N. 186 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 dicembre 2008

Ordinanza . 
 
Commercio - Regione Veneto - Divieto di commercio su  aree  pubbliche
  in forma itinerante nei centri storici con popolazione superiore ai
  cinquantamila abitanti - Violazione di diritto  fondamentale  della
  persona, del principio di uguaglianza,  del  diritto  al  lavoro  -
  Eccesso  dai  limiti  dell'autonomia  comunale  -  Violazione   del
  principio  di  parita'  di  trattamento  dei  lavoratori  stranieri
  regolari stabilito dalla Convenzione OIL n. 143/1975 - Lesione  del
  principio di liberta' di iniziativa economica privata -  Violazione
  della competenza statale in materia di concorrenza  -  Lesione  del
  principio di sussidiarieta' verticale. 
- Legge della Regione Veneto 6 aprile 2001,  n.  10,  art.  4,  comma
  4-bis, introdotto dall'art. 16 della legge della Regione Veneto  25
  febbraio 2005, n. 7. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 4, 5, 10, primo  comma,  41,  117,  commi
  primo e secondo, lett. e), e 118. 
(GU n.27 del 8-7-2009 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
    Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  1315/08
proposto dall'Associazione  dei  venditori  ambulanti  immigrati  con
licenza di commercio itinerante, in persona del  suo  presidente  pro
tempore,  e  di  Seck  Elahadji  Mame  Medoune  e   Niass   Abdoulaye
rappresentati e difesi  dall'avv.  Angelo  Pozzan,  con  elezione  di
domicilio presso lo studio dello stesso in Venezia-Mestre, via  Torre
Belfredo, 55/A; 
    Contro il Comune di Venezia in persona del sindaco  pro  tempore,
rappresentato e difeso dagli avv. Giulio Gidoni, Maddalena M. Morino,
Giuseppe Venezian e Maurizio Ballarin,  della  Civica  avvocatura  di
Venezia, con elezione di domicilio nella sede municipale, il  sindaco
del Comune di Venezia quale ufficiale di Governo, non  costituito  in
giudizio, il Ministero dell'interno,  in  persona  del  Ministro  pro
tempore, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  distrettuale  dello
Stato  di  Venezia,  domiciliataria  per  legge,  la  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, in persona del Presidente  pro  tempore,  non
costituita in giudizio; 
    1) dell'ordinanza a firma del sindaco del Comune  di  Venezia  13
giugno 2008 prot. 255264 OR/2008/399 con la quale si  dispone  quanto
segue: 
        «e'  vietato  il  trasporto  senza  giustificato  motivo   di
mercanzia in grandi sacchi di plastica e borsoni nel  centro  storico
del Comune di Venezia»; 
        «il  predetto  trasporto,  se  accompagnato  con   la   sosta
prolungata nello  stesso  luogo  o  in  aree  limitrofe  deve  essere
considerato come atto direttamente ed immediatamente finalizzato alla
vendita su area pubblica in forma itinerante  ed  in  quanto  facenti
parte sostanziale dell'atto di vendita, rientrando nella  fattispecie
prevista e sanzionata dalla vigente legislazione regionale»; 
e, per quanto occorra, 
    2) del verbale di accertamento  di  violazione  amministrativa  e
contestuale verbale di  sequestro  n.  54/08  del  Corpo  di  polizia
municipale con il quale viene accertata la violazione della  predetta
ordinanza in data 23 giugno 2008 da parte del signor Niass Abdoulaye. 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia; 
    Viste le memorie prodotte dalle parti; 
    Visti gli atti tutti di causa; 
    Udito nella pubblica udienza dell'11 dicembre 2008 - relatore  il
referendario Stefano Mielli - l'avv. Pozzan per la parte ricorrente e
l'avv. Morino per il Comune di Venezia; 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto. 
                     F a t t o  e  d i r i t to 
    Il sindaco del Comune di Venezia, ritenendo  sussistere  pericoli
per la sicurezza  urbana  e  l'incolumita'  pubblica,  con  ordinanza
contingibile ed urgente adottata ai sensi dell'art. 54, comma 4,  del
d.lgs. 18 agosto 2000, n.  267  del  13  giugno  2008,  prot.  255264
OR/2008/399,  «premesso  che  l'art.  4,  comma  4-bis,  della  legge
regionale 6 aprile 2001, n. 10 (cosi' come modificato  dall'art.  16,
comma 1, della legge regionale 25  febbraio  2005,  n.  7)  vieta  il
commercio su aree pubbliche informa itinerante nei centri storici dei
comuni superiori ai 50.000 abitanti», ha disposto che «e' vietato  il
trasporto senza giustificato motivo di mercanzia in grandi sacchi  di
plastica e borsoni nel centro storico del Comune di  Venezia»  e  che
«il predetto trasporto, se accompagnato con la sosta prolungata nello
stesso luogo o in aree limitrofe deve essere  considerato  come  atto
direttamente ed  immediatamente  finalizzato  alla  vendita  su  area
pubblica in forma itinerante ed in quanto facenti  parte  sostanziale
dell'atto  di  vendita,  rientrando  nella  fattispecie  prevista   e
sanzionata dalla vigente legislazione regionale». 
    Tal provvedimento e' impugnato con il ricorso in  epigrafe  dalla
«Associazione  dei  venditori  ambulanti  immigrati  con  licenza  di
commercio itinerante», in persona del legale rappresentante sig. Seck
Elahadji Mame Medoune che agisce anche personalmente e dal sig. Niass
Abdoulaye. 
    L'Associazione espone di  essere  costituita  da  oltre  settanta
cittadini di paesi non appartenenti all'Unione  europea  titolari  di
regolare permesso di soggiorno e di un'autorizzazione commerciale per
la  vendita  itinerante  rilasciata  da  comuni  della  Provincia  di
Venezia. 
    In  effetti,  come  e'  documentato  dall'art.  5  dello  statuto
dell'Associazione (cfr. doc. 1 allegato al ricorso),  possono  essere
ammessi a far parte dell'Associazione come soci ordinari  coloro  che
sono in possesso della licenza di commercio itinerante. 
    I sigg. Seck Elahadji Mame Medoune  e  Niass  Abdoulaye  sono  in
possesso, rispettivamente, delle autorizzazioni n. 3808 del 6  agosto
2003, e n. 3996 del 1° marzo 2004, rilasciate dal Comune  di  Venezia
per l'esercizio dell'attivita' di commercio su area pubblica di  tipo
B (in forma  itinerante),  a  carattere  permanente  per  il  settore
merceologico non alimentare (cfr. docc. 4 e 5 allegati al ricorso). 
    Il sig. Niass Abdoulaye narra inoltre di aver subito, sulla  base
della  predetta  ordinanza,  una  sanzione  amministrativa  di   euro
5.164,00, con confisca di 12 borse, ai sensi dell'art. 29,  comma  1,
del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, prevista per chiunque  eserciti  il
commercio sulle aree pubbliche senza la prescritta  autorizzazione  o
fuori dal territorio contemplato dall'autorizzazione stessa,  perche'
nella localita' San Marco,  Frezzeria  «transitava  per  la  suddetta
localita' con sacchetto di plastica azzurra trasparente che  lasciava
intravvedere le cose al suo interno» (cfr. copia del verbale  di  cui
al doc. 2 depositato in giudizio dal comune). 
    Dal suddetto verbale risulta anche  che  e'  stato  accertato  il
possesso, in capo al  ricorrente,  dell'autorizzazione  al  commercio
ambulante rilasciata dal Comune di Venezia di cui sono  indicati  gli
estremi, e che il  medesimo  ha  dichiarato  di  essersi  limitato  a
transitare per la pubblica via. 
    L'ordinanza e' impugnata per le seguenti censure: 
        I) incompetenza, sviamento e difetto di  motivazione  per  la
mancata espressa indicazione che il sindaco agisce quale ufficiale di
governo; 
        II) sviamento e  incompetenza  perche'  riguarda  un  ambito,
quello del commercio, sul quale il sindaco  e'  privo  di  competenze
normative; 
        III) violazione dell'art. 54 del d.lgs. 18  agosto  2000,  n.
267 e violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n.  241,  per
la mancanza dei requisiti di  eccezionalita'  ed  imprevedibilita'  e
l'omessa indicazione dei medesimi; 
        IV) violazione degli  artt.  1  e  seguenti  della  legge  24
novembre  1981,  n.  689,  e  del  principio  di  tassativita'  nella
descrizione della condotta  vietata  nonche'  del  principio  di  non
punibilita' del tentativo nell'illecito amministrativo; 
        V) travisamento, difetto di istruttoria  e  illogicita',  per
l'insussistenza di  episodi  del  tipo  di  quelli  menzionati  nella
motivazione dell'ordinanza; 
        VI) sviamento e illogicita' per la mancanza di pericoli gravi
derivanti dalle tensioni e frizioni con i commercianti residenti; 
        VII)    illegittimita'    derivata    per    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma  4-bis,  della  legge  regionale  6
aprile 2001, n. 10, come modificata dalla legge regionale 25 febbraio
2005, n. 7, per il contrasto con gli artt. 4 e 41 della Costituzione; 
        VIII)  violazione  dell'art.  4,  comma  4-bis,  della  legge
regionale 6 aprile 2001, n. 10, come modificata dalla legge regionale
25 febbraio 2005, n. 7, in  quanto  detta  norma  presupporrebbe  una
specifica delimitazione del centro  storico  ai  fini  del  commercio
itinerante. 
    Si sono  costituiti  in  giudizio  il  Comune  di  Venezia  e  il
Ministero dell'interno concludendo per la reiezione del ricorso. 
    Con ordinanza n. 632 del 31 luglio  2008  e'  stata  respinta  la
domanda cautelare. 
    Alla pubblica udienza dell'11 dicembre 2008, in prossimita' della
quale le parti hanno depositato  memorie  a  sostegno  delle  proprie
difese, la causa e' stata trattenuta in decisione. 
                            D i r i t t o 
    1. - Il Collegio, in via pregiudiziale rispetto ai diversi motivi
di merito,  ritiene  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale del comma  4-bis,  dell'art.
4, della legge regionale  6  aprile  2001,  n.  10,  come  introdotto
dall'art. 16 della legge  regionale  25  febbraio  2005,  n.  7,  per
violazione degli artt. 2, 3, 4, 5, 10  primo  comma,  41,  117  commi
primo  e  secondo  lett.   e),   nonche'   118   della   Costituzione
(relativamente a questo ultimo parametro per contrasto con  la  norma
interposta di cui all'art. 28, comma 16, del d.lgs. 31 marzo 1998, n.
114). 
    2. - Va innanzitutto evidenziata la rilevanza della questione  di
legittimita' costituzionale  ai  fini  della  decisione  dell'odierno
ricorso. 
    2.1. - Sul punto va premesso che il ricorso,  per  la  parte  che
riguarda l'ordinanza del 13 giugno 2008 il cui sindacato e' demandato
alla giurisdizione del giudice amministrativo, e' stato  proposto  in
modo rituale da soggetti  che  appaiono  certamente  legittimati,  in
quanto portatori di una posizione differenziata e  qualificata  (cfr.
per quanto riguarda l'Associazione il verbale del consiglio direttivo
25 luglio 2008, depositato in giudizio  il  29  luglio  2008)  e  che
conservano interesse alla sua definizione nel  merito  nonostante  il
provvedimento impugnato limiti la propria efficacia  al  31  dicembre
2008. 
    Infatti, medio tempore l'ordinanza impugnata ha prodotto  effetti
e dunque deve trovare applicazione la  regola  secondo  cui  la  mera
scadenza del termine di efficacia  del  provvedimento  amministrativo
impugnato non fa venire meno l'interesse della parte  sia  a  vederne
caducati gli effetti per  il  passato,  sia  a  non  vedere  adottati
successivi provvedimenti similari (cfr., tra le tante,  Consiglio  di
Stato, sez. IV, 5 aprile 2003, n. 1786; Consiglio di Stato, sez.  VI,
18 luglio 1998, n. 846; Consiglio di  Stato,  sez.  IV,  19  dicembre
1994, n. 1037). 
    2.2. - In secondo luogo va evidenziato che la censura prospettata
con il settimo motivo del ricorso ed ulteriormente  illustrata  nella
memoria depositata in prossimita' della pubblica udienza, con cui  si
deduce l'illegittimita' costituzionale del comma 4-bis, dell'art.  4,
della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, come introdotto dall'art.
16 della legge regionale 25 febbraio 2005,  n.  7,  assume  carattere
logicamente prioritario rispetto agli altri motivi. 
    Infatti con le ulteriori censure  i  ricorrenti  lamentano  sotto
molteplici profili vizi sintomatici (quali il difetto di motivazione,
di istruttoria,  l'insussistenza  dei  presupposti,  giuridici  o  di
fatto,  per  l'adozione  in  concreto  del  provvedimento  temporaneo
oggetto di impugnazione, ovvero l'incompetenza  o  l'illogicita'  del
medesimo) che, anche se accolti, non precluderebbero  una  riedizione
dell'atto amministravo con contenuto analogo, quantunque diversamente
formulato, parimenti lesivo degli interessi sostanziali di  cui  sono
portatori i ricorrenti. 
    La  censura  di  cui  al   settimo   motivo   invece,   coinvolge
direttamente la  premessa  esplicita  su  cui  si  regge  l'ordinanza
impugnata  evidenziando  in  astratto,  tra   quelle   dedotte,   una
illegittimita', per cosi' dire radicale, del provvedimento impugnato,
che appare idonea  a  soddisfare  piu'  pienamente  ed  efficacemente
l'interesse sostanziale dedotto in giudizio dai ricorrenti  i  quali,
essendo stranieri regolari in  possesso  di  apposita  autorizzazione
rilasciata dal comune per l'esercizio dell'attivita' di commercio  in
forma itinerante, assumono come interesse primario  quello  di  poter
trarre i propri mezzi di sussistenza dallo  svolgimento  di  regolare
attivita' lavorativa. 
    Pertanto,  la  questione  di   legittimita'   costituzionale   e'
rilevante ai fini della definizione del giudizio perche'  attiene  ad
una censura espressamente enunciata nel ricorso che,  avuto  riguardo
all'interesse  sostanziale  dei  ricorrenti  ed   al   principio   di
effettivita' della  tutela  giurisdizionale  e  di  effettivita'  del
controllo costituzionale sulle leggi, non potrebbe restare  assorbita
dall'eventuale accoglimento degli altri motivi. 
    Ne', d'altra parte, e' possibile, onde superare l'elemento  della
rilevanza,   pervenire   ad   un'interpretazione   costituzionalmente
orientata della disposizione di cui  al  comma  4-bis,  dell'art.  4,
della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10 (adombrata dai  ricorrenti
nell'ambito dell'ottavo motivo di ricorso), in quanto, come precisato
dal Comune nelle proprie difese, non  vi  e'  in  detta  norma  alcun
elemento che, sotto  il  profilo  testuale  e  sistematico,  consenta
all'interprete  di   ritenere   necessaria,   ai   fini   della   sua
operativita', un'apposita delimitazione del centro storico funzionale
al solo commercio itinerante su aree pubbliche,  in  sostituzione  di
quella  di  carattere  urbanistico  adottata  nell'ambito  del  piano
regolatore ai sensi della legge regionale 31 maggio 1980, n. 80. 
    2.3. - Piu' nello specifico, vi e' da osservare  che  l'impugnata
ordinanza sindacale vieta e sanziona il  trasporto  di  mercanzia  in
grandi sacchi di plastica, borsoni o analoghi contenitori nel  centro
storico  del  Comune  di  Venezia  che  avvenga  «senza  giustificato
motivo». 
    Nel caso all'esame, tuttavia, come premesso  in  fatto,  i  sigg.
Seck Elahadji Mame Medoune e Niass  Abdoulaye  sono  titolari  di  un
permesso  di  soggiorno  e  di  un'autorizzazione  per  il  commercio
ambulante, cosi' come i membri dell'Associazione. 
    Nel ricorso (cfr. pagg. 5 e 6) si evidenzia, quindi,  in  maniera
pertinente alla specifica situazione processuale,  come  nel  passato
fosser state avviate, tra  il  Comune  di  Venezia  e  l'Associazione
ricorrente, iniziative finalizzate all'individuazione di  aree  poste
all'interno del centro storico veneziano in cui esercitare la vendita
ambulante (cfr. la cartografia prodotta dalla  commissione  mista  di
cui al doc. 7 allegato al ricorso). 
    Iniziative  rese  vane  dal  fatto   che   successivamente,   con
l'articolo  16  della  legge  regionale  25  febbraio  2005,  n.   7,
nell'ambito dell'art. 4 della legge regionale 6 aprile 2001,  n.  10,
concernente il rilascio delle  autorizzazioni  per  il  commercio  in
forma itinerante nell'ambito della  disciplina  del  commercio  sulle
aree pubbliche, e' stato introdotto un comma ulteriore (comma 4-bis),
il quale dispone che «e' vietato il commercio su  aree  pubbliche  in
forma itinerante  nei  centri  storici  dei  comuni  con  popolazione
superiore ai cinquantamila abitanti». 
    Orbene, i ricorrenti sostengono che tale  norma,  comportante  un
divieto generalizzato ed indiscriminato di  esercizio  dell'attivita'
dove questa presenta una  qualche  redditivita',  ovvero  nei  centri
storici dei Comuni di maggiore affluenza di popolazione  residente  e
fluttuante, ha, all'evidenza, dapprima azzerato il valore commerciale
delle autorizzazioni di cui sono titolari e dalle quali  traggono  il
proprio sostentamento,  e  successivamente  creato  la  premessa  per
l'applicabilita' anche nei loro confronti,  in  forme  manifestamente
illegittime, dell'ordinanza impugnata,  nella  parte  in  cui  questa
persegue il possesso «non giustificato» dei contenitori di mercanzia. 
    Senza il divieto imposto  dalla  norma  regionale,  infatti,  una
prescrizione, riferita alle modalita' di trasporto della merce,  come
quella contenuta nell'ordinanza impugnata non  potrebbe  operare  nei
confronti  dei  ricorrenti,   giacche'   gli   stessi   svolgerebbero
un'attivita'  lecita,  per  la  quale  dispongono  delle   necessarie
autorizzazioni, che  giustificherebbe  il  possesso  dei  contenitori
altrimenti vietati, ferma restando in ogni caso  la  possibilita'  di
interventi volti a prevenire e  reprimere  ogni  forma  di  commercio
abusivo (con analoghe ordinanze adottate da comuni di  altre  regioni
nei quali non vige il divieto  previsto  dalla  legge  della  Regione
Veneto e' infatti perseguito il solo commercio abusivo e  non  quello
posto in essere  da  soggetti  titolari  di  regolari  autorizzazioni
comunali per il commercio itinerante). 
    Peraltro, dalla documentazione  versata  in  atti  (cfr.  doc.  5
depositato in giudizio dal comune) risulta che con  deliberazione  n.
124 del 25 luglio 2005, ritenendo conculcate le proprie  prerogative,
il Consiglio comunale del Comune di Venezia aveva approvato (ai sensi
dell'art. 38 dello Statuto della  Regione  Veneto  che  riconosce  ai
consigli comunali dei comuni capoluogo  di  provincia  di  presentare
progetti di legge regionali), un progetto di legge per sostituire  il
comma 4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10,
introdotto dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7,
prevedendo, in luogo del divieto generalizzato ed indiscriminato  ivi
previsto, una modifica del seguente tenore «e'  facolta'  dei  comuni
con popolazione  superiore  ai  cinquantamila  abitanti,  individuare
nell'ambito dei centri storici specifiche  aree  ove  l'attivita'  di
commercio  su  aree  pubbliche  in  forma  itinerante  possa   essere
esercitata secondo specifiche modalita»: proposta di modifica che non
ha avuto, in prosieguo, alcun esito. 
    2.4. - Dalla questione di legittimita' costituzionale  del  comma
4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10,  come
introdotto dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7,
dipende per le ragioni sin qui spiegate, l'accoglimento  o  meno  del
settimo motivo di ricorso. 
    Di qui la rilevanza della questione nel presente giudizio. 
    3. - In  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza  il  Collegio
Osserva quanto segue. 
    Anche  alla  luce  delle  piu'  recenti  sentenze   della   Corte
costituzionale che si sono pronunciate su questioni analoghe (cfr. le
sentenze 24 ottobre 2008, n. 350; 30 gennaio  2009,  n.  25),  appare
innanzitutto violata la competenza statale in materia di  concorrenza
stabilita dagli artt. 41  e  117,  secondo  comma,  lett.  e),  della
Costituzione. 
    Infatti non vi e' dubbio che il commercio itinerante  costituisca
una delle forme attraverso cui si esplica la liberta'  di  iniziativa
economica consistente nel commercio su aree pubbliche (cfr. art.  28,
comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 31). 
    L'art. 28 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, prevede, infatti: 
        che possa essere svolto su  qualsiasi  area  (cfr.  comma  1,
lett. b); 
        che la relativa autorizzazione e' rilasciata,  in  base  alla
normativa emanata dalla regione, dal comune nel quale il  richiedente
ha la residenza e  che  la  stessa  abilita  anche  alla  vendita  al
domicilio del consumatore (cfr. comma 4); 
        che, ed e' il profilo di maggiore interesse in  questa  sede,
il comune con apposita deliberazione individui «le aree aventi valore
archeologico, storico, artistico e ambientale nelle quali l'esercizio
del  commercio»  su  aree  pubbliche  «e'  vietato  o  sottoposto   a
condizioni  particolari  ai  fini  della  salvaguardia   delle   aree
predette.   Possono   essere   stabiliti   divieti   e    limitazioni
all'esercizio anche per motivi di viabilita', di  carattere  igienico
sanitario o per altri motivi di pubblico interesse» (cfr. comma 16). 
    Il Collegio ritiene pertanto  che  la  norma  statale  da  ultimo
citata costituisca una sorta di catalogo dei  limiti  che,  ai  sensi
dell'art.  41  della  Costituzione,  possono  opporsi   alla   libera
espansione  dell'attivita'  economica,  per  l'utilita'  sociale,  la
sicurezza, la liberta' o a altri valori costituzionalmente rilevanti. 
    Le regioni, a  loro  volta,  possono  certamente  intervenire  in
questo settore  dettando  norme  che  trovino  fondamento  in  ambiti
materiali di propria competenza, quali il commercio o  l'urbanistica;
tuttavia siffatti ambiti non possono eludere la competenza statale in
materia  di   concorrenza   ne'   il   rispetto   dei   principi   di
proporzionalita' ed adeguatezza, cosicche' non possono risolversi  in
una  forma  di  compressione  totale  della  liberta'  di  iniziativa
economica, non giustificata  dalla  natura  e  dalle  caratteristiche
della specifica attivita'  inibita,  cio'  che  avviene  per  esempio
influenzando direttamente l'accesso degli operatori economici  ad  un
determinato mercato e ponendo barriere all'ingresso tali da  alterare
la concorrenza tra soggetti imprenditoriali o,  ancora,  vietando  in
modo  generalizzato  e  indiscriminato   l'esercizio   dell'attivita'
commerciale laddove questa presenti una qualche redditivita'. 
    Nel caso di specie la legge regionale 6 aprile 2001, n. 10,  gia'
prima delle modifiche apportate dall'art. 16 della legge regionale 25
febbraio 2005, n. 7, conteneva (e contiene tutt'ora seppure  in  modo
non coordinato con la norma della cui legittimita' costituzionale  si
dubita)  un'articolata  disciplina  che  salvaguarda  gli   interessi
pubblici potenzialmente confliggenti con le modalita'  attraverso  le
quali si svolge  questo  tipo  di  commercio  e  al  contempo  appare
rispettosa della competenza statale in materia di concorrenza. 
    All'art. 2,  comma  1,  lett.  a),  essa  prevede  che  i  comuni
individuino «le aree nelle quali l'esercizio del commercio e' vietato
o sottoposto a condizioni particolari per motivi  di  viabilita',  di
carattere  igienico-sanitario  o  per  altri   motivi   di   pubblico
interesse, nonche' per motivi di salvaguardia di aree  aventi  valore
architettonico, storico, artistico e ambientale», e all'art. 4, commi
2, e 3, dispone,  rispettivamente,  che  la  relativa  autorizzazione
abiliti  al  commercio  su  tutto  il  territorio  nazionale  e   che
l'esercizio dell'attivita' «puo'  essere  svolto  su  qualsiasi  area
pubblica, purche' non espressamente interdetta dal comune». 
    Senonche', appare evidente che il divieto assoluto, inderogabile,
generalizzato, non giustificato da concrete e localizzabili  esigenze
previsto dal comma 4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile
2001, n. 10, come introdotto dall'art. 16 della  legge  regionale  25
febbraio 2005,  n.  7,  finisca  per  comportare  un'irragionevole  e
contraddittoria eliminazione di una  delle  modalita'  attraverso  le
quali, per la  normativa  statale,  puo'  essere  svolta  l'attivita'
commerciale. 
    Di qui  la  manifesta  violazione  della  competenza  statale  in
materia di concorrenza cosi' come definita dal d.lgs. 31 marzo  1998,
n. 114 (sulla cui nozione e' da richiamare la  sentenza  della  Corte
costituzionale, 14 dicembre 2007, n. 430). 
    4. - La norma di cui al comma 4-bis,  dell'art.  4,  della  legge
regionale 6 aprile 2001, n. 10, come introdotto  dall'art.  16  della
legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, viola inoltre, a giudizio del
Collegio,  sotto  altri  profili,  gli  att.  3,  5   e   118   della
Costituzione. 
    La  norma  costituzionale  da  ultimo  citata  e',   come   noto,
espressione del principio di sussidiarieta' c.d.  verticale,  poiche'
dispone che le funzioni  amministrative  sono  attribuite  ai  comuni
salvo il conferimento ad enti di  maggiori  dimensioni,  al  fine  di
assicurarne l'esercizio unitario, e che i  comuni  sono  titolari  di
funzioni amministrative proprie  e  di  quelle  conferite  con  legge
statale o regionale. 
    Orbene, nel caso in esame, sia la normativa statale (cfr.  l'art.
28 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114) che regionale (cfr. gli artt.  2
e 4 della legge regionale 6 aprile 2001,  n.  10)  sopra  richiamate,
demandano ai comuni l'adozione di appositi piani e provvedimenti  per
porre dei limiti all'esercizio del commercio  su  aree  pubbliche  in
forma itinerante. 
    La  competenza  comunale  trova  la   propria   ragion   d'essere
nell'esigenza di non porre limiti  all'attivita'  economica  che  non
siano idonei,  necessari  ed  adeguati  alla  finalita'  di  tutelare
l'interesse pubblico confliggente da salvaguardare, e all'esigenza di
differenziare i limiti e le regole  applicabili  in  ciascun  comune,
secondo  le  proprie  specificita'  territoriali,  archeologiche   ed
ambientali, al  fine  di  non  comprimere  in  modo  immotivato  tale
tipologia di commercio. 
    La norma  di  cui  al  comma  4-bis.  Dell'art.  4,  delle  legge
regionale 6 aprile 2001, n. 10, come introdotto  dall'art.  16  della
legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, prescinde, per contro,  dalle
caratteristiche del  tutto  disomogenee  degli  ambiti  territoriali,
sociali ed economici in cui vige il divieto (si tratta, per  fare  un
esempio, dei centri storici dei Comuni di Rovigo, Padova,  San  Dona'
di Piave e Venezia, nonche' Chioggia, Belluno o  Verona)  e  comprime
irragionevolmente l'autonomia comunale, in  tal  modo  privata  della
possibilita'   di   governare   l'elemento    della    disomogeneita'
distinguendo tra commercio svolto abusivamente da soggetti  privi  di
un valido titolo di soggiorno o dei titoli amministrativi necessari e
soggetti che, come  gli  odierni  ricorrenti,  si  trovano  a  questi
equiparati pur  essendo  muniti  di  tutti  i  titoli  necessari  per
svolgere regolarmente l'attivita'. 
    5.  -  Vi  e'  infine  un  ulteriore  concorrente  profilo,   sul
qualeparticolarmente insistono i ricorrenti, rispetto al quale  viene
a configurarsi la violazione degli artt. 2, 3, 4, 10 primo comma,  41
e 117 primo comma della Costituzione. 
    E'  un  dato  di  comune  esperienza,  documentato  anche   dalle
allegazioni al ricorso, che il commercio su aree pubbliche  in  forma
itinerante riguarda attualmente in modo prevalente se  non  esclusivo
la piccola imprenditoria degli extracomunitari. 
    Orbene, con la norma della  cui  legittimita'  costituzionale  si
dubita, viene assoggettata a divieto  soltanto  questa  tipologia  di
commercio, mentre non viene introdotta alcuna analoga restrizione nei
confronti di corrispondenti forme  di  commercio  su  aree  pubbliche
quali quelle su posteggi dati in concessione in sede fissa. 
    Questo  elemento,  da  un  lato  incide  illegittimamente   sulla
liberta' di iniziativa economica e il diritto  al  lavoro,  che  sono
diritti inviolabili degli stranieri regolari  per  i  quali  vale  il
principio di parita' di trattamento sancito dalla Convenzione Oil  n.
143/1975 (ratificata con la legge n. 158 del 1981) anche se si tratta
di lavoratori autonomi, con conseguente violazione 10,  primo  comma,
della Costituzione. 
    Dall'altro la stessa norma rischia di avere oggettivamente, al di
la' delle intenzioni del  legislatore  regionale,  l'effetto  di  una
discriminazione  indiretta,  che  si  verifica   ogniqualvolta   «una
disposizione, un criterio,  una  prassi,  un  atto,  un  patto  o  un
comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una
determinata origine etnica in una posizione di particolare svantaggio
rispetto ad altre persone» (cfr. art. 2, comma 1, lett.b, del  d.lgs.
9 luglio 2003 n. 215). 
    Infatti, come recentemente affermato dalla  Corte  costituzionale
con sentenza 30 luglio 2008, n.  306,  «al  legislatore  italiano  e'
certamente consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli  e
non contrastanti con obblighi internazionali, che regolino l'ingresso
e la permanenza di extracomunitari in Italia (da ultimo, sentenza  n.
148   del   2008).   E'   possibile,   inoltre,   subordinare,    non
irragionevolmente, l'erogazione  di  determinate  prestazioni  -  non
inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza - alla circostanza
che il titolo di legittimazione  dello  straniero  al  soggiorno  nel
territorio dello Stato ne dimostri il carattere non  episodico  e  di
non breve durata una volta pero', che il diritto a  soggiornare  alle
condizioni  predette  non  sia  in  discussione,   non   si   possono
discriminare  gli  stranieri,   stabilendo.   nei   loro   confronti,
particolari limitazioni per il  godimento  dei  diritti  fondamentali
della persona, riconosciuti invece ai cittadini». 
    Appare infatti evidente che, per quanto  gli  interessi  pubblici
incidenti sulla materia  dell'immigrazione  siano  molteplici  e  per
quanto possano essere percepiti come  gravi  i  problemi  connessi  a
flussi  migratori,  non  puo'  risultarne   scalfito   il   carattere
universale dei diritti fondamentali, come il diritto al lavoro e alla
libera iniziativa economica, del cittadino extracomunitario regolare. 
    Sotto questo profilo, il comma 4-bis, dell'art.  4,  della  legge
regionale 6 aprile 2001, n. 10, come introdotto  dall'art.  16  della
legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, pare porsi in  contrasto  con
gli artt. 2, 3, 4, 10 primo comma e 41 della Costituzione. 
                              P. Q. M. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata,  in  relazione
agli artt. 2, 3, 4, 5, 10, primo comma, 41, 117 commi primo e secondo
lett.  e),  nonche'  118  della   Costituzione,   la   questione   di
legittimita' costituzionale del comma 
    4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile 2001,  n.  10,
come introdotto dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio  2005,
n. 7, secondo quanto precisato in motivazione. 
    Sospende il giudizio in corso e dispone, a cura della  segreteria
della sezione, che gli atti dello stesso siano trasmessi  alla  Corte
costituzionale per la risoluzine della prospettata questione,  e  che
la presente ordinanza sia notificata  alle  parti  ed  al  Presidente
della Giunta regionale, e  comunicata  al  Presidente  del  Consiglio
regionale del Veneto. 
    Cosi' deciso in Venezia, nella  Camera  di  consiglio,  addi'  11
dicembre 2008. 
                       Il Presidente: De Zotti 
                                                  L'estensore: Mielli