N. 171 ORDINANZA 18 - 29 maggio 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Circostanze del reato  -  Concorso  di  aggravanti  ed
  attenuanti - Divieto di prevalenza delle attenuanti sulla  recidiva
  reiterata ex art. 99, quarto comma, cod. proc.  pen.  -  Denunciata
  irragionevolezza nonche'  violazione  della  finalita'  rieducativa
  della  pena  -  Questione  identica  ad   altre   gia'   dichiarate
  inammissibili e manifestamente inammissibili  per  omessa  verifica
  della possibilita' di un'interpretazione conforme a Costituzione  -
  Manifesta inammissibilita'. 
- Cod. pen., art. 69, comma quarto. 
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma. 
Reati e pene - Circostanze del reato  -  Concorso  di  aggravanti  ed
  attenuanti - Divieto di prevalenza delle attenuanti sulla  recidiva
  reiterata  ex  art.  99,  quarto   comma,   cod.   proc.   pen.   -
  Obbligatorieta' di un aumento di pena predeterminato e, in caso  di
  concorso  formale  e  continuazione,  aumento  nella   misura   non
  inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato piu'  grave
  - Denunciata violazione della finalita' rieducativa  della  pena  -
  Questione  sollevata  sulla  base  di  premesse  ermeneutiche   non
  supportate da indirizzi giurisprudenziali consolidati,  con  omessa
  verifica delle alternative interpretative, e inadeguata motivazione
  sulla   violazione    del    parametro    evocato    -    Manifesta
  inammissibilita'. 
- Cod. pen., artt. 69, comma quarto, 99, comma quinto,  e  81,  comma
  quarto. 
- Costituzione, art. 27, comma terzo. 
(GU n.22 del 3-6-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO Giudice, Paolo MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,
  Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,
  Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe  TESAURO,  Paolo  Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
                              Ordinanza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale  degli  artt.  69,  quarto
comma, 81, quarto comma, e  99,  quinto  comma,  del  codice  penale,
promossi dalla Corte d'appello di Bari e dalla  Corte  di  cassazione
con ordinanze del 26 giugno 2008 e del 14 ottobre 2007,  iscritte  ai
nn. 374 e 440 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 48, 1ª serie speciale, dell'anno 2008 e
n. 9, 1ª serie speciale, dell'anno 2009; 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del  6  maggio  2009  il  giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    Ritenuto che, con ordinanza depositata il 14 ottobre  2007  (r.o.
n. 440 del 2008), la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3 e 27, terzo  comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto  comma,  del  codice
penale, nella parte in cui vieta  il  giudizio  di  prevalenza  delle
circostanze  attenuanti  sull'aggravante  della  recidiva  reiterata,
prevista dall'art. 99, quarto comma, del medesimo codice; 
        che la Corte rimettente riferisce  di  essere  investita  del
ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso  la
Corte d'appello di Cagliari avverso la sentenza del 10 ottobre  2006,
con cui il Tribunale di Cagliari  aveva  applicato  all'imputato,  su
richiesta delle parti, la pena di mesi undici di reclusione  ed  euro
3.000 di multa per il delitto  continuato  di  cui  all'art.  73  del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia  di
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione  dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza),  previo
riconoscimento della prevalenza dell'attenuante del  fatto  di  lieve
entita', di cui al comma 5  del  citato  art.  73,  sulla  contestata
aggravante della recidiva reiterata; 
        che il ricorrente aveva dedotto che  la  sentenza  era  stata
emessa in violazione del  divieto  di  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti sulla recidiva reiterata,  sancito  dell'art.  69,  quarto
comma, cod. pen., come modificato dall'art. 3 della legge 5  dicembre
2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975,
n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di  giudizio
di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e
di prescrizione): con  la  conseguenza  che  all'imputato  era  stata
applicata  una  pena  inferiore  al  minimo  edittale  (sei  anni  di
reclusione,  oltre  la  multa,  pari  alla  pena  base  del   delitto
contestato), minimo che non avrebbe neppure consentito di accedere al
patteggiamento, in quanto superiore al limite previsto dall'art. 444,
comma 1-bis, del codice di procedura penale; 
        che,  cio'  premesso,  il  giudice  a  quo  reputa   che   la
disposizione censurata, impedendo di irrogare ai  recidivi  reiterati
pene  inferiori  ai  minimi   edittali,   violi   il   principio   di
ragionevolezza: essa, infatti, per un verso, imporrebbe di  applicare
lo stesso trattamento sanzionatorio al reato attenuato e a quello non
attenuato, e dunque di punire allo stesso modo violazioni di  diversa
gravita'; per altro verso, farebbe si' che vengano puniti in  maniera
diversa fatti identici, a seconda che l'autore sia o meno un recidivo
reiterato; 
        che, in  tal  modo,  il  legislatore  avrebbe  introdotto  un
irrazionale «automatismo sanzionatorio», operando una  indiscriminata
omologazione di tutti i recidivi reiterati, di  cui  presumerebbe  in
via assoluta la pericolosita', a prescindere dalla natura  dei  reati
oggetto delle precedenti condanne e di quello  per  cui  si  procede,
nonche' del tempo trascorso rispetto ai delitti gia' giudicati:  onde
non verrebbe assicurata l'uguaglianza delle  pene  sotto  il  profilo
della proporzione alle personali responsabilita'; 
        che la norma censurata violerebbe, altresi', l'art. 27, terzo
comma, Cost., in quanto - ancorando  l'aggravamento  del  trattamento
sanzionatorio alla mera condizione di recidivo reiterato - priverebbe
il giudice della possibilita' di adeguare la pena al  caso  concreto,
costringendolo ad applicare pene sproporzionate rispetto  all'entita'
del fatto:  con  conseguente  compromissione  tanto  della  finalita'
rieducativa della pena - la quale non potrebbe esplicarsi ove la pena
inflitta venga avvertita come ingiusta - quanto  delle  finalita'  di
prevenzione generale e speciale della medesima; 
        che la questione sarebbe altresi' rilevante  nel  giudizio  a
quo, incidendo non soltanto sulla pena applicabile,  ma  anche  sulla
possibilita' di accesso dell'imputato al  patteggiamento,  stante  il
limite di cui all'art. 444, comma 1-bis, cod. proc. pen.; 
        che, con ordinanza del 26 giugno 2008 (r.o. n. 374 del 2008),
la Corte d'appello di Bari ha sollevato, in riferimento all'art.  27,
terzo comma, Cost., questione di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 69, quarto comma, 99, quinto comma, e 81,  quarto  comma,  cod.
pen., nella parte in cui «prevedono - rispettivamente - il divieto di
prevalenza delle riconosciute circostanze  attenuanti  rispetto  alla
recidiva di cui all'art. 99, comma quinto, c.p., l'obbligatorieta'  -
in tal caso - di un aumento di pena predeterminato, nonche' l'aumento
di pena, in misura non inferiore di un terzo della pena stabilita per
il reato piu' grave»; 
        che  il  giudice  a  quo  premette  di  essere   chiamato   a
pronunciarsi sull'appello  proposto  da  due  persone  imputate  «dei
reati» di cui all'art. 629, primo e secondo comma,  cod.  pen.  e  di
altro delitto, con l'aggravante della recidiva reiterata  (specifica,
quanto ad uno degli imputati, specifica ed infraquinquennale,  quanto
all'altro); 
        che, in primo grado, gli appellanti  erano  stati  dichiarati
colpevoli dei reati loro ascritti e condannati - previo  giudizio  di
equivalenza dell'attenuante di cui all'art. 62, numero 6), cod.  pen.
rispetto  alle  aggravanti  contestate,  e  operata  la   diminuzione
connessa alla scelta del rito abbreviato - alle pene di anni cinque e
mesi quattro di reclusione ed euro 900  di  multa,  quanto  al  primo
imputato, e di anni quattro, mesi cinque e giorni dieci di reclusione
ed euro 600 di multa, quanto al secondo; 
        che,  tanto  premesso,   il   rimettente   assume   che   gli
«automatismi previsti in tema di  recidiva  reiterata  specifica  nel
quinquennio in termini di  determinazione  della  pena»  violerebbero
l'art. 27, terzo comma, Cost.,  in  quanto  priverebbero  il  giudice
della facolta' di adeguare il trattamento sanzionatorio all'effettiva
gravita'  del  reato  commesso,  vulnerando,  cosi',   la   finalita'
rieducativa della pena; 
        che la  questione  sarebbe  rilevante,  avendo  gli  imputati
censurato, con il  loro  gravame,  anche  l'eccessivita'  della  pena
irrogata in applicazione  dei  «rigidi  automatismi»  previsti  dalle
norme sottoposte a scrutinio; 
        che in entrambi i giudizi di costituzionalita' e' intervenuto
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
siano dichiarate infondate. 
    Considerato  che  le  due  ordinanze  di   rimessione   sollevano
questioni analoghe, attinenti, in parte, alla medesima norma, onde  i
relativi  giudizi  vanno  riuniti  per  essere  definiti  con   unica
decisione; 
        che,  quanto  alla  questione  sollevata   dalla   Corte   di
cassazione, questa  Corte  si  e'  gia'  piu'  volte  pronunciata  su
identiche questioni, dichiarandone dapprima l'inammissibilita', e poi
la manifesta inammissibilita', per non  avere  i  giudici  rimettenti
verificato la praticabilita' di una soluzione interpretativa  diversa
da quella posta a base dei dubbi di costituzionalita'  ipotizzati,  e
tale da determinare il superamento di  detti  dubbi,  o  da  renderli
comunque non rilevanti nei casi di specie (sentenza n. 192 del  2007;
ordinanze n. 257, n. 193, n. 90 e n. 33 del 2008, n. 409 del 2007); 
        che, scrutinando similari censure, secondo cui il nuovo testo
dell'art. 69, quarto comma, del codice penale avrebbe  introdotto  un
irrazionale «automatismo sanzionatorio» correlato ad una  presunzione
assoluta di pericolosita'  sociale  del  recidivo  reiterato,  questa
Corte ha in  particolare  rilevato  come  tali  censure  poggino  sul
presupposto -  implicito  e  indimostrato  -  che,  a  seguito  delle
modifiche operate dalla legge 5 dicembre 2005, n.  251,  la  recidiva
reiterata sia divenuta obbligatoria in ogni caso; 
        che tale lettura non  e',  tuttavia,  l'unica  prospettabile:
potendosi, al contrario,  ritenere  che  la  recidiva  reiterata  sia
divenuta obbligatoria esclusivamente nei casi previsti dall'art.  99,
quinto comma, cod. pen. (rispetto ai quali soltanto  tale  regime  e'
espressamente contemplato), e cioe' ove concernente uno  dei  delitti
indicati dall'art. 407, comma 2, lettera a), del codice di  procedura
penale (il quale reca un elenco di reati ritenuti dal legislatore  di
particolare gravita' e allarme sociale); 
        che, nel caso specie, si procede, in effetti, per un  delitto
in materia di stupefacenti  non  compreso  nell'elenco  di  cui  alla
citata  disposizione  del  codice  di  rito,  ne',   d'altra   parte,
l'ordinanza di rimessione specifica  a  quali  delitti  attengano  le
precedenti condanne riportate dall'imputato; 
        che, nei limiti in cui si escluda che la  recidiva  reiterata
sia divenuta obbligatoria, e' possibile altresi' ritenere  che  venga
meno anche l'«automatismo» censurato,  in  termini  di  indefettibile
«neutralizzazione»  della  diminuzione  di  pena  prevista   per   le
attenuanti concorrenti; 
        che, alla stregua dei criteri di usuale adozione in  tema  di
recidiva facoltativa, il giudice applichera', difatti,  l'aumento  di
pena per la recidiva reiterata solo  quando  il  nuovo  reato  appaia
concretamente sintomatico - in rapporto alla natura  e  al  tempo  di
commissione  dei  precedenti  -   della   maggiore   colpevolezza   e
pericolosita' sociale del reo; 
        che, correlativamente, ove la recidiva reiterata concorra con
attenuanti, il giudice procedera'  al  giudizio  di  bilanciamento  -
soggetto al regime limitativo stabilito dalla norma denunciata - solo
quando  ritenga  la  recidiva  reiterata  effettivamente  idonea   ad
influire sulla pena: mentre, in caso contrario, non  vi  sara'  alcun
giudizio di comparazione, atto ad elidere le attenuanti; 
        che  tale  interpretazione  risulta,  peraltro,   attualmente
predominante nella stessa giurisprudenza di legittimita'; 
        che la questione di costituzionalita' in esame va dichiarata,
pertanto, anch'essa manifestamente inammissibile; 
        che, quanto alla questione sollevata dalla Corte d'appello di
Bari, il giudice a quo sottopone a scrutinio  -  oltre  all'art.  69,
quarto  comma,  cod.  pen.  -  anche   altre   due   norme,   oggetto
dell'intervento novellistico attuato dalla legge  n.  251  del  2005:
vale a dire l'art. 99, quinto comma, cod. pen., nella  parte  in  cui
stabilisce un aumento di pena obbligatorio e  predeterminato  per  la
recidiva, e l'art. 81, quarto comma, cod. pen., nella  parte  in  cui
prevede un aumento minimo di pena per il concorso formale di reati  e
la continuazione (pari a un terzo della pena stabilita per  il  reato
piu' grave) nei confronti dei recidivi reiterati; 
        che,  come  emerge  dalla  formulazione   del   petitum,   il
rimettente censura dette disposizioni limitatamente ai casi  in  cui,
ai sensi del citato art. 99, quinto comma, cod.  pen.,  l'aumento  di
pena per la recidiva - e, segnatamente,  per  la  recidiva  reiterata
specifica infraquinquennale (contestata ad  uno  degli  imputati  nel
giudizio a quo ed alla quale e' puntualmente riferita la doglianza) -
e' divenuto obbligatorio; 
        che, nel sollevare la questione, il  giudice  a  quo  non  si
pone,  tuttavia,   l'ulteriore   problema   interpretativo   -   pure
ripetutamente  evidenziato  da  questa  Corte   nelle   pronunce   in
precedenza  citate  -  di  stabilire  quale  reato  debba   rientrare
nell'elenco di cui all'art. 407, comma  2,  lettera  a),  cod.  proc.
pen., affinche' divenga operante il regime  di  obbligatorieta':  se,
cioe', il delitto oggetto della precedente condanna, ovvero il  nuovo
delitto   che   vale   a   costituire   lo   status   di    recidivo,
indifferentemente l'uno o l'altro, o addirittura entrambi  (soluzioni
tutte alternativamente prospettate dagli interpreti,  senza  che  sul
punto  possa   dirsi   allo   stato   sussistente   un   orientamento
consolidato); 
        che  il  rimettente  da',  in  effetti,  per   scontato   che
l'obbligatorieta' scatti allorche' - come nel caso di specie (in  cui
si procede, tra l'altro, per  il  delitto  di  estorsione  aggravata,
richiamato dal numero 2 dell'art. 407, comma 2, lettera a, cod. proc.
pen.) - appartenga  all'elenco  il  nuovo  reato,  senza  perscrutare
affatto le alternative ermeneutiche, e, segnatamente, la possibilita'
di ritenere che, a detti fini, debbano rientrare nell'elenco anche il
reato o i reati oggetto di precedente condanna; 
        che   l'eventuale   adesione   a    quest'ultima    soluzione
interpretativa verrebbe  ad  inficiare  tanto  la  motivazione  sulla
rilevanza  che  quella  sulla  non   manifesta   infondatezza   della
questione; 
        che, sotto il  primo  profilo,  difatti,  il  rimettente  non
precisa  a  quali  delitti  si  riferiscano  le  precedenti  condanne
riportate dagli imputati: se,  cioe',  a  delitti  anch'essi  inclusi
nell'elenco di cui alla norma del codice  di  rito,  ovvero  ad  esso
estranei; 
        che, sotto il secondo profilo, nei limiti in cui  si  escluda
l'operativita' del regime di  obbligatorieta'  di  cui  all'art.  99,
quinto comma, cod. pen., e' possibile ritenere che venga meno,  oltre
al denunciato «automatismo» di cui all'art. 69,  quarto  comma,  cod.
pen., anche quello di cui  all'art.  81,  quarto  comma,  cod.  pen.:
giacche' - come evidenziato da questa Corte - anche l'operativita' di
quest'ultima norma appare logicamente legata al fatto che il  giudice
abbia  ritenuto  la  recidiva  reiterata  concretamente   idonea   ad
aggravare la pena per i reati in continuazione (ordinanza n. 193  del
2008); 
        che a cio' va aggiunto che la motivazione  dell'ordinanza  di
rimessione in ordine  all'asserita  violazione  dell'unico  parametro
costituzionale evocato (la finalita' rieducativa della pena,  di  cui
all'art. 27, terzo comma, Cost.), si  presenta  comunque  inadeguata,
esaurendosi nell'assiomatica affermazione per cui le norme  impugnate
impedirebbero al giudice di adeguare la pena alla gravita' del  reato
commesso,  senza  che  ne  vengano  affatto  indicate   le   ragioni;
indicazione da ritenere, per contro, necessaria, una volta che - come
e' evidente - nessuna delle norme denunciate rende, di  per  se',  la
pena fissa nel suo complesso, e non dunque non modulabile in rapporto
alle peculiarita' del caso concreto; 
        che anche sotto questo profilo, dunque, in  conformita'  alla
costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, ordinanze n. 35
e  n.  15  del  2009),  la  questione  va  dichiarata  manifestamente
inammissibile: e cio' a prescindere dall'ulteriore considerazione che
la questione di costituzionalita' relativa all'art. 99, quinto comma,
cod.  pen.,  nella  parte  in  cui  prevede  un   aumento   di   pena
«predeterminato» - ossia fisso, anziche' variabile tra un minimo e un
massimo - e' irrilevante nel giudizio a quo, giacche', anche in  caso
di applicazione dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., detto  aumento
resta  comunque  neutralizzato  dal  giudizio  di   equivalenza   con
l'attenuante concorrente gia' operato dal giudice di  primo  grado  e
non modificabile in peius, in assenza  di  un  appello  del  pubblico
ministero sul punto. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Riuniti i giudizi, 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 69, quarto comma, 81,  quarto
comma,  e  99,  quinto  comma,  del  codice  penale,  sollevate,   in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dalla
Corte di cassazione e dalla Corte d'appello di Bari con le  ordinanze
indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 maggio 2009. 
                       Il Presidente: Amirante 
                         Il redattore: Frigo 
                      Il cancelliere: Di Paola 
    Depositata in cancelleria il 29 maggio 2009. 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola