendo la ricorrente «addotto  alcun  valido
motivo a sostegno della sua domanda di  annullamento»,  ne'  «addotto
alcuna prova a conferma di quanto da lei affermato»; 
        che  egli  deduce,  inoltre,  di  dover  «anche   determinare
l'importo della sanzione pecuniaria»,  evidenziando  che  l'autorita'
giudiziaria - nell'espletare tale incombente - deve avere riguardo ai
criteri stabiliti dall'art. 195, comma 2, del  codice  della  strada,
costituiti da: «gravita' della violazione, opera  svolta  dall'agente
per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione,
nonche' personalita' del trasgressore e sue condizioni economiche»; 
        che nel caso di specie, a suo dire, «nessuna delle  anzidette
circostanze e' stata dedotta o provata dalla pubblica amministrazione
(o comunque risulta dagli atti processuali)», cio'  che  esclude  che
«il giudice possa o  debba  determinare  la  sanzione  pecuniaria  in
misura superiore al minimo edittale», essendo, invece,  costretto  ad
«infliggere la sanzione pecuniaria nella misura minima prevista dalla
legge», e dunque per un importo inferiore alla spesa «che la pubblica
amministrazione (Stato e Comuni) e quindi la  collettivita'  sostiene
(deve  sostenere)  per  il  procedimento   giurisdizionale   promosso
dall'autore o dal responsabile della violazione»; 
        che,  d'altra  parte,  tale  inconveniente  neppure  potrebbe
essere superato in  virtu'  del  disposto  dell'art.  23,  undicesimo
comma, della legge 24 novembre 1981, n.  689  (Modifiche  al  sistema
penale), giacche' tale norma, pur consentendo al giudice, in caso  di
rigetto dell'opposizione, di porre a carico dell'opponente «le  spese
del procedimento», si riferisce alle sole spese processuali  previste
dall'art. 91 del codice di procedura civile; 
        che, di conseguenza, il remittente - pur consapevole  che  la
determinazione delle  sanzioni  rientra  nella  discrezionalita'  del
legislatore  (ma  sempre  a  condizione  che  le  sue  scelte   siano
ragionevoli) - ritiene che la previsione del comma 14 dell'art. 7 del
codice  della  strada  sia  «discutibile»,  avvertendo,  pero',   che
considerazioni analoghe «potrebbero essere fatte» per  «quasi  tutte»
le infrazioni stradali; 
        che egli, pertanto, dubita della ragionevolezza «del  sistema
sanzionatorio» previsto dal codice della strada, «per  la  diversita'
di trattamento tra coloro che propongono ricorso al  prefetto»  (art.
204, comma 1) e «coloro che propongono ricorso al  giudice  di  pace»
(art. 204-bis, comma 7), giacche', solo nel primo  caso  e'  previsto
che, nell'ipotesi di rigetto  del  ricorso,  la  sanzione  pecuniaria
irrogata «non puo' essere "inferiore al doppio  del  minimo  edittale
per ogni singola violazione"»; 
        che tale  «diversita'  di  trattamento» -  la  quale,  sempre
secondo il remittente,  incrementa,  «forse  in  misura  abnorme,  il
contenzioso  davanti  al  giudice  di  pace» -  appare   «di   dubbia
legittimita'   in   relazione   al   principio   di   eguaglianza   e
"ragionevolezza" previsto dall'art. 3 della Costituzione»; 
        che, in forza di tali rilievi, il giudice a quo ha  sollevato
questione di legittimita' dell'art.  204-bis,  comma  7,  del  codice
della strada, «nella parte in cui prevede che in caso di rigetto  del
ricorso "il giudice di pace non puo' applicare una sanzione inferiore
al minimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata"
e non invece  "una  sanzione  non  inferiore  al  doppio  del  minimo
edittale per ogni singola violazione", cosi'  come  previsto  per  il
Prefetto dall'art. 204, comma 1», del medesimo codice della strada; 
        che il remittente,  inoltre,  sottolinea  la  rilevanza,  nel
giudizio principale, della sollevata questione giacche', in  caso  di
declaratoria di illegittimita' della norma censurata, egli  «dovrebbe
determinare  l'importo  della  sanzione  pecuniaria  a   carico   del
ricorrente in misura non inferiore al doppio  del  minimo  edittale»,
mentre, nell'ipotesi  contraria,  «potrebbe  e  dovrebbe  determinare
l'importo  della  sanzione  pecuniaria  in  misura  pari  al   minimo
edittale»; 
        che e' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la   questione   sollevata   sia   dichiarata
«inammissibile prima ancora che infondata»; 
        che, in  particolare,  secondo  la  difesa  statale,  a  tale
conclusione condurrebbe «lo stesso  iter  argomentativo  seguito  dal
giudice  remittente»,   il   quale   «muove   dalla   critica   della
ragionevolezza della scelta legislativa di  punire  con  sanzioni  di
modesta entita» le infrazioni contemplate dal comma  14  dell'art.  7
del codice della strada; 
        che, pertanto, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, «se
tali  argomentazioni» -  come  parrebbe  emergere  dal  testo  stesso
dell'ordinanza di  rimessione -  «sottendono  il  convincimento»  del
giudice a quo  circa  la  «mancanza  di  ragionevolezza  del  sistema
sanzionatorio  delle  violazioni  del   codice   della   strada»,   e
particolarmente quelle previste dall'art. 7, comma 14,  la  questione
sollevata avrebbe dovuto investire anche tale norma  e  non  il  solo
art. 204-bis, comma 7, donde la sua inammissibilita'; 
        che  al  medesimo  esito  processuale   dovrebbe,   comunque,
pervenirsi anche nell'ipotesi in cui si ritenga che il giudice a  quo
abbia inteso «unicamente denunciare la disparita' di trattamento che,
a fronte di  una  medesima  violazione,  si  determina  in  punto  di
sanzioni applicabili in ragione dello strumento di tutela prescelto»,
e   cioe'   il   ricorso   amministrativo   piuttosto   che    quello
giurisdizionale; 
        che   e',    infatti,    orientamento    consolidato    della
giurisprudenza  costituzionale -  prosegue  ancora  la  difesa  dello
Stato -  quello  che  vuole   rimessa   alla   discrezionalita'   del
legislatore tanto la scelta, che la quantificazione  delle  sanzioni,
tale  discrezionalita'  essendo  censurabile  «soltanto  ove  il  suo
esercizio ne rappresenti un  uso  distorto  o  arbitrario,  cosi'  da
confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza»; 
        che detta evenienza -  conclude  la  difesa  statale -  deve,
pero',  escludersi  nel  caso  di  specie,  in  considerazione  delle
differenze esistenti  tra  i  due  procedimenti  (quello  innanzi  al
prefetto e quello giurisdizionale), non solo perche' il primo si pone
in termini di alternativita' rispetto al secondo,  ma  anche  perche'
esso  si  caratterizza  in  ragione  della  previsione  (comma  1-bis
dell'art.  204  del   codice   della   strada)   di   un'ipotesi   di
«silenzio-accoglimento», allorche', «decorso il termine di 150 giorni
dalla sua presentazione», non intervenga «l'ordinanza ingiunzione»; 
        che, dunque, «la previsione di un  trattamento  sanzionatorio
piu' lieve in caso di rigetto del ricorso giurisdizionale» avrebbe lo
scopo di controbilanciare «l'introduzione  del  silenzio-accoglimento
del ricorso che venga proposto innanzi al Prefetto». 
    Considerato che il Giudice di pace di Milano  ha  sollevato -  in
riferimento  all'articolo  3  della   Costituzione -   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo  204-bis,  comma  7,  del
decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
strada), introdotto dall'art. 4, comma 1-septies,  del  decreto-legge
27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed  integrazioni  al  codice  della
strada), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 1° agosto 2003, n. 214; 
        che, in sostanza,  il  remittente  reputa  irragionevole  che
soltanto per il ricorso proposto innanzi  all'autorita'  prefettizia,
finalizzato  all'annullamento  del  verbale   di   contestazione   di
infrazione stradale, e non pure per  quello,  di  contenuto  analogo,
esperibile innanzi al giudice di  pace,  sia  previsto,  in  caso  di
rigetto, che la  sanzione  pecuniaria  minima  irrogabile  non  possa
essere inferiore al doppio del minimo edittale; 
        che,  tuttavia,  come  osservato  da  questa  Corte  in  piu'
occasioni, anche nel vagliare la  legittimita'  costituzionale  della
norma oggi censurata (sebbene in una  prospettiva  opposta  a  quella
indicata  dall'odierno  remittente,  giacche'  in  quel  caso  l'art.
204-bis, comma 7, del codice della  strada  veniva  contestato  nella
parte in cui non consente al giudice di pace, che rigetti il ricorso,
di determinare l'entita' della  sanzione  pecuniaria  in  una  misura
addirittura inferiore al minimo edittale) -  «l'individuazione  delle
condotte punibili e la scelta e  la  quantificazione  delle  relative
sanzioni rientrano nella discrezionalita' del  legislatore»,  potendo
tale  discrezionalita'  «essere  oggetto  di  censura,  in  sede   di
scrutinio di costituzionalita', soltanto nei casi di "uso distorto  o
arbitrario", cosi' da confliggere in modo  manifesto  con  il  canone
della ragionevolezza» (ordinanza n. 292 del 2006); 
        che l'evenienza da ultimo descritta,  tuttavia,  non  ricorre
nel caso in esame; 
        che la  scelta  compiuta  dal  legislatore -  consistita  nel
diversificare  la  disciplina  dei  due  ricorsi -  non  si  presenta
manifestamente irragionevole, innanzitutto se riguardata in relazione
alle  peculiarita'  che  presenta   quello   proposto   all'autorita'
prefettizia; 
        che  in  tale  prospettiva  rileva,  in   primo   luogo,   la
circostanza - evidenziata dall'Avvocatura generale dello Stato -  che
l'irrogazione, in caso di rigetto del ricorso  amministrativo,  della
sanzione pecuniaria in una misura non inferiore al doppio del  minimo
edittale vale a  controbilanciare  la  previsione  di  un'ipotesi  di
silenzio-accoglimento qualora risulti inutilmente decorso il  termine
di 150 giorni dalla proposizione del ricorso senza che  in  relazione
ad esso sia intervenuta alcuna decisione (comma 1-bis  dell'art.  204
del codice della strada); 
        che, in secondo luogo, dirimente e' la constatazione  -  piu'
volte espressa dalla giurisprudenza costituzionale -  che  la  misura
dell'intervento sanzionatorio, in caso  di  rigetto  del  ricorso  al
prefetto, e' stata «modulata dal legislatore in  modo  da  perseguire
finalita'  deflattive  del  contenzioso  amministrativo»  (cosi',  da
ultimo, l'ordinanza n. 63 del 2000, ma nello  stesso  senso  gia'  la
sentenza n. 366 del 1994 e le ordinanze n. 306 del 1998, n.  324  del
1997, n. 268 del 1996); 
        che tali finalita', oltretutto, sono tanto piu'  giustificate
se si tiene conto del fatto che,  nel  caso  di  specie,  il  ricorso
amministrativo avverso il verbale  di  contestazione  dell'infrazione
costituisce una peculiarita' della disciplina dettata in  materia  di
circolazione stradale, in deroga al «regime generale», previsto dalla
legge 24  novembre  1981,  n.  689  (Modifiche  al  sistema  penale),
«valevole per tutte le infrazioni  assoggettate  alla  sola  sanzione
amministrativa» (sentenza n. 255 del 1994); 
        che, inoltre,  la  scelta  legislativa  di  differenziare  il
ricorso  amministrativo  da  quello   giurisdizionale   deve   essere
considerata non manifestamente irragionevole, anche se riguardata dal
punto di vista di quest'ultimo; 
        che rileva, infatti, in tale prospettiva, quanto questa Corte
ha affermato nel vagliare la  legittimita'  costituzionale  dell'art.
202 del codice della strada,  sotto  il  profilo  del  contrasto  con
l'art. 24 Cost.; 
        che,  difatti,  essendo  stato  allora  ipotizzato   che   la
possibilita' di avvalersi del pagamento in misura ridotta  integrasse
un «condizionamento» alla possibilita' di adire le vie giudiziali, la
Corte ebbe ad osservare come «la scelta tra pagare in misura  ridotta
(e cioe' la somma pari al minimo edittale della  sanzione  pecuniaria
prevista  per  l'infrazione)  ed   impugnare   invece   il   verbale,
costituisca   il   risultato    di    una    libera    determinazione
dell'interessato, il quale  non  subisce  condizionamenti  di  sorta,
considerato che, qualora opti per l'esercizio del diritto di  azione,
non  per  questo  e'  destinato,   necessariamente,   a   subire   un
aggravamento della sanzione pecuniaria» (sentenza n. 468 del 2005); 
        che, su tali basi, si e' affermato che, in  caso  di  rigetto
dell'opposizione, «non e' preclusa al Giudice  di  pace,  "nella  sua
discrezionalita' ed ove ne ricorrano le condizioni", la  possibilita'
di determinare l'entita' della sanzione pecuniaria (...)  nel  minimo
previsto, cioe' nella misura corrispondente a quella "ridotta" di cui
all'art. 202 del nuovo codice della strada»  (cosi',  nuovamente,  la
sentenza n. 468 del 2005); 
        che  tale  affermazione,  dunque,  evidenzia  il  ruolo   non
marginale rivestito - ai fini  della  coerenza  complessiva  e  della
funzionalita'  del  sistema  di  accertamento  e  repressione   delle
infrazioni  stradali -  proprio  dalla  possibilita'  (che  l'odierno
remittente vorrebbe, invece, eliminare) spettante al giudice di  pace
di  determinare,  anche  in  una  misura  pari  al  minimo  edittale,
l'entita' della sanzione pecuniaria irrogabile in caso di rigetto del
ricorso; 
        che in base, pertanto, a tali rilievi deve essere  dichiarata
la manifesta infondatezza della questione sollevata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo  204-bis,  comma  7,  del
decreto legislativo 30  aprile  1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della
strada), introdotto dall'art. 4, comma 1-septies,  del  decreto-legge
27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed  integrazioni  al  codice  della
strada), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 1° agosto 2003, n. 214, sollevata - in riferimento all'articolo
3 della Costituzione - dal Giudice di pace di Milano con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2009. 
                        Il Presidente: Flick 
                       Il redattore: Quaranta 
                      Il cancelliere: Di Paola 
    Depositata in cancelleria il 30 gennaio 2009. 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola