N. 215 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 gennaio 2009

Ordinanza del 26 gennaio 2009 emessa  dal  G.i.p.  del  Tribunale  di
Napoli nel procedimento penale a carico di Bocchino Italo ed altro. 
 
Parlamento  -  Intercettazioni  «occasionali»  di   comunicazioni   o
  conversazioni  di  membri  del  Parlamento   -   Utilizzazione   in
  procedimento penale subordinata alla autorizzazione della Camera di
  appartenenza - Irrazionale trattamento differenziato rispetto  alla
  disciplina prevista per i «terzi», a seguito della  sentenza  della
  Corte Costituzionale n. 390/2007 - Violazione del  principio  della
  parita' di trattamento dinanzi  alla  giurisdizione  -  Esorbitanza
  rispetto alla ratio della garanzia di cui all'art. 68, comma terzo,
  Cost. 
- Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 6, commi 2, 3, 4, 5 e 6. 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, 68, comma  terzo,  102  e  104,
  primo comma. 
(GU n.35 del 2-9-2009 )
                            IL TRIBUNALE 
    Esaminata la richiesta del pubblico ministero/sezione D.D.A. sede
di inoltro alla Camera dei deputati della richiesta di autorizzazione
all'utilizzo delle  intercettazioni  telefoniche  nei  confronti  dei
Parlamentari: 
        on. Bocchino Italo, nato a Napoli il 6 luglio 1967  (  difeso
di fiducia dagli avvocati Ettore Stravino e Leone Zeppieri), imputato
in relazione ai reati di cui agli artt. 416 - 353 - 326 c.p. e; 
        on. Lusetti Renzo, nato a Castelnovo di Sotto (Reggio Emilia)
il 4 settembre 1958 (difeso di fiducia dagli avvocati Massimo Krogh e
Alessandra Cacchiarelli ed elettivamente domiciliato presso lo studio
dell'avv. Cocchiarelli) imputato in relazione all'art 416 c.p. 
    Premesso che in data 16 settembre 2008 veniva avanzata  richiesta
di  emissione  di  misura  coercitiva  nei  confronti  dei   predetti
parlamentari e di altri 18 indagati; 
        che, contestualmente i pp.mm. chiedevano  di  inoltrare  alla
Camera   di   appartenenza    la    richiesta    di    autorizzazione
all'utilizzazione delle intercettazioni (ex art. 6, comma 2, legge n.
104/2003)  nonche'  richiesta  di  autorizzazione  a  procedere   nei
confronti dei suddetti parlamentari; 
        che codesto g.i.p., nel  contesto  dell'ordinanza  cautelare,
depositata in data 16 dicembre  2008,  dato  atto  che  il  compendio
indiziario  a  carico  dei  parlamentari  indagati  era   costituito,
prevalentemente, da intercettazioni telefoniche  «indirette»  (ovvero
casuali o fortuite in quanto, captate su utenze  in  uso  agli  altri
coindagati), per  l'utilizzazione  delle  quali  permaneva  (anche  a
seguito della sentenza della Corte costituzionale 23  novembre  2007,
n. 390) la necessita' di inoltrare  la  richiesta  di  autorizzazione
(successiva) alla Camera  competente,  disponeva  lo  stralcio  delle
posizioni dei parlamentari Bocchino Italo e Lusetti Renzo  riservando
la decisione, all'esito della procedura prescritta dall'art. 6, comma
2, legge n. 140/2003; 
        che  con  separata  ordinanza,  depositata  in  pari  data  -
ritenuta l'utilizzazione delle conversazioni intercettate  necessaria
ai fini della valutazione del compendio indiziario posto a fondamento
della  richiesta  coercitiva  avanzata  anche  nei  confronti   degli
onorevoli Bocchino Italo e Lusetti Renzo - nel rispetto del canone di
cui all'art. 6, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140  e  nelle
forme di cui all'art. 127 c.p.p., veniva fissata I' udienza in camera
di consiglio; 
        che all'udienza del 12 gennaio 2009 ed alla successiva del 14
gennaio 2009, i  pp.mm,  riportandosi  alla  memoria  contestualmente
depositata  in  atti,  chiedevano   che,   previa   sospensione   del
procedimento a carico degli indagati on. Bocchino Italo e on. Lusetti
Renzo,  codesto   g.i.p.   sollevasse   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 6, commi 2 e segg., legge  n.  140/2003  per
contrasto con gli artt 3, comma 1, 68 comma 3, 102  e  104  comma  1,
112, 24, secondo comma della Costituzione; 
        che i difensori  degli  imputati,  sul  punto  eccepivano  il
difetto di legittimazione del  g.i.p.,  nonche'  l'irrilevanza  della
questione di legittimita' costituzionale - attesa  l'irrilevanza,  di
immediata percezione, delle intercettazioni poste a fondamento  delle
contestazioni sollevate a carico degli  onorevoli  indagati  -  e  la
manifesta  infondatezza  della  questione  medesima,  versandosi   in
ipotesi di intercettazioni telefoniche «dirette»  e  non  «casuali  o
fortuite», rispetto alle quali, deve ritenersi applicabile il  regime
prescritto dall'art. 4  della  legge  n.  140/2003,  con  conseguente
inutilizzabilita' delle  stesse  in  quanto  acquisite  contra-legem,
chiedendo, pertanto, una declaratoria in tal senso o -  in  subordine
la declaratoria in termini di «irrilevanza» delle intercettazioni  ai
sensi dell'art. 6, comma 1, legge n. 140/2003; 
      
        che il g.i.p. - rinviando l'udienza camerale  al  26  gennaio
2009 - si riservava qualsivoglia decisione. 
    Cio' posto la riserva viene sciolta  nei  sensi  qui  di  seguito
indicati rilevando, innanzitutto, quanto alla legittimazione che,  in
ordine a tale requisito, e' noto che il  giudice  puo'  sollevare  la
questione di legittimita' costituzionale, in  qualunque  procedimento
giurisdizionale, purche' denunci quelle norme in relazione alle quali
esercita una effettiva potestas decidendi. 
    E' evidente, che, nel caso in esame, versandosi  nell'ambito  del
sub-procedimento camerale, prescritto dall'art. 6, comma 2, legge  n.
140/2003, che individua il «giudice delle indagini preliminari»  come
soggetto giurisdizionale, dotato, in questo caso, di potere decisorio
sia  in  ordine  alla  richiesta  cautelare  del   p.m.,   che   alla
utilizzazione (all'esito di un contraddittorio tra le parti)  a  fini
cautelati delle disposte intercettazioni e, quindi, legittimato  alla
richiesta di autorizzazione al  Parlamento,  sussiste  una  effettiva
potestas decidendi, nonche'  l'attualita'  del  potere  decisorio  e,
conseguentemente, la legittimazione del g.i.p. a sollevare (d'ufficio
o su istanza di parte) la questione di legittimita' costituzionale. 
    Al riguardo, appare opportuno  evidenziare,  altresi',  che,  non
essendo stata emessa  alcuna  pronuncia  sulla  richiesta  cautelare,
avanzata  anche  nei  confronti  dei  parlamentari,  ne',  tantomeno,
all'esito del procedimento camerale previsto dall'art.  6,  comma  2,
legge n. 140/2003, non v'e' materia per ritenere esaurita la potestas
iudicandi,  atteso,  peraltro,  che  la  questione  di   legittimita'
costituzionale che si intende sollevare involge una norma  che  priva
il g.i.p. della potestas iudicandi (o, quantomeno limita  l'esercizio
di tale potestas), subordinandola alla autorizzazione di altro organo
istituzionale. 
                     Rilevanza della questione. 
    Sul  punto  potrebbe  rilevarsi,  unicamente,  che  sussiste   il
prescritto   collegamento   giuridico    fra    norma    della    cui
costituzionalita' si dubita e la re-giudicanda in esame,  trattandosi
di norma della cui applicazione codesto g.i.p. non puo'  prescindere,
essendogli  imposto  -  ai  fini  della  valutazione  della   istanza
cautelare - l'inoltro della richiesta di autorizzazione  alle  Camere
delle intercettazioni indirette  su  cui  la  richiesta  medesima  si
fonda, allorche' «ritenga necessario utilizzarle». 
    Conseguentemente, e' lo  stesso  requisito  della  «necessarieta»
previsto dall'art. 6, comma 2, della legge n. 140/2003  («Qualora ...
il giudice ... ritenga necessario utilizzare le intercettazioni ...»)
che implica e fonda la valutazione in termini  di  «rilevanza»  della
questione rispetto alla propria decisione. 
    D'altra parte, in sede di procedimento cautelare,  se,  come  nel
caso  di  specie,  l'utilizzabilita'  del  compendio  indiziario   e'
subordinato ad una sorta di  condizione  di  procedibilita'  (rectius
«utilizzabilita»), prescritta da una norma della cui  conformita'  ai
parametri costituzionali  si  dubita,  non  puo'  che  conseguire  la
preclusione  di  qualsivoglia  valutazione  sulla   consistenza   del
compendio indiziario e, quindi, di qualsivoglia  decisione  anche  in
termini di rigetto della richiesta. 
    Si aggiunga che, nella fattispecie in esame, non ci si  trova  al
cospetto di conversazioni ictu oculi «irrilevanti», ovvero rientranti
nell'orbita normativa del comma 1 dell'art. 6, legge n. 104/2003 (che
prevede, che il giudice, anche d'ufficio, possa soprassedere ad  ogni
richiesta di inoltro alla Camera di appartenenza delle  conversazioni
indirette del parlamentare laddove le  ritenga  «irrilevanti  ...  ai
fini del procedimento»), in  considerazione  della  pertinenza  delle
stesse  rispetto  ai  fatti  in  contestazione,  del   tenore   della
conversazioni  intercettate  che  -  pur  prescindendo  da  qualsiasi
valutazione di merito dei contenuti rispetto ai parlamentari indagati
- rappresentano un concreto elemento sintomatico  (  quantomeno)  del
collegamento esistente tra i coindagati, nei cui confronti sono state
legittimamente utilizzate per accogliere  o  rigettare  la  richiesta
cautelare. 
    Indubbia, dunque, l'utilita' indiziaria delle intercettazioni  de
qua al fine delle adozioni delle alternative pronunce. 
    Da quanto sin  qui  evidenziato,  consegue  che  le  disposizioni
legislative della cui conformita'  a  Costituzione  si  dubita,  sono
applicabili al giudizio cautelare in corso ed assolutamente influenti
ai  fini  della  decisione,  in  quanto  solo  seguendo  il  percorso
procedimentale  da  esse  definito,  partendo  dall'udienza  camerale
innanzi al g.i.p., sara' possibile, per l'organo giudicante, ottenere
dalla Camera di appartenenza del parlamentare quella pronunzia  sulla
richiesta di utilizzazione delle intercettazioni, che, a  prescindere
dal contenuto, condizionera'  comunque  l'esercizio  del  suo  potere
decisorio sulla richiesta cautelare del pubblico ministero. 
    Infine, deve rilevarsi, che anche quanto  rilevato  dalle  difese
rispetto alla configurabilita' della contestazione associativa e/o di
turbativa d'asta sollevata (anche)  nei  confronti  dei  parlamentari
indagati, presuppone la «utilizzabilita»  delle  conversazioni,  onde
consentirne un vaglio attento e completo sulla valenza concludente  o
meno rispetto alle contestazioni medesime. 
                     Non manifesta infondatezza 
    In ordine a tale prodromica  valutazione  occorre  rilevare  che,
atteso il dettato normativo della disposizione in  parola  -  per  la
parte  che  ne  residua  all'esito  della   pronuncia   della   Corte
costituzionale n. 390/2007 che ha dichiarato illegittimi i commi 2, 5
e 6 «nella parte in cui stabiliscono che la disciplina  ivi  prevista
si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni  debbano  essere
utilizzate  nei  confronti  di  soggetti  diversi  dal   membro   del
Parlamento,  le  cui  conversazioni  sono   state   intercettate»   -
certamente  non  si  e'  al  cospetto  di  un  problema   ermeneutico
direttamente risolubile dal giudice a quo. 
    Cio' si ritiene sebbene noto che, come evidenziato  dalla  stessa
Corte costituzionale nella citata  sentenza  e  dalla  dottrina,  sia
sostanzialmente   priva   di   disciplina   l'ipotesi   in   cui   le
intercettazioni indirette siano state acquisite in  procedimenti  nei
quali risultino indagati parlamentari letteralmente, l'art. 6,  legge
n. 140/2003 dovrebbe applicarsi unicamente alle  intercettazioni  del
parlamentare  fortuitamente  captate  nell'ambito   di   procedimenti
riguardanti terzi. 
    Al riguardo  si  osserva  che,  esclusa  una  legittimazione  del
giudice  ad  utilizzare  liberamente  il  materiale  intercettizio  -
essendo siffatta lettura palesemente in contrasto con l'art  3  della
Cost.  per  le  irragionevoli  disparita'  di  trattamento   che   ne
deriverebbero, tra i parlamentari non  indagati  (  per  i  quali  e'
espressamente previsto il ricorso al sub-procedimento ex  art.  6)  e
quelli indagati - una lettura costituzionalmente orientata  non  puo'
che indurre a ritenere che, anche in simile  evenienza,  debba  farsi
riferimento all'art. 6, legge n. 140/2003. 
    Sotto altro profilo, si rileva che la  disciplina  da  applicare,
nel   caso   di   specie,   sia   proprio   quella   in   odore    di
incostituzionalita',  essendo  le   intercettazioni   da   utilizzare
certamente qualificabili come «indirette» o «casuali»,  e  non  certo
come «dirette» e, in quanto tali,  rientranti  nell'orbita  normativa
dell'art 4, legge n. 104/2003, ovvero  oggetto  di  un'autorizzazione
preventiva, in assenza della quale sarebbero acquisite contra  legem,
ed inutilizzabili tout court. 
    Le intercettazioni di  cui  si  chiede  l'utilizzazione,  invero,
attengono al contenuto di conversazioni occasionalmente captate sulle
utenze - legittimamente sottoposte controllo ex artt. 266 e ss.  cpp.
- del principale indagato del presente procedimento ( Alfredo Romeo),
e non su utenze in uso al parlamentare o ad interlocutori abituali di
quest'ultimo, per  cui  non  puo'  affermarsi  che  le  attivita'  di
captazione fossero direttamente finalizzate ad invadere la  sfera  di
riservatezza del parlamentare. 
    D'altra parte, e' la stessa mole  di  conversazioni  intercettate
che - rispetto all'esiguo numero ( in proporzione)  di  conversazioni
che vedono come interlocutori i parlamentari  Bocchino  e  Lusetti  -
induce  il  concetto  di  «occasionalita»   della   captazione   che,
evidentemente, non era - ne' puo' ritenersi ex post -  funzionale  ad
accedere nella sfera delle comunicazioni dei parlamentari. 
    Ne' a diversa conclusione puo' addivenirsi  sul  presupposto  che
l'art. 4, comma 1, legge n. 140/2003 faccia esplicito riferimento a «
...  intercettazioni,  in  qualsiasi  forma,   di   conversazioni   o
comunicazioni...», atteso che, con tale locuzione, si e'  inteso  far
riferimento unicamente alle modalita' tecniche di  captazione  ed  ai
tipi di comunicazione intercettate, non gia' al carattere  diretto  a
casuale della captazione. 
    Si aggiunga, infine, che dallo  stesso  argomentare  della  Corte
cost., nella pronuncia  n.  390/2007,  e'  agevole  inferire  la  non
manifesta infondatezza della sollevando questione  ed  i  presupposti
per una declaratoria di incostituzionalita' dell'intero art. 6, legge
n. 140/2003 cui, in quella sede, non si e'  pervenuti  per  i  limiti
imposti dal petitum di cui all'ordinanza di rimessione ( relativo non
alla  necessita'  della  autorizzazione  successiva  ma   solo   alla
regolamentazione degli  effetti  di  un  suo  diniego  rispetto  agli
indagati non parlamentari). 
    Laddove, invero, nei punti 5.2  e  5.3  del  Cons.  in  dir.,  si
afferma testualmente che: 
        «5.2.  -  giova  premettere  come,  nell'ambito  del  sistema
costituzionale,  le   disposizioni   che   sanciscono   immunita'   e
prerogative a  tutela  della  funzione  parlamentare,  in  deroga  al
principio di parita' di trattamento  davanti  alla  giurisdizione,  -
principio che si pone «alle origini della formazione dello  Stato  di
diritto» (sentenza n. 24 del 2004) -, debbano essere interpretate nel
senso  piu'  aderente  al  testo  normativo.  Tale  esigenza  risulta
accentuata dal passaggio - avutosi con  la  legge  costituzionale  29
ottobre 1993, n. 3, di riforma dell'art. 68 Cost.  -  ad  un  sistema
basato  esclusivamente  su  specifiche  autorizzazioni  ad  acta:  un
sistema nel quale ogni singola previsione costituzionale  attribuisce
rilievo ad uno specifico interesse legato alla funzione  parlamentare
e  fissa,  in  pari  tempo,  i  limiti  entro  i  quali  esso  merito
protezione,  stabilendo  quali  connotazioni  debba   presentare   un
determinato  atto  processuale,  affinche'  si  giustifichi  il   suo
assoggettamento al nulla osta dell'organo politico. Nella specie, dal
testo dell'art. 68, terzo comma, Cost.  («analoga  autorizzazione  e'
richiesto per sottoporre i membri del Parlamento ad  intercettazioni,
in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di
corrispondenza») non puo' ricavarsi ad un riferimento ad un controllo
parlamentare a posteriori sulle intercettazioni occasionali. 
    La   norma   costituzionale   ha    riguardo,    infatti,    alla
«sottoposizione» di un  parlamentare  ad  intercettazione  e  ad  una
autorizzazione di tipo preventivo: il nulla  osta  e'  richiesto  per
eseguire l'atto investigativo, e non per utilizzare  nel  processo  i
risultati di un atto precedentemente espletato. Il che e' confermato,
ove  ve  ne  fosse  bisogno,  dal  fatto  che   la   norma   richiama
un'autorizzazione «analoga» a quella - indubitabilmente preventiva  -
prevista dal secondo comma dello stesso art. 68  Cost.,  in  rapporto
alle perquisizioni personali o domiciliari, all'arresto e alle misure
privative della  liberta'  personale[...]  La  ratio  della  garanzia
prevista dall'art. 68, terzo comma, Cost., converge,  d'altro  canto,
con la lettera della norma. 
    L'art. 68  Cost.  mira  a  porre  a  riparo  il  parlamentare  da
illegittime interferenze giudiziarie sull'esercizio del  suo  mandato
rappresentativo; a proteggerlo,  cioe',  dal  rischio  che  strumenti
investigativi di particolare invasivita' o atti coercitivi delle  sue
liberta' fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori,
di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della
giurisdizione. La necessita' dell'autorizzazione viene meno, infatti,
allorche' la limitazione della liberta' del parlamentare si  connetta
a titoli o situazioni - come l'esecuzione di una sentenza di condanna
irrevocabile o la flagranza  di  un  delitto  per  cui  sia  previsto
l'arresto  obbligatorio   -   che   escludono,   di   per   se',   la
configurabilita' delle accennate evenienze. Destinatari della tutela,
in ogni caso, non sono i parlamentari uti singuli,  ma  le  Assemblee
nel loro complesso. Di esse si intende preservare  la  funzionalita',
l'integrita' di composizione (nel caso delle misure de  libertate)  e
la piena autonomia decisionale, rispetto ad  indebite  invadenze  del
potere giudiziario  (si  veda,  al  riguardo,  con  riferimento  alla
perquisizione domiciliare, la sentenza n. 58 del 2004): il che spiega
l'irrinunciabilita' della garanzia (sentenza n. 9 del 1970). In  tale
prospettiva, l'autorizzazione preventiva -  contemplata  dalla  norma
costituzionale - postula un controllo sulla legittimita' dell'atto da
autorizzare, a prescindere dalla considerazione dei pregiudizi che la
sua esecuzione puo'  comportare  al  singolo  parlamentare.  Il  bene
protetto si identifica, infatti,  con  l'esigenza  di  assicurare  il
corretto esercizio  del  potere  giurisdizionale  nei  confronti  dei
membri del Parlamento, e non con gli interessi sostanziali di  questi
ultimi  (riservatezza,  onore,  liberta'   personale),   in   ipotesi
pregiudicati  dal  compimento  dell'atto;  tali   interessi   trovano
salvaguardia nei presidi,  anche  costituzionali,  stabiliti  per  la
generalita' dei consociati. Questo rilievo  vale  anche  in  rapporto
alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. 
    Richiedendo il preventivo assenso della Camera di appartenenza ai
fini dell'esecuzione di tale mezzo investigativo,  l'art.  68,  terzo
comma,  Cost.  non  mira  a  salvaguardare  la   riservatezza   delle
comunicazioni del parlamentare in quanto tale.  Quest'ultimo  diritto
trova riconoscimento e tutela, a livello costituzionale,  nell'  art.
15 Cost., secondo il quale la limitazione della liberta' e segretezza
delle  comunicazioni   puo'   avvenire   solo   per   atto   motivato
dell'autorita' giudiziaria, con le garanzie  stabilite  dalla  legge.
L'ulteriore garanzia accordata dall'art. 68, terzo comma,  Cost.,  e'
strumentale, per contro, anche  in  questo  caso,  alla  salvaguardia
delle funzioni parlamentari:  volendosi  impedire  che  l'ascolto  di
colloqui riservati da parte dell'autorita' giudiziario  possa  essere
indebitamente finalizzato ad incidere sullo svolgimento  del  mandato
elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera
esplicazione dell'attivita'. E cio' analogamente a quanto avviene per
l'autorizzazione preventiva alle perquisizioni  ed  ai  sequestri  di
corrispondenza, il cui oggetto ben puo' consistere anche in documenti
a carattere comunicativo. 
        5.3. - Nel caso  delle  intercettazioni  fortuite,  peraltro,
l'eventualita' che  l'esecuzione  dell'atto  sia  espressione  di  un
atteggiamento persecutorio - o, comunque,  di  un  uso  distorto  del
potere giurisdizionale nei confronti del membro del Parlamento, volto
ad interferire indebitamente sul libero esercizio delle sue  funzioni
-  resta   esclusa,   di   regola,   proprio   dalla   accidentalita'
dell'ingresso del parlamentare nell'area di ascolto». 
    E' del tutto chiaro il solco tracciato dal Giudice delle leggi in
tema di «immunita» parlamentari, che  non  potra'  che  ricondursi  e
parametrarsi alla fondamentale norma dell'art. 68, Cost. ed alla  sua
ratio. 
    Non v'e' chi non colga, infatti, come sia la stessa Corte cost. -
laddove evidenzia la discrasia esistente tra il  controllo  «postumo»
sulle intercettazioni occasionali, disciplinate dall'art. 6, comma 2,
legge n. 140/2003, e quello  (solo)  preventivo  cui  fa  riferimento
l'art. 68, Cost., nonche' laddove rimarca la differente  ratio  della
norma costituzionale in parola (posta a tutela del  parlamentare  non
uti singuli ma in quanto componente l'Assemblea)  rispetto  a  quella
sottesa all'art. 6, legge n. 140/2003 ( posta a tutela  di  interessi
sostanziali del parlamentare che trovano, e devono, trovare  la  loro
salvaguardia nei presidi stabiliti per la generalita' dei  cittadini)
- a fornire spunti valutativi idonei  a  ritenere  ingiustificato  (e
costituzionalmente incongruo) il trattamento differenziato  riservato
dalla norma in parola al Parlamentare ed a segnarne il destino. 
    Appare,  dunque,  evidente,  anche  alla  luce  delle   riportate
argomentazioni,  che  possa   ritenersi   incerta   la   legittimita'
costituzionale della norma che dovrebbe applicarsi  nel  procedimento
in esame e, conseguentemente, la «non manifesta  infondatezza»  della
relativa questione. 
                 Determinazione del thema decidendum 
     Ai fini del primo rilievo di incostituzionalita' da  illustrare,
si rileva che la disciplina dell'art. 6,  legge  n.  140/2003  esonda
dall'alveo costituzionale ed, in  particolare,  esorbita  dai  limiti
della garanzia prevista dall'art. 68, terzo comma Cost. non  potendo,
peraltro, come gia' rilevato dal Giudice delle leggi «le disposizioni
che sanciscono immunita' e prerogative della  funzione  parlamentare,
in deroga al principio di trattamento davanti  alla  giurisdizione..»
essere interpretate in modo estensivo. 
    Sul punto la Consulta, nella sentenza piu' volte  citata,  si  e'
pronunciata rimarcando, tra l'altro, il differente «codice  genetico»
dell'art. 6 rispetto all'art. 68,  terzo  comma Cost.  e  -  partendo
dalla  premessa  (  sopra  riportata)  della  in  suscettibilita'  di
interpretazione estensiva delle norme che disciplinano «le  immunita'
e prerogative della funzione parlamentare, in deroga al principio  di
parita' di trattamento davanti giurisdizione» - ha indicato, a chiare
lettere, che la disciplina delle intercettazioni indirette, non  puo'
ricondursi alla previsione  dell'art.  68,  terzo  comma  Cost.,  ivi
mancando qualsivoglia riferimento al controllo  politico  «  postumo»
sulle intercettazioni casuali (legittimamente  espletate)  e  diverso
essendo il bene giuridico protetto dalle due norme: l'art.  6,  legge
n. 104/2003  tutela  la  riservatezza  e  l'immagine  pubblica  della
persona che rivesta la qualifica di  parlamentare,  e  non,  come  la
norma costituzionale, il fisiologico  funzionamento  delle  assemblee
legislative. 
    Delineati, in tal modo i confini della «ratio» dell'art. 6, legge
n. 140/2003; precisato, alla  stregua  di  quanto  evidenziato  dalla
Corte, che con siffatta disposizione non si e' inteso predisporre uno
strumento di  controllo  parlamentare  sulle  violazioni  surrettizie
della norma costituzionale - poiche' anche le c.d. intercettazioni  «
...delle conversazioni del membro del Parlamento  effettuate  ponendo
sotto controllo le utenze dei suoi  interlocutori  abituali...»  gia'
rientrano nell'alveo di tutela predisposto dall'art. 68, terzo comma,
Cost. e dalla relativa disposizione attuativa dell'art. 4,  legge  n.
140/2003 -, e' ragionevole ritenere che  lo  strumento  di  controllo
previsto dall'art. 6, comma 2, legge n. 104/2003, concretizzandosi in
un sindacato  parlamentare  sull'utilizzabilita'  di  intercettazioni
legittimamente eseguite», si colloca  al  di  fuori  della  copertura
costituzionale fornita dall'art. 68, terzo comma, Cost.  introducendo
una «forma speciale di tutela della riservatezza  parlamentare»,  che
rimette alla Camera di appartenenza del Parlamentare  la  valutazione
sulla utilizzazione nei suoi  confronti  delle  intercettazioni  c.d.
«accidentali», ritenute «necessarie» dall'autorita' giurisdizionale. 
    Come, sostanzialmente, puntualizzato dalla Consulta nella  citata
pronuncia, il caso eccezionale disciplinato dalla norma in questione,
e' estraneo non solo al  contenuto  precettivo  dell'art.  68,  terzo
comma - non risultando espressamente  previsto  dall'art.  68,  terzo
comma, Cost.  (che  si  riferisce  esclusivamente  all'autorizzazione
«preventiva»,  a  monte,  delle  intercettazioni  c.d.  «dirette»   e
«indirette») - ma anche alla  sua  ratio  (da  ravvisarsi  nel  fumus
persecutionis, a fronte della tutela della «riservatezza»  apprestata
dall'art.   6,   legge   n.   140/2003)   mirando   la   disposizione
costituzionale ad «... impedire che l'ascolto di  colloqui  riservati
da  parte  dell'autorita'  giudiziaria  possa  essere   indebitamente
finalizzato ad  incidere  sullo  svolgimento  del  mandato  elettivo,
divenendo  fonte  di  condizionamenti  e   pressioni   sulla   libera
esplicazione dell'attivita» e non potendo in  alcun  modo  asserirsi,
ne' argomentarsi, che, attraverso le intercettazioni fortuite oggetto
della disciplina di cui all'art 6, legge  n.  140/2003,  possa  darsi
accesso a condotte persecutorie e/o ad un  uso  distorto  del  potere
giurisdizionale sul libero esercizio della  funzione  rappresentativa
che e' esclusa, a priori, proprio «dall'accidentalita'  dell'ingresso
del parlamentare nell'area di ascolto». 
    Evidente,  pertanto,  che  le  medesime  argomentazioni  poste  a
fondamento della pronuncia di parziale illegittimita' costituzionale,
impone  la  declaratoria  di  illegittimita'  dell'intera  disciplina
dell'art. 6, legge n. 140/2003 in palese  contrasto  con  l'art.  68,
terzo comma Cost. 
    Si aggiunga che essendo l'art. 68, Cost.  norma  eccezionale  che
deroga al principio di uguaglianza, da  quanto  sin  qui  evidenziato
discende,  l'ulteriore  profilo  di  doglianza,  rappresentato  dalla
violazione del «principio  di  eguaglianza»  (art.  3,  primo  comma,
Cost.), intesa in termini di «parita'  di  trattamento  davanti  alla
Giurisdizione»: il sistema delle immunita' e  delle  prerogative  dei
membri del Parlamento  deve  e  puo'  venire  in  rilievo  solo  come
«eccezione»  e  valere  unicamente   per   i   casi   «espressamente»
considerati   o,   comunque,   almeno    forniti    di    «copertura»
costituzionale,  in  quanto  ritenuti  dal  costituente   idonei   ad
interferire sulla libera esplicazione della funzione parlamentare. 
    Ne  consegue,  che  una  disciplina  differenziata  rispetto   al
«principio della parita' di trattamento dinanzi alla  giurisdizione»,
- principio, immanente al nostro ordinamento che si pone alle origini
dello Stato di  diritto  -,  ovvero  una  deroga  a  tale  principio,
dovrebbe provenire solo da una fonte di rango  costituzionale  e  non
gia' da una legge ordinaria  o,  quantomeno,  dovrebbe  trattarsi  di
legge ordinaria, dotata di «copertura»  costituzionale  vale  a  dire
sussumibile nella ratio della norma costituzionale. 
    Cio' non appare in contrasto con quanto  sovente  si  rimarca  in
dottrina e, piu' volte, e' stato ribadito dalla Corte costituzionale,
allorche' si e' precisato che non qualsivoglia  regime  differenziato
in ordine all'esercizio  della  giurisdizione  implica  un  contrasto
della  norma  con  l'art.  3  Cost.  atteso  che  «Il  principio   di
eguaglianza comporta infatti che, se situazioni eguali esigono eguale
situazioni diverse possono implicare differenti normative.  (Cons  in
dir. della sent. della Corte cost. n. 24 del 2004). 
    Cionondimeno tanto puo'  accadere  -  senza  confliggere  con  il
principio costituzionale in esame - sempre che (e solo se)  i  valori
sottesi alla disciplina differenziata, siano di valenza  superiore  o
pari a quelli che attraverso l'art. 3, primo comma, Cost. si  intende
tutelare,  vale  a  dire  se  puo'  fondatamente  ritenersi  che   il
legislatore ordinario abbia operato un  ragionevole  (ed,  in  quanto
tale «consentito»)  bilanciamento  tra  i  valori  costituzionali  in
gioco. 
    La qual cosa non appare seriamente sostenibile nel caso  de  quo,
ove la norma della  cui  conformita'  alla  costituzione  si  dubita,
tutela il diritto alla riservatezza del  parlamentare  che  non  solo
trova presidi a tutela  nell'ambito  dell'ordinamento,  ma  non  puo'
giustificare trattamenti differenziati  e  veti  all'esercizio  delle
prerogative giurisdizionali, non  essendo  riconducibile  alla  ratio
della garanzia predisposta dall'art 68, terzo comma, Cost. 
    Sotto il primo profilo vale la pena unicamente ribadire  che,  al
cospetto di comunicazioni casualmente captate che vedono protagonista
il membro del  parlamento,  se  il  contenuto  di  esse  e'  ritenuto
«irrilevante»,  l'ordinamento  prevede  l'attivazione  del   generale
rimedio di cui agli artt. 268, comma 6 e 269, commi 2 e  3  c.p.p.  (
non a caso  richiamato  dallo  stesso  art.  6,  comma  1,  legge  n.
140/2003); se e'  invece  ritenuto  «necessario»,  allora  la  tutela
operativa per il Parlamentare dovrebbe  essere  quella  di  cui  agli
artt. 114 c.p.p. - 326 c.p., alla pari di qualsiasi altra persona. 
     La previsione di un trattamento differenziato per i  membri  del
Parlamento  -  non  supportato  dalla  esigenza   di   tutela   delle
prerogative di esercizio delle funzioni parlamentari - non  puo'  che
risolversi che  in  un  ingiustificato,  irragionevole  e  ridondante
«privilegio», sproporzionato anche rispetto alla esigenza ( parimenti
dignitosa) di efficacia delle indagini  ed  ai  limiti  indotti  alla
attivita' di valutazione del giudice. 
    L'estensione delle garanzie parlamentari al  di  la'  dell'ambito
stabilito  dall'art.  68,  terzo   comma   Cost.,   determinando   un
trattamento  differenziato  che  non  trova  giustificazioni  in  una
diversita' di posizioni costituzionalmente apprezzabili e  rilevanti,
legittima il dubbio sul carattere sovraordinato (o pari-ordinato) del
bene della «riservatezza» del Parlamentare, rispetto a  quello  della
«parita'   di   trattamento   davanti   alla    Giurisdizione»,    e,
conseguentemente, sulla possibilita'  che,  per  tutelare  il  primo,
possano  introdursi  deroghe  a  quest'ultimo  come  quella  prevista
dall'art. 6 della legge n. 140/2003. 
    In ultima analisi puo' dirsi  che  il  legislatore  del  2003  e'
caduto in  un  vizio  di  eccesso  di  potere  per  irragionevolezza,
categoria quest'ultima elaborata dalla  stessa  giurisprudenza  della
Corte   costituzionale   come   manifestazione   del   principio   di
eguaglianza, inteso nella sua natura  di  principio  di  chiusura  al
quale deve attenersi ogni manifestazione della funzione legislativa. 
    E nel caso in esame, per i motivi esposti, proprio tale categoria
risulta  violata,  non  essendovi  corrispondenza  tra  la  legge  n.
140/2003 e le prescrizioni costituzionali di riferimento, ed  avendo,
inoltre, il legislatore deviato dallo scopo costituzionale  delineato
nell'art. 68, terzo comma, attraverso  la  predisposizione  di  mezzi
procedimentali non pertinenti ed incongrui rispetto a tali fini. 
    Tali  i  motivi  per  cui  questo  Giudice  rimette  la  presente
questione  di  legittimita'   costituzionale   dinanzi   alla   Corte
costituzionale ritenendo l'art. 6 della legge n. 140/2003, per quanto
esposto, in contrasto con l'art. 68, terzo comma Cost. e con l'art. 3
Cost.,   laddove   prevede   un    trattamento    ingiustificatamente
differenziato per il Parlamentare  coinvolto,  le  cui  comunicazioni
intercettate      sarebbero       utilizzabili       subordinatamente
all'autorizzazione della  Camera  di  appartenenza,  senza  che  tale
trattamento differenziato rinvenga giustificazione in una  diversita'
di  posizioni  costituzionalmente  apprezzabili   e   meritevoli   di
rilevanza. 
    Alcuni   passaggi   salienti   della   sentenza    della    Corte
costituzionale n. 390 del 2007 suscitano, altresi', il dubbio che  la
norma in questione,  attribuendo  al  Parlamento  l'esercizio  di  un
potere  tipicamente   giurisdizionale,   al   di   fuori   dei   casi
espressamente previsti dalla norma di bilanciamento costituzionale di
cui all'art. 68 Cost., si ponga in contrasto  con  il  «principio  di
separazione dei poteri» immanente al nostro assetto costituzionale ed
in particolare con gli artt. 102 e 104, primo  comma,  Cost.  il  cui
combinato disposto attribuisce ai Giudici l'esercizio delle  funzioni
giurisdizionali, tra  le  quali  sicuramente  rientra  il  «sindacato
sull'utilizzabilita' di prove gia' legittimamente formatesi» che, per
contro, la norma della cui conformita' alla Costituzione si dubita  -
pur ponendosi al di fuori della lettera e della  ratio  della  norma,
eccezionale, di «bilanciamento dei poteri» di cui all'art. 68,  commi
secondo e terzo, Cost. - inopinatamente trasferisce al Parlamento. 
    Che quelli attribuiti al Parlamento da tale  norma  siano  poteri
(il cui  esercizio  e'  riservato  dall'art.  102  Cost.  a  soggetti
diversi) di natura giurisdizionale, e' la stessa Corte costituzionale
a precisarlo, laddove, nel precedente intervento piu'  volte  citato,
ha evidenziato che il sindacato riservato dall'art.  6,  terzo  comma
legge  n.  140/2003  al  Parlamento,  e'  di  carattere   prettamente
giurisdizionale,  a  tutela  della  «riservatezza»  del  Parlamentare
«occasionalmente» intercettato e  non,  certo  delle  prerogative  di
esercizio del mandato parlamentare, come sarebbe previsto  e  imposto
dall'art. 68 Cost.: il Parlamento, in caso di intercettazioni casuali
- anche ove la ratio della norma fosse ravvisata nella necessita'  di
tutela  del  parlamentare  da  indebite   intrusioni   dell'autorita'
giudiziaria nella sfera delle comunicazioni riservate  dell'esponente
politico - non e' chiamato a vagliare  i  presupposti  di  esecuzione
delle intercettazioni ma, piuttosto a verificare la correttezza della
valutazione giudiziale sulla rilevanza processuale dei  risultati  di
tale  mezzo  di  prova   (legittimamente   eseguito   e   liberamente
utilizzabile contra-alios) ( cfr. Cons. in dir. 5.4 della sent. Corte
cost. n. 390/2007). 
    Anche sotto tale profilo, tenuto conto della rafia  dell'art.  68
Cost., che - funzionale a «... a porre al riparo il  parlamentare  da
illegittime interferenze giudiziarie sull'esercizio del  suo  mandato
rappresentativo; a proteggerlo,  cioe',  dal  rischio  che  strumenti
investigativi di particolare invasivita' o atti coercitivi delle  sue
liberta' fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori,
di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della
giurisdizione» - prevede e disciplino un'eccezionale e ben delimitata
ipotesi  di  intromissione   del   potere   legislativo   in   quello
giurisdizionale, appaiono  chiari  i  motivi  per  cui  nella  tutela
costituzionale apprestata dall'art. 68 Cost. non sia stata inclusa la
autorizzazione «postuma» introdotta dalla legge  ordinaria  del  2003
per le intercettazioni «accidentali» rispetto alle quali il periculum
persecutionis non puo' ontologicamente sussistere, stante  la  natura
meramente  «episodica»  ed  «occasionale»  della   captazione   delle
comunicazioni del rappresentante del Parlamento. 
    Ne consegue che l'estensione  dell'ingerenza  del  Parlamento  su
prerogative proprie della Giurisdizione in funzione di  tutela  della
«riservatezza» del Parlamentare, operata dal comma 2 dell'art.  6  in
questione, ben al di la' dei confini delimitati dall'art.  68  Cost.,
non solo non trova,  alcuna  copertura  costituzionale,  ma  si  pone
addirittura in netto contrasto con gli artt. 102 e 104,  primo  comma
Cost., determinando un'incrinatura dei fondamentali principi posti  a
presidio della «separazione dei poteri», consentendo ad un  ramo  del
Parlamento un ingiustificato ed inedito  potere  di  sindacato  -  in
funzione di  tutela  di  un  bene  diverso  da  quello  salvaguardato
dall'art. 68 Cost. - sull'utilizzabilita' di  prove  gia'  acquisite,
che ha la  sua  sede  naturale  ed  invulnerabile  all'interno  delle
dinamiche proprie del procedimento penale. 
    Pertanto, in considerazione dei motivi esposti, si  richiede  che
la Corte costituzionale voglia risolvere  la  questione  sottopostale
pronunciando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 2, 3,
4, 5, 6 della legge 140 del 2003, per  contrasto  con  gli  artt.  3,
primo  comma,  68,  terzo  comma,  102  e  104  primo  comma,   della
Costituzione. 
                              P. Q. M. 
    Letti gli artt. 23 e ss. legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante, e non manifestamente infondata, nei sensi  di
cui in motivazione, la questione di  costituzionalita'  dell'art.  6,
commi 2, 3, 4, 5 e 6 della legge n. 140/2003; 
    Sospende ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953,  n.  87,  il
procedimento, - previa  separazione,  con  diversa  ordinanza,  della
relativa posizione processuale, - nei confronti degli on.li  Bocchino
Italo e Lusetti Renzo, sopra generalizzati e, per l'effetto, ai sensi
dell'art. 159, c.p., dichiara sospeso il corso della prescrizione dei
reati nei loro confronti; 
    Ordina  la  immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    Dispone che la presente ordinanza sia  notificata  alla  pubblica
accusa (Ufficio del p.m. D.D.A. sede -  dott.  D'Onofrio,  Falcone  e
Filippelli), alla privata difesa (avv.ti Ettore  Stravino  e  Massimo
Krogh del foro di  Napoli,  Leone  Zeppieri  del  Foro  di  Latina  e
Alessandra Cocchiarelli del foro di Roma) ed agli onorevoli  Bocchino
Italo e Lusetti Renzo - generalizzati come in epigrafe; 
    Dispone che la cancelleria provveda alla notifica della  presente
ordinanza  in  forma  integrale  al  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri; 
      
    Dispone altresi' che la cancelleria provveda  alla  comunicazione
della presente ordinanza, in forma integrale: 
        1) al Presidente del Senato della Repubblica; 
        2) al Presidente della Camera dei deputati; 
        3) al  Presidente  del  Tribunale  di  Napoli,  a  mezzo  del
Presidente della sezione g.i.p. - sede, al fine di informare - in via
gerarchica - il Ministro della giustizia; 
    Dispone che la cancelleria -  successivamente  alla  prova  delle
avvenute notificazioni e comunicazioni  sopra  disposte  -  trasmetta
alla Corte costituzionale, ai  sensi  dell'art.  23,  comma  quattro,
della legge 11 marzo 1953, n. 87, gli atti relativi  al  procedimento
di cui alla presente ordinanza; 
    Manda alla cancelleria per tutti gli adempimenti di competenza. 
        Napoli, addi' 26 gennaio 2009 
            Il giudice delle indagini preliminari: Russo