N. 133 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 marzo 2009

Ordinanza del 4 marzo  2009  emessa  dal  Tribunale  di  Trieste  nel
procedimento penale a carico di Dragic Zvetoslav. 
 
Reati e pene -  Circostanze  aggravanti  comuni  -  Previsione  quale
  circostanza aggravante comune del fatto commesso da soggetto che si
  trovi  illegalmente  sul  territorio  nazionale  -  Violazione  del
  principio  di  ragionevolezza,   per   l'applicabilita'   di   tale
  circostanza  aggravante,   a   seguito   dell'inottemperanza   alla
  disciplina amministrativa dell'immigrazione,  a  prescindere  dalla
  valutazione del giudice della pericolosita'  sociale  -  Violazione
  del  principio  di  uguaglianza  -   Lesione   del   principio   di
  inviolabilita'  della  liberta'  personale  -  Contrasto   con   il
  principio  di  offensivita'  -  Violazione   dei   principi   della
  personalita' della responsabilita' penale,  di  proporzionalita'  e
  della finalita' rieducativa della pena. 
- Codice penale, art. 61, comma 1, n. 11-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 1, lett.  f),  del  decreto-legge  23  maggio  2008,  n.  92,
  modificato dalla legge 24 luglio 2008, n. 125. 
- Costituzione, artt. 3, 13, 25, comma secondo, e 27, commi  primo  e
  terzo. 
(GU n.19 del 13-5-2009 )
                            IL TRIBUNALE 
    Nel processo nei confronti di Dragic Zvetolsalv, nato  a  Latina,
il 14 gennaio 1983, ha emesso la seguente ordinanza. 
    Vivirito Cristian e Dragic Zvetoslav venivano tratti  a  giudizio
con rito direttissimo, dopo che l'arresto in  flagranza  di  entrambi
era gia' stato convalidato, per rispondere  del  reato  di  cui  agli
artt.56, 61 n. 11-bis, 110, 624, 625 n. 2 c.p., in ordine all'ipotesi
di tentativo di furto aggravato dalla violenza sulle cose e,  per  il
solo Dragic, anche dalla presenza irregolare sul t.n. , di denaro  ed
oggetti  di  valore  esistenti  all'interno  dell'agenzia   marittima
«Agemar S.r.l.» di Trieste. Il  g.i.p.,  all'esito  della  convalida,
aveva altresi'  applicato  la  misura  cautelare  della  custodia  in
carcere nei confronti di Vivirito Cristian e quella  dell'obbligo  di
presentazione  alla  Polizia  Giudiziaria  nei  confronti  di  Dragic
Zvetoslav. All'udienza del 25 febbraio 2009 innanzi  al  giudice  del
Tribunale di Trieste in composizione monocratica l'imputato  Vivirito
formulava istanza ex art.444 c.p.p., per la quale il p.m. prestava il
consenso e a cui il decidente aderiva. Il processo proseguiva  quindi
separatamente con rito ordinario  per  il  coimputato.  Espletate  le
formalita' di apertura del  dibattimento  e  data  lettura  del  capo
d'imputazione ad esso si riportava il pubblico  ministero,  chiedendo
l'acquisizione degli atti e dei  documenti  gia'  nel  fascicolo  del
dibattimento e l'ammissione dei testi di cui alla propria lista,  per
il cui controesame  instava  la  difesa.  All'esito  dell'istruttoria
dibattimentale, assunte le prove richieste, le parti rassegnavano  le
rispettive conclusioni. 
    Orbene,  alla  luce  della  richiesta  di  pena   formulata   dal
rappresentante dell'accusa si impone, preliminarmente, la valutazione
dovuta in ordine alla conformita'  alla  Carta  costituzionale  delle
previsioni edittali stabilite per l'aggravante di cui  all'art.61  n.
11-bis c.p., in esame, di cui il p.m.  ha  tenuto  conto,  alla  luce
delle  emergenze  processuali,  peraltro  nei  limiti  in  cui   tale
valutazione e' consentita dall'art. 1 della legge.  costituzionale  9
febbraio 1948, n. 1 e dall'art. 23, comma  3  della  legge  11  marzo
1953, n. 87. 
1. Rilevanza della questione proposta. 
    Quanto  a  tale  requisito  si   osserva   che   dall'istruttoria
dibattimentale  espletata  e  dagli  atti  del   fascicolo   per   il
dibattimento emerge in particolare, anche per la  stessa  confessione
del Dragic,  che  egli,  colto  nella  flagranza  del  reato  tentato
ascrittogli,  e'  stato  segnalato  dalle  forze   dell'ordine   come
cittadino bosniaco in situazione di clandestinita'.  Nello  specifico
e' emerso che il prevenuto, privo di qualsiasi documento d'identita',
era privo della nazionalita' italiana come di quella  bosniaca.  Nato
in Italia,  a  Latina,  aveva  fatto  rientro  nel  1992  nell'allora
Federazione Jugoslava, senza ottenere alcuna cittadinanza.  Rientrato
in Italia, aveva girato molto e, al momento del fatto, si  trovava  a
Trieste in situazione del tutto precaria. 
    Le sintetizzate circostanze, unitamente alla prova del  fatto  di
reato di cui in epigrafe, impongono a questo giudice, dunque, ai fini
dell'affermazione di responsabilita'  e  della  configurazione  delle
aggravanti, l'accertamento anche della ricorrenza dell'aggravante  di
cui all'art. 61 n. 11-bis c.p., contestata  all'imputato,  sprovvisto
di regolare documento di permanenza  in  Italia,  come  pacificamente
emerso dagli atti e non contestato dall'imputato. 
    Ne', ai fini della esclusione  della  rilevanza  della  questione
sollevata,  potrebbe  assumere  valenza   l'eventuale   giudizio   di
bilanciamento, ai sensi  dell'art.  69  c.p.,  da  operare  all'esito
(della possibile affermazione di  responsabilita'  e)  dell'eventuale
concessione di attenuanti (in  particolare,  quelle  ex  art.  62-bis
c.p.). E' evidente, infatti, che proprio per  compiere  correttamente
tale eventuale giudizio occorre valutare, da un lato, le  attenuanti,
dall'altro, le aggravanti ritenute esistenti, sicche' la presenza  di
una o piu' aggravanti inciderebbe proprio sull'esito del  giudizio  e
sull'entita' della pena da applicare. 
    In definitiva, nell'ipotesi eventuale di condanna, la sanzione da
irrogare andrebbe definita nell'ambito della cornice edittale di  cui
al nuovo testo dell'art. 61 n. 11-bis c.p. del citato  decreto  legge
n. 92/2008, convertito nella legge n. 125/2008, nella cui vigenza  e'
stato posto in essere il fatto delittuoso oggetto del giudizio. 
    In relazione  ad  identica  fattispecie,  tra  gli  altri  (Trib.
Ferrara, 15 luglio 2008, num. Reg. ord.308; Trib. Livorno,  9  luglio
2008, num. Reg. ord. 411/2008), anche  il  Tribunale  di  Livorno  ha
proposto questione di legittimita' costituzionale, il  cui  contenuto
questo 
    Tribunale condivide appieno  e  che  qui  si  riporta,  facendolo
proprio: 
2. Non manifesta infondatezza della questione. 
    Con riferimento alla non manifesta infondatezza,  questo  giudice
la ritiene sussistente in base alle considerazioni che seguono. 
    2.1 - Violazione dell'art. 3 della Costituzione e dei principi di
ragionevolezza, uguaglianza e proporzionalita' cosi' come  desumibili
dalla  giurisprudenza  costituzionale   in   relazione   al   sistema
penalistico dell'istituto delle aggravanti. 
    Per affrontare il tema oggetto del dubbio di costituzionalita' e'
preliminare  accertare  sinteticamente  la  natura  giuridica   della
circostanza aggravante di cui all'art. 61  n.  11-bis  c.p.  («se  il
fatto  e'  commesso  da  soggetto  che  si  trovi  illegalmente   sul
territorio nazionale»). 
    Com'e' noto la ratio  essendi  delle  circostanze  del  reato  e'
costituita dall'aspirazione del legislatore di adeguare  la  pena  al
reale  disvalore   dei   fatti   concreti,   nella   prospettiva   di
individualizzazione  dell'illecito  penale   e,   con   esso,   della
responsabilita' dell'agente. Si tratta cioe' di uno strumento con  il
quale si adegua la sanzione al reato e all'agente  in  un'ottica  non
solo di prevenzione generale ma anche rieducativa della pena. 
    Il nostro ordinamento penalistico prevede  varie  classificazioni
delle circostanze ma quelle che in questa sede ci interessano sono le
seguenti: 
        a) circostanze oggettive e circostanze  soggettive  (art.  70
c.p); 
        b) circostanze comuni e speciali. 
    La circostanza in esame poiche' attiene allo status personale  di
straniero presente illegalmente sul territorio dello Stato  non  puo'
che essere qualificata come circostanza aggravante di tipo soggettivo
connessa  alle  «qualita'  personali  del  colpevole»  e  poiche'  e'
applicabile indistintamente  a  qualsiasi  fattispecie  di  reato,  a
prescindere  dal  tipo  e  dalle  circostanze   di   fatto   che   lo
caratterizzano - con un aumento di pena generale e costante fino a un
terzo ex artt. 64 e 65 c.p.  -,  deve  considerarsi  una  circostanza
aggravante comune, e cio' anche in  ragione  della  sua  collocazione
entro l'art. 61 c.p. E' proprio sotto i  profili  di  generalita'  ed
automaticita' tipici delle aggravanti comuni, collegati pero' ad  una
«qualita' personale del colpevole», che si evidenziano i  piu'  gravi
dubbi di legittimita' costituzionale. Lo sforzo di tipizzazione della
fattispecie penale, grazie alla previsione di elementi accessori  del
fatto che consentono l'adeguamento della pena al  caso  concreto,  si
materializza solo attraverso  l'operazione  accertativa  del  giudice
che, come per gli elementi essenziali del reato, deve  verificare  la
presenza delle condizioni di fatto  costitutive  dell'aggravante.  Ad
esempio nel caso dell'aggravante  di  cui  all'art.  61,  n.  9  c.p.
(«l'avere commesso il fatto con abuso dei poteri,  o  con  violazione
dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio,
ovvero alla qualita' di ministro  di  un  culto»),  qualificata  come
aggravante comune soggettiva perche' concerne la  qualita'  personale
del colpevole (Cass. Pen. 8 maggio 1981 su Rep Foro  It.  1981,  391)
non basta che il soggetto possieda la qualifica di pubblico ufficiale
o di incaricato di pubblico servizio  o  di  ministro  di  culto,  ma
occorre che il giudice accerti anche  «l'abuso»  e  l'intenzionalita'
dell'agente di usare il  potere  oltre  i  limiti  legali.  La  ratio
dell'aggravante  risiede  nell'esigenza  di   tutela   del   corretto
svolgimento dell'attivita', a rilevanza pubblica,  svolta  da  alcuni
soggetti. 
    E ancora, nel caso dell'aggravante di cui all'art. 61, n.  11-bis
c.p. («l'avere  commesso  il  fatto  con  abuso  di  autorita'  o  di
relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni  di  ufficio,  di
prestazione d'opera, di coabitazione, o  di  ospitalita»),  anch'essa
qualificata come aggravante comune  soggettiva,  invece,  si  intende
tutelare il dovere di lealta' nei rapporti di lavoro, di  convivenza,
di famiglia e di ospitalita', cioe' in  relazioni  interpersonali  di
reciproco affidamento, cosicche' al giudice spetta  di  accertare  in
concreto non solo la qualita' personale dell'agente ma anche  l'abuso
della stessa e i rapporti  tra  colpevole  e  offeso.  Nelle  ipotesi
esemplificativamente     richiamate,      quindi,      l'applicazione
dell'aggravante comune soggettiva non discende automaticamente  dalla
condizione o qualita' personale dell'agente,  ma  dalla  verifica  in
concreto che quella  condizione  abbia  effettivamente  aggravato  la
condotta. Solo dopo la valutazione del giudice sul maggiore disvalore
del fatto per la sussistenza di tutti i  presupposti  dell'aggravante
si perviene  all'applicazione  dell'aumento  di  pena.  L'unico  caso
assimilabile a quello dell'art. 61 n.  11-bis  c.p.,  in  cui  invece
l'applicazione  della  circostanza  discende  automaticamente   dalla
condizione dell'agente, e' quello della recidiva  prevista  dall'art.
70 ultimo comma c.p. Questo istituto  pero',  non  e'  logicamente  e
giuridicamente equiparabile alla fattispecie de  qua,  in  quanto  la
recidiva presuppone la condanna dell'agente per una condotta  di  per
se', ed autonomamente, illecita sul piano penalistico.  Cio'  che  ne
giustifica  l'automatica  applicazione  (sul  punto  vedi  infra   in
relazione  al  potere  discrezionale  del  giudice  e   al   problema
dell'automatismo  applicativo),  indipendentemente  dalla   relazione
della stessa con la fattispecie astratta di reato cui e' connessa, si
giustifica  in   ragione   del   particolare   disvalore   attribuito
dall'ordinamento a chi abbia gia'  commesso  altri  illeciti  penali,
percio' accertati dal giudice. Ripugnerebbe alla coscienza  giuridica
e sarebbe in contrasto con il nostro sistema  un'ipotesi  in  cui  si
stabilisse un'aggravante per  la  commissione  di  un  mero  illecito
amministrativo (vedi sent. della Corte cost. 354/02). 
    Nel caso dell'aggravante di cui  all'art.61  n.  11-bis  c.p.  ci
troviamo di fronte ad una fattispecie totalmente eccentrica  rispetto
al sistema e,  dunque,  irragionevole  ai  sensi  dell'art.  3  della
Costituzione,  perche'  non  solo  non  consente  al  giudice  alcuna
valutazione  in  concreto  della  connessione  tra  la  qualita'   di
straniero  illegittimamente  presente  nello  Stato  e  la   condotta
criminale per la quale viene giudicato (come invece  avviene  per  le
altre aggravanti comuni soggettive), ma  riconnette  alla  condizione
personale   dell'inottemperanza   alla   disciplina    amministrativa
dell'immigrazione una valenza penale, con obbligatorio riflesso sulla
pena. Cio' avviene in termini del tutto differenti rispetto al regime
previsto nel caso della recidiva - come modificata  dalla  legge  251
del 2005 - che, come si vedra' oltre, ha  indotto  il  giudice  delle
leggi (vedi sent. n. 192 del  2007)  e  il  giudice  di  legittimita'
(Cass.  pen.  ,  sent.  n.  2606  del   2008)   a   prospettare   una
interpretazione  che,  per  essere  rispondente  alla   Costituzione,
esclude  qualsiasi  automatismo  ed  impone  sempre  una  valutazione
discrezionale del caso e della persona in esame con  possibilita'  di
evitare l'applicazione dell'aggravamento sanzionatorio  allorche'  la
maggiore pericolosita' non sia ravvisata in concreto. D'altra  parte,
qualora  si  ritenesse  ammissibile  un'aggravante  derivante   dalla
commissione  di  un  mero  illecito   amministrativo   l'ordinamento,
irragionevolmente,   sanzionerebbe   in   modo   uguale    situazioni
ontologicamente diverse non graduando la pena  tra  chi  commette  un
illecito  amministrativo  (art.  61  n.  11-bis  c.p.),   anche   non
formalmente accertato o contestato - si pensi al caso  di  specie  in
cui per XXXXXXX manca un provvedimento di  espulsione  -,  e  chi  ha
commesso  un  illecito  penale  accertato  con  sentenza  passata  in
giudicato (recidivo). Il necessario intervento della valutazione  del
giudice, tale da garantire il  rispetto  della  norma  costituzionale
invocata e'  ulteriormente  confermato  dalla  previsione  di  talune
aggravanti, comuni e speciali, fondate unicamente sulla condizione  o
qualita' personale del colpevole, purche' sia  pero'  preventivamente
intervenuto un provvedimento  del  giudice  che  abbia  accertato  la
pericolosita' del soggetto in forza di  specifici  provvedimenti  che
attestino tale qualita'. Ad esempio nel caso dell'aggravante  di  cui
all'art. 61, n. 6 c.p.  («l'avere  il  colpevole  commesso  il  reato
durante il  tempo,  in  cui  si  e'  sottratto  volontariamente  alla
esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o  di
carcerazione, spedito per un precedente reato»), comunemente ritenuta
di tipo soggettivo, la maggiore gravita'  del  fatto  e'  determinata
appunto  dalla  maggiore  pericolosita'  del   soggetto   che,   «non
piegandosi al potere coercitivo dello Stato» (Cass. 29  gennaio  1994
De Feo) si sottrae volontariamente a provvedimenti restrittivi  della
liberta'   personale    emessi    dall'Autorita'    giudiziaria    e,
contemporaneamente, commette un altro reato. Lo  stesso  avviene  nel
caso delle circostanze aggravanti previste da specifiche  fattispecie
di reato o da leggi speciali come ad esempio: 
        per l'omicidio (576 c.p.) e per  le  lesioni  personali  (585
c.p.), le aggravanti di cui agli  artt.  576  comma  1  nn.  3  («dal
latitante,  per  sottrarsi   all'arresto,   alla   cattura   o   alla
carcerazione ovvero per procurarsi i mezzi di sussistenza durante  la
latitanza») e n. 4 («dall'associato  per  delinquere,  per  sottrarsi
all'arresto, alla cattura o alla carcerazione»); 
        per la rapina l'aggravante di cui all'art. 628 comma 3 n.  3)
c.p. («se la violenza o minaccia e' posta in essere da persona che fa
parte dell'associazione di cui all'art. 416-bis»); 
        per l'estorsione le aggravanti di cui all'art.  629  comma  2
c.p. («La pena e' della reclusione da sei a venti anni e della  multa
da € 1.032 a € 3.098, se concorre taluna delle  circostanze  indicate
nell'ultimo capoverso dell'articolo precedente»); 
        per la persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una
misura di prevenzione, 1'aggravante di cui all'art. 7 della legge  n.
575 del 1965 («Le pene stabilite per i delitti previsti  dagli  artt.
336, 338, 353, 378, 379, 416, 416-bis, 424, 435, 513-bis,  575,  605,
610, 611, 612, 628, 629, 630,  632,  633,  634,  635,  636,  637,638,
640-bis, 648-bis, 648-ter del codice  penale  sono  aumentate  da  un
terzo alla meta' e quelle stabilite per  le  contravvenzioni  di  cui
agli artt. 695, primo comma, 696, 697, 698,  699  del  codice  penale
sono aumentate nella misura di cui al secondo comma dell'art. 99  del
codice penale se il fatto  e'  commesso  da  persona  sottoposta  con
provvedimento definitivo ad una  misura  di  prevenzione  durante  il
periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui
ne e' cessata»). 
    In  dette  circostanze   viene   in   rilievo   il   profilo   di
ragionevolezza sotteso alle aggravanti,  consistente  nella  maggiore
offensivita' della condotta derivante dalla commissione di  un  reato
da parte di soggetto nei  cui  confronti  e'  stato  gia'  emesso  un
provvedimento giudiziario che ne  ha  accertato  la  pericolosita'  -
anche specifica per l'associato per delinquere o  per  l'associato  a
sodalizio criminale di cui all'art. 416-bis c.p. - (Cass. 29  gennaio
1994, cit.). Inoltre e' utile aggiungere che il legislatore, al  solo
fine   di   garantire   le   funzioni   amministrative    preordinate
all'espulsione degli immigrati irregolari e di disciplinare  in  modo
rigoroso i flussi migratori, stabilisce che  la  medesima  condizione
soggettiva  possa  simultaneamente  essere  da   un   lato   elemento
costitutivo del reato di cui all'art. 14 comma 5-ter del testo  unico
dell'immigrazione  -  fattispecie  anch'essa  che  prescinde  da  una
accertata o presunta pericolosita'  dei  soggetti  responsabili  -  e
dall'altro circostanza  aggravante,  cosi'  da  duplicare,  anche  in
termini di pena, la stessa condizione soggettiva  allorche'  l'agente
si sia reso responsabile sia del reato di  inosservanza  l'ordine  di
allontanamento dato dal questore, sia di altro reato aggravato  dalla
presenza irregolare nello Stato. 
    In conclusione, la disposizione  impugnata  sembra  ulteriormente
confermare le  considerazioni  piu'  volte  prospettate  dalla  Corte
costituzionale in relazione alla sproporzione e alla irragionevolezza
della  legislazione  interna   sulla   condizione   dello   straniero
clandestino e si  scontra  frontalmente  con  il  monito  di  recente
nuovamente espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  22
del  2007,  sentenza  nella  quale,  dopo  essersi  premesso  che  il
controllo dei flussi migratori e la disciplina dell'ingresso e  della
permanenza degli stranieri nel  territorio  nazionale  e'  «un  grave
problema sociale, umanitario ed economico che implica valutazioni  di
politica legislativa non riconducibili a mere  esigenze  generali  di
ordine e sicurezza  pubblica  ne'  sovrapponibili  o  assimilabili  a
problematiche diverse, legate alla pericolosita' di alcuni soggetti e
di alcuni comportamenti che nulla hanno a che fare  con  il  fenomeno
dell'immigrazione», da' atto che le  questioni  di  costituzionalita'
sollevate  con  riferimento   alla   disciplina   del   testo   unico
sull'immigrazione, per come modificato dalla legge n. 271  del  2004,
in comparazione con altre norme penali «puo' servire eventualmente al
legislatore per una considerazione sistematica di tutte le norme  che
prevedono   sanzioni   penali   per   violazioni   di   provvedimenti
amministrativi in materia di sicurezza  pubblica,  senza  dimenticare
peraltro che  il  reato  di  indebito  trattenimento  nel  territorio
nazionale dello straniero espulso riguarda la  semplice  condotta  di
inosservanza dell'ordine di allontanamento dato dal questore, con una
fattispecie che prescinde da una accertata o  presunta  pericolosita'
dei soggetti responsabili.» e conclude con un  significativo  monito,
proprio in relazione al profilo sanzionatorio, in  forza  del  quale:
«Occorre tuttavia riconoscere che il quadro normativo in  materia  di
sanzioni penali per l'illecito ingresso o trattenimento di  stranieri
nel territorio nazionale, risultante dalle modificazioni che si  sono
succedute  negli  ultimi  anni,  anche  per  interventi   legislativi
successivi  a  pronunce  di   questa   Corte,   presenta   squilibri,
sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica  la  verifica
di compatibilita' con i principi costituzionali di uguaglianza  e  di
proporzionalita' della pena e  con  la  finalita'  rieducativa  della
stessa». 
    2.2. -  Violazione  del  principio  di  ragionevolezza  anche  in
relazione all'art. 3 della Costituzione  ed  alla  valutazione  della
pericolosita' sociale. 
    Il decreto legge n. 92 del 2008, con la previsione impugnata,  ha
ulteriormente  aggravato  la  disciplina  sanzionatoria,   nonostante
l'indicazione contenuta  nella  sopra  citata  sentenza  della  Corte
costituzionale, che aveva  richiamato  il  legislatore  ad  avvedersi
degli squilibri denunciati dai giudici remittenti  per  invitarlo  ad
«un  intervento  legislativo  che  ben  piu'  efficacemente  potrebbe
ripristinare un sistema sanzionatorio dagli equilibri compatibili coi
valori  costituzionali  evocati.  In  estrema  sintesi,  la  rigorosa
osservanza dei limiti dei poteri del giudice costituzionale non esime
questa Corte dal rilevare l'opportunita' di un  sollecito  intervento
del legislatore, volto ad eliminare gli squilibri, le sproporzioni  e
le disarmnonie prima evidenziate». 
    Infatti   l'aggravante   contestata   sancisce    sostanzialmente
un'ipotesi di presunzione ex lege di pericolosita' del soggetto, tale
da imporre un aumento di pena fino ad un terzo rispetto alla pena del
reato cui accede e a prescindere  da  una  qualsiasi  valutazione  in
concreto da parte del giudice, cosicche' deve  essere  sottoposta  ad
uno scrutinio rigoroso di compatibilita' anche rispetto  all'art.  13
della Costituzione che sancisce  un  diritto  inviolabile  dell'uomo,
cittadino o straniero che sia (cosi' la sentenza n. 58 del 1995 della
Corte costituzionale, al punto 3 del Considerato  in  diritto,  e  la
sentenza n. 62 del 1994 che, con riferimento alla liberta' personale,
stabilisce  che  «il  principio  costituzionale  di  uguaglianza   in
generale non tollera discriminazioni tra la posizione del cittadino e
quella dello straniero»). 
    La norma penale, nella specie l'aggravante di cui all'art. 61  n.
11-bis c.p., potra' sacrificare o comprimere  detto  diritto  purche'
sia sostenuta  dal  perseguimento  o  dalla  realizzazione  di  altri
interessi  di  pari  rango  costituzionale  (sentenze   della   Corte
costituzionale 63/1994,  81/1993,  368/1992,  366/1991),  dei  quali,
pero', nella specie, non si riesce ad intravedere il fondamento. 
    Il  controllo  del  fenomeno  migratorio  illegittimo,   infatti,
ammesso che rientri tra gli interessi di rango costituzionale  e  non
di mera politica del diritto,  non  sembra  comunque  equiparabile  a
quello della tutela della liberta' personale in relazione a categorie
di soggetti la  cui  pericolosita'  sociale  non  e'  in  alcun  modo
dimostrata.   Che   la   pericolosita'   sociale   dello    straniero
illegittimamente presente nello Stato non possa  essere  presunta  e'
altresi' dimostrato dalla giurisprudenza della  Corte  costituzionale
che, nella sentenza n. 58 del  1995  in  cui  il  giudice  remittente
dubitava della legittimita' costituzionale dell'art. 86, primo comma,
del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre  1990,  n.  309
(«nella parte in cui obbliga il giudice a  emettere,  contestualmente
alla condanna, l'ordine di espulsione dallo Stato, eseguibile a  pena
espiata, nei confronti dello straniero condannato per uno  dei  reati
previsti dagli artt. 73, 74, 79 e 82, commi 2 e 3, precludendogli, in
forza dell'art. 164, secondo comma, n. 2, c.p., la concessione  della
sospensione  condizionale  della   pena   inflitta»),   ha   ritenuto
irragionevole  l'applicazione  della  misura   di   sicurezza   della
espulsione dello straniero «senza l'accertamento della sussistenza in
concreto della pericolosita' sociale contestualmente  alla  condanna»
(cosi' nel dispositivo della menzionata pronunzia). 
    Se, dunque, e' stata ritenuta costituzionalmente  illegittima  la
disposizione sopra menzionata perche' fondata  sul  solo  presupposto
legale  della  condizione  di  straniero  del   condannato   per   la
determinazione presuntiva della pericolosita' sociale  di  questi,  a
maggior ragione cio'  deve  valere  con  riferimento  all'ipotesi  di
specie  in  cui  non  viene  in  rilievo,  sulla  base  del  medesimo
presupposto, l'applicazione di una misura di sicurezza  personale  ma
la quantificazione stessa della pena. 
    Sotto il profilo della ragionevolezza  va  ancora  osservato  che
secondo la Corte costituzionale «la regolamentazione dell'ingresso  e
del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale  e'  collegata
alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad  esempio,
la sicurezza e la sanita' pubblica, l'ordine pubblico, i  vincoli  di
carattere  internazionale  e  la  politica  nazionale  in   tema   di
immigrazione  e  tale  ponderazione  spetta  in   via   primaria   al
legislatore  ordinario,  il  quale  possiede  in   materia   un'ampia
discrezionalita»; ma tale discrezionalita' incontra  un  insuperabile
limite  «costituito  appunto  dalla   conformita'   a   Costituzione,
ovverosia  dalla  non   manifesta   irragionevolezza   delle   scelte
legisiative operate» (si vedano, per tutte, la sentenza  n.  148  del
2008, la sentenza n. 206 del 2006 e l'ordinanza n. 361 del 2007). 
    La motivazione della richiamata sentenza n.  58  del  1995  della
Corte  costituzionale  consente  appunto  di  affermare  che  la  non
ragionevolezza dell'aggravante in esame discende proprio dal  profilo
aprioristico di pericolosita' che introduce, senza alcun accertamento
della sua sussistenza in concreto, ragion per cui appare inidoneo  il
richiamo, a sua giustificazione, di  altri  «interessi  pubblici»  da
tutelare,  quali  il  presidio  della  sicurezza  dei   cittadini   o
dell'ordine pubblico. 
    2.3. - Violazione dell'art. 25 comma 2 della Costituzione. 
    Se le circostanze aggravanti comuni costituiscono una variante di
intensita' dell'offesa al bene giuridico tutelato  dalla  fattispecie
di reato cui accedono, ne consegue che  anche  rispetto  ad  esse  va
accertato se rispondono al principio di offensivita'  (si  vedano  le
sentenze della Corte costituzionale nn. 265 del 2005 e 519 del 2000),
di necessarieta' e di sussidiarieta' del diritto penale  intesi  come
corollari del principio  di  legalita'  sancito  dall'art.  25  della
Costituzione. 
    A questo riguardo e' utile richiamare  la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 409 del 1989 li' dove afferma che  «il  legislatore
non e' sostanzialmente arbitro delle sue scelte criminalizzatrici  ma
deve, oltre che ancorare  ogni  previsione  di  reato  ad  una  reale
dannosita' sociale, circoscrivere, per quanto possibile, tenuto conto
del rango costituzionale della (con  la  pena  sacrificata)  liberta'
personale l'ambito  del  penalmente  rilevante».  Proprio  il  legame
indissolubile che deve sussistere tra sanzione penale  e  commissione
di un fatto offensivo, anche alla  luce  della  «individualizzazione»
della pena (vedi infra), impone al giudice la valutazione in concreto
della incidenza della qualita' personale dell'agente sulle specifiche
esigenze dei singoli casi al fine di  evitare  la  punizione  di  una
pericolosita' presunta e  l'adesione  ad  una  ormai  definitivamente
tramontata concezione etico-sociale  del  «tipo  normativo  d'autore»
volta  a  cogliere  la  tipologia  etico-politica  degli  autori  del
fatto-reato rispondendo alle esigenze sentite e  rappresentate  dalla
coscienza sociale. 
    Se, come nella specie, l'aumento di pena e' applicato  all'agente
in forza della sola condizione  di  straniero  presente  illegalmente
nello Stato, quindi  automaticamente  in  forza  di  un  mero  status
personale, viene meno il principio verso cui  e'  diretto  il  nostro
sistema penalistico che  fonda  anche  la  politica  criminale  della
difesa sociale sulla responsabilita'  individuale  e  non  su  un  «a
priori» elevato a presunzione di pericolosita' sociale. 
    E' evidente, infatti, che in  concreto  il  giudice,  sulla  base
dell'art. 61 n. 11-bis c.p., e' oggi  tenuto  ad  accertare  solo  se
esista il fatto costitutivo dell'aggravante - il dato oggettivo della
presenza irregolare dello straniero nel territorio dello Stato  -  ma
non anche se e come questo incida sulla  fattispecie  base  tanto  da
aggravarne concretamente l'offesa. 
    Ad esempio, per i reati  contro  l'inviolabilita'  del  domicilio
(come quello contestato agli imputati del presente processo  penale),
contro il patrimonio  o  contro  la  persona  commessi  da  stranieri
clandestini oggi dovrebbe automaticamente  ritenersi  sussistente  la
circostanza pur se concretamente l'offesa non risulti aggravata dallo
status dell'agente o percepita dalla stessa vittima come piu'  grave,
mentre basterebbe tenerne conto in sede di quantificazione della pena
ai sensi degli artt. 133 (in particolare il secondo  comma  n.  4)  e
133-bis c.p., allorche' la clandestinita' sia concretamente incidente
sulla gravita' del reato e sulla capacita' a delinquere dell'agente. 
    Al riguardo si richiama la sentenza della Corte costituzionale n.
354  del  2002  che  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 688, secondo comma, dei codice penale (art. 688 c.p.  «1  .
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto  al  pubblico,  e'  colto  in
stato  di  manifesta  ubriachezza   e'   punito   con   la   sanzione
amministrativa pecuniaria da € 51 a € 309. La pena  e'  aumentata  se
l'ubriachezza e' abituale. 2 La pena e' dell'arresto  da  tre  a  sei
mesi se il fatto e' commesso da chi ha gia'  riportato  una  condanna
per delitto non colposo contro la vita o l'incolumita' individuale».)
proprio stigmatizzando in detta  disposizione  «una  sorta  di  reato
d'autore, in aperta violazione  del  principio  di  offensivita'  del
reato che, nella sua accezione astratta, costituisce un  limite  alla
discrezionalita'  legislativa  in  materia  penale  posto  sotto   il
presidio di questa Corte (sentenze n. 263  del  2000  e  n.  360  del
1995). Tale limite, desumibile dall'art.  25,  secondo  comma,  della
Costituzione, nel suo legame sistematico  con  l'insieme  dei  valori
connessi alla dignita' umana, opera  in  questo  caso  nel  senso  di
impedire che la qualita' di condannato per determinati delitti  possa
trasformare in reato fatti che per la generalita'  dei  soggetti  non
costituiscono illecito penale». 
    Mutatis mutandis cio' deve valere anche nel caso in esame in  cui
costituisce aggravante, tale da determinare  l'aumento  di  pena,  la
condizione di clandestinita' dello straniero del tutto sconnessa  dal
concreto contenuto offensivo del reato base e che finisce col  punire
non tanto la clandestinita' in se', quanto una qualita' personale del
soggetto. 
    Se si  volesse  ritenere  che  la  condizione  di  clandestinita'
dell'autore del reato sia di per se' sufficiente  a  determinare  una
maggiore dannosita' del fatto si ricadrebbe,  come  sopra  sostenuto,
nell'accoglimento della concezione etico-sociale del «tipo  normativo
d'autore» rifiutata dal nostro ordinamento costituzionale e penale. 
    2.4 -  Violazione  dell'art.  27  cost.  sotto  il  profilo   del
principio  della  personalita'  della  responsabilita'  penale,   del
principio di proporzionalita' della pena, del  principio  rieducativo
della pena. 
    L'art. 61 n. 11-bis c.p.  conduce  anche  a  punire  diversamente
fatti tra loro oggettivamente identici e che  si  differenziano  solo
per lo status personale di chi li abbia commessi, cioe' solo  per  la
circostanza che l'autore  sia,  oppure  no,  uno  straniero  presente
irregolarmente nel territorio italiano. Questo dato contrasta con  il
principio della  personalita'  della  responsabilita'  penale,  della
proporzionalita' della pena e della sua funzione rieducativi. 
    Contrasta con il principio della responsabilita' penale personale
sancito daIl'art. 27 cost. comma 1  in  quanto  con  l'aggravante  in
esame all'agente si rimprovera non  un'attitudine  delinquenziale  ma
una qualita' personale, punendo piu' gravemente un tipo di autore: il
clandestino. 
    Se per i motivi sopra. esposti  si  esclude  una  valutazione  in
concreto da parte del giudice non  puo'  neanche  essere  sondato  il
grado di partecipazione  psichica  del  soggetto  rispetto  alla  sua
condizione di irregolare presenza in Italia, nonostante  la  clausola
di apertura del «giustificato motivo» contenuta nella disposizione di
cui all'art. 14 comma 5-ter TU immigrazione e riempita  di  contenuto
dalla giurisprudenza costituzionale. 
    Omettendosi qualsiasi accertamento in concreto viene  meno  anche
«l'uguaglianza di fronte alla pena» intesa come  «proporzione»  della
pena rispetto alle «personali» responsabilita' ed  alle  esigenze  di
risposta che  ne  conseguano,  in  violazione  dell'esigenza  di  una
articolazione legale del sistema sanzionatorio che individualizzi  le
pene inflitte (vedi sent. n. 50 del 1980); al fine di evitare che  la
funzione aggravatrice  della  pena  possa  soddisfare  solo  esigenze
generali di prevenzione e di difesa  sociale  che  prescindono  dalla
valutazione della personalita' del condannato. 
    Contrasta  con  il  principio  rieducativo  della  pena   sancito
dall'art. 27, terzo comma della Costituzione nella prospettiva  della
finalizzazione della sanzione al recupero sociale  dell'agente  e  al
suo reinserimento nel circuito della legalita'. Sul punto non  vi  e'
dubbio  che  vi  sia  un  ampio  ambito   di   discrezionalita'   del
legislatore,  ma  allorche',  come  nella  specie,  non   sia   stato
rispettato il  limite  della  ragionevolezza  per  le  ragioni  sopra
prospettate, la sanzione diventera'  per  cio'  solo  irrazionale  ed
arbitraria   (cfr.,   tra   le   numerose   decisioni   della   Corte
costituzionale, la sent. n. 72 del 1980 e la sent. n. 103 del 1982). 
    Prevedere un aumento di pena fino ad un terzo per essere l'autore
del fatto uno straniero  illegalmente  sul  territorio  dello  Stato,
senza che cio' determini alcuna maggiore  offensivita'  concreta  del
fatto reato (il cui accertamento e' peraltro precluso al  giudice)  e
senza che  cio'  costituisca  un  indice  concreto  di  pericolosita'
dell'agente, frustra la finalita' rieducativa della pena perche'  non
vi e' un ragionevole rapporto tra maggiore severita'  della  pena  ed
effettiva entita' del reato. 
    In conclusione l'aggravante in esame da un lato non  realizza  la
finalita' retributiva e generalpreventiva  perche'  non  consente  di
adeguare la pena alla specificita' del caso concreto e, anzi, impone,
un  trattamento  sanzionatorio  sproporzionato  ed  inadeguato   alla
gravita'  del  caso;  dall'altro  lato  non  realizza  la   finalita'
specialpreventiva e  rieducativa  della  pena  poiche'  una  sanzione
siffatta non agevola il  reinserimento  sociale  dell'agente  ne'  lo
riconduce nell'ambito della legalita', anche amministrativa. 
    Cio' vale a  maggior  ragione  nel  caso  in  esame  in  cui,  in
violazione anche del principio di uguaglianza di fronte alla pena, il
trattamento  sanzionatorio  astrattamente   previsto   per   XXXXXXX,
illegalmente presenti in  Italia  ma  non  attinti  da  provvedimento
espulsivo, e' identico a quello previsto per XXXXXX che e'  anch'egli
irregolarmente  in  Italia  ma  non  ha  ottemperato  all'ordine   di
espulsione (reato  quello  di  cui  all'art.  14,  comma  5-ter  T.U.
immigrazione non contestato dal p.m.). 
    Ne deriva un'irragionevole ed disparita'  di  trattamento  penale
per  effetto  della  quale,  in  dipendenza   della   condizione   di
clandestino in cui versa l'autore, fatti  oggettivamente  identici  o
analoghi  sono  sottoposti  a  pene  sensibilmente  diverse  e  fatti
oggettivamente diversi  sono  sottoposti  alla  medesima  pena.  Solo
l'adeguamento del trattamento punitivo  alla  specificita'  del  caso
concreto consente di assicurare un'effettiva  eguaglianza  di  fronte
alle pene, contribuisce  a  rendere  «personale»  la  responsabilita'
penale e a finalizzare la pena alla rieducazione del condannato. 
    In questa logica e' utile ricordare che il  Giudice  delle  leggi
con la  sentenza  192  del  2007,  in  relazione  al  problema  della
obbligatorieta' o meno della recidiva reiterata e del divieto per  il
giudice di procedere al giudizio di bilanciamento con le  circostanze
attenuanti, ha escluso l'automatismo oggetto di censura,  fondato  su
una presunzione assoluta di  pericolosita'  sociale,  stabilendo  che
«conformemente ai criteri di corrente adozione in  tema  di  recidiva
facoltativa», il giudice deve applicare «l'aumento di  pena  previsto
per la recidiva reiterata solo  qualora  ritenga  il  nuovo  episodio
delittuoso concretamente significativo - in rapporto alla  natura  ed
al  tempo  di  commissione  dei  precedenti,  ed  avuto  riguardo  ai
parametri indicati dall'art. 133 c.p. - sotto il profilo  della  piu'
accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo». 
    Se  tali  sono  i  caratteri  che  deve  avere   il   trattamento
sanzionatorio  delineato  dalla  Costituzione,  l'attuale  disciplina
dell'art. 61 comma 11-bis c.p. non appare conforme ad essi ed anzi li
viola. 
    3. Per le ragioni sopra  indicate,  questo  giudice  ritiene  non
manifestamente  infondata   l'esposta   questione   di   legittimita'
costituzionale. 
    Il processo percio' deve venire sospeso e gli atti immediatamente
trasmessi  alla  Corte  costituzionale,  per  la  risoluzione   della
questione. 
    Va ordinata altresi', a cura della Cancelleria, la notifica della
presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e la  sua
comunicazione ai Presidenti delle Camere. 
                              P. Q. M. 
    Visto I'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 61 n. 11-bis  c.p.,  introdotto
con l'art. l, lett. f) decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92, convertito
nella legge 24 luglio 2008, n. 125, in riferimento agli artt. 3,  13,
25, secondo comma, 27, primo e 30 comma, della Costituzione; 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale  per
la risoluzione della questione; 
    Sospende il giudizio nei confronti dell'imputato; 
    Dispone la  notifica  della  presente  ordinanza,  a  cura  della
cancelleria, al Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Dispone la comunicazione della presente ordinanza, a  cura  della
cancelleria, ai Presidenti delle Camere; 
    Manda alla cancelleria per gli altri adempimenti di competenza. 
        Trieste, addi' 4 marzo 2009 
                        Il giudice: Gianelli