N. 156 ORDINANZA 6 - 19 maggio 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero -  Espulsione  amministrativa  -  Reato  di  rientro  senza
  autorizzazione   nel   territorio   dello   Stato   -   Trattamento
  sanzionatorio - Reclusione da  uno  a  quattro  anni  -  Denunciata
  irragionevolezza nonche' violazione dei principi di eguaglianza, di
  proporzionalita'  e  della  finalita'  rieducativa  della  pena   -
  Questioni implicanti un intervento sul  trattamento  sanzionatorio,
  riservato  alla  discrezionalita'  del  legislatore   -   Manifesta
  inammissibilita'. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 13,  come  sostituito
  dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271, e poi  modificato
  dall'art. 2, comma 1, lettera c), del d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma. 
(GU n.21 del 27-5-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
                              Ordinanza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  13,  comma  13,
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), come sostituito dall'art. 1  della
legge  12  novembre  2004,  n.  271  (Conversione   in   legge,   con
modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n.  241,  recante
disposizioni urgenti  in  materia  di  immigrazione),  e  di  seguito
modificato dall'art. 2, comma 1, lettera c), del decreto  legislativo
8 gennaio 2007, n. 5 (Attuazione della direttiva 2003/86/CE  relativa
al diritto di ricongiungimento familiare), promossi dal Tribunale  di
Trieste con ordinanze del  20  settembre  e  del  21  dicembre  2007,
iscritte, rispettivamente, al n. 126 ed ai  nn.  da  236  a  239  del
registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica nn. 19 e 35, 1ª serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 22  aprile  2009  il  giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
    Ritenuto che il Tribunale di Trieste in composizione monocratica,
con cinque ordinanze di analogo tenore, emesse il 20  settembre  2007
(r.o. n. 126 del 2008) e il 21 dicembre 2007 (r.o. numeri  236,  237,
238 e 239 del 2008), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27,
terzo  comma,  della  Costituzione  -   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 13, comma 13,  del  decreto  legislativo  25
luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre 2004,
n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14
settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti  in  materia  di
immigrazione), e di seguito modificato dall'art. 2, comma 1,  lettera
c), del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n.  5  (Attuazione  della
direttiva  2003/86/CE  relativa  al   diritto   di   ricongiungimento
familiare), nella parte in cui prevede la pena  della  reclusione  da
uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero  espulso  che  rientri  nel
territorio dello Stato senza la speciale autorizzazione del  Ministro
dell'interno; 
        che il rimettente procede, nei giudizi a quibus, in ordine  a
fatti di indebito rientro, contestati a norma dell'art. 13, comma 13,
del d.lgs. n. 286 del 1998, ed e' chiamato a valutare, nell'ambito di
tre  dei  giudizi  indicati,  altrettante  richieste   congiunte   di
applicazione  della  pena  ai  sensi  dell'art.  444  del  codice  di
procedura penale (r.o. numeri 126, 237 e 238 del 2008); 
        che il giudice a quo  dubita  che  i  limiti  edittali  della
sanzione prevista per la condotta in esame, entro i quali  dovrebbero
collocarsi le pene nel caso tanto di condanna degli imputati,  quanto
di  applicazione   della   pena   concordata   dalle   parti,   siano
sproporzionati, per eccesso, rispetto al disvalore del fatto; 
        che il rimettente riferisce di come la stessa  questione  sia
stata gia' sollevata in ciascuno dei giudizi a quibus e definita  con
le ordinanze numeri 385 e 226 del 2007 della Corte costituzionale, di
restituzione degli atti per una  nuova  valutazione  della  rilevanza
alla luce della modifica introdotta dall'art. 2, comma 1,  lett.  c),
del d.lgs. n. 5 del 2007, per effetto  della  quale  la  condotta  in
contestazione ha cessato di essere penalmente rilevante  in  presenza
di autorizzazione al ricongiungimento familiare, ai  sensi  dell'art.
29 del medesimo d.lgs. n. 286 del 1998; 
        che, all'esito di un nuovo esame degli atti,  non  risultando
che in Italia si trovino familiari degli imputati, ne' che i predetti
abbiano formulato richieste  di  ricongiungimento,  il  Tribunale  di
Trieste conclude nel senso della perdurante rilevanza della questione
in ciascuno dei giudizi principali; 
        che, nell'argomentare sulla non  manifesta  infondatezza,  il
giudice a quo ripercorre l'evoluzione  della  normativa  in  tema  di
indebito rientro dello straniero gia' espulso,  a  partire  dall'art.
151 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del  testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza), che  puniva  tale  condotta
con l'arresto da due a  sei  mesi,  fino  alla  previsione  contenuta
nell'art. 13, comma 13, del d.lgs. n. 286 del 1998, la  quale,  nella
formulazione originaria,  confermava  la  sanzione  dell'arresto,  in
seguito aumentata, da sei mesi ad un anno,  dall'art.  12,  comma  1,
della legge 30 luglio 2002,  n.  189  (Modifica  della  normativa  in
materia di immigrazione e di asilo); 
        che il descritto quadro normativo ha subito un  significativo
mutamento con l'intervento legislativo attuato mediante la  legge  n.
271 del 2004, di conversione del decreto-legge n. 241 del  2004,  per
effetto del quale la condotta di indebito rientro ha  assunto  natura
di delitto, punibile con la reclusione da  uno  a  quattro  anni,  in
termini sostanzialmente analoghi a quanto avvenuto per la fattispecie
di indebito trattenimento, prevista dall'art. 14,  comma  5-ter,  del
d.lgs. n. 286 del 1998; 
        che  il  rimettente  evidenzia  come  le  ragioni   di   tale
inasprimento delle sanzioni risiedano,  secondo  quanto  risulta  dai
lavori  parlamentari,  anche  nella  necessita'  di   «ovviare   alla
pronuncia della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004»,
nel senso di  rendere  nuovamente  possibile  l'arresto  obbligatorio
dell'autore del reato  di  indebito  trattenimento,  cosi'  come  del
responsabile di un illecito reingresso nel  territorio  dello  Stato,
attraverso la previsione di valori edittali di pena  compatibili  con
l'applicazione di misure coercitive, a norma del  comma  2  dell'art.
280 cod. proc. pen.; 
        che il giudice  a  quo  richiama  numerosi  precedenti  della
giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 84 del  1997,  n.  25  del
1994, n. 333 del 1992, ordinanza n. 220 del 1996) che  sanciscono  il
principio secondo cui la  discrezionalita'  legislativa  deve  essere
esercitata secondo criteri di ragionevolezza,  cio'  che,  sul  piano
delle scelte concernenti l'incriminazione  di  determinate  condotte,
implica  la  necessita'  di  una  proporzione   tra   le   previsioni
sanzionatorie e l'offensivita' delle condotte medesime; 
        che, in particolare, il rimettente si sofferma sulla sentenza
n. 409 del 1989, nella quale si trova affermato  che  la  tutela  dei
beni e dei valori protetti dalle fattispecie incriminatrici non  puo'
essere attuata provocando all'individuo aggressore ed ai suoi diritti
fondamentali  danni  «sproporzionatamente   maggiori   dei   vantaggi
ottenuti o da ottenere»; 
        che la disciplina in esame, come riformulata dalla  legge  n.
271 del 2004, risulterebbe viziata proprio  sotto  il  profilo  della
mancanza  di  proporzione  tra  offensivita'  e  sanzione,   il   cui
significativo inasprimento (l'odierno minimo edittale corrisponde  al
precedente massimo) non troverebbe giustificazione sostanziale; 
        che il venir meno della corrispondenza tra il  disvalore  del
fatto previsto dall'art. 13, comma 13, del d.lgs. n. 286 del  1998  e
l'entita' della pena irrogabile risulterebbe  di  tutta  evidenza,  a
parere del rimettente,  ove  si  consideri  che  la  norma  censurata
prevede sanzioni identiche a quelle comminate dalla prima  parte  del
comma 13-bis dello stesso art. 13, sebbene quest'ultima  disposizione
riguardi l'indebito reingresso del cittadino straniero gia' raggiunto
da provvedimento giudiziale di espulsione, vale a dire di un soggetto
nei confronti del quale sia stato quanto meno aperto un  procedimento
penale; 
        che, in definitiva, la «nuova» commisurazione della sanzione,
in quanto determinata al solo fine di  introdurre  per  il  reato  in
esame un piu'  severo  trattamento  processuale  (con  la  previsione
dell'arresto obbligatorio), sarebbe frutto  di  «un  vero  e  proprio
rovesciamento di prospettiva», e come  tale  risulterebbe  del  tutto
disancorata dagli ordinari parametri di riferimento; 
        che,  secondo  il  rimettente,  la  eccessiva  severita'  del
trattamento sanzionatorio in questione pregiudicherebbe non  solo  il
valore  costituzionale  dell'eguaglianza,  ma  anche   la   capacita'
effettiva  della  pena  di  svolgere  la  funzione  rieducativa   nei
confronti del condannato (sono richiamate le sentenze n. 341 del 1994
e n. 313 del 1990); 
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
ciascuno dei cinque giudizi indicati, con atti  di  identico  tenore,
concludendo per la manifesta infondatezza della questione; 
        che la difesa erariale evidenzia, in primo luogo,  la  natura
ampiamente discrezionale dell'autorizzazione ministeriale al  rientro
nel territorio dello Stato  del  cittadino  straniero  gia'  espulso,
posto che,  come  affermato  anche  dalla  Corte  costituzionale  (e'
richiamata la sentenza n. 353 del 1997), lo Stato non  puo'  abdicare
al compito di presidiare le proprie frontiere; 
        che anche l'inasprimento della pena  per  la  fattispecie  di
indebito rientro, unitamente alla modifica della natura del reato  da
contravvenzione a delitto, si inserisce nel piu' ampio  quadro  delle
scelte di politica criminale  finalizzate,  nel  particolare  momento
storico-sociale, a difendere il territorio; 
        che, cosi'  contestualizzato,  l'intervento  legislativo  del
2004  sarebbe  frutto  di  un  esercizio  non   irragionevole   della
discrezionalita'  e  si  sottrarrebbe  alla  censura  prospettata  in
riferimento all'art. 3 Cost.; 
        che,  d'altra  parte,  come  piu'   volte   affermato   dalla
giurisprudenza  costituzionale,  la  legislazione  tiene  conto   non
soltanto della struttura e dell'astratta pericolosita' delle condotte
regolate, ma anche  della  concreta  esperienza  nella  quale  quelle
condotte si inseriscono e delle variazioni che  il  relativo  impatto
sociale  manifesta  nel  corso  del  tempo   (sono   richiamate,   in
particolare, le sentenze n. 333 del 1991 e n. 171 del 1986); 
        che in particolare, avuto riguardo alla norma  censurata,  la
difesa erariale esclude che la previsione di una pena edittale minima
analoga a quella stabilita per il delitto di cui all'art.  13,  comma
13-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, possa considerarsi irragionevole,
posto che, tanto nel caso  di  espulsione  amministrativa  quanto  in
quello di espulsione giudiziale,  la  condotta  di  indebito  rientro
pregiudica l'interesse dello Stato al controllo dei flussi migratori; 
        che, inoltre, il legislatore del 2004 avrebbe  opportunamente
modulato  il  proprio  intervento,  lasciando  immutata   la   natura
contravvenzionale  delle  fattispecie   meno   gravi   (come   quella
dell'indebito trattenimento dopo l'espulsione  disposta  per  mancata
richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno); 
        che, infine, non sussisterebbe la denunciata  violazione  del
terzo comma dell'art. 27 Cost., in quanto  la  finalita'  rieducativa
della pena, anche sotto lo specifico profilo della  proporzionalita',
potrebbe essere assicurata dal giudice  della  cognizione  attraverso
una  congrua  scelta  di  quantificazione  nell'ambito   dei   limiti
edittali. 
    Considerato  che  il  Tribunale  di  Trieste,   in   composizione
monocratica, solleva - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma,
della  Costituzione  -  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 13, comma 13, del decreto legislativo 25  luglio  1998,  n.
286  (Testo  unico  delle  disposizioni  concernenti  la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla  condizione  dello  straniero),  come
sostituito  dall'art.  1  della  legge  12  novembre  2004,  n.   271
(Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del  decreto-legge  14
settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti  in  materia  di
immigrazione), e di seguito modificato dall'art. 2, comma 1,  lettera
c), del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n.  5  (Attuazione  della
direttiva  2003/86/CE  relativa  al   diritto   di   ricongiungimento
familiare), nella parte in cui prevede la pena  della  reclusione  da
uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero  espulso  che  rientri  nel
territorio dello Stato senza la speciale autorizzazione del  Ministro
dell'interno; 
        che il rimettente,  dopo  aver  ricordato  come  la  sanzione
originariamente prevista per il reato di indebito rientro consistesse
nell'arresto da sei  mesi  ad  un  anno,  e  come,  a  seguito  delle
modifiche introdotte  dalla  legge  n.  271  del  2004,  la  medesima
condotta sia oggi punita con la reclusione da  uno  a  quattro  anni,
assume che l'inasprimento sarebbe  stato  attuato  per  finalita'  di
carattere processuale (la legittimazione  dell'arresto  obbligatorio,
reintrodotto con la legge citata), senza alcuna sostanziale  modifica
del fenomeno  criminoso  sottostante,  e  dunque  in  violazione  dei
principi di ragionevolezza e proporzionalita' della pena; 
        che in  particolare,  al  fine  di  evidenziare  la  ritenuta
sproporzione  per  eccesso  tra  pena  e  fatto,  il  giudice  a  quo
istituisce un raffronto tra la previsione censurata e la  fattispecie
prevista dal medesimo art. 13,  al  comma  13-bis,  che  punisce  con
identica sanzione l'indebito rientro del cittadino straniero  espulso
con  provvedimento  giudiziale,  cioe'  un  comportamento  dotato  di
maggior disvalore, in quanto compiuto da soggetto che ha commesso  un
reato durante la permanenza in Italia, ovvero nei confronti del quale
pende un procedimento penale; 
        che le ordinanze di rimessione prospettano anche un contrasto
tra la norma censurata e l'art. 27, terzo comma, Cost., in quanto  la
relativa previsione sanzionatoria, essendo priva di  proporzionalita'
rispetto al fatto incriminato, non potrebbe assolvere alla necessaria
funzione rieducativa della pena; 
        che, preliminarmente, puo' essere disposta  la  riunione  dei
giudizi,  posto  che  tutte  le  questioni  sollevate  riguardano  il
trattamento sanzionatorio del reato  di  indebito  rientro,  previsto
dall'art. 13, comma 13, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella piu' severa
versione introdotta mediante la legge n. 271 del 2004, di conversione
del decreto-legge n. 241 del 2004; 
        che questa Corte, nella sentenza n.  22  del  2007,  ha  gia'
esaminato gli effetti delle modifiche introdotte dal legislatore  del
2004, con specifico riferimento al trattamento sanzionatorio previsto
per il reato di indebito trattenimento, di  cui  all'art.  14,  comma
5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, anche in comparazione  con  quello
previsto per altri reati collegati all'immigrazione clandestina; 
        che, nell'occasione, la Corte non ha mancato di rilevare, tra
l'altro, l'intervenuta parificazione della pena per  fattispecie  che
presentano differenti livelli di offensivita', e piu' in generale  la
presenza  di  «squilibri,  sproporzioni  ed  anomalie»  nel   sistema
sanzionatorio delineato dal legislatore del 2004; 
        che tuttavia, nello stesso contesto, la Corte ha  ribadito  i
limiti del sindacato  di  costituzionalita'  ed  affermato  che  esso
«[...] puo' investire le pene  scelte  dal  legislatore  solo  se  si
appalesi una evidente violazione del canone della ragionevolezza,  in
quanto ci si trovi di fronte a fattispecie di  reato  sostanzialmente
identiche, ma sottoposte a diverso trattamento sanzionatorio»; 
        che al  contrario,  ove  non  si  riscontri  una  sostanziale
identita' tra le fattispecie prese a raffronto e  si  rilevi  invece,
come asseritamente  avviene  nel  caso  in  esame,  una  sproporzione
sanzionatoria rispetto a condotte piu' gravi, un eventuale intervento
di questa Corte non potrebbe rimodulare le  sanzioni  previste  dalla
legge, senza sostituire la propria valutazione a quella che spetta al
legislatore; 
        che,  anche  con  riferimento  al  prospettato   difetto   di
proporzionalita' rispetto al  disvalore  del  fatto,  e  quindi  alla
irragionevolezza intrinseca del  trattamento  sanzionatorio  previsto
dalla norma censurata, va ribadito come il giudizio  di  legittimita'
costituzionale, in  assenza  di  precisi  punti  di  riferimento  che
conducano a soluzioni costituzionalmente  obbligate,  non  possa  dar
vita  ad  un  nuovo  assetto  delle  sanzioni  penali  stabilite  dal
legislatore; 
        che del pari va riconosciuta, alla luce delle  considerazioni
fin qui svolte, la inammissibilita' della  questione  prospettata  in
riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost., giacche', come  rilevato
nella sentenza piu' volte citata,  «ogni  possibile  conclusione  cui
questa Corte potrebbe arrivare  incontrerebbe  il  medesimo  ostacolo
gia' segnalato con riferimento ai profili presi in considerazione». 
    Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,
n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per  i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Riuniti i giudizi, 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale  dell'art.  13,  comma  13,  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre
2004,  n.  271  (Conversione  in  legge,   con   modificazioni,   del
decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti
in materia di immigrazione), e di  seguito  modificato  dall'art.  2,
comma 1, lettera c), del decreto legislativo 8  gennaio  2007,  n.  5
(Attuazione  della  direttiva  2003/86/CE  relativa  al  diritto   di
ricongiungimento familiare), nella parte in cui prevede la pena della
reclusione da uno a quattro anni per lo straniero espulso che rientri
nel territorio dello  Stato  senza  la  speciale  autorizzazione  del
Ministro dell'interno, sollevate, in riferimento agli artt. 3  e  27,
terzo comma, della Costituzione, dal  Tribunale  di  Trieste  con  le
ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 maggio 2009. 
                       Il Presidente: Amirante 
                       Il redattore: Silvestri 
                      Il cancelliere: Di Paola 
    Depositata in cancelleria il 19 maggio 2009. 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola