N. 115 ORDINANZA 20 - 24 aprile 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Prova testimoniale - Dichiarazioni dell'imputato in
  procedimento connesso o di reato collegato, gia' assolto perche' il
  fatto non sussiste - Obbligo di assistenza difensiva  e  necessita'
  di riscontri esterni a supporto delle dichiarazioni  ex  art.  192,
  comma 3, cod. proc. pen. - Denunciata violazione del  principio  di
  eguaglianza - Omessa descrizione della fattispecie, con conseguente
  impossibilita'  di  verificare  la  rilevanza  della  questione   -
  Manifesta inammissibilita'. 
- Cod. proc. pen., art. 197-bis, commi 3 e 6. 
- Costituzione art. 3. 
(GU n.17 del 29-4-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
                              Ordinanza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 197-bis,  commi
3  e  6  del  codice  di  procedura  penale  promosso   dal   Giudice
dell'udienza preliminare del  Tribunale  di  Trani  nel  procedimento
penale a carico di M.C. con ordinanza del 30 marzo 2007, iscritta  al
n. 649 del  registro  ordinanze  2007  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 38, 1ª serie speciale, dell'anno 2007. 
    Udito nella Camera di consiglio del 25 febbraio 2009  il  giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Trani, con ordinanza depositata il 30 marzo 2007,  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questioni di  legittimita'
costituzionale dei commi 3 e  6  dell'art.  197-bis,  del  codice  di
procedura penale, nella  parte  in  cui  prevedono,  rispettivamente,
l'assistenza di un difensore e l'applicazione  del  disposto  di  cui
all'art. 192, comma 3, dello stesso codice anche per le dichiarazioni
rese da persone, giudicate in un procedimento connesso o per un reato
collegato, nei confronti delle quali sia stata  pronunciata  sentenza
di assoluzione con la formula «perche' il fatto non sussiste»; 
        che come il rimettente riferisce,  egli  sta  celebrando  con
rito abbreviato un processo a  carico,  tra  gli  altri,  di  M.  C.,
imputato dei reati di cui all'art. 483 del codice penale  e  all'art.
12, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.  286  (Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello  straniero),  in  concorso  con  altre
persone «perseguite in separati processi, ex  art.  12,  lettera  a),
previa separazione degli atti»; 
        che, nel processo celebrato con rito abbreviato, in corso  di
discussione finale, il  difensore  dell'imputato  M.C.  ha  sollevato
eccezioni relative alla utilizzabilita' delle dichiarazioni  rese  da
altri imputati in procedimenti  connessi,  assunte  nel  corso  delle
indagini in assenza di assistenza  difensiva  «e  quindi  affette  da
inutilizzabilita' patologica ex art. 63 c.p.p., tali  da  rendere  le
stesse prive di valore probatorio erga omnes» ; 
        che dette dichiarazioni «sostanziano la prova di  accusa  nei
confronti dell'imputato» C.; 
        che, dopo avere sommariamente descritto  le  posizioni  degli
altri imputati, il giudice a quo, «prescindendo per  il  momento  dal
motivo per cui potrebbero  ritenersi  perfettamente  utilizzabili  le
dichiarazioni» di M. G., V. A.,  M.  D.,  ravvisa  la  necessita'  di
procedere ad integrazione probatoria, ai sensi dell'art.  441,  comma
5, cod. proc. pen., quanto meno relativamente a V., C.,  M.  D.  (con
eventuale successivo confronto tra loro), D. O.; 
        che nei confronti di tali soggetti  (concorrenti  con  M.  C.
negli stessi reati), il processo  si  e'  concluso  con  sentenza  di
assoluzione «perche' il fatto non sussiste», divenuta irrevocabile; 
        che, prosegue il giudice a quo, la formula assolutoria non e'
ostativa ad una diversa valutazione di esso  rimettente,  chiamato  a
conoscere  della  posizione  di  altro  imputato,  anche  perche'  la
sentenza e' stata emessa a seguito di giudizio  con  rito  abbreviato
con la detta formula in forza, sia della  ritenuta  inutilizzabilita'
delle dichiarazioni rese dai predetti contra se, sia della constatata
carenza nel fascicolo di taluni  atti  essenziali  (come  gli  stessi
permessi  di  soggiorno  e  le  dichiarazioni  di   emersione   dalla
irregolarita'), nonche' in base a valutazioni  sulla  utilizzabilita'
delle prove, non condivise dal giudicante; 
        che, pero', ad avviso del  rimettente,  l'espletamento  degli
ulteriori mezzi di prova diviene necessario soltanto nella misura  in
cui i soggetti possano essere chiamati a testimoniare  sotto  vincolo
di giuramento, con obbligo di dire la verita' e con successiva libera
valutazione dei contenuti delle dichiarazioni, non se siano  chiamati
dinanzi al giudice con l'assistenza di un difensore,  ovvero,  se  le
loro dichiarazioni debbano essere corroborate da riscontri, ai  sensi
dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen.; 
        che al concreto ed efficace esercizio del potere del  giudice
sarebbero di ostacolo i commi 3 e 6  dell'art.  197-bis,  cod.  proc.
pen., nella parte in cui prevedono che detti  soggetti,  pur  potendo
essere chiamati a testimoniare perche' assolti dallo stesso reato con
la formula «perche' il fatto non sussiste», debbano essere  assistiti
dal difensore e che alle loro dichiarazioni debba essere applicata la
regola di valutazione prescritta dall'art. 192, comma 3,  cod.  proc.
pen., «che di fatto rischia di vanificare le dichiarazioni  stesse  e
in concreto le vanificherebbe»; 
        che da cio' emergerebbe  la  rilevanza  della  questione,  in
quanto,  poiche'  ciascuna  delle  dichiarazioni  rese  dagli   altri
imputati si riferirebbe alla singola pratica  di  falsificazione  del
permesso (tanto che sarebbero stati rubricati distinti reati a carico
di ciascuno  degli  imputati  medesimi),  ne  conseguirebbe  che  «la
singola dichiarazione "testimoniale", anche se resa  con  obbligo  di
dire la verita', ove sottoposta alla regola di  valutazione  ex  art.
192, comma 3, cod. proc. pen., di fatto sarebbe vanificata;  potrebbe
non avere alcun riscontro ottenibile dagli atti, salvo  concepire  un
incongruente potere inquisitorio del giudice del rito abbreviato»; 
        che la  questione,  inoltre,  sarebbe  rilevante  perche'  «a
fronte di regole di valutazione gia' precostituite e del materiale di
valutazione gia' in atti, non  ritenendo  questo  giudice  che  possa
cercare aliunde riscontri alle dichiarazioni, ove  mai  queste  siano
rese poiche' in due casi proverrebbero  da  soggetti  extracomunitari
sui quali pende un ordine di espulsione  benche'  sospeso  dal  p.m.,
anche ove esse siano confermative di quelle rese in prima battuta, la
assunzione   testimoniale   sarebbe   inutile,   quindi   inutilmente
inficiante il principio di economia processuale»; 
        che il rimettente dovrebbe predisporre l'assistenza difensiva
per diversi dichiaranti, «con quello che consegue anche in ordine  ad
obbligo di retribuzione del difensore da parte di un soggetto che non
ne avrebbe alcun bisogno»; 
        che le  disposizioni  censurate,  quindi,  si  porrebbero  in
contrasto con l'art. 3 Cost. sotto il profilo  della  violazione  del
principio di uguaglianza, tra cittadini chiamati a testimoniare; 
        che,  invero,  nel  caso  in  esame  nessuna  tutela  sarebbe
necessaria, in presenza di persone assolte con la formula «perche' il
fatto non sussiste», sia pure nell'ambito di altro rito e  con  altre
valutazioni probatorie, percio' con esclusione nei loro confronti  di
qualunque  profilo  di  riprovazione  delle  condotte  ed  anzi   con
esclusione della stessa condotta; 
        che  non  risponderebbe  a  principi  di  razionalita'  e  di
uguaglianza l'escludere, in via di principio, che un soggetto assolto
con l'ampia formula  suddetta  possa  essere  un  testimone  «pieno»,
terzo, privo quindi di assistenza  difensiva,  le  cui  dichiarazioni
siano  liberamente  valutabili  dal  giudice  anche  in  assenza   di
riscontri; 
        che, del resto, su analoga questione, questa Corte si sarebbe
gia' pronunziata nel  senso  dell'illegittimita'  costituzionale  con
sentenza n. 381 del 2006. 
    Considerato che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
di Trani dubita, in riferimento all'art. 3 della Costituzione,  della
legittimita' costituzionale dei commi 3 e 6  dell'art.  197-bis,  del
codice  di  procedura  penale,  nella   parte   in   cui   prevedono,
rispettivamente, l'assistenza di un difensore e l'applicazione  della
disposizione di cui all'art. 192, comma 3,  del  medesimo  codice  di
rito, anche per le dichiarazioni rese  dalle  persone,  indicate  nel
comma 1 dello stesso  art.  197-bis,  nei  cui  confronti  sia  stata
pronunciata sentenza di assoluzione con la formula «perche' il  fatto
non sussiste»; 
        che la questione e' manifestamente inammissibile; 
        che, infatti,  il  rimettente  ha  omesso  di  descrivere  la
fattispecie concreta, oggetto  del  giudizio  a  quo,  e  neppure  ha
riportato i capi d'imputazione, essendosi limitato alla  semplice  ed
astratta enunciazione delle norme di legge che si assumono violate, a
parte un generico ed insufficiente accenno a permessi  che  sarebbero
stati falsificati; 
        che  tali  carenze   non   possono   essere   colmate   dalle
assiomatiche  affermazioni  circa  la  rilevanza   della   questione,
contenute nell'ordinanza di rimessione  e  sopra  riportate,  perche'
esse, a parte la scarsa chiarezza di alcuni  passaggi  argomentativi,
non  consentono  di  comprendere  le  ragioni  per  cui  «la  singola
dichiarazione "testimoniale", anche se resa con obbligo  di  dire  la
verita', ove sottoposta alla regola di valutazione ex art. 192, comma
3, cod proc. pen., di fatto sarebbe vanificata;  potrebbe  non  avere
alcun  riscontro  ottenibile   dagli   atti,   salvo   concepire   un
incongruente potere inquisitorio del giudice del rito abbreviato»; 
        che il giudice a quo, pur dando atto che le dichiarazioni  di
almeno tre soggetti «potrebbero ritenersi perfettamente utilizzabili»
e che vi sarebbe «del  materiale  probatorio  gia'  in  atti»,  nulla
riferisce circa la capacita' dimostrativa di tali elementi di prova e
si  affida  a  valutazioni  aventi  carattere  ipotetico,  cosi'   in
definitiva precludendo a questa Corte ogni possibilita' di  controllo
sulla rilevanza della questione (ex plurimis, ordinanze  n.  223  del
2008, n. 55 del 2008, n. 49 del 2008 e n. 45 del 2007). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dei commi 3 e  6  dell'art.  197-bis  del
codice  di  procedura  penale,  nella   parte   in   cui   prevedono,
rispettivamente, l'assistenza di un difensore e l'applicazione  della
disposizione di cui all'art. 192, comma 3,  del  medesimo  codice  di
rito anche per le dichiarazioni  rese  dalle  persone,  indicate  nel
citato art. 197-bis, comma 1, nei cui confronti sia stata pronunciata
sentenza  di  assoluzione  con  la  formula  «perche'  il  fatto  non
sussiste», questione  sollevata,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, dal Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  di
Trani con l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2009. 
                      Il Presidente: De Siervo 
                       Il redattore: Criscuolo 
                      Il cancelliere: Di Paola 
    Depositata in cancelleria il 24 aprile 2009. 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola