N. 108 SENTENZA 1 - 9 aprile 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Professioni -  Abilitazione  professionale -  Conseguimento  ad  ogni
  effetto da parte  dei  candidati  che  abbiano  superato  le  prove
  d'esame scritte ed orali previste dal bando, anche se  l'ammissione
  alle medesime o la ripetizione della  valutazione  da  parte  della
  commissione  sia  stata  operata   a   seguito   di   provvedimenti
  giurisdizionali o di  autotutela -  Eccezioni  di  inammissibilita'
  della  questione  sollevate  dalla   parte   privata   costituita -
  Reiezione. 
- D.l. 30 giugno 2005, n. 115 (convertito, con  modificazioni,  nella
  legge 17 agosto 2005, n. 168), art. 4, comma 2-bis. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 25, 103, 111, secondo comma, 113 e 125. 
Professioni -  Abilitazione  professionale -  Conseguimento  ad  ogni
  effetto da parte  dei  candidati  che  abbiano  superato  le  prove
  d'esame scritte ed orali previste dal bando, anche se  l'ammissione
  alle medesime o la ripetizione della  valutazione  da  parte  della
  commissione  sia  stata  operata   a   seguito   di   provvedimenti
  giurisdizionali  o  di  autotutela -  Denunciata   violazione   dei
  principi del giusto processo, del  contraddittorio,  della  parita'
  delle parti del  processo,  del  diritto  di  difesa  e  della  non
  limitabilita'  della  tutela  giurisdizionale,  lesione  della  par
  condicio  tra  gli  esaminandi,  contrasto  con   i   principi   di
  eguaglianza e ragionevolezza, nonche' violazione delle garanzie del
  giudice   naturale   e   del   doppio   grado   di    giurisdizione
  amministrativa -    Esclusione -    Non    irragionevolezza     del
  bilanciamento di interessi operato dalla norma censurata - Limitata
  compressione  del  diritto  di  difesa   dell'amministrazione,   in
  funzione di tutela dell'affidamento del privato  e  della  certezza
  dei rapporti giuridici - Non fondatezza della questione. 
- D.l. 30 giugno 2005, n. 115 (convertito, con  modificazioni,  nella
  legge 17 agosto 2005, n. 168), art. 4, comma 2-bis. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 25, 103, 111, secondo comma, 113 e 125. 
(GU n.15 del 15-4-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
                              Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 2-bis,
del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115  (Disposizioni  urgenti  per
assicurare   la   funzionalita'    di    settori    della    pubblica
amministrazione),  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  17
agosto  2005,  n.  168,   promosso   dal   Consiglio   di   giustizia
amministrativa per la Regione  siciliana  sul  ricorso  proposto  dal
Ministero della giustizia ed altri contro L. B., con ordinanza del  5
giugno 2008, iscritta  al  n.  328  del  registro  ordinanze  2008  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, 1ª  serie
speciale, dell'anno 2008; 
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  L.  B.  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 2009 il giudice relatore
Sabino Cassese; 
    Uditi l'avvocato Mario Caldarera per L.  B.  e  l'avvocato  dello
Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Il Consiglio di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione
siciliana ha sollevato, con riferimento agli articoli 3, 24, 25, 103,
111, secondo comma,  113  e  125  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'   costituzionale   dell'art.   4,   comma   2-bis,   del
decreto-legge 30  giugno  2005,  n.  115  (Disposizioni  urgenti  per
assicurare funzionalita' di settori della pubblica  amministrazione),
convertito, con modificazioni, dalla legge 17 agosto 2005, n. 168. 
    La disposizione impugnata  stabilisce  che  «Conseguono  ad  ogni
effetto  l'abilitazione  professionale  o  il  titolo  per  il  quale
concorrono i candidati, in possesso dei  titoli  per  partecipare  al
concorso, che abbiano superato le  prove  d'esame  scritte  ed  orali
previste  dal  bando,  anche  se  l'ammissione  alle  medesime  o  la
ripetizione della valutazione da parte della  commissione  sia  stata
operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela». 
    2. - Il Collegio rimettente espone che dinanzi a  esso  pende  il
ricorso in appello contro la  sentenza  con  la  quale  il  Tribunale
amministrativo  regionale  per  la  Sicilia  ha  accolto  il  ricorso
presentato da un candidato che non era stato ammesso alle prove orali
dell'esame di abilitazione all'esercizio della  professione  forense,
per l'insufficiente  punteggio  riportato  nelle  prove  scritte.  Il
Collegio riferisce che dopo la proposizione  dell'appello,  ma  prima
della  camera  di  consiglio  fissata  per  l'esame  dell'istanza  di
sospensione  dell'efficacia  della  sentenza,  in  esecuzione   della
sentenza stessa, gli elaborati del candidato  sono  stati  nuovamente
corretti ed egli e' stato ammesso alle prove orali, che ha  superato,
per poi iscriversi all'Albo degli avvocati.  L'istanza  cautelare  e'
stata successivamente accolta dal Collegio rimettente, che ha sospeso
gli effetti  della  sentenza  gravata  sino  all'esito  del  presente
giudizio di legittimita' costituzionale. 
    3. - In ordine alla rilevanza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale,  il  Collegio  rimettente  rileva   innanzitutto   la
differenza tra il giudizio a quo e quello  nel  corso  del  quale  la
questione di legittimita' costituzionale  della  stessa  disposizione
era  stata  precedentemente  sollevata  dallo  stesso  Consiglio   di
giustizia amministrativa, per poi  essere  dichiarata  manifestamente
inammissibile dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n.  312  del
2007, in quanto  la  disposizione  non  era  rilevante  nel  giudizio
principale. 
    Il rimettente  osserva  poi  che,  se  si  dovesse  applicare  la
disposizione impugnata, la domanda cautelare  andrebbe  respinta  per
carenza del fumus boni juris,  in  quanto  sarebbe  improcedibile  lo
stesso atto di appello. Infatti, nel caso  al  suo  esame,  la  nuova
correzione delle prove scritte  e  il  successivo  superamento  delle
prove orali sono avvenuti dopo la proposizione dell'appello, ma prima
che il giudice di secondo grado potesse esaminare  il  gravame  anche
solo in fase cautelare. La  disposizione  impugnata,  comportando  il
definitivo conseguimento dell'abilitazione professionale da parte del
candidato,    farebbe    cessare    ex    lege     ogni     interesse
dell'amministrazione appellante alla decisione. 
    L'applicazione    della    disposizione    impugnata,     quindi,
precluderebbe la pronuncia di merito sulla correttezza della sentenza
impugnata e, quindi, sulla legittimita' degli atti impugnati  con  il
ricorso di primo grado. 
    4. -  Con  riferimento  alla  non  manifesta  infondatezza  della
questione, il rimettente ripropone le  censure  gia'  espresse  nella
precedente ordinanza di  rimessione,  alla  quale  e'  conseguita  la
menzionata ordinanza n. 312 del 2007, e ne aggiunge di nuove. 
    La disposizione impugnata violerebbe, in primo  luogo,  l'art.  3
Cost., poiche', non  rispettando  i  principi  del  giusto  processo,
lederebbe l'interesse dell'amministrazione che ha indetto il concorso
o la sessione d'esame a far si' che la misura cautelare eventualmente
accordata  conservi  il  suo  carattere  strumentale  rispetto   alla
decisione di merito,  mentre  la  disposizione  censurata  renderebbe
avulsa la misura  cautelare  dal  giudizio  di  merito.  Inoltre,  la
disposizione,  consolidando  gli  effetti   prodotti   dall'ordinanza
cautelare favorevole all'interessato, si porrebbe in contrasto con il
dovere  dell'amministrazione  di  tutelare  la  par  condicio   degli
esaminandi. 
    La violazione dell'art. 3 Cost. viene lamentata  anche  sotto  il
profilo  dell'eguaglianza  e  della  ragionevolezza.  Il   rimettente
osserva al riguardo che la  disposizione  impugnata  fa  si'  che  la
possibilita', per la parte soccombente, di ottenere la  decisione  di
merito sull'appello dipende da un elemento  di  fatto  come  i  tempi
entro i quali l'amministrazione da'  esecuzione  alla  decisione  del
giudice di primo grado: si tratterebbe  di  un  elemento  inidoneo  a
giustificare una simile disparita' di trattamento. 
    La disposizione violerebbe, in secondo luogo, gli artt. 24 e  111
Cost., che garantiscono  il  diritto  al  contraddittorio  e  la  sua
effettivita'.  Secondo  il  Collegio  rimettente,   la   disposizione
denunciata  introduce  un  modello  di  processo  nel   quale   viene
attribuita efficacia di giudicato all'esito di un giudizio che non e'
neppure a cognizione piena. Non a caso, prosegue  il  rimettente,  la
Corte costituzionale, con la sentenza n. 427 del  1999,  ha  ritenuto
che  la  finalita'  di  accelerare  lo   svolgimento   dei   processi
amministrativi non pregiudica il rispetto di precise regole  -  quali
l'integrita' del contraddittorio, la  completezza  delle  prove,  gli
adempimenti processuali per la tutela del diritto di difesa di  tutte
le  parti  -   che   postulano   un'effettiva   e   completa   tutela
giurisdizionale, ferma restando l'appellabilita' della decisione. 
    La lesione degli artt. 24 e 111 Cost. viene lamentata anche sotto
il  profilo  della  parita'  delle  parti  nel   processo.   Non   e'
accettabile, secondo il rimettente, che, secundum eventum litis,  una
sola parte venga privata del diritto di appello. Al  riguardo,  viene
richiamata la sentenza  n.  26  del  2007,  con  la  quale  la  Corte
costituzionale  ha  dichiarato  l'illegittimita'  della   norma   che
escludeva che il pubblico ministero potesse appellare le sentenze  di
proscioglimento. 
    La disposizione impugnata violerebbe, in terzo luogo,  l'art.  25
Cost., in quanto la rivalutazione delle prove scritte  puo'  avvenire
per  effetto  di  una  decisione  cautelare  emessa  da  un   giudice
incompetente, e  in  quanto  la  possibilita'  che  sia  precluso  il
giudizio di appello «distoglie la  parte  pubblica  dal  suo  giudice
naturale precostituito per legge che, in questa materia, e' in  grado
di appello il Consiglio di Stato». 
    La disposizione violerebbe, in quarto luogo, gli artt. 24, 111  e
113 Cost., in quanto la decisione cautelare favorevole  al  candidato
diverrebbe sostanzialmente inimpugnabile una  volta  che  egli  abbia
superato  le  prove   concorsuali   scritte   e   orali,   con   cio'
verificandosi, da un lato, che  un'ordinanza  di  sospensiva  produca
effetti definitivi e irreversibili e, dall'altro lato, che  la  parte
interessata perda  la  possibilita'  di  ottenere  il  riesame  della
decisione  cautelare,  ogni  qualvolta  la  rivalutazione  con  esito
positivo delle prove scritte si concluda -  com'e'  nella  normalita'
dei casi - prima della  decisione  sull'appello  avverso  l'ordinanza
cautelare (e, ovviamente, prima della celebrazione  del  giudizio  di
merito, talche' verrebbe meno anche la esperibilita' del ricorso  per
cassazione ex  art.  111  Cost.,  il  quale  non  e'  ammesso  contro
decisioni a carattere strumentale e interinale). 
    La disposizione violerebbe, in quinto luogo, gli artt. 111 e  113
Cost. sulla garanzia del doppio grado di giurisdizione, oltre  che  i
principi comunitari relativi  alla  qualita'  e  all'efficacia  della
tutela giurisdizionale nell'ordinamento comunitario. 
    La violazione dell'art.  113  Cost.  deriverebbe  altresi'  dalla
lesione   del   principio   di   non   limitabilita'   della   tutela
giurisdizionale a particolari mezzi di impugnazione o per determinate
categorie  di  atti,  che  deriverebbe  dall'inappellabilita'   delle
statuizioni rese dal giudice di prime cure. 
    La disposizione impugnata violerebbe, infine, l'art. 125 Cost. Al
riguardo, il Collegio osserva che la disposizione impugnata impedisce
di fatto, almeno  potenzialmente,  lo  svolgimento  del  giudizio  di
appello in tutti i casi di accoglimento  in  prime  cure  di  ricorsi
avverso l'esito negativo degli esami. In  questo  modo,  i  tribunali
amministrativi regionali verrebbero a operare come giudici  di  unico
grado. Cio' contrasterebbe con l'invocata previsione  costituzionale,
secondo la quale essi sono  organi  di  giustizia  amministrativa  di
primo grado, che il legislatore ordinario  non  puo'  trasformare  in
giudici  di  unico  grado,  come  confermato   dalla   giurisprudenza
costituzionale   relativa   ai    caratteri    della    giurisdizione
amministrativa (sentenza n. 8 del 1982). 
    5. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si  e'  costituita,  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato. 
    Dopo avere riconosciuto che, a differenza del caso  deciso  dalla
Corte con l'ordinanza n. 312 del 2007, la questione e' rilevante  per
il giudizio principale,  l'Avvocatura  afferma  l'infondatezza  della
questione,  osservando  che  la  disposizione  impugnata   e'   stata
concepita come una norma di sanatoria, da valutare  alla  luce  della
relativa giurisprudenza costituzionale, che non  esclude  in  via  di
principio le leggi di  sanatoria,  ma  le  sottopone  a  un  rigoroso
scrutinio di costituzionalita' (sentenze nn.  14  del  1999,  94  del
1995, 402 del 1993, 474 del 1988,  100  del  1987).  La  disposizione
impugnata, introdotta per esigenze organizzative e di celerita',  per
evitare gravi disfunzionalita'  e  consolidare  posizioni  acquisite,
sarebbe coerente con i principi stabiliti da questa giurisprudenza. 
    Con riferimento alle censure formulate dal Consiglio di giustizia
amministrativa, la difesa statale nega  che  vi  sia  violazione  del
principio di eguaglianza, in quanto il presupposto per l'applicazione
della disposizione e' comunque il superamento dell'esame, sia pure in
sede di nuova correzione. Nega anche che vi sia lesione  del  diritto
di difesa, in quanto la disposizione si applica solo  agli  esami  di
abilitazione,  non  essendovi  quindi  la  necessita'   di   tutelare
l'integrita' del contraddittorio nei confronti dei controinteressati.
Esclude, poi, che sia violato  il  principio  del  giudice  naturale,
osservando che e' irrilevante la circostanza  che,  in  singoli  casi
concreti, possa essere adito  un  giudice  incompetente  e  che,  nel
giudizio amministrativo, le regole sulla competenza territoriale  non
sono applicabili in sede cautelare.  Ritiene,  infine,  che  non  sia
violato il principio del doppio grado di giurisdizione, in quanto  la
disposizione non preclude la proposizione dell'appello, ma puo'  solo
renderlo improcedibile, e d'altra parte i tempi della  giustizia  non
possono determinare l'illegittimita' costituzionale di una norma. 
    6. - Si e' costituito anche il ricorrente  nel  giudizio  a  quo,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata. 
    La  questione  sarebbe  inammissibile,  secondo  la  difesa   del
ricorrente, per via dell'inammissibilita' del  ricorso  nel  giudizio
principale, derivante  dal  fatto  che  la  commissione  esaminatrice
avrebbe spontaneamente proceduto alla nuova valutazione delle  prove.
La questione sarebbe inammissibile anche perche' le conseguenze della
disposizione,  lamentate  nell'ordinanza  di  rimessione,   sarebbero
inconvenienti di fatto. L'inammissibilita' deriverebbe, ancora, dalla
perplessita' e contraddittorieta'  della  stessa  ordinanza,  che  fa
riferimento all'ipotesi in cui  l'ammissione  agli  esami  sia  stata
disposta con provvedimento cautelare, e dal fatto che  il  rimettente
non  avrebbe  tenuto  conto   che   altri   giudici   hanno   escluso
l'incostituzionalita' della disposizione impugnata. 
    L'infondatezza della questione viene argomentata, oltre  che  con
la circostanza che il ricorrente ha  superato  le  prove  orali,  con
l'interesse  dell'amministrazione  a  una  pronta   definizione   dei
procedimenti concorsuali, con  l'esigenza  di  tutela  del  candidato
ricorrente.  Secondo  la  difesa  del  ricorrente,  la   disposizione
impugnata assicura un soddisfacente bilanciamento delle  esigenze  di
verifica della preparazione del candidato e  di  difesa  in  giudizio
dello stesso. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il Consiglio di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione
siciliana ha sollevato, con riferimento agli articoli 3, 24, 25, 103,
111, secondo comma,  113  e  125  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'   costituzionale   dell'art.   4,   comma   2-bis,   del
decreto-legge 30  giugno  2005,  n.  115  (Disposizioni  urgenti  per
assicurare   la   funzionalita'    di    settori    della    pubblica
amministrazione),  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  17
agosto 2005, n. 168. 
    La disposizione impugnata  stabilisce  che  «Conseguono  ad  ogni
effetto  l'abilitazione  professionale  o  il  titolo  per  il  quale
concorrono i candidati, in possesso dei  titoli  per  partecipare  al
concorso, che abbiano superato le  prove  d'esame  scritte  ed  orali
previste  dal  bando,  anche  se  l'ammissione  alle  medesime  o  la
ripetizione della valutazione da parte della  commissione  sia  stata
operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela». 
    Secondo il rimettente, la  disposizione  viola  l'art.  3  Cost.,
ledendo i principi del giusto processo, della par  condicio  tra  gli
esaminandi, dell'eguaglianza e della ragionevolezza, gli artt.  24  e
111 Cost., sotto i profili del diritto  al  contraddittorio  e  della
parita' delle parti nel processo, l'art. 25 Cost., sotto  il  profilo
del giudice naturale, nonche' gli artt. 24, 111,  113  e  125  Cost.,
sotto  i  profili  del  diritto  di  difesa,  del  doppio  grado   di
giurisdizione e della non limitabilita' della tutela  giurisdizionale
a particolari mezzi di impugnazione o per  determinate  categorie  di
atti. 
    2.  -   Vanno   preliminarmente   disattese   le   eccezioni   di
inammissibilita' sollevate dalla parte privata. Non e' argomentata in
modo    convincente    la     tesi     dell'irrilevanza     derivante
dall'inammissibilita' del ricorso nel giudizio principale,  dato  che
la commissione esaminatrice si e' limitata a eseguire la sentenza del
giudice di primo grado. Le conseguenze della disposizione  impugnata,
lamentate   nell'ordinanza   di   rimessione,    non    costituiscono
inconvenienti di fatto, accidentalmente prodotti  dalla  disposizione
stessa, ma il risultato che essa intende raggiungere. L'ordinanza  di
rimessione,  pur  riportando  anche  letteralmente  le  censure  gia'
contenute nella  precedente  ordinanza  di  rimessione  dello  stesso
Consiglio  di  giustizia  amministrativa,  consente  di  identificare
agevolmente le censure stesse. Infine, il  fatto  che  altri  giudici
avessero precedentemente dichiarato la manifesta  infondatezza  della
questione non impediva certo al collegio  rimettente  di  sollevarla,
ne' impedisce a questa Corte di esaminarla nel merito. 
    3. - Nel merito, la questione non e' fondata. 
    La  disposizione  impugnata  ha  lo  scopo  di  evitare  che   il
superamento delle prove  di  un  esame  di  abilitazione  venga  reso
inutile dalle vicende processuali successive al provvedimento, con il
quale un giudice o la stessa amministrazione, in via  di  autotutela,
abbiano disposto l'ammissione alle prove di esame  o  la  ripetizione
della valutazione. Per  raggiungere  questo  scopo,  la  disposizione
rende irreversibili - secondo la giurisprudenza amministrativa -  gli
effetti del superamento delle prove  scritte  e  orali  previste  dal
bando. Essa,  quindi,  rende  irreversibili  anche  gli  effetti  dei
provvedimenti  giurisdizionali  (pure  di  natura  cautelare)  o   di
autotutela amministrativa  che  abbiano  disposto  l'ammissione  alle
prove  stesse,  precludendo  l'ulteriore  prosecuzione  del  processo
eventualmente avviato. Cosi' facendo, la  disposizione  estende  agli
esami di abilitazione professionale un principio gia' elaborato dalla
giurisprudenza amministrativa per gli esami di maturita'. 
    Essa non contiene una norma di sanatoria, in quanto  dispone  per
il futuro, disciplinando in via generale gli effetti  di  adempimenti
amministrativi, e  non  intende  sanare  vizi  o  irregolarita'  gia'
verificatisi. 
    Come confermato anche  dalla  giurisprudenza  amministrativa,  la
disposizione censurata non si applica ai concorsi pubblici,  ma  solo
agli esami di abilitazione. Questi ultimi  sono  volti  ad  accertare
l'idoneita'  dei  candidati  a  svolgere  una  determinata  attivita'
professionale.  Accertata  questa  idoneita',  tale  attivita'   deve
potersi liberamente esplicare. L'accertamento deve essere compiuto da
un organo imparziale e dotato di adeguate competenze:  e'  necessario
che l'accertamento vi sia, mentre non  e'  decisivo  che  esso  abbia
luogo nel corso dell'ordinario procedimento amministrativo di esame o
a  seguito  di  un  provvedimento  giurisdizionale  o  di  autotutela
amministrativa. 
    La disposizione impugnata evita che  gli  effetti  di  un  simile
accertamento, gia'  compiuto,  vengano  travolti  dal  risultato  del
processo, eventualmente  avviato  in  conseguenza  della  conclusione
negativa di un precedente accertamento. Su questo, essa fa  prevalere
quello successivo, avente esito positivo. Si  tratta  di  una  scelta
operata  dal  legislatore  in  sede  di  bilanciamento  di  interessi
contrapposti. 
    Da un lato, vi e' l'interesse alla piena  e  definitiva  verifica
della legittimita' degli atti compiuti dall'amministrazione nel corso
del  procedimento  di  esame  e,  quindi,  della  correttezza   della
precedente valutazione, che abbia in ipotesi condotto  all'esclusione
del  candidato.  Questo  interesse   indurrebbe   a   consentire   la
prosecuzione del processo fino alla sua  naturale  conclusione.  Allo
stesso esito condurrebbe la piena esplicazione del diritto di  difesa
di entrambe le parti, nell'interesse di  ciascuna  delle  quali  sono
predisposti  i  diversi  gradi  di  giudizio  e   le   diverse   fasi
processuali. 
    Dall'altro lato, vi sono l'interesse a evitare che gli  esami  si
svolgano inutilmente, quello a evitare che la lentezza  dei  processi
ne renda incerto l'esito e, soprattutto, l'affidamento  del  privato,
il quale abbia superato le prove di esame e - in ipotesi - avviato in
buona fede la relativa attivita' professionale. Dal  punto  di  vista
dell'interesse generale, vi e' anche un'esigenza di certezza, sia  in
ordine ai tempi di conclusione dell'accertamento  dell'idoneita'  dei
candidati, sia in ordine ai rapporti instaurati dal  candidato  nello
svolgimento dell'attivita' professionale. 
    Il legislatore ha ritenuto di contemperare  i  diversi  interessi
rilevanti, accordando  una  particolare  tutela  all'affidamento  del
cittadino. Questo comporta indubbiamente una certa  compressione  del
diritto di difesa, in quanto si introduce una dissimmetria tra le due
parti  del  processo   amministrativo   eventualmente   avviato:   al
ricorrente, che soccomba in primo grado o nel giudizio cautelare,  e'
assicurata la possibilita' di ricorso o  di  esame  nel  merito;  se,
invece, e'  l'amministrazione  a  soccombere,  e'  possibile  che  il
giudizio di secondo grado o di merito non  abbia  luogo,  perche'  il
superamento delle prove puo' determinare l'estinzione del processo. 
    Queste  conseguenze  vanno  valutate  alla  luce   dei   principi
costituzionali, che non escludono  una  ragionevole  limitazione  del
diritto di difesa dell'amministrazione. 
    Come osservato  da  questa  Corte  con  riferimento  al  processo
penale, ma con argomenti che possono essere  parzialmente  estesi  al
processo amministrativo, il principio di parita'  tra  le  parti  nel
processo non  comporta  necessariamente  l'identita'  dei  rispettivi
poteri processuali: «stanti le differenze  fisiologiche  fra  le  due
parti, dissimmetrie sono, cosi', ammissibili  anche  con  riferimento
alla disciplina  delle  impugnazioni,  ma  debbono  trovare  adeguata
giustificazione ed essere contenute nei limiti della  ragionevolezza»
(sentenza n. 26 del 2007). Simili limitazioni - e' stato  ribadito  -
per  essere  rispettose  dei  principi  di   parita'   delle   parti,
eguaglianza e ragionevolezza e del diritto di difesa,  devono  essere
sorrette da una razionale giustificazione (sentenza n. 85 del 2008). 
    Con  specifico  riferimento  al  processo   amministrativo,   una
ragionevole dissimmetria puo' essere giustificata alla luce dell'art.
113 Cost. Questo parametro, invocato  dal  rimettente  a  tutela  del
diritto di difesa  dell'amministrazione,  e'  in  effetti  rivolto  -
all'inverso - a garantire il cittadino contro gli atti della pubblica
amministrazione. 
    Alla luce di  questi  principi,  il  bilanciamento  di  interessi
operato dal legislatore,  con  la  disposizione  denunciata,  non  e'
irragionevole. Il  diritto  di  difesa  dell'amministrazione  e'  si'
compresso, ma non eliminato, in quanto esso puo' comunque  esplicarsi
fino all'eventuale superamento delle prove. E la sua compressione  e'
giustificata dal fatto che dell'interesse  pubblico  all'accertamento
dell'idoneita' del candidato,  di  cui  l'amministrazione  stessa  e'
portatrice, la disposizione si fa  comunque  carico,  richiedendo  il
superamento della prova: e' solo a seguito  della  ripetizione  della
stessa o  della  nuova  valutazione,  con  esito  positivo  -  e  non
semplicemente sulla base di un provvedimento giurisdizionale - che il
candidato  consegue  l'abilitazione.  Vi  e',  quindi,  comunque   un
accertamento  dell'idoneita'  del  candidato,  affidato  alla  stessa
amministrazione  o  ad  altra  egualmente  portatrice  dello   stesso
interesse pubblico. 
    Presupposto per l'applicazione della  disposizione  impugnata  e'
che, a seguito di un provvedimento giurisdizionale  o  di  iniziativa
della stessa amministrazione, vi  sia  stato  un  nuovo  accertamento
dell'idoneita' del candidato, con la ripetizione delle  prove  o  con
una nuova valutazione di esse. E' questo accertamento amministrativo,
e  non  il  provvedimento  del  giudice,  a  produrre  l'effetto   di
conseguimento   dell'abilitazione,   che   la   disposizione    rende
irreversibile. Il legislatore ha ritenuto che, una volta  operato  il
nuovo  accertamento,  la  prosecuzione  del  processo,  avviato   per
contestare l'esito del precedente  accertamento,  fosse  superflua  e
potesse andare a detrimento  dell'affidamento  del  privato  e  della
certezza dei rapporti giuridici. Cio' spiega perche' la  disposizione
possa trovare applicazione anche  quando  il  nuovo  accertamento  e'
stato operato a seguito di un provvedimento cautelare del giudice. 
    Da quanto precede deriva l'infondatezza delle  censure,  relative
agli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost., basate sulla presunta lesione  del
diritto di difesa dell'amministrazione. 
    Non e' fondata la censura relativa all'art. 3 Cost., con la quale
si lamenta la violazione  della  par  condicio  tra  gli  esaminandi,
perche' la disposizione si applica a tutti i candidati e non  produce
alcuna disparita' di trattamento tra candidati che si  trovino  nella
stessa posizione. E' infondata, poi, la censura relativa  all'art.  3
Cost., sotto il profilo della ragionevolezza,  perche'  l'effetto  di
porre un limite temporale alla conclusione della vicenda  giudiziaria
e' proprio lo scopo, non irragionevole, della disposizione. 
    Non sono altresi' fondate le censure relative all'art.  25  Cost.
Da un lato, il fatto che la decisione favorevole al  candidato  possa
conseguire a un provvedimento giurisdizionale di natura cautelare non
elimina il fatto che essa consegue comunque a un  nuovo  accertamento
di  natura  amministrativa.  Dall'altro,   giudice   naturale   delle
controversie in esame non e' solo il Consiglio di Stato, ma anche, in
primo grado, il tribunale amministrativo regionale. 
    Non sono fondate, infine, le censure relative agli artt. 24,  113
e 125 Cost., sotto il profilo del doppio grado di  giurisdizione.  E'
vero,  infatti,  che  la  Costituzione  impedisce  di  attribuire  ai
tribunali  amministrativi  regionali  competenze  giurisdizionali  in
unico grado  (sentenze  n.  395  del  1988  e  n.  8  del  1982).  La
disposizione  impugnata,  tuttavia,  non  esclude  l'appello  e   non
impedisce lo svolgimento ne' la prosecuzione del processo, ma produce
un effetto sostanziale, consistente nel consolidamento di un  effetto
giuridico, che costituisce un limite alla prosecuzione  del  processo
che non sia ancora concluso. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 4, comma 2-bis, del decreto-legge 30 giugno  2005,  n.  115
(Disposizioni urgenti per  assicurare  la  funzionalita'  di  settori
della pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, dalla
legge 17  agosto  2005,  n.  168,  sollevata,  con  riferimento  agli
articoli 3, 24,  25,  103,  111,  secondo  comma,  113  e  125  della
Costituzione,  dal  Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la
Regione siciliana con l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1º aprile 2009. 
                       Il Presidente: Amirante 
                        Il redattore: Cassese 
                       Il cancelliere: Melatti 
    Depositata in cancelleria il 9 aprile 2009. 
                       Il cancelliere: Melatti