N. 179 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 marzo 2008

Ordinanza del 20 marzo  2008  emessa  dal  Tribunale  di  Napoli  nel
procedimento penale a carico di D'Alterio Annunziata ed altra. 
 
Processo penale - Procedimento penale dinanzi al giudice  di  pace  -
  Impugnazione dell'imputato - Prevista possibilita'  per  l'imputato
  di proporre appello  contro  le  sentenze  che  applicano  la  pena
  pecuniaria, se viene impugnato il capo relativo  alla  condanna  al
  risarcimento del danno - Eccesso di delega per l'ampliamento  delle
  ipotesi di appellabilita' rispetto ai criteri direttivi della legge
  di delegazione n. 468 del 1999 - Disparita' di trattamento rispetto
  al regime stabilito dall'art. 593, comma 3, cod. proc. pen. per  le
  condanne alla sola ammenda pronunciate dal tribunale. 
- Decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, art. 37. 
- Costituzione, artt. 3 e 76, in relazione  all'art.  17,  lett.  n),
  legge 24 novembre 1999, n. 468. 
(GU n.26 del 1-7-2009 )
                            IL TRIBUNALE 
    Premesso che con sentenza emessa dal Giudice di pace di Napoli il
24 novembre 2006, D'Alterio Annunziata e D'Alterio Lucia, imputate in
concorso fra loro dei reati di cui agli artt. 81, 594, 582 c.p., sono
state  condannate  alla  pena  di  novecento  euro  di  multa  ed  al
risarcimento del danno in favore delle parti civili; 
        le imputate hanno proposto appello  avverso  la  sentenza  di
condanna con due  distinti  atti  di  impugnazione  depositati  il  9
gennaio 2007; 
        il giudice monocratico del Tribunale di Napoli con  ordinanza
del 9 luglio 2007, ritenuto l'appello inammissibile perche'  proposto
in violazione dell'art. 37,  comma  1  del  d.lgs.  n.  274/2000,  ha
qualificato  l'impugnazione  ricorso  per  Cassazione  ai  sensi  del
secondo comma dello stesso art. 37 ed  ha  disposto  la  trasmissione
degli atti alla Corte; 
        con ordinanza del 30 gennaio  2008  la  Corte  di  cassazione
«ritenuto che le imputate hanno ritualmente  proposto  appello;  che,
per giurisprudenza costante e condivisibile, la condanna del  giudice
di pace alla pena pecuniaria ed al risarcimento  e'  impugnabile  con
appello  quando  i  motivi  proposti,  come  nella  fattispecie,   si
estendono ex art. 574, comma 4, agli interessi civili.  Riqualificata
l'impugnazione come appello,  trasmette  gli  atti  al  Tribunale  di
Napoli per il giudizio di secondo grado», 
                            O s s e r v a 
    In ossequio al principio  di  diritto  dettato  dalla  Corte,  il
giudice del rinvio dovrebbe  giudicare  sull'appello  proposto  dalle
D'Alterio che lamentano la mancata coerenza  della  decisione  con  i
risultati dell'istruttoria; l'assenza di censure verso il capo  della
sentenza relativo alla condanna al risarcimento del danno rende pero'
necessaria la verifica di conformita' alla Costituzione dell'art.  37
del d.lgs. n. 274/2000 anche alla luce dell'interpretazione che ne ha
dato la Corte di cassazione, il  cui  orientamento  peraltro  non  e'
costante. 
    Si  registra  infatti  un  contrasto  tra  la  decisione  che  si
commenta, conforme ad un orientamento intervenuto  a  modificare  una
precedente impostazione, ed  una  recente  sentenza  nella  quale  si
enuncia un diverso e contrario principio di diritto. 
    Nella sentenza n. 19382/05, si  legge:  «...  Vero  e'  ...  che,
avendo il  giudice  di  pace  emesso  sentenza  di  condanna  a  pena
pecuniaria, l'appello sarebbe stato consentito all'imputato  soltanto
se egli avesse impugnato il capo relativo alla condanna, pur generica
al risarcimento del danno, giusta previsione  dell'art  37  d.lgs  n.
274\2000». 
    E, ancora, nella  sentenza  n.  39465/2005,  si  legge:  «...  Il
difensore  della  parte  civile  ha  chiesto  che  il   ricorso   sia
qualificato come appello, essendo stato tacitamente  impugnato  anche
il  capo  della  sentenza  relativo  alle  statuizioni  civili.  Tale
deduzione non puo' essere condivisa. E' pur vero che  questa  sezione
ha altre volte deciso che anche se  1'imputato  non  si  duole  della
condanna  al  risarcimento  del  danno,  la   sua   impugnazione   va
qualificata  come  appello  poiche'  l'art  574  c.p.p.  dispone  che
l'impugnazione contro la  pronuncia  di  condanna  o  di  assoluzione
estende i suoi effetti alle statuizioni civili dipendenti dal capo  o
dal  punto  impugnato.  Re  perpensa,  occorre  considerare  che   la
normativa che disciplina il procedimento davanti al giudice  di  pace
ha carattere speciale ed  e'  improntata  a  snellezza  e  rapidita'.
Orbene il d.lgs. n.  274/2000,  all'art.  37,  comma  1  prevede  che
l'imputato  possa  proporre  appello  anche  contro  le  sentenze  di
condanna  a  pena  pecuniaria,  se  impugna  il  capo  relativo  alla
condanna, anche generica al  risarcimento  del  danno.  Nella  specie
l'imputato ha  proposto  ricorso  formulando  censure  unicamente  in
riferimento alla statuizione penale, sicche'  non  v'e'  ragione  che
l'impugnazione venga qualificata come appello. Ne' a tale conclusione
osta il dettato dell'art 574 c.p.p. che serba integra la sua valenza,
atteso che la pronuncia del giudice di  legittimita'  a  seguito  del
ricorso proposto esplichera' i suoi  effetti  anche  in  ordine  alle
restituzioni ed al risarcimento del  danno,  in  diretta  derivazione
dalla statuizione di carattere penale». 
    Ed infine nella sentenza n. 44198/2007 si  legge  «...  1'appello
avverso la sentenza  di  condanna  a  sola  pena  pecuniaria  non  si
converte  automaticamente  in   ricorso   per   cassazione,   essendo
necessario avere sempre riguardo,  al  di  la'  dell'apparente  nomen
juris,  alle  reali  intenzioni  dell'impugnante   ed   all'effettivo
contenuto dell'atto di gravame, onde,  nel  caso  in  cui  dall'esame
dell'atto stesso, si tragga la  conclusione  che  1'impugnante  abbia
effettivamente  voluto  ed  esattamene   denominato   il   mezzo   di
impugnazione non consentito  dalla  legge,  l'appello  va  dichiarato
inammissibile. Ebbene nel caso in esame  sono  stati  formulati  solo
rilievi di merito; correttamente dunque li  tribunale  ha  dichiarato
inammissibile l'appello ...». 
    Il  riferito  contrasto   interpretativo   trae   origine   dalla
formulazione dell'art 37 del d.lgs. citato adottata  dal  legislatore
delegato che, travalicando i limiti della delega, ha  introdotto  una
limitata appellabilita' delle sentenze di condanna a pena  pecuniaria
emesse dal giudice di pace. 
    Ed invero l'art 17, lett. n) della legge delega (n. 468\1999) che
fissa i criteri  da  seguire  in  materia  di  impugnativa  prevedeva
l'appellabilita'  delle  sentenze  emesse  dal  giudice  di  pace  ad
eccezione di quelle di condanna alla sola pena pecuniaria e di quelle
di  proscioglimento  relative  a  reati  puniti  con  la  sola   pena
pecuniaria. Esso e' stato ispirato,  come  si  ricava  dalla  lettura
della relazione  della  seconda  commissione  permanente  del  Senato
«dall'esigenza di massima  semplificazione  del  procedimento  penale
davanti al giudice di pace...  che  non  puo'  non  riverberarsi  sul
regime delle impugnazioni  sotto  pena  di  trasferire  ai  tribunali
competenti per l'appello una massa di reati sanzionati  con  pene  di
modestissima entita'. Per questo motivo la commissione ha ritenuto di
dover escludere  dall'appello  quanto  meno  tutte  le  sentenze  che
irrogano una pena pecuniaria di qualsivoglia natura.  Oltre  a  cio',
per evitare una dissimmetria non giustificabile  si  e'  ritenuto  di
introdurre la stessa regola  anche  per  le  sentenze  emesse  da  un
giudice ordinario aventi uguale contenuto sanzionatorio, a  tal  fine
modificando l'art 593, comma tre c.p.p.». 
    Nella relazione al d.lgs. n. 274/2000 il legislatore delegato  ha
giustificato la scelta di  ampliare  le  ipotesi  di  appellabilita',
nonostante il chiaro contenuto dell'art.  17,  lett  n)  della  legge
delega, con la preoccupazione di possibili liquidazioni del danno  da
parte del giudice di pace oltre i limiti della competenza per  valore
in sede civile e, ritenendo opportuno garantire un secondo  grado  di
merito ha precisato: «d'altra parte lo specifico criterio  di  delega
che fa riferimento alla non  appellabilita'  da  parte  dell'imputato
delle sentenze che applicano la sola pena pecuniaria puo' ben  essere
letto nel senso di sottrarre  alla  garanzia  del  secondo  grado  di
merito le pronunce che rechino condanna alla sola pena  pecuniaria  e
non anche a quelle nelle quali sia statuita  una  ulteriore  condanna
sia pure relativa all'azione civile». 
    Il legislatore delegante dunque ha tracciato linee guida ispirate
a principi di massima semplificazione sia per la procedura da seguire
davanti al giudice di pace  sia  per  l'impugnazione  delle  sentenze
emesse da questo giudice perseguendo  un  chiaro  intento  deflattivo
confermato dalla riformulazione dell'art. 593 c.p.p. 
    Il legislatore delegato, spinto da preoccupazioni  legittime,  ha
irragionevolmente  travalicato  i  limiti  della  delega  vanificando
l'intento deflativo (avrebbe piu'  ragionevolmente  potuto  prevedere
l'impugnabilita'  solo  di  quelle  sentenze  di  condanna   a   pena
pecuniaria con una liquidazione del danno superiore  alla  competenza
per valore del  giudice  di  pace  in  sede  civile)  e  creando  una
disparita'  di  trattamento  rispetto   alle   condanne   all'ammenda
comminate dal giudice ordinario, non appellabili ex art. 593, comma 3
c.p.p. anche in presenza di una condanna risarcitoria. 
    L'art. 37, d. lgs. n.  274/2000  appare  dunque  illegittimo  per
violazione  degli  artt.  76  e  3  della  Costituzione   avendo   il
legislatore delegato superato irragionevolmente la  delega  e  creato
una ingiustificata disparita' di  trattamento.  La  questione  assume
rilievo nel presente  processo  perche',  in  caso  di  accoglimento,
l'appello dovrebbe essere dichiarato inammissibile. 
                              P. Q. M. 
    Letto l'art. 23, legge n. 87/1953; 
    Sospende il processo nei  confronti  di  D'Alterio  Annunziata  e
D'Alterio Lucia e dispone l'immediata trasmissione  degli  atti  alla
Corte costituzionale. 
    Ordina che a cura della cancelleria la presente  ordinanza  venga
notificata alle parti, ai loro difensori, al p.m., al Presidente  del
Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti  delle  due  Camere
del Parlamento. 
        Napoli, addi' 19 marzo 2008 
                         Il giudice: Salvati