N. 239 SENTENZA 16 - 24 luglio 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Edilizia e urbanistica - Reati  edilizi  -  Lottizzazione  abusiva  -
  Obbligo  per  il  giudice  penale,   in   presenza   di   accertata
  lottizzazione abusiva, di disporre la confisca dei terreni e  delle
  opere abusivamente costruite anche a prescindere  dal  giudizio  di
  responsabilita' e nei confronti di  persone  estranee  ai  fatti  -
  Eccezione   di   inammissibilita'   della   questione   per   avere
  pretermesso, tra i parametri del giudizio di costituzionalita',  il
  riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. - Reiezione. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, art.
  44, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3, 25, secondo comma e 27. 
Edilizia e urbanistica - Reati  edilizi  -  Lottizzazione  abusiva  -
  Obbligo  per  il  giudice  penale,   in   presenza   di   accertata
  lottizzazione abusiva, di disporre la confisca dei terreni e  delle
  opere abusivamente costruite anche a prescindere  dal  giudizio  di
  responsabilita' e nei confronti di  persone  estranee  ai  fatti  -
  Dedotta violazione dei principi di uguaglianza,  della  riserva  di
  legge e della personalita' della responsabilita' penale,  anche  in
  relazione alla  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
  dell'uomo - Carente descrizione della fattispecie, con  conseguente
  impossibilita' di verifica in ordine alla rilevanza della questione
  -  Mancata  sperimentazione  di  un'interpretazione  conforme  alla
  disposizione internazionale, quale interpretata dalla Corte europea
  dei diritti dell'uomo - Inammissibilita'. 
- D.P.R. 6 guigno 2001, n. 380, art. 44, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3, 25, secondo comma e 27, primo comma. 
(GU n.30 del 29-7-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente: 
                              Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo  44,  comma
2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.  380
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia edilizia), promosso dalla  Corte  di  appello  di  Bari,  nel
procedimento penale a carico di Maria Rosaria  Volpe  ed  altri,  con
ordinanza del 9 aprile 2008 iscritta al n. 272 del registro ordinanze
2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, 1a
serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visti gli atti di costituzione di Vito  Chiarappa  ed  altri,  di
Nunzio Rocco Parente ed altri, di Antonio  Caputo  ed  altri  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  23  giugno  2009  il  Giudice
relatore Ugo De Siervo; 
    Uditi gli avvocati Massimo Luciani,  Pasquale  Medina  e  Aurelio
Gironda per Nunzio Rocco Parente ed altri,  Franco  Coppi  e  Aurelio
Gironda per Vito  Chiarappa  ed  altri,  Pasquale  Medina  e  Aurelio
Gironda per Antonio Caputo ed altri e l'avvocato dello Stato Giuseppe
Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con ordinanza del 9 aprile 2008, pervenuta a questa Corte il
21 luglio 2008, la Corte di appello di Bari, prima sezione penale, ha
sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  44,
comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6  giugno  2001,
n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia), in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma,  e
27, primo comma, della Costituzione, «nella parte in  cui  impone  al
giudice penale, in presenza di accertata  lottizzazione  abusiva,  di
disporre la confisca dei terreni e delle opere abusivamente costruite
anche a prescindere dal giudizio di responsabilita' e  nei  confronti
di persone estranee ai fatti». 
    La  disposizione  censurata  stabilisce  che  venga  disposta  la
confisca  dei  terreni  abusivamente   realizzati   e   delle   opere
abusivamente costruite, con la sentenza definitiva del giudice penale
che accerta esservi stata lottizzazione abusiva.  Il  giudice  a  quo
premette  che  la  confisca,  in  forza  della   oramai   consolidata
giurisprudenza di legittimita', deve  venire  ordinata,  ove  si  sia
accertata  la   lottizzazione   abusiva,   «anche   in   ipotesi   di
proscioglimento degli imputati con formula diversa da quella per  cui
il fatto  non  sussiste  persino  per  beni  appartenenti  a  persone
estranee all'accertamento penale». 
    Nel giudizio a quo si procede, tra l'altro, in relazione al reato
di lottizzazione abusiva: in punto di rilevanza della  questione,  il
rimettente afferma che  «l'epoca  di  consumazione  dei  reati  e  la
circostanza  che  la  quasi  totalita'  degli  imputati   non   abbia
rinunciato alla prescrizione, rende  altamente  probabile,  all'esito
del  giudizio  -  senza  che  cio'  valga  come  anticipazione  della
soluzione di merito, in questo momento doverosamente non spendibile -
la  pronuncia  di  improcedibilita'   dell'azione   per   intervenuta
estinzione del reato». 
    Ad  essa  dovrebbe  seguire,  sulla  base  della   regola   sopra
ricordata, l'applicazione della confisca. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, la  Corte  rimettente  si
interroga, in primo luogo, sulla natura della confisca, che  la  piu'
recente giurisprudenza di legittimita' avrebbe qualificato in termini
di sanzione amministrativa, anziche' di  «sanzione  penale/misura  di
sicurezza». Tale qualificazione pare erronea al giudice a quo,  sulla
base di alcuni indici sintomatici. 
    Anzitutto, il giudice penale  si  troverebbe  ad  esercitare  una
«funzione suppletiva»  rispetto  alla  pubblica  amministrazione,  in
assenza di una «espressa  e  dettagliata  previsione  di  legge»  che
gliela attribuisca; per di piu', tale funzione coprirebbe,  a  parere
della Corte rimettente, un'area piu' vasta  rispetto  all'ipotesi  di
acquisizione di diritto al patrimonio comunale delle aree lottizzate,
prevista dall'art. 30, commi 7 ed 8, del decreto del Presidente della
Repubblica n. 380 del 2001, cio' che non parrebbe compatibile con  la
natura meramente amministrativa della  sanzione.  In  secondo  luogo,
alla Corte  rimettente  pare  significativo  che  la  confisca  trovi
disciplina nell'art. 44 del decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 380 del 2001, intitolato "sanzioni penali": se ne dovrebbe dedurre
che il legislatore delegato, senza con  cio'  oltrepassare  i  limiti
della delega, avrebbe attribuito "natura penale" alla confisca. 
    A riprova di tale  conclusione,  infine,  il  giudice  a  quo  si
richiama alla decisione di  ricevibilita'  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo nel caso Sud Fondi s.r.l. e  altri  contro  Italia,
ricorso n. 75909/01, ove si e'  ritenuto  che  la  confisca  prevista
dalla disposizione impugnata costituisca una pena ai sensi  dell'art.
7 della Convenzione. Sulla base di tali elementi, il  giudice  a  quo
ritiene che la confisca  in  questione  sia  una  "sanzione  penale",
conclusione che, egli aggiunge, si  impone  all'interprete  in  forza
della predetta pronuncia della Corte di Strasburgo. 
    Pertanto, una volta affermata la natura  penale  della  confisca,
appare alla Corte rimettente di  dubbia  legittimita'  costituzionale
che essa  possa  venire  disposta  «a  prescindere  dal  giudizio  di
responsabilita' e nei confronti  di  terzi  estranei  al  reato»,  in
contrasto con i principi di «uguaglianza,  della  riserva  penale  di
legge e di  personalita'  della  responsabilita'  penale»,  enunciati
dagli  artt.  3,  25,  secondo  comma,  e  27,  primo  comma,   della
Costituzione. 
    2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. 
    L'Avvocatura, dopo essersi soffermata sulle  origini  storiche  e
sulla natura del reato di lottizzazione abusiva, sottolinea  che  sia
la  lettera  dell'art.  44  impugnato,  sia  la   giurisprudenza   di
legittimita' formatasi su  di  essa  depongono  univocamente  per  la
natura amministrativa della sanzione della confisca:  essa,  infatti,
non avrebbe carattere repressivo, ma sarebbe finalizzata  «a  rendere
il territorio conforme al programmato assetto urbanistico,  impedendo
che i terreni  abusivamente  lottizzati  possano  essere  oggetto  di
ulteriore   sfruttamento».   Tale   finalita'   obiettiva   e   reale
giustificherebbe l'applicazione della sanzione  anche  in  danno  dei
terzi di buona fede acquirenti delle opere  lottizzate,  che  avranno
azione di risarcimento  dei  danni  in  sede  civile:  oggetto  della
confisca sarebbero, infatti, beni pericolosi, in quanto  suscettibili
di  generare  sfruttamento  conseguente  all'illecito.   Inconferente
sarebbe,  viceversa,  il  richiamo  alla  decisione  della  Corte  di
Strasburgo, poiche' essa costituirebbe non gia'  una  "sentenza"  cui
l'Italia debba conformarsi, ma una mera  decisione  di  ricevibilita'
ancora «soggetta a variazione». 
    3. - Con tre separati, ma analoghi atti, si  sono  costituiti  in
giudizio  taluni  degli  imputati  del  processo  a  quo,   chiedendo
l'accoglimento della questione. 
    Le parti premettono di essere state condannate in primo  grado  e
di avere proposto appello, ai fini dell'assoluzione perche' il  fatto
non sussiste; in subordine, esse hanno chiesto l'assoluzione  perche'
il fatto non costituisce reato. 
    In quest'ultima ipotesi, ovvero nell'ipotesi  di  estinzione  del
reato per intervenuta prescrizione, la  conseguente  confisca  appare
alle parti contraria alla giurisprudenza della  Corte  di  Strasburgo
gia' richiamata dalla Corte rimettente: ne deriverebbe  un  contrasto
non solo con gli artt. 3, 25 e 27 Cost., ma  anche  con  l'art.  117,
primo comma, Cost., in relazione all'art. 7 della CEDU e  all'art.  1
del relativo Protocollo addizionale n. 1. 
    4. -  Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica  il  Presidente  del
Consiglio   dei   ministri   ha   depositato    memoria,    eccependo
l'inammissibilita' della questione, e ribadendone l'infondatezza  nel
merito. 
    In primo luogo, la questione sarebbe  inammissibile,  poiche'  il
rimettente non ha indicato quale parametro costituzionale l'art. 117,
primo comma, Cost., che invece, sulla base  della  giurisprudenza  di
questa Corte, sarebbe il solo idoneo a «creare un ponte [..]  tra  la
normativa nazionale e quella delle convenzioni internazionali». 
    Ulteriore ragione di inammissibilita' sarebbe da ravvisarsi nella
circostanza per cui il giudice a quo avrebbe sottoposto alla Corte un
«mero problema interpretativo». 
    Nel merito, l'Avvocatura dello  Stato  ricostruisce  l'evoluzione
dell'istituto della confisca  conseguente  a  lottizzazione  abusiva,
originariamente prevista dall'art. 19 della legge 28  febbraio  1985,
n.   47   (Norme   in    materia    di    controllo    dell'attivita'
urbanistico-edilizia, sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle  opere
edilizie),  osservando  che  essa  avrebbe  trovato  applicazione   a
prescindere dall'accertamento della penale responsabilita'  del  reo,
gia' quando la giurisprudenza era orientata a  ritenerla  «misura  di
carattere penale». In seguito, si sarebbe  definitivamente  affermata
la   qualificazione   giuridica   della   confisca    quale    misura
amministrativa, applicabile anche in danno dei terzi di  buona  fede:
tale interpretazione sarebbe  conforme  all'art.  7  della  CEDU,  in
quanto «coerente con la sostanza della violazione  e  ragionevolmente
prevedibile». Da  ultimo,  a  parere  dell'Avvocatura,  la  Corte  di
cassazione, con la sentenza n. 42741 del 2008,  avrebbe  creato  «una
sorta di commistione tra l'orientamento giurisprudenziale nazionale e
quello espresso a Strasburgo»,  ribadendo  la  natura  amministrativa
della confisca, ora disciplinata dalla norma oggetto, ma nel contempo
escludendone l'applicabilita' nei confronti dei terzi di buona fede. 
    Tuttavia,  secondo   l'Avvocatura,   il   persistente   carattere
amministrativo  della  confisca   consentirebbe   di   escludere   la
necessita' che essa possa venire applicata solo in danno di colui  la
cui  responsabilita'  penale   sia   stata   riconosciuta,   giacche'
l'illecito amministrativo, posto a presidio di "interessi  generali",
non soggiacerebbe  ai  principi  costituzionali  relativi  ai  reati.
L'Avvocatura aggiunge che altre pronunce della  Corte  di  cassazione
avrebbero   confermato    il    tradizionale    orientamento    circa
l'applicabilita' della confisca in danno dei terzi di buona fede. 
    Infine, l'Avvocatura riconosce che la Corte europea  dei  diritti
dell'uomo, con la sentenza resa nel caso Sud  Fondi  s.r.l.  e  altri
contro Italia del 20 gennaio  2009,  ha  affermato  che  la  confisca
costituisce  sanzione  penale  ai  sensi  dell'art.  7  della   CEDU,
richiedendo, per essere  applicata,  «un  legame  intellettuale»  tra
lottizzazione e autore di essa, e ha ritenuto violato,  nel  caso  di
specie, anche  l'art.  1  del  Protocollo  n.  1,  poiche',  anziche'
confiscare i terreni, «sarebbe stato sufficiente demolire le opere  e
dichiarare  inefficace  il  progetto  di  lottizzazione»:  a   parere
dell'Avvocatura,   tale   asserzione   sarebbe   contraddittoria    e
dimostrerebbe che  «la  normativa  e  la  giurisprudenza,  a  livello
interno ed a livello europeo, si  muovono  inevitabilmente  su  piani
differenti», con la conseguenza che «la pronuncia della Corte Europea
dei Diritti dell'Uomo non puo' essere assunta  acriticamente  a  base
della decisione di costituzionalita». 
    5. - A propria volta hanno depositato memoria talune delle  parti
private  costituitesi  nel  giudizio  incidentale,   insistendo   per
l'accoglimento della questione. 
    Esse osservano, in primo luogo, che tale questione deve ritenersi
ammissibile, poiche' il rimettente avrebbe descritto adeguatamente la
fattispecie: la circostanza per cui il  giudice  a  quo  ha  ritenuto
«altamente probabile» l'adozione di una pronuncia di  proscioglimento
per intervenuta prescrizione non la  renderebbe  ipotetica,  poiche',
con tale formula,  si  sarebbe  voluta  evitare  l'anticipazione  del
giudizio  definitivo,  pur  individuando  gli  «elementi   obiettivi»
necessari per valutare la rilevanza. 
    Nel merito, le parti osservano che la  confisca  costituisce  una
sanzione penale, come  desumibile  sia  dalla  rubrica  dell'art.  44
impugnato, sia dalla giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti
dell'uomo,  per  la  quale  ad  essa  si  applica  l'art.   7   della
Convenzione; si  dovrebbe  percio'  ritenere  superato  il  contrario
orientamento della Corte di cassazione. 
    A questo punto, proseguono le parti  private,  la  norma  oggetto
definirebbe  «un   caso   tipico   di   sanzione   scollegata   dalla
responsabilita'  accertata  con  una  pronuncia  di   condanna».   Il
principio della personalita' della sanzione penale sancito  dall'art.
27 Cost. osterebbe a tale conseguenza, come sarebbe evidenziato anche
dalla giurisprudenza di questa Corte relativa  ad  altre  ipotesi  di
confisca obbligatoria. 
    Tale   conclusione   sarebbe   rafforzata   alla    luce    della
giurisprudenza  della  Corte  di  Strasburgo,  secondo  la  quale  la
confisca prevista dalla norma impugnata violerebbe sia l'art. 7 della
Convenzione, sia l'art. 1 del relativo Protocollo n. 1. Nonostante la
rimettente non abbia invocato a parametro l'art.  117,  primo  comma,
Cost.,  per  «mero  errore  materiale»,  tale  disposizione  dovrebbe
intendersi ugualmente richiamata. 
    Sarebbe poi violato l'art. 3 Cost., giacche' la norma in oggetto,
divergendo dall'art. 240 cod.  pen.,  costituirebbe  un  «unicum  che
comporta un  trattamento  della  fattispecie  totalmente  diverso  da
quello praticato alla  generalita'  dei  casi  della  vita  che  sono
d'interesse del giudice  penale»:  irragionevole  sarebbe,  altresi',
colpire con la confisca il patrimonio di «terzi estranei  al  reato».
Infine, sarebbe lesa la riserva assoluta di legge in materia  penale,
poiche' la norma non sarebbe ricavabile dal  testo  della  legge,  ma
deriverebbe da un'interpretazione non letterale, estensiva  e  dunque
imprevedibile. 
    Le parti concludono prospettando, in via  subordinata,  l'ipotesi
di  un  rigetto  della   questione   con   una   sentenza   di   tipo
interpretativo. 
                       Considerato in diritto 
    1. - La Corte di  appello  di  Bari,  prima  sezione  penale,  ha
sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  44,
comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6  giugno  2001,
n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia), in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma,  e
27, primo comma, della Costituzione, «nella parte in  cui  impone  al
giudice penale, in presenza di accertata  lottizzazione  abusiva,  di
disporre la confisca dei terreni e delle opere abusivamente costruite
anche a prescindere dal giudizio di responsabilita' e  nei  confronti
di persone estranee ai fatti». 
    La  Corte  rimettente  procede  avverso  numerosi  imputati,  tra
l'altro, di lottizzazione  abusiva  e,  nella  «altamente  probabile»
prospettiva che  si  debba  giungere,  tenuto  conto  dell'«epoca  di
consumazione dei reati», ad una pronuncia di  non  doversi  procedere
per estinzione del reato dovuta a prescrizione a carico di alcuni  di
essi, dubita della  legittimita'  costituzionale  della  disposizione
impugnata,  che  imporrebbe,  per  tale  evenienza,  di  ordinare  la
confisca dei terreni abusivamente lottizzati e  delle  opere  che  vi
siano state abusivamente costruite. 
    Infatti, il  consolidato  orientamento  della  giurisprudenza  di
legittimita', dal quale la rimettente prende le mosse, e'  nel  senso
che tale confisca abbia natura di  sanzione  amministrativa  e  debba
venire applicata  dal  giudice  penale,  salva  la  sola  ipotesi  di
assoluzione perche' il fatto non sussiste,  ogni  qual  volta  questi
abbia accertato la lottizzazione abusiva,  sia  nei  confronti  degli
imputati prosciolti per altra causa, sia nei confronti  di  eventuali
terzi  estranei.   Nel   caso   di   specie,   conseguentemente,   il
proscioglimento   degli   imputati   a   seguito   di    prescrizione
comporterebbe l'applicazione della confisca, in danno sia  di  questi
ultimi, «a prescindere dal  giudizio  di  responsabilita»,  sia  «nei
confronti di persone estranee ai fatti». 
    Il rimettente ritiene che questo effetto  discenda  dalla  natura
amministrativa che si  e'  inteso  attribuire  alla  confisca  e,  al
contempo, che tale presupposto non possa piu'  essere  condiviso.  La
misura di cui si tratta andrebbe invece considerata  quale  «sanzione
penale/misura di sicurezza», alla luce sia della rubrica dell'art. 44
impugnato  ("sanzioni  penali"),  sia   di   ragioni   di   carattere
sistematico, sia, e soprattutto, della sopravvenuta  pronuncia  della
Corte europea dei diritti dell'uomo  sul  ricorso  n.  75909/01,  Sud
Fondi s.r.l. ed altri c. Italia, con quale,  decidendo  in  punto  di
ricevibilita',  si  e'  ritenuto  che  la  confisca   conseguente   a
lottizzazione abusiva sia una "peine" ai sensi dell'art. 7 della CEDU
(successivamente all'ordinanza  di  rimessione,  tale  asserzione  e'
stata definitivamente ribadita con la sentenza, resa  il  20  gennaio
2009, che ha deciso il merito del ricorso  sul  c.d.  caso  di  Punta
Perotti). 
    Una volta affermata la natura penale della confisca, appare  alla
Corte rimettente di dubbia legittimita' costituzionale che essa possa
essere disposta «a prescindere dal giudizio di responsabilita' e  nei
confronti di terzi estranei al reato», giacche'  cio'  contrasterebbe
con i principi di «eguaglianza, della riserva penale di legge e della
personalita' della responsabilita' penale» enunciati dagli  artt.  3,
25, secondo comma, 27, primo comma, della Costituzione. 
    2.  -   In   via   preliminare   va   respinta   l'eccezione   di
inammissibilita' dell'intera questione proposta dall'Avvocatura dello
Stato sulla base  del  rilievo  per  cui  l'ordinanza  di  rimessione
avrebbe   pretermesso,   fra   i   parametri    del    giudizio    di
costituzionalita', il riferimento all'art. 117, primo  comma,  Cost.,
definito come «unica norma  interposta  che  permette  di  creare  un
ponte, tramite il detto rinvio mobile, tra la normativa  nazionale  e
quella delle convenzioni internazionali». 
    Anzitutto, e' evidente che l'eventuale mancata  deduzione  di  un
parametro costituzionale da parte del giudice a quo avrebbe  il  solo
effetto di escludere che il giudizio di questa Corte si  basi  su  di
esso, ma non potrebbe certamente determinare l'inammissibilita' delle
censure che siano state formulate, in forma compiuta, con riguardo ad
altre disposizioni costituzionali. 
    Per l'ammissibilita' della questione e' sufficiente osservare che
sono adeguatamente proposte censure aventi a parametro gli  artt.  3,
25, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione, sulle quali
la Corte e' senz'altro chiamata a decidere. 
    D'altra parte, l'ordinanza fa chiaramente  riferimento,  in  vari
passaggi argomentativi, al contenuto del primo  comma  dell'art.  117
Cost., chiedendo la dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 44, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n.
380 del 2001, perche', riferendosi alla decisione CEDU del 30  agosto
2007 (decisione di ricevibilita' sul ricorso  n.  75909/01),  ritiene
che la confisca  disciplinata  dalla  norma  censurata  abbia  natura
penale e non amministrativa e  che,  quindi,  cio'  contrasti  con  i
citati parametri costituzionali relativi alla responsabilita' penale. 
    3. - Il ricorso e', invece, inammissibile per una  pluralita'  di
altri motivi. 
    In  primo  luogo,  la  rimettente  ha  omesso   una   sufficiente
descrizione della fattispecie soggetta  al  suo  giudizio,  impedendo
cosi' a questa Corte di verificare la rilevanza  della  questione  di
legittimita' costituzionale: la disposizione impugnata, infatti, puo'
trovare applicazione alla condizione  che  sia  stato  accertato,  da
parte del giudice, il fatto materiale  della  lottizzazione  abusiva;
sarebbe  stato  necessario,  percio',  che  la  rimettente,   pur   a
prescindere dall'esito  del  giudizio  sulla  responsabilita'  penale
degli imputati, desse conto di tale elemento fattuale, in assenza del
quale la confisca non potrebbe, in ogni caso, essere disposta. 
    In secondo luogo, la questione di costituzionalita' e'  formulata
esplicitamente, sia nella parte motiva dell'ordinanza  di  rimessione
sia nel dispositivo  di  essa,  con  riguardo  alla  posizione  degli
imputati di cui non sia stata accertata  la  penale  responsabilita',
nel caso di specie per intervenuta  prescrizione,  e  delle  «persone
estranee ai fatti»: soggetti, questi ultimi,  che  la  rimettente  ha
cura di tenere distinti dai primi. 
    Ne'  si  puo'  ritenere  che  tale  distinzione  abbia  carattere
arbitrario, poiche' e' perlomeno dubitabile che, al fine di esprimere
un giudizio di personale responsabilita' atto a giustificare, secondo
il  ragionamento  della  stessa  rimettente,   l'applicazione   della
confisca, si possano equiparare i terzi estranei agli  imputati  che,
per quanto obiettivamente coinvolti  nel  fatto  della  lottizzazione
abusiva,  siano  tuttavia  stati  prosciolti,  non   sussistendo   le
condizioni  per  pronunciare  una  sentenza  di  condanna  nei   loro
confronti.  Infatti,  come  questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo   di
affermare, fra le sentenze di proscioglimento ve ne sono  alcune  che
«pur  non  applicando  una  pena  comportano,  in  diverse  forme   e
gradazioni,  un  sostanziale  riconoscimento  della   responsabilita'
dell'imputato  o  comunque  l'attribuzione  del  fatto   all'imputato
medesimo»  (sentenza  n.  85  del  2008).  In  particolare,   volendo
riferirsi alla fattispecie propria del giudizio a quo,  non  si  puo'
affermare che siffatto «sostanziale riconoscimento», per quanto privo
di effetti sul  piano  della  responsabilita'  penale,  sia  comunque
impedito  da  una  pronuncia  di   proscioglimento,   conseguente   a
prescrizione, ove invece l'ordinamento  imponga  di  apprezzare  tale
profilo per fini diversi dall'accertamento penale del fatto di reato. 
    Tuttavia, la rimettente, pur consapevole della distinzione appena
tracciata, omette  di  precisare  se,  nel  giudizio  principale,  la
confisca andrebbe disposta nei confronti  degli  imputati  prosciolti
ovvero  anche  di  terzi   estranei.   In   tal   modo,   accomunando
indistintamente  due  categorie  di  soggetti   non   necessariamente
omogenee ai fini della risoluzione del dubbio di costituzionalita'  e
mancando di specificare quale di esse sia interessata  alla  confisca
nel caso concreto, il giudice a quo incorre nuovamente nel  vizio  di
carente    descrizione    della     fattispecie,     che     comporta
l'inammissibilita' della questione per difetto di  motivazione  sulla
rilevanza. 
    A tali rilievi, si aggiunga che la Corte rimettente, al  fine  di
considerare quale misura di natura penale la confisca di cui all'art.
44, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n.  380  del
2001, in difformita' dalla dominante giurisprudenza di  legittimita',
ha utilizzato come fondamentale elemento interpretativo il  contenuto
della gia' ricordata decisione del 30 agosto 2007 della Corte europea
dei diritti dell'uomo e, in particolare, la riconduzione ivi  operata
della confisca in parola ad una "pena", ai sensi  dell'art.  7  della
Convenzione. Anche volendosi prescindere dal carattere  autonomo  dei
criteri  di  qualificazione  utilizzati  dalla  Corte  di  Strasburgo
rispetto a quelli degli ordinamenti giuridici nazionali, deve notarsi
che la specifica decisione cui il giudice a quo si riferisce e' stata
adottata con riguardo ad un caso nel quale non solo gli imputati  non
erano stati condannati, ma neppure era stato  possibile  determinarne
in sede giurisdizionale una intenzionalita'  o  colpa;  pertanto,  la
Corte remittente, per  giustificare  l'estrapolazione,  partendo  dal
precedente specifico della Corte di Strasburgo, di  un  principio  di
diritto  che  potesse  costituire  il  fondamento   del   dubbio   di
costituzionalita', avrebbe dovuto argomentare in modo  plausibile  la
analogia fra  quel  caso  specifico  e  quello,  non  necessariamente
identico, su cui era chiamata a giudicare. 
    Infine, va  rimarcato  che  la  rimettente,  pur  postulando  che
l'interpretazione dell'art. 44, comma 2, del decreto  del  Presidente
della Repubblica n.  380  del  2001  debba  mutare  a  seguito  della
sopravvenuta  giurisprudenza  della   Corte   europea   dei   diritti
dell'uomo, non trae da cio'  alcuna  conseguenza  nell'esercizio  dei
propri poteri  interpretativi,  pur  a  fronte  di  una  formulazione
letterale della  disposizione  impugnata  che,  in  se',  non  appare
precludere un siffatto tentativo. 
    Questa Corte ha espressamente affermato che, in  presenza  di  un
apparente contrasto  fra  disposizioni  legislative  interne  ed  una
disposizione della CEDU, anche  quale  interpretata  dalla  Corte  di
Strasburgo, puo' porsi un dubbio di costituzionalita', ai  sensi  del
primo comma dell'art. 117 Cost.,  solo  se  non  si  possa  anzitutto
risolvere il problema in via interpretativa. 
    Infatti «al giudice comune spetta interpretare la  norma  interna
in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei
quali cio' e' permesso dai testi delle norme» e qualora cio' non  sia
possibile, ovvero dubiti della compatibilita' della norma interna con
la  disposizione  convenzionale  "interposta",  egli  deve  investire
questa Corte delle relative questioni di legittimita'  costituzionale
rispetto al parametro dell'art. 117, primo comma» Cost. (sentenza  n.
349 del  2007,  par.  6  del  Considerato  in  diritto;  analogamente
sentenza n. 348 del 2007, par. 5 del Considerato in diritto). 
    Spetta, pertanto, agli organi giurisdizionali comuni  l'eventuale
opera  interpretativa  dell'art.  44,  comma  2,  del   decreto   del
Presidente  della  Repubblica  n.  380  del   2001   che   sia   resa
effettivamente necessaria dalle decisioni  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo;  a  tale  compito,  infatti,  gia'  ha  atteso  la
giurisprudenza di legittimita', con esiti la cui valutazione  non  e'
ora rimessa a questa Corte. Solo  ove  l'adeguamento  interpretativo,
che appaia necessitato, risulti  impossibile  o  l'eventuale  diritto
vivente che si formi  in  materia  faccia  sorgere  dubbi  sulla  sua
legittimita' costituzionale, questa Corte potra' essere  chiamata  ad
affrontare  il  problema  della  asserita  incostituzionalita'  della
disposizione di legge. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 44, comma  2,  del  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  6  giugno  2001,  n.  380   (Testo   unico   delle
disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia   edilizia),
sollevata, in riferimento agli artt. 3,  25,  secondo  comma,  e  27,
primo comma, della Costituzione, dalla Corte di appello di  Bari  con
l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 luglio 2009. 
                       Il Presidente: Amirante 
                       Il redattore: De Siervo 
                       Il cancelliere: Milana 
      Depositata in cancelleria il 24 luglio 2009. 
                       Il cancelliere: Milana