N. 186 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 dicembre 2008
Ordinanza . Commercio - Regione Veneto - Divieto di commercio su aree pubbliche in forma itinerante nei centri storici con popolazione superiore ai cinquantamila abitanti - Violazione di diritto fondamentale della persona, del principio di uguaglianza, del diritto al lavoro - Eccesso dai limiti dell'autonomia comunale - Violazione del principio di parita' di trattamento dei lavoratori stranieri regolari stabilito dalla Convenzione OIL n. 143/1975 - Lesione del principio di liberta' di iniziativa economica privata - Violazione della competenza statale in materia di concorrenza - Lesione del principio di sussidiarieta' verticale. - Legge della Regione Veneto 6 aprile 2001, n. 10, art. 4, comma 4-bis, introdotto dall'art. 16 della legge della Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 7. - Costituzione, artt. 2, 3, 4, 5, 10, primo comma, 41, 117, commi primo e secondo, lett. e), e 118.(GU n.27 del 8-7-2009 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1315/08 proposto dall'Associazione dei venditori ambulanti immigrati con licenza di commercio itinerante, in persona del suo presidente pro tempore, e di Seck Elahadji Mame Medoune e Niass Abdoulaye rappresentati e difesi dall'avv. Angelo Pozzan, con elezione di domicilio presso lo studio dello stesso in Venezia-Mestre, via Torre Belfredo, 55/A; Contro il Comune di Venezia in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Giulio Gidoni, Maddalena M. Morino, Giuseppe Venezian e Maurizio Ballarin, della Civica avvocatura di Venezia, con elezione di domicilio nella sede municipale, il sindaco del Comune di Venezia quale ufficiale di Governo, non costituito in giudizio, il Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge, la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio; 1) dell'ordinanza a firma del sindaco del Comune di Venezia 13 giugno 2008 prot. 255264 OR/2008/399 con la quale si dispone quanto segue: «e' vietato il trasporto senza giustificato motivo di mercanzia in grandi sacchi di plastica e borsoni nel centro storico del Comune di Venezia»; «il predetto trasporto, se accompagnato con la sosta prolungata nello stesso luogo o in aree limitrofe deve essere considerato come atto direttamente ed immediatamente finalizzato alla vendita su area pubblica in forma itinerante ed in quanto facenti parte sostanziale dell'atto di vendita, rientrando nella fattispecie prevista e sanzionata dalla vigente legislazione regionale»; e, per quanto occorra, 2) del verbale di accertamento di violazione amministrativa e contestuale verbale di sequestro n. 54/08 del Corpo di polizia municipale con il quale viene accertata la violazione della predetta ordinanza in data 23 giugno 2008 da parte del signor Niass Abdoulaye. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia; Viste le memorie prodotte dalle parti; Visti gli atti tutti di causa; Udito nella pubblica udienza dell'11 dicembre 2008 - relatore il referendario Stefano Mielli - l'avv. Pozzan per la parte ricorrente e l'avv. Morino per il Comune di Venezia; Ritenuto in fatto e considerato in diritto. F a t t o e d i r i t to Il sindaco del Comune di Venezia, ritenendo sussistere pericoli per la sicurezza urbana e l'incolumita' pubblica, con ordinanza contingibile ed urgente adottata ai sensi dell'art. 54, comma 4, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 del 13 giugno 2008, prot. 255264 OR/2008/399, «premesso che l'art. 4, comma 4-bis, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10 (cosi' come modificato dall'art. 16, comma 1, della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7) vieta il commercio su aree pubbliche informa itinerante nei centri storici dei comuni superiori ai 50.000 abitanti», ha disposto che «e' vietato il trasporto senza giustificato motivo di mercanzia in grandi sacchi di plastica e borsoni nel centro storico del Comune di Venezia» e che «il predetto trasporto, se accompagnato con la sosta prolungata nello stesso luogo o in aree limitrofe deve essere considerato come atto direttamente ed immediatamente finalizzato alla vendita su area pubblica in forma itinerante ed in quanto facenti parte sostanziale dell'atto di vendita, rientrando nella fattispecie prevista e sanzionata dalla vigente legislazione regionale». Tal provvedimento e' impugnato con il ricorso in epigrafe dalla «Associazione dei venditori ambulanti immigrati con licenza di commercio itinerante», in persona del legale rappresentante sig. Seck Elahadji Mame Medoune che agisce anche personalmente e dal sig. Niass Abdoulaye. L'Associazione espone di essere costituita da oltre settanta cittadini di paesi non appartenenti all'Unione europea titolari di regolare permesso di soggiorno e di un'autorizzazione commerciale per la vendita itinerante rilasciata da comuni della Provincia di Venezia. In effetti, come e' documentato dall'art. 5 dello statuto dell'Associazione (cfr. doc. 1 allegato al ricorso), possono essere ammessi a far parte dell'Associazione come soci ordinari coloro che sono in possesso della licenza di commercio itinerante. I sigg. Seck Elahadji Mame Medoune e Niass Abdoulaye sono in possesso, rispettivamente, delle autorizzazioni n. 3808 del 6 agosto 2003, e n. 3996 del 1° marzo 2004, rilasciate dal Comune di Venezia per l'esercizio dell'attivita' di commercio su area pubblica di tipo B (in forma itinerante), a carattere permanente per il settore merceologico non alimentare (cfr. docc. 4 e 5 allegati al ricorso). Il sig. Niass Abdoulaye narra inoltre di aver subito, sulla base della predetta ordinanza, una sanzione amministrativa di euro 5.164,00, con confisca di 12 borse, ai sensi dell'art. 29, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, prevista per chiunque eserciti il commercio sulle aree pubbliche senza la prescritta autorizzazione o fuori dal territorio contemplato dall'autorizzazione stessa, perche' nella localita' San Marco, Frezzeria «transitava per la suddetta localita' con sacchetto di plastica azzurra trasparente che lasciava intravvedere le cose al suo interno» (cfr. copia del verbale di cui al doc. 2 depositato in giudizio dal comune). Dal suddetto verbale risulta anche che e' stato accertato il possesso, in capo al ricorrente, dell'autorizzazione al commercio ambulante rilasciata dal Comune di Venezia di cui sono indicati gli estremi, e che il medesimo ha dichiarato di essersi limitato a transitare per la pubblica via. L'ordinanza e' impugnata per le seguenti censure: I) incompetenza, sviamento e difetto di motivazione per la mancata espressa indicazione che il sindaco agisce quale ufficiale di governo; II) sviamento e incompetenza perche' riguarda un ambito, quello del commercio, sul quale il sindaco e' privo di competenze normative; III) violazione dell'art. 54 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per la mancanza dei requisiti di eccezionalita' ed imprevedibilita' e l'omessa indicazione dei medesimi; IV) violazione degli artt. 1 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, e del principio di tassativita' nella descrizione della condotta vietata nonche' del principio di non punibilita' del tentativo nell'illecito amministrativo; V) travisamento, difetto di istruttoria e illogicita', per l'insussistenza di episodi del tipo di quelli menzionati nella motivazione dell'ordinanza; VI) sviamento e illogicita' per la mancanza di pericoli gravi derivanti dalle tensioni e frizioni con i commercianti residenti; VII) illegittimita' derivata per l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 4-bis, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, come modificata dalla legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, per il contrasto con gli artt. 4 e 41 della Costituzione; VIII) violazione dell'art. 4, comma 4-bis, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, come modificata dalla legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, in quanto detta norma presupporrebbe una specifica delimitazione del centro storico ai fini del commercio itinerante. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Venezia e il Ministero dell'interno concludendo per la reiezione del ricorso. Con ordinanza n. 632 del 31 luglio 2008 e' stata respinta la domanda cautelare. Alla pubblica udienza dell'11 dicembre 2008, in prossimita' della quale le parti hanno depositato memorie a sostegno delle proprie difese, la causa e' stata trattenuta in decisione. D i r i t t o 1. - Il Collegio, in via pregiudiziale rispetto ai diversi motivi di merito, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del comma 4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, come introdotto dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, per violazione degli artt. 2, 3, 4, 5, 10 primo comma, 41, 117 commi primo e secondo lett. e), nonche' 118 della Costituzione (relativamente a questo ultimo parametro per contrasto con la norma interposta di cui all'art. 28, comma 16, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114). 2. - Va innanzitutto evidenziata la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale ai fini della decisione dell'odierno ricorso. 2.1. - Sul punto va premesso che il ricorso, per la parte che riguarda l'ordinanza del 13 giugno 2008 il cui sindacato e' demandato alla giurisdizione del giudice amministrativo, e' stato proposto in modo rituale da soggetti che appaiono certamente legittimati, in quanto portatori di una posizione differenziata e qualificata (cfr. per quanto riguarda l'Associazione il verbale del consiglio direttivo 25 luglio 2008, depositato in giudizio il 29 luglio 2008) e che conservano interesse alla sua definizione nel merito nonostante il provvedimento impugnato limiti la propria efficacia al 31 dicembre 2008. Infatti, medio tempore l'ordinanza impugnata ha prodotto effetti e dunque deve trovare applicazione la regola secondo cui la mera scadenza del termine di efficacia del provvedimento amministrativo impugnato non fa venire meno l'interesse della parte sia a vederne caducati gli effetti per il passato, sia a non vedere adottati successivi provvedimenti similari (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 5 aprile 2003, n. 1786; Consiglio di Stato, sez. VI, 18 luglio 1998, n. 846; Consiglio di Stato, sez. IV, 19 dicembre 1994, n. 1037). 2.2. - In secondo luogo va evidenziato che la censura prospettata con il settimo motivo del ricorso ed ulteriormente illustrata nella memoria depositata in prossimita' della pubblica udienza, con cui si deduce l'illegittimita' costituzionale del comma 4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, come introdotto dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, assume carattere logicamente prioritario rispetto agli altri motivi. Infatti con le ulteriori censure i ricorrenti lamentano sotto molteplici profili vizi sintomatici (quali il difetto di motivazione, di istruttoria, l'insussistenza dei presupposti, giuridici o di fatto, per l'adozione in concreto del provvedimento temporaneo oggetto di impugnazione, ovvero l'incompetenza o l'illogicita' del medesimo) che, anche se accolti, non precluderebbero una riedizione dell'atto amministravo con contenuto analogo, quantunque diversamente formulato, parimenti lesivo degli interessi sostanziali di cui sono portatori i ricorrenti. La censura di cui al settimo motivo invece, coinvolge direttamente la premessa esplicita su cui si regge l'ordinanza impugnata evidenziando in astratto, tra quelle dedotte, una illegittimita', per cosi' dire radicale, del provvedimento impugnato, che appare idonea a soddisfare piu' pienamente ed efficacemente l'interesse sostanziale dedotto in giudizio dai ricorrenti i quali, essendo stranieri regolari in possesso di apposita autorizzazione rilasciata dal comune per l'esercizio dell'attivita' di commercio in forma itinerante, assumono come interesse primario quello di poter trarre i propri mezzi di sussistenza dallo svolgimento di regolare attivita' lavorativa. Pertanto, la questione di legittimita' costituzionale e' rilevante ai fini della definizione del giudizio perche' attiene ad una censura espressamente enunciata nel ricorso che, avuto riguardo all'interesse sostanziale dei ricorrenti ed al principio di effettivita' della tutela giurisdizionale e di effettivita' del controllo costituzionale sulle leggi, non potrebbe restare assorbita dall'eventuale accoglimento degli altri motivi. Ne', d'altra parte, e' possibile, onde superare l'elemento della rilevanza, pervenire ad un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione di cui al comma 4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10 (adombrata dai ricorrenti nell'ambito dell'ottavo motivo di ricorso), in quanto, come precisato dal Comune nelle proprie difese, non vi e' in detta norma alcun elemento che, sotto il profilo testuale e sistematico, consenta all'interprete di ritenere necessaria, ai fini della sua operativita', un'apposita delimitazione del centro storico funzionale al solo commercio itinerante su aree pubbliche, in sostituzione di quella di carattere urbanistico adottata nell'ambito del piano regolatore ai sensi della legge regionale 31 maggio 1980, n. 80. 2.3. - Piu' nello specifico, vi e' da osservare che l'impugnata ordinanza sindacale vieta e sanziona il trasporto di mercanzia in grandi sacchi di plastica, borsoni o analoghi contenitori nel centro storico del Comune di Venezia che avvenga «senza giustificato motivo». Nel caso all'esame, tuttavia, come premesso in fatto, i sigg. Seck Elahadji Mame Medoune e Niass Abdoulaye sono titolari di un permesso di soggiorno e di un'autorizzazione per il commercio ambulante, cosi' come i membri dell'Associazione. Nel ricorso (cfr. pagg. 5 e 6) si evidenzia, quindi, in maniera pertinente alla specifica situazione processuale, come nel passato fosser state avviate, tra il Comune di Venezia e l'Associazione ricorrente, iniziative finalizzate all'individuazione di aree poste all'interno del centro storico veneziano in cui esercitare la vendita ambulante (cfr. la cartografia prodotta dalla commissione mista di cui al doc. 7 allegato al ricorso). Iniziative rese vane dal fatto che successivamente, con l'articolo 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, nell'ambito dell'art. 4 della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, concernente il rilascio delle autorizzazioni per il commercio in forma itinerante nell'ambito della disciplina del commercio sulle aree pubbliche, e' stato introdotto un comma ulteriore (comma 4-bis), il quale dispone che «e' vietato il commercio su aree pubbliche in forma itinerante nei centri storici dei comuni con popolazione superiore ai cinquantamila abitanti». Orbene, i ricorrenti sostengono che tale norma, comportante un divieto generalizzato ed indiscriminato di esercizio dell'attivita' dove questa presenta una qualche redditivita', ovvero nei centri storici dei Comuni di maggiore affluenza di popolazione residente e fluttuante, ha, all'evidenza, dapprima azzerato il valore commerciale delle autorizzazioni di cui sono titolari e dalle quali traggono il proprio sostentamento, e successivamente creato la premessa per l'applicabilita' anche nei loro confronti, in forme manifestamente illegittime, dell'ordinanza impugnata, nella parte in cui questa persegue il possesso «non giustificato» dei contenitori di mercanzia. Senza il divieto imposto dalla norma regionale, infatti, una prescrizione, riferita alle modalita' di trasporto della merce, come quella contenuta nell'ordinanza impugnata non potrebbe operare nei confronti dei ricorrenti, giacche' gli stessi svolgerebbero un'attivita' lecita, per la quale dispongono delle necessarie autorizzazioni, che giustificherebbe il possesso dei contenitori altrimenti vietati, ferma restando in ogni caso la possibilita' di interventi volti a prevenire e reprimere ogni forma di commercio abusivo (con analoghe ordinanze adottate da comuni di altre regioni nei quali non vige il divieto previsto dalla legge della Regione Veneto e' infatti perseguito il solo commercio abusivo e non quello posto in essere da soggetti titolari di regolari autorizzazioni comunali per il commercio itinerante). Peraltro, dalla documentazione versata in atti (cfr. doc. 5 depositato in giudizio dal comune) risulta che con deliberazione n. 124 del 25 luglio 2005, ritenendo conculcate le proprie prerogative, il Consiglio comunale del Comune di Venezia aveva approvato (ai sensi dell'art. 38 dello Statuto della Regione Veneto che riconosce ai consigli comunali dei comuni capoluogo di provincia di presentare progetti di legge regionali), un progetto di legge per sostituire il comma 4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, introdotto dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, prevedendo, in luogo del divieto generalizzato ed indiscriminato ivi previsto, una modifica del seguente tenore «e' facolta' dei comuni con popolazione superiore ai cinquantamila abitanti, individuare nell'ambito dei centri storici specifiche aree ove l'attivita' di commercio su aree pubbliche in forma itinerante possa essere esercitata secondo specifiche modalita»: proposta di modifica che non ha avuto, in prosieguo, alcun esito. 2.4. - Dalla questione di legittimita' costituzionale del comma 4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, come introdotto dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, dipende per le ragioni sin qui spiegate, l'accoglimento o meno del settimo motivo di ricorso. Di qui la rilevanza della questione nel presente giudizio. 3. - In ordine alla non manifesta infondatezza il Collegio Osserva quanto segue. Anche alla luce delle piu' recenti sentenze della Corte costituzionale che si sono pronunciate su questioni analoghe (cfr. le sentenze 24 ottobre 2008, n. 350; 30 gennaio 2009, n. 25), appare innanzitutto violata la competenza statale in materia di concorrenza stabilita dagli artt. 41 e 117, secondo comma, lett. e), della Costituzione. Infatti non vi e' dubbio che il commercio itinerante costituisca una delle forme attraverso cui si esplica la liberta' di iniziativa economica consistente nel commercio su aree pubbliche (cfr. art. 28, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 31). L'art. 28 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, prevede, infatti: che possa essere svolto su qualsiasi area (cfr. comma 1, lett. b); che la relativa autorizzazione e' rilasciata, in base alla normativa emanata dalla regione, dal comune nel quale il richiedente ha la residenza e che la stessa abilita anche alla vendita al domicilio del consumatore (cfr. comma 4); che, ed e' il profilo di maggiore interesse in questa sede, il comune con apposita deliberazione individui «le aree aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale nelle quali l'esercizio del commercio» su aree pubbliche «e' vietato o sottoposto a condizioni particolari ai fini della salvaguardia delle aree predette. Possono essere stabiliti divieti e limitazioni all'esercizio anche per motivi di viabilita', di carattere igienico sanitario o per altri motivi di pubblico interesse» (cfr. comma 16). Il Collegio ritiene pertanto che la norma statale da ultimo citata costituisca una sorta di catalogo dei limiti che, ai sensi dell'art. 41 della Costituzione, possono opporsi alla libera espansione dell'attivita' economica, per l'utilita' sociale, la sicurezza, la liberta' o a altri valori costituzionalmente rilevanti. Le regioni, a loro volta, possono certamente intervenire in questo settore dettando norme che trovino fondamento in ambiti materiali di propria competenza, quali il commercio o l'urbanistica; tuttavia siffatti ambiti non possono eludere la competenza statale in materia di concorrenza ne' il rispetto dei principi di proporzionalita' ed adeguatezza, cosicche' non possono risolversi in una forma di compressione totale della liberta' di iniziativa economica, non giustificata dalla natura e dalle caratteristiche della specifica attivita' inibita, cio' che avviene per esempio influenzando direttamente l'accesso degli operatori economici ad un determinato mercato e ponendo barriere all'ingresso tali da alterare la concorrenza tra soggetti imprenditoriali o, ancora, vietando in modo generalizzato e indiscriminato l'esercizio dell'attivita' commerciale laddove questa presenti una qualche redditivita'. Nel caso di specie la legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, gia' prima delle modifiche apportate dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, conteneva (e contiene tutt'ora seppure in modo non coordinato con la norma della cui legittimita' costituzionale si dubita) un'articolata disciplina che salvaguarda gli interessi pubblici potenzialmente confliggenti con le modalita' attraverso le quali si svolge questo tipo di commercio e al contempo appare rispettosa della competenza statale in materia di concorrenza. All'art. 2, comma 1, lett. a), essa prevede che i comuni individuino «le aree nelle quali l'esercizio del commercio e' vietato o sottoposto a condizioni particolari per motivi di viabilita', di carattere igienico-sanitario o per altri motivi di pubblico interesse, nonche' per motivi di salvaguardia di aree aventi valore architettonico, storico, artistico e ambientale», e all'art. 4, commi 2, e 3, dispone, rispettivamente, che la relativa autorizzazione abiliti al commercio su tutto il territorio nazionale e che l'esercizio dell'attivita' «puo' essere svolto su qualsiasi area pubblica, purche' non espressamente interdetta dal comune». Senonche', appare evidente che il divieto assoluto, inderogabile, generalizzato, non giustificato da concrete e localizzabili esigenze previsto dal comma 4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, come introdotto dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, finisca per comportare un'irragionevole e contraddittoria eliminazione di una delle modalita' attraverso le quali, per la normativa statale, puo' essere svolta l'attivita' commerciale. Di qui la manifesta violazione della competenza statale in materia di concorrenza cosi' come definita dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (sulla cui nozione e' da richiamare la sentenza della Corte costituzionale, 14 dicembre 2007, n. 430). 4. - La norma di cui al comma 4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, come introdotto dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, viola inoltre, a giudizio del Collegio, sotto altri profili, gli att. 3, 5 e 118 della Costituzione. La norma costituzionale da ultimo citata e', come noto, espressione del principio di sussidiarieta' c.d. verticale, poiche' dispone che le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo il conferimento ad enti di maggiori dimensioni, al fine di assicurarne l'esercizio unitario, e che i comuni sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale. Orbene, nel caso in esame, sia la normativa statale (cfr. l'art. 28 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114) che regionale (cfr. gli artt. 2 e 4 della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10) sopra richiamate, demandano ai comuni l'adozione di appositi piani e provvedimenti per porre dei limiti all'esercizio del commercio su aree pubbliche in forma itinerante. La competenza comunale trova la propria ragion d'essere nell'esigenza di non porre limiti all'attivita' economica che non siano idonei, necessari ed adeguati alla finalita' di tutelare l'interesse pubblico confliggente da salvaguardare, e all'esigenza di differenziare i limiti e le regole applicabili in ciascun comune, secondo le proprie specificita' territoriali, archeologiche ed ambientali, al fine di non comprimere in modo immotivato tale tipologia di commercio. La norma di cui al comma 4-bis. Dell'art. 4, delle legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, come introdotto dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, prescinde, per contro, dalle caratteristiche del tutto disomogenee degli ambiti territoriali, sociali ed economici in cui vige il divieto (si tratta, per fare un esempio, dei centri storici dei Comuni di Rovigo, Padova, San Dona' di Piave e Venezia, nonche' Chioggia, Belluno o Verona) e comprime irragionevolmente l'autonomia comunale, in tal modo privata della possibilita' di governare l'elemento della disomogeneita' distinguendo tra commercio svolto abusivamente da soggetti privi di un valido titolo di soggiorno o dei titoli amministrativi necessari e soggetti che, come gli odierni ricorrenti, si trovano a questi equiparati pur essendo muniti di tutti i titoli necessari per svolgere regolarmente l'attivita'. 5. - Vi e' infine un ulteriore concorrente profilo, sul qualeparticolarmente insistono i ricorrenti, rispetto al quale viene a configurarsi la violazione degli artt. 2, 3, 4, 10 primo comma, 41 e 117 primo comma della Costituzione. E' un dato di comune esperienza, documentato anche dalle allegazioni al ricorso, che il commercio su aree pubbliche in forma itinerante riguarda attualmente in modo prevalente se non esclusivo la piccola imprenditoria degli extracomunitari. Orbene, con la norma della cui legittimita' costituzionale si dubita, viene assoggettata a divieto soltanto questa tipologia di commercio, mentre non viene introdotta alcuna analoga restrizione nei confronti di corrispondenti forme di commercio su aree pubbliche quali quelle su posteggi dati in concessione in sede fissa. Questo elemento, da un lato incide illegittimamente sulla liberta' di iniziativa economica e il diritto al lavoro, che sono diritti inviolabili degli stranieri regolari per i quali vale il principio di parita' di trattamento sancito dalla Convenzione Oil n. 143/1975 (ratificata con la legge n. 158 del 1981) anche se si tratta di lavoratori autonomi, con conseguente violazione 10, primo comma, della Costituzione. Dall'altro la stessa norma rischia di avere oggettivamente, al di la' delle intenzioni del legislatore regionale, l'effetto di una discriminazione indiretta, che si verifica ogniqualvolta «una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone» (cfr. art. 2, comma 1, lett.b, del d.lgs. 9 luglio 2003 n. 215). Infatti, come recentemente affermato dalla Corte costituzionale con sentenza 30 luglio 2008, n. 306, «al legislatore italiano e' certamente consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli e non contrastanti con obblighi internazionali, che regolino l'ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia (da ultimo, sentenza n. 148 del 2008). E' possibile, inoltre, subordinare, non irragionevolmente, l'erogazione di determinate prestazioni - non inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza - alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata una volta pero', che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo. nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini». Appare infatti evidente che, per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi connessi a flussi migratori, non puo' risultarne scalfito il carattere universale dei diritti fondamentali, come il diritto al lavoro e alla libera iniziativa economica, del cittadino extracomunitario regolare. Sotto questo profilo, il comma 4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, come introdotto dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, pare porsi in contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 10 primo comma e 41 della Costituzione.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5, 10, primo comma, 41, 117 commi primo e secondo lett. e), nonche' 118 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale del comma 4-bis, dell'art. 4, della legge regionale 6 aprile 2001, n. 10, come introdotto dall'art. 16 della legge regionale 25 febbraio 2005, n. 7, secondo quanto precisato in motivazione. Sospende il giudizio in corso e dispone, a cura della segreteria della sezione, che gli atti dello stesso siano trasmessi alla Corte costituzionale per la risoluzine della prospettata questione, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente della Giunta regionale, e comunicata al Presidente del Consiglio regionale del Veneto. Cosi' deciso in Venezia, nella Camera di consiglio, addi' 11 dicembre 2008. Il Presidente: De Zotti L'estensore: Mielli