N. 161 SENTENZA 18 - 22 maggio 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Misure  di  prevenzione  -  Inosservanza  degli  obblighi   e   delle
  prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l'obbligo o il
  divieto di soggiorno - Trattamento sanzionatorio  -  Reclusione  da
  uno a cinque anni - Motivazione plausibile sulla  rilevanza  e  non
  manifesta infondatezza - Ammissibilita' della questione. 
- Legge 27 dicembre 1956,  n.  1423,  art.  9,  comma  2,  sostituito
  dall'art. 14 del d.l. 27  luglio  2005,  n.  144,  convertito,  con
  modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155. 
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma. 
Misure  di  prevenzione  -  Inosservanza  degli  obblighi   e   delle
  prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l'obbligo o il
  divieto di soggiorno - Trattamento sanzionatorio  -  Reclusione  da
  uno  a  cinque  anni  -  Denunciata  irragionevole  disparita'   di
  trattamento rispetto a fattispecie analoghe  -  Dedotta  violazione
  dei principi di  proporzionalita'  e  della  finalita'  rieducativa
  della pena - Esclusione - Scelta del legislatore non  irragionevole
  ne' arbitraria - Non omogeneita' delle situazioni poste a raffronto
  - Non fondatezza della questione. 
- Legge   27   dicembre   1956,   n.   1423,   art.   9,   comma   2,
  sostituito dall'art. 14 del d.l. 27 luglio 2005, n. 144,  art.  14,
  convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155. 
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma. 
(GU n.21 del 27-5-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
                              Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  9,  comma  2,
della legge 27 dicembre 1956, n.  1423  (Misure  di  prevenzione  nei
confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica
moralita'), sostituito dall'art. 14 del decreto-legge 27 luglio 2005,
n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n.
155 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo  internazionale),
promosso dal Tribunale di Caltanissetta  nel  procedimento  penale  a
carico di L. V. A., con ordinanza del 6 febbraio 2008, iscritta al n.
143 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica, n. 20, 1ª serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 22  aprile  2009  il  giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Il Tribunale di Caltanissetta, in composizione  monocratica,
con ordinanza depositata il 6 febbraio 2008, ha  sollevato  questione
di legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e  27,
terzo comma, della Costituzione, dell'art. 9, comma 2, della legge 27
dicembre 1956, n. 1423 (Misure di  prevenzione  nei  confronti  delle
persone pericolose per la sicurezza e  per  la  pubblica  moralita'),
cosi' come sostituito dall'art. 14 del decreto-legge 27 luglio  2005,
n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n.
155 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo  internazionale),
«nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a  cinque
anni in caso di inosservanza  degli  obblighi  e  delle  prescrizioni
inerenti la sorveglianza speciale  con  l'obbligo  o  il  divieto  di
soggiorno». 
    2. - Il rimettente riferisce che L. V. A.  e'  stato  rinviato  a
giudizio per rispondere del delitto previsto e  punito  dall'art.  9,
comma 2,  della  legge  n.  1423  del  1956,  cosi'  come  sostituito
dall'art. 14 del decreto-legge  n.  144  del  2005,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 155 del 2005, perche' - sottoposto alla
misura  di  prevenzione  della  sorveglianza  speciale  di   pubblica
sicurezza, con obbligo di soggiorno nel  comune  di  residenza -  non
ottemperava  alle  prescrizioni   imposte   dal   provvedimento   del
tribunale, risultando assente dalla propria abitazione all'esito  del
controllo effettuato alle ore  00,45  del  27  novembre  2006,  cosi'
contravvenendo all'obbligo di permanenza in essa dalle ore 20,00 alle
ore 7,00. 
    All'udienza del 6 febbraio 2008, esaurita la fase istruttoria del
dibattimento, le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni. 
    Il rimettente sostiene che la sanzione da applicare, nell'ipotesi
di affermazione della penale responsabilita' dell'imputato,  dovrebbe
essere determinata con riguardo a quella prevista dalla  disposizione
la cui legittimita' costituzionale e' posta in dubbio. 
    Infatti, prima della modifica dell'art. 9, comma 2,  della  legge
n. 1423 del 1956, le violazioni delle  prescrizioni  imposte  insieme
con la misura di prevenzione della sorveglianza speciale  integravano
la contravvenzione di cui al medesimo art. 9, comma 1, salvi  i  casi
di effettivo allontanamento dal comune, o di violazione concreta  del
divieto di soggiorno, questi soltanto sanzionati dal citato  art.  9,
comma 2. 
    Invece, dopo  la  menzionata  modifica,  si  e'  affermato  nella
giurisprudenza   di   legittimita'   un    incontroverso    indirizzo
interpretativo, secondo il quale qualsiasi violazione agli obblighi o
alle prescrizioni relative alla sorveglianza speciale con  obbligo  o
divieto di soggiorno deve essere sanzionata con la reclusione da  uno
a cinque anni, essendo comunque configurabile, in  tali  fattispecie,
il delitto di cui all'art. 9, comma 2, della legge n. 1423 del 1956. 
    In questo quadro, condotte criminose del tutto  simili  a  quella
oggetto del processo a quo,  nel  quale  la  violazione  ascritta  al
prevenuto e' costituita  dall'abusivo  allontanamento  dalla  propria
abitazione nelle ore notturne, sono  sanzionate  con  pena  ben  piu'
mite, come avviene per i  delitti  di  abusivo  allontanamento  dalla
localita' di esecuzione degli arresti o della detenzione domiciliare,
di cui agli artt. 385 del codice  penale  e  47-ter  della  legge  26
luglio  1975,  n.  354  (Norme   sull'ordinamento   penitenziario   e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
peraltro, posti a tutela di beni giuridici non meno importanti. 
    In relazione al reato per cui si procede, e'  dunque  intervenuto
un  notevole  inasprimento  della  pena,  ed  in  confronto  con   le
fattispecie delittuose da ultimo citate esso si rivela  in  contrasto
con gli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost. 
    Il rimettente osserva che  la  questione  non  e'  manifestamente
infondata,   essendo   ipotizzabile   la   violazione   delle   norme
costituzionali richiamate, in quanto  la  Corte  costituzionale,  pur
riservando alla discrezionalita' del legislatore l'individuazione dei
comportamenti punibili, la determinazione della specie della  pena  e
la misura della stessa, tenendo conto delle diverse  situazioni,  ha,
pero', costantemente ribadito il principio che  l'esercizio  di  tale
discrezionalita' puo' essere censurato quando esso  non  rispetti  il
limite della ragionevolezza e dia, quindi, luogo ad una disparita' di
trattamento palese ed ingiustificata (sentenze n. 25 del  1994  e  n.
409 del 1989). 
    Inoltre, il rimettente  pone  l'accento  sull'orientamento  della
Corte (sentenze n. 313 del 1995 e n. 343 del 1993),  secondo  cui  la
manifesta mancanza di proporzionalita' rispetto ai fatti di reato non
corrisponde all'esigenza delle finalita' rieducative poste  dall'art.
27, terzo comma, Cost. Nella vicenda  de  qua  si  realizza,  invece,
un'evidente valutazione  difforme  di  condotte  illecite  del  tutto
simili, in relazione alle quali si potrebbe  affermare,  in  ipotesi,
che  sono  piu'  gravi  quelle  sanzionate  in  modo  meno  rigoroso,
considerata l'esistenza di  un  titolo  cautelare  o  addirittura  la
pendenza  della  fase  esecutiva  di  statuizioni  contenute  in  una
sentenza passata in giudicato. 
    In proposito, ad avviso del giudice a quo, va rilevato che l'art.
3, primo comma, Cost. «impone che il bilanciamento tra gli  interessi
da tutelare e il bene della  liberta'  personale  tenga  conto  delle
sanzioni previste per  le  analoghe  condotte  di  pregiudizio  degli
stessi interessi, derivandone l'effetto che, solo quando la pena  sia
stabilita con la  necessaria  proporzionalita',  essa  risponde  alla
funzione  rieducativa  di  cui  all'art.  27,  terzo   comma,   della
Costituzione». 
    3. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  spiegato  intervento
con atto depositato il 27 maggio 2008, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile o infondata. 
    Il rimettente assimila la posizione di chi si trovi agli  arresti
o in stato di detenzione domiciliare a quella del soggetto  raggiunto
dalla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo o
divieto di soggiorno. 
    In primo luogo, pero', chi si trova agli  arresti  domiciliari  o
fruisce della detenzione domiciliare, riceve una netta «controspinta»
psicologica al proposito di allontanarsi  dall'abitazione  stante  la
prospettiva dell'inasprimento della misura cautelare o  della  revoca
del beneficio, qualora non osservi l'obbligo di permanere  nel  luogo
in  cui  e'  custodito.  Il  soggetto  sottoposto  alla   misura   di
prevenzione, data l'inesistenza di questa prospettiva,  va  stimolato
all'osservanza degli obblighi e delle  prescrizioni  a  lui  imposte.
Orbene, come risulta dall'art. 9, comma 1, della legge  n.  1423  del
1956, nel testo vigente, il  contravventore  agli  obblighi  inerenti
alla (sola) sorveglianza speciale e' punito con l'arresto da tre mesi
ad un anno, cioe' riceve un trattamento sanzionatorio simile a quello
di cui all'art. 385 cod. pen. 
    Non e' irragionevole, dunque, un trattamento piu' severo per  chi
non osservi gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza
speciale con obbligo o divieto di soggiorno. Si tratta,  infatti,  di
obblighi e prescrizioni inerenti  alla  misura  di  prevenzione  piu'
grave,  irrogata  a  soggetto  ritenuto  portatore   di   particolare
pericolosita' (Cass., n. 2217 del 2007).  Proprio  la  necessita'  di
assicurare  il  rispetto,  da  parte  di   soggetto   particolarmente
pericoloso (art. 3 della legge 1423 del 1956), delle  prescrizioni  e
degli  obblighi  imposti  con  la   misura   di   prevenzione   della
sorveglianza  speciale,  con  divieto  od   obbligo   di   soggiorno,
giustifica  il  severo  trattamento  qui   considerato.   Ad   avviso
dell'Avvocatura generale dello Stato, non  vi  e'  alcuna  violazione
dell'art. 3 Cost., avuto riguardo alla diversita' di  situazione  tra
chi si trovi agli  arresti  domiciliari  o  in  stato  di  detenzione
domiciliare, e colui che presenta la specifica pericolosita' idonea a
giustificare la piu' grave tra le misure di  prevenzione;  e  non  e'
ravvisabile  violazione  dell'art.  27  Cost.,  perche',  una   volta
accertata la gravita' del comportamento punito, non si  puo'  parlare
di manifesta sproporzione tra fatto e pena. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il Tribunale di Caltanissetta, in composizione  monocratica,
con l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  dubita  della  legittimita'
costituzionale, in riferimento agli articoli 3  e  27,  terzo  comma,
della Costituzione, dell'articolo 9, comma 2, della legge 27 dicembre
1956, n. 1423 (Misure di  prevenzione  nei  confronti  delle  persone
pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita'), cosi'  come
sostituito dall'art. 14 del decreto-legge 27  luglio  2005,  n.  144,
convertito, con modificazioni, dalla legge 31  luglio  2005,  n.  155
(Misure urgenti per  il  contrasto  del  terrorismo  internazionale),
«nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a  cinque
anni in caso di inosservanza  degli  obblighi  e  delle  prescrizioni
inerenti la sorveglianza speciale  con  l'obbligo  o  il  divieto  di
soggiorno». 
    Il rimettente espone che l'imputato e' stato rinviato a  giudizio
per rispondere del delitto previsto e punito dalla norma  denunziata,
perche', sottoposto alla misura  di  prevenzione  della  sorveglianza
speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno  nel  comune
di  residenza,  non  ottemperava  alle   prescrizioni   imposte   dal
provvedimento del tribunale, risultando, cosi', assente dalla propria
abitazione all'atto del controllo effettuato alle ore 00,45;  in  tal
modo  L.  V.  A.  contravveniva  alla  prescrizione  dell'obbligo  di
permanenza nel proprio domicilio dalle ore 20,00 alle ore 7,00. 
    Egli rileva che la sanzione da applicare, in caso di giudizio  di
colpevolezza, andrebbe determinata con  riguardo  a  quella  prevista
dalla disposizione della cui legittimita' costituzionale  si  dubita;
osserva, altresi', che tale trattamento sanzionatorio, riferito  alla
condotta  consistente  nell'aver  violato  la  prescrizione  di   non
allontanarsi dalla propria abitazione in un certo arco temporale,  si
rivela manifestamente irragionevole, perche' ben piu' grave  rispetto
alla disciplina prevista per condotte del tutto  simili,  quali  sono
quelle integranti i reati di  cui  all'art.  385  del  codice  penale
(evasione) ed all'art. 47-ter della legge  26  luglio  1975,  n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle  misure
privative della liberta' personale). 
    Ritiene, quindi, che la norma denunziata violi  l'art.  3,  primo
comma, e l'art. 27, terzo comma, Cost., perche' - ferma  restando  la
discrezionalita'  del  legislatore  nell'individuazione   dei   fatti
penalmente punibili e nella determinazione delle pene - e' pur sempre
necessario che l'esercizio di tale discrezionalita' osservi il limite
della ragionevolezza e della proporzionalita' della pena rispetto  al
disvalore  dell'illecito   commesso,   in   modo   che   il   sistema
sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed
a quella di tutela delle posizioni individuali, in  coerenza  con  la
finalita' rieducativa della  pena,  come  gia'  affermato  da  questa
Corte. 
    2. - La questione e' ammissibile perche' il giudice  a  quo,  sia
pure in forma concisa, ha motivato in modo plausibile sulla rilevanza
e sulla non manifesta infondatezza. 
    Essa, nel merito, non e' fondata. 
    3. - Si deve premettere che, prima della riforma attuata  con  il
decreto-legge n. 144 del 2005, convertito, con  modificazioni,  nella
legge n. 155 del 2005, la condotta consistente nella  violazione,  da
parte del  sorvegliato  speciale  di  pubblica  sicurezza  sottoposto
all'obbligo o al divieto di soggiorno, di tale obbligo  o  divieto  e
delle  relative  prescrizioni,  determinate  nel  provvedimento   del
tribunale che aveva disposto l'applicazione della  misura,  integrava
due autonome ipotesi di reato. 
    In particolare, l'art. 9, comma 2, della legge n. 1423  del  1956
(come sostituito dall'art. 23 del decreto-legge  8  giugno  1992,  n.
306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, recante  modifiche
urgenti al nuovo  codice  di  procedura  penale  e  provvedimenti  di
contrasto alla criminalita' mafiosa) puniva con la reclusione da  uno
a  cinque  anni  la  condotta  consistente  nell'inosservanza   della
sorveglianza speciale con obbligo  o  divieto  di  soggiorno,  mentre
l'art. 12, primo comma, della medesima legge puniva con l'arresto  da
tre mesi ad  un  anno  la  condotta  della  persona  che,  sottoposta
all'obbligo del soggiorno, contravvenisse alle relative prescrizioni. 
    A seguito delle modifiche introdotte con la citata normativa  del
2005, le condotte indicate integrano  una  sola  ipotesi  delittuosa,
perche' l'art. 9, comma  2,  e'  stato  modificato  come  segue:  «Se
l'inosservanza riguarda gli obblighi e le prescrizioni inerenti  alla
sorveglianza speciale con l'obbligo o il  divieto  di  soggiorno,  si
applica la  pena  della  reclusione  da  uno  a  cinque  anni  ed  e'
consentito l'arresto anche fuori dei casi di flagranza». L'originario
art. 12, primo comma, e' stato abrogato, con la conseguenza  che,  ai
sensi dell'art. 9, comma 1, della legge n. 1423 del 1956 e successive
modificazioni, sono punite a titolo di contravvenzioni,  soltanto  le
inosservanze agli obblighi  commesse  dal  sorvegliato  speciale  non
sottoposto all'obbligo o al divieto di soggiorno. 
    L'excursus normativo che precede evidenzia come  il  legislatore,
nel riformare la delicata materia delle misure di prevenzione,  abbia
compiuto una precisa scelta  nel  senso  d'inasprire  il  trattamento
sanzionatorio  delle  condotte  penalmente  illecite,  inerenti  alla
misura della sorveglianza speciale con  l'obbligo  o  il  divieto  di
soggiorno, collocando nella relativa  fattispecie  criminosa,  punita
con la reclusione da uno a cinque anni,  anche  l'inosservanza  delle
prescrizioni inerenti a tale misura, disposte dal tribunale ex art. 5
della legge n. 1423 del 1956 e successive modificazioni. 
    Orbene, come costantemente affermato da questa Corte,  le  scelte
legislative aventi ad oggetto  la  configurazione  delle  fattispecie
criminose e il relativo trattamento sanzionatorio  sono  censurabili,
in sede di costituzionalita', soltanto  qualora  la  discrezionalita'
sia stata esercitata in modo manifestamente irragionevole, arbitrario
o radicalmente ingiustificato (ex plurimis, sentenze n. 324 del 2008,
n. 22 del 2007, n. 394 del 2006, n. 325 del 2005 e n. 364  del  2004;
ordinanze n. 41 del 2009 e n. 52 del 2008). Inoltre, il raffronto tra
fattispecie normative, finalizzato  a  verificare  la  ragionevolezza
delle scelte legislative, deve avere ad oggetto casistiche  omogenee,
risultando  altrimenti  improponibile  la  stessa  comparazione   (ex
plurimis, ordinanze n. 41 del 2009, n. 71 del 2007 e n. 30 del 2007). 
    Nel caso  in  esame  la  pena  prevista  dalla  norma  denunziata
riguarda soggetti sottoposti ad  una  grave  misura  di  prevenzione,
perche' ritenuti pericolosi per la sicurezza pubblica,  in  relazione
alla cui salvaguardia altre misure non sono state considerate idonee.
In questo quadro e' interesse dello  Stato  che  il  fine  di  tutela
preventiva sia garantito con  l'osservanza  degli  obblighi  e  delle
prescrizioni inerenti alla misura, anche  allo  scopo  di  consentire
l'esercizio di adeguati controlli da parte dell'autorita' di pubblica
sicurezza. 
    La ratio della norma e'  quella  di  perseguire  tale  finalita',
mediante un trattamento sanzionatorio senza dubbio severo per il caso
di violazioni agli obblighi e prescrizioni imposte. Significativo  in
tal senso e' il dato secondo cui la modifica della norma censurata e'
stata introdotta dal decreto-legge n. 144 del 2005 - poi convertito -
recante   misure   urgenti   per   il   contrasto   del    terrorismo
internazionale, quindi  nell'ambito  di  una  piu'  ampia  iniziativa
legislativa,  la  cui  finalita',   come   si   desume   dai   lavori
parlamentari, e' stata anche quella d'integrare la  disciplina  delle
misure di prevenzione, ripristinando, tra  l'altro,  l'arresto  fuori
flagranza nel caso di violazioni agli obblighi ed  alle  prescrizioni
della sorveglianza speciale. 
    Si e' in presenza, dunque,  di  una  scelta  legislativa  per  la
repressione della criminalita' che, dal punto di  vista  del  profilo
evidenziato ed a torto ignorato dal rimettente,  non  puo'  definirsi
manifestamente irragionevole o ingiustificata. Pertanto,  sotto  tale
aspetto, resta esclusa la  violazione  del  parametro  costituzionale
riferito all'art. 3, sotto il profilo della ragionevolezza. 
    Non si puo'  giungere  a  diversa  conclusione  per  la  presunta
disparita' di trattamento, ravvisata dal giudice a quo con riguardo a
«condotte delittuose  estremamente  similari  a  quella  oggetto  del
presente processo». 
    Invero, secondo il rimettente, la condotta ascritta al  prevenuto
nel  giudizio  principale  (abusivo  allontanamento   dalla   propria
abitazione nelle ore notturne), sarebbe del tutto  simile  a  quelle,
sanzionate con una pena ben piu' mite, integranti il delitto  di  cui
all'art. 385 cod. pen. -  allontanamento  abusivo  dell'imputato  dal
luogo di esecuzione degli arresti domiciliari - o il delitto  di  cui
all'art. 47-ter della legge n. 354 del 1975  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario) che, nell'ottavo comma, prevede la punibilita' ex art.
385 nei confronti del condannato che, essendo in stato di  detenzione
nella propria abitazione o in un altro dei luoghi indicati nel  primo
comma, se ne allontani. 
    Si deve, pero', rilevare che le fattispecie poste a confronto dal
giudice rimettente sono palesemente diverse e, quindi, non consentono
di ravvisare la denunziata disparita' (ex plurimis, ordinanze n.  229
del 2006, n. 170 del 2006, n. 45 del 2006 e n. 438 del 2001). 
    Infatti, il delitto previsto dalla norma denunziata  si  colloca,
come  si  e'  detto,  nell'ambito  delle   misure   di   prevenzione,
finalizzate alla tutela della  sicurezza  pubblica  e  postulanti  la
sussistenza di determinati presupposti soggettivi (art. 1 della legge
n.  1423  del  1956  e  successive   modificazioni)   nonche'   della
pericolosita', che le suddette misure mirano appunto  a  controllare,
svolgendo quindi una funzione cautelativa. 
    Del tutto differente, invece, e' l'oggetto giuridico del reato di
evasione, costituente,  in  realta',  l'unico  tertium  comparationis
invocato dal rimettente, dal momento che l'art. 47-ter, ottavo comma,
dell'ordinamento penitenziario, rimanda alla fattispecie  contemplata
dall'art. 385 cod. pen. La norma,  collocata  nel  capo  dei  delitti
contro  l'autorita'  delle  decisioni  giudiziarie,  e'   diretta   a
tutelare, da un lato, l'interesse ad una  corretta  attuazione  della
pretesa punitiva dello Stato,  dall'altro  a  garantire  le  esigenze
cautelari funzionali al processo penale. 
    Le previsioni normative poste in comparazione dal rimettente  non
presentano, dunque, alcuna omogeneita'. 
    Il richiamo all'art. 27, terzo comma, Cost. si  rivela  del  pari
non fondato. 
    E' vero che la manifesta mancanza di proporzionalita' rispetto ai
fatti reato si pone in contrasto con la finalita'  rieducativa  della
pena prevista dalla norma ora citata. 
    Nel caso in esame, pero', sussiste un consistente divario tra  il
minimo  e  il  massimo  edittale  della  pena  prevista  dalla  norma
impugnata; cio' rende il trattamento  punitivo  molto  flessibile  in
rapporto all'esigenza  di  adeguamento  al  diverso  disvalore  delle
singole violazioni  rientranti  nel  campo  applicativo  della  norma
censurata, sicche' al giudice e' consentito di graduare  la  pena  in
relazione alla gravita' del fatto. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 9, comma 2, della legge 27 dicembre 1956, n.  1423  (Misure
di  prevenzione  nei  confronti  delle  persone  pericolose  per   la
sicurezza  e  per  la  pubblica  moralita'),  cosi'  come  sostituito
dall'art. 14 del decreto-legge 27 luglio 2005,  n.  144,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155 (Misure urgenti
per il contrasto del terrorismo internazionale), nella parte  in  cui
prevede la pena della reclusione da uno a  cinque  anni  in  caso  di
inosservanza  degli  obblighi  e  delle  prescrizioni   inerenti   la
sorveglianza speciale  con  l'obbligo  o  il  divieto  di  soggiorno,
sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 27,  terzo  comma,  della
Costituzione,  dal  Tribunale  di  Caltanissetta,   in   composizione
monocratica, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 maggio 2009. 
                       Il Presidente: Amirante 
                       Il redattore: Criscuolo 
                      Il cancelliere: Di Paola 
    Depositata in cancelleria il 22 maggio 2009. 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola