N. 73 ORDINANZA 9 - 13 marzo 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati  e  pene  -  Esercizio  delle  attivita'   di   intermediazione
  finanziaria  specificate  nei  decreti   legislativi   emanati   in
  attuazione della legge-delega n. 52 del 1996  (art.  15,  comma  1,
  lettera c), in assenza di iscrizione  nell'elenco  degli  operatori
  abilitati - Qualificazione  della  fattispecie  come  delitto,  con
  limiti edittali di pena superiori a quelli indicati nella legge  n.
  52 del 1996 - Denunciato eccesso di delega - Errata  individuazione
  della norma di delega - Manifesta inammissibilita' delle questioni. 
- D.lgs. 26 maggio 1997, n. 153, art. 5, comma 3. 
- Costituzione, artt. 76 e 77. 
(GU n.11 del 18-3-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO; 
ha pronunciato la seguente 
                              Ordinanza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3,  del
decreto  legislativo   26   maggio   1997,   n.   153   (Integrazione
dell'attuazione della direttiva 91/308/CEE in materia di  riciclaggio
dei capitali di provenienza illecita), promossi con ordinanze del  10
dicembre 2007 dal Tribunale di Palermo,  del  14  febbraio  2008  dal
Tribunale  di  Macerata,  del  7  novembre  2007  dal  Tribunale   di
Alessandria  e  del  19  febbraio  2008  dal  Tribunale  di  Sondrio,
rispettivamente iscritte ai numeri 130,  131,  160,  161  e  174  del
registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica numeri 19, 23 e 24, 1ª serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio dell'11 febbraio 2009 il  giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto che, con le prime due ordinanze  indicate  in  epigrafe,
d'identico  tenore,  il  Tribunale  di  Palermo  ha   sollevato,   in
riferimento agli articoli 76 e 77 della  Costituzione,  questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,  comma  3,  del   decreto
legislativo 26 maggio  1997,  n.  153  (Integrazione  dell'attuazione
della direttiva 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali  di
provenienza illecita), nelle parti in cui configura come  delitto  la
fattispecie criminosa ivi  descritta  e  commina  pene  superiori  ai
«minimi edittali» indicati nella legge delega 6 febbraio 1996, n.  52
(Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
dall'appartenenza  dell'Italia   alle   Comunita'   europee -   legge
comunitaria 1994); 
        che il giudice a quo, investito di processi nei confronti  di
persone imputate del delitto  previsto  dalla  norma  denunciata  per
avere eseguito operazioni di ricezione o di trasferimento di  denaro,
o per avere svolto attivita' d'intermediazione finanziaria in cambi e
prestazioni di servizi di pagamento,  senza  la  prevista  iscrizione
nell'apposito  elenco  degli  operatori  in   attivita'   finanziaria
istituito presso l'Ufficio Italiano Cambi,  espone  che  i  difensori
hanno eccepito l'illegittimita' costituzionale  di  detta  norma  per
contrasto con gli articoli 25, 76 e 77 Cost.; 
        che il rimettente muove da una ricostruzione preliminare  del
quadro normativo  di  riferimento,  rilevando  come  la  disposizione
denunciata sia stata emanata  sulla  base  della  delega  legislativa
conferita al Governo dalla legge 6 febbraio  1996,  n.  52,  ai  fini
dell'integrazione  dell'attuazione  della  direttiva  n.  91/308/CEE,
relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di
riciclaggio  dei  proventi  di  attivita'  illecite  (direttiva   poi
abrogata dall'art. 44 della direttiva del Parlamento e del  Consiglio
europeo n. 60 del 20 ottobre 2005); 
        che il legislatore delegante aveva imposto  di  procedere  al
riordino  delle  sanzioni  amministrative  e  penali  previste  nella
normativa di riferimento - cioe' nel decreto-legge 3 maggio  1991  n.
143 (Provvedimenti urgenti per limitare  l'uso  del  contante  e  dei
titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l'uso  del  sistema
finanziario a scopo di  riciclaggio),  convertito  con  modificazioni
dalla legge 5 luglio 1991, n. 197 - stabilendo tuttavia  di  eseguire
tale riordino senza eccedere i limiti massimi ivi  contemplati,  come
previsto dall'art. 15, comma 2, della legge delega n. 52 del 1996; 
        che all'epoca dell'emanazione della citata  legge  delega  la
normativa di riferimento (legge n. 197 del 1991)  prevedeva  soltanto
fattispecie di natura contravvenzionale in quanto, in forza dell'art.
161 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n.  385  (Testo  unico
delle leggi in materia bancaria e creditizia),  e  dunque  ben  prima
dell'emanazione della  medesima  legge  delega,  era  stato  abrogato
l'art. 6, comma 9, della legge  n.  197  del  1991,  recante  l'unica
ipotesi - nell'ambito di detta normativa - di delitto sanzionato  con
reclusione e multa, sicche' il legislatore delegante non poteva certo
riferirsi ad una disposizione non piu' in vigore; 
        che, inoltre,  anche  qualora  si  volesse  ritenere  che  il
legislatore  delegante  intendesse  riferirsi   non   soltanto   alla
normativa (legge n. 197 del 1991) esplicitamente richiamata nell'art.
15, comma 1, lettera c), della legge n. 52 del 1996 ma anche all'art.
5 del decreto-legge 28  giugno  1990,  n.  167  (Rilevazione  a  fini
fiscali di taluni trasferimenti da e per l'estero di denaro, titoli e
valori), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n.
227, andrebbe osservato come il legislatore delegato abbia superato i
limiti sanzionatori fissati  dal  legislatore  delegante,  prevedendo
nella norma impugnata una  pena  (da  sei  mesi  a  quattro  anni  di
reclusione e la multa da euro 2.065 ad  euro  10.329)  ben  superiore
rispetto a quella stabilita dal citato art. 5 della legge n. 227  del
1990 (da sei mesi ad un anno di reclusione e la multa da 500 a  5.000
euro); 
        che, pertanto, la questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata dai difensori con riferimento a tale profilo si rivela  non
manifestamente infondata per violazione degli articoli 76 e 77 Cost.,
mentre la rilevanza della questione medesima nel  caso  concreto  non
puo'  essere  posta  in  dubbio,  avuto  riguardo  alla  sua  diretta
incidenza sul processo e sulla pena; 
        che, invece, il rimettente reputa manifestamente infondate le
deduzioni delle difese riguardanti  sia  la  «disomogeneita»  tra  le
fattispecie concrete riportate nella normativa di  riferimento  (d.l.
n. 143 del 1991, convertito con modificazioni dalla  legge  5  luglio
1991, n. 197) e la disposizione attuativa della delega (art. 5, comma
3, del d.lgs.  n.  153  del  1997);  sia  «avere  in  ultima  analisi
effettuato il rimando normativo concretamente descrittivo, sulla base
del quale  individuare  i  soggetti  agenti  ed  il  contenuto  delle
condotte  punite  nella  fattispecie,  ad   una   fonte   di   natura
regolamentare, dunque di rango inferiore» con asserita violazione del
principio della riserva di legge in materia penale; 
        che nei due  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  cosi'
promossi e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente  infondata,
perche' il rimettente sarebbe incorso in  errore  nell'individuazione
della «norma interposta», da  identificare  non  nell'art.  15  della
legge n. 52 del 1996 ma nell'art. 3, comma 1, lettera c), della legge
stessa,  alla  cui  stregua  la  disposizione   denunciata   dovrebbe
ritenersi pienamente rispettosa della delega; 
        che, con le altre tre  ordinanze  indicate  in  epigrafe,  il
Tribunale di Macerata, il Tribunale di Alessandria e il Tribunale  di
Sondrio, anch'essi investiti di processi  nei  confronti  di  persone
imputate del delitto previsto dalla norma denunciata per aver  svolto
operazioni  di  trasferimento  di  denaro   senza   essere   iscritte
nell'elenco degli agenti in attivita' finanziaria tenuto dall'Ufficio
Italiano Cambi, o per avere indotto altro soggetto  a  svolgere  tale
attivita' (si veda l'ordinanza del Tribunale di  Alessandria),  hanno
del pari sollevato, in riferimento  agli  articoli  76  e  77  Cost.,
altrettante questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,
comma 3, del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 153, nelle  parti
in cui configura come delitto la fattispecie penale in esso descritta
e commina quindi  pene  di  specie  diversa  e  superiori  ai  limiti
edittali indicati nella legge delega 6 febbraio 1996, n. 52; 
        che, in particolare,  i  rimettenti,  ritenuta  la  rilevanza
della questione nel  caso  concreto,  stante  la  sua  incidenza  sul
processo e sulla pena, pervengono a giudicare la  questione  medesima
non manifestamente  infondata,  esponendo  argomenti  sostanzialmente
analoghi a quelli  addotti  nelle  due  ordinanze  del  Tribunale  di
Palermo (in sintesi, eccesso  di  delega  per  avere  introdotto  una
fattispecie  di  reato  configurata   come   delitto   e   non   come
contravvenzione,  con  un   trattamento   sanzionatorio   esorbitante
rispetto ai criteri direttivi indicati dal legislatore delegante); 
        che  nel   giudizio   di   costituzionalita'   promosso   con
l'ordinanza del Tribunale di Macerata e'  intervenuta  la  Presidenza
del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata
manifestamente    infondata    per    il    gia'    dedotto    errore
nell'individuazione della «norma interposta»; 
        che le parti private non hanno svolto attivita' difensiva. 
    Considerato che le cinque ordinanze  di  rimessione  indicate  in
epigrafe sollevano  questioni  identiche,  onde  i  relativi  giudizi
devono essere riuniti per essere definiti con unica decisione; 
        che  i  giudici  a   quibus   dubitano   della   legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione,
dell'art. 5, comma 3, del decreto legislativo 26 maggio 1997, n.  153
(Integrazione dell'attuazione della direttiva 91/308/CEE, in  materia
di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita), nelle parti  in
cui configura come delitto la fattispecie criminosa ivi  descritta  e
commina pene superiori ai  «limiti  edittali»  indicati  nella  legge
delega 6 febbraio 1996, n. 52; 
        che, ad avviso dei rimettenti, il legislatore delegato doveva
ritenersi abilitato ad introdurre unicamente  fattispecie  penali  di
tipo contravvenzionale,  punite  con  pene  non  superiori  a  quelle
previste per i reati contemplati dal decreto-legge 3 maggio 1991,  n.
143, convertito con modificazioni nella legge 5 luglio 1991, n.  197;
e comunque - qualora si dovesse  fare  riferimento,  oltre  che  alla
normativa di cui alla legge n. 197 del 1991, anche al d.l. n. 167 del
1990, convertito con modificazioni dalla legge n. 227 del 1990,  pure
richiamato nell'art. 15, comma 1, della legge delega - il trattamento
sanzionatorio sarebbe sempre esorbitante rispetto ai limiti  edittali
in tale normativa contemplati; 
        che i  rimettenti  valutano,  tuttavia,  la  sussistenza  del
dedotto vizio di eccesso  di  delega  esclusivamente  alla  luce  dei
criteri di delega specifici dettati dall'art. 15 della  legge  n.  52
del 1996 ai fini dell'integrazione  dell'attuazione  della  direttiva
91/308/CEE, senza tenere conto dei criteri generali  stabiliti  dalla
medesima legge in tema di disciplina delle sanzioni: criteri,  questi
ultimi, la cui applicabilita' non e' esclusa dai primi; 
        che, secondo un approccio tipico delle  «leggi  comunitarie»,
la legge n. 52 del 1996 ha delegato infatti il Governo ad  emanare  i
decreti legislativi recanti le norme necessarie per  dare  attuazione
ad un complesso di direttive comunitarie,  indicate  nell'allegato  A
alla medesima legge (art. 1): direttive fra le quali e'  compresa  la
direttiva 91/308/CEE in tema  di  prevenzione  dell'uso  del  sistema
finanziario  a  scopo  di  riciclaggio  dei  proventi  di   attivita'
illecite; 
        che la medesima legge n. 52 del 1996 reca, altresi', all'art.
3, un insieme di  criteri  e  principi  direttivi  «generali»,  cioe'
valevoli per tutti i decreti legislativi da emanare, salvi i principi
specifici dettati dai successivi articoli in relazione  alle  singole
materie e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare; 
        che, con particolare riguardo all'assetto  sanzionatorio,  la
lettera c) del citato art. 3 - ripetendo una formula  corrente  nelle
«leggi comunitarie» - stabiliva che il legislatore  delegato  potesse
introdurre sanzioni amministrative e penali per  le  infrazioni  alle
disposizioni dei decreti  legislativi,  ove  necessario  al  fine  di
assicurarne l'osservanza:  entro  il  limite,  quanto  alle  sanzioni
penali, dell'ammenda fino a lire duecento milioni e dell'arresto fino
a tre anni, e sempre che le  infrazioni  ledessero  o  esponessero  a
pericolo «interessi generali dell'ordinamento  interno  del  tipo  di
quelli tutelati dagli artt. 34 e 35 della legge 24 novembre 1981,  n.
689»; 
        che la medesima disposizione, tuttavia, soggiungeva  che  «in
ogni caso, in deroga ai limiti sopra indicati, per le infrazioni alle
disposizioni dei decreti legislativi saranno previste sanzioni penali
o amministrative identiche  a  quelle  eventualmente  gia'  comminate
dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee  e  di  pari
offensivita' rispetto alle infrazioni medesime»; 
        che - come emerge  chiaramente  dalla  relazione  integrativa
allo schema del d.lgs. n. 153 del  1997  -  proprio  sulla  base  del
criterio generale di delega  ora  indicato,  e  non  gia'  di  quelli
specifici di cui all'art. 15 della  medesima  legge,  il  legislatore
delegato ha inteso emanare la norma incriminatrice di cui si discute:
e cio' sul rilievo che la fattispecie di  abusivismo  contemplata  da
tale norma risulterebbe omogenea e di pari offensivita'  rispetto  al
delitto di  abusiva  attivita'  finanziaria  previsto  dall'art.  132
d.lgs. n. 385 del 1993,  nonche'  al  delitto  di  abusivo  esercizio
dell'attivita' di mediazione creditizia, previsto dall'art. 16, comma
7, della legge 7 marzo 1996,  n.  108  (Disposizioni  in  materia  di
usura); delitti al cui  trattamento  sanzionatorio  e'  stato  quindi
allineato quello della figura di reato di cui si discute; 
        che, come eccepito dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  i
rimettenti hanno individuato, dunque, in  modo  errato  la  norma  di
delega alla cui stregua va  apprezzata  la  sussistenza  del  dedotto
vizio di eccesso di delega, svolgendo per conseguenza  argomentazioni
inconferenti ai fini di tale valutazione, il che rende  le  questioni
sollevate manifestamente inammissibili (sentenza  n.  382  del  2004;
ordinanza n. 72 del 2003); 
        che i rilievi fin qui  svolti  sono  stati  gia'  esposti  da
questa Corte nell'ordinanza n. 194 del 2008, che, sulla base di essi,
ha  dichiarato  la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate nei  confronti  della  medesima
norma qui denunciata in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost.; 
        che i detti rilievi non sono stati  in  alcun  modo  superati
dalle ordinanze di rimessione indicate in epigrafe. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
                          Per questi  motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Riuniti i giudizi, 
dichiara   la   manifesta   inammissibilita'   delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,  comma  3,  del   decreto
legislativo 26 maggio  1997,  n.  153  (Integrazione  dell'attuazione
della direttiva 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali  di
provenienza illecita), sollevate, in riferimento agli articoli  76  e
77 della Costituzione, dal Tribunale di  Palermo,  dal  Tribunale  di
Macerata, dal Tribunale di Alessandria e dal Tribunale di Sondrio con
le ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2009. 
                       Il Presidente: Amirante 
                       Il redattore: Criscuolo 
                      Il cancelliere: Di Paola 
    Depositata in cancelleria il 13 marzo 2009. 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola