N. 236 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 marzo 2009
Ordinanza del 10 marzo 2009 emessa dal Tribunale di Milano nel procedimento civile promosso da C.C. ed altro contro V.A.. Procreazione medicalmente assistita - Limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni - Divieto di crioconservazione degli embrioni soprannumerari - Denunciata lesione del principio di rispetto della dignita' umana, in considerazione della reiterata sottoposizione della donna a trattamenti altamente invasivi - Irragionevolezza della previsione normativa di un protocollo di procreazione medicalmente assistita generalizzato, immodificabile dal sanitario e non corrispondente alle migliori pratiche mediche - Ritenuta incoerenza con la finalita' esplicitata dal legislatore di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' umana, assicurando i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito - Ingiustificata uniformita' di trattamento riservata a situazioni soggettive normativamente differenziabili in quanto bisognose di un protocollo terapeutico diversificato - Incidenza sul diritto alla salute della donna e della coppia. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 14, comma 1. - Costituzione, artt. 2, 3 e 32, commi primo e secondo. Procreazione medicalmente assistita - Limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni - Previsione della creazione di un numero massimo di tre embrioni ai fini di un unico e contemporaneo impianto - Denunciata lesione del principio di rispetto della dignita' umana, in considerazione della reiterata sottoposizione della donna a trattamenti altamente invasivi - Irragionevolezza della previsione normativa di un protocollo di procreazione medicalmente assistita generalizzato, immodificabile dal sanitario e non corrispondente alle migliori pratiche mediche - Ritenuta incoerenza con la finalita' esplicitata dal legislatore di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' umana, assicurando i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito - Ingiustificata uniformita' di trattamento riservata a situazioni soggettive normativamente differenziabili in quanto bisognose di un protocollo terapeutico diversificato - Incidenza sul diritto alla salute della donna e della coppia. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 14, comma 2. - Costituzione, artt. 2, 3 e 32, commi primo e secondo. Procreazione medicalmente assistita - Limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni - Ammissibilita' della crioconservazione degli embrioni fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile, nel solo caso in cui il loro trasferimento nell'utero non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione - Omessa previsione che l'impianto dell'embrione possa essere differito per cause diverse da quella legislativamente indicata - Illogica limitazione della crioconservazione fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile - Denunciata lesione del principio di rispetto della dignita' umana - Irragionevolezza della previsione normativa di un protocollo di procreazione medicalmente assistita generalizzato, immodificabile dal sanitario e non corrispondente alle migliori pratiche mediche - Ritenuta incoerenza con la finalita' esplicitata dal legislatore di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' umana, assicurando i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito - Ingiustificata uniformita' di trattamento riservata a situazioni soggettive normativamente differenziabili in quanto bisognose di un protocollo terapeutico diversificato - Incidenza sul diritto alla salute della donna e della coppia - Contrasto con il divieto costituzionale di trattamenti sanitari obbligatori se non imposti per legge nel rispetto della dignita' umana e rivolti alla tutela della salute dell'interessato ovvero della salute pubblica. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 14, comma 3. - Costituzione, artt. 2, 3 e 32, commi primo e secondo. Procreazione medicalmente assistita - Consenso informato - Irrevocabilita' del consenso da parte della donna all'impianto in utero degli embrioni creati dal momento della fecondazione dell'ovulo - Lesione del diritto alla procreazione cosciente e responsabile - Contrasto con il divieto costituzionale di trattamenti sanitari obbligatori se non imposti per legge nel rispetto della dignita' umana e rivolti alla tutela della salute dell'interessato ovvero della salute pubblica. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 6, comma 3, ultimo periodo. - Costituzione, art. 32, comma secondo.(GU n.39 del 30-9-2009 )
IL TRIBUNALE Nel procedimento ex art. 700 c.p.c. promosso ante causam da C. C. e M. E. con gli avvocati Maria Paola Costantini, Sebastiano Papandrea, Ileana Alesso e Massima Clara, ricorrente, contro dott. V. A., resistente. Letti gli atti, esaminati i documenti, ha emesso la seguente ordinanza. I signori C. C. e M. E:, coniugi di cui risulta accertata l'infertilita' primaria da oligoastenoteratozoospermia severa e da fattore tubarico, hanno Premesso: di essere portatori, la signora C., di drepanocitosi, il sig. M., di beta-talassemia, patologie da cui deriva il 25% di possibilita' di malattia per la prole; di essersi rivolti alla dott. V., dello S. S., sussistendone tutti i requisiti di legge, per accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, svolgendo i colloqui del caso al fine di individuare le metodiche piu' appropriate alla propria situazione e per aviare le procedure del caso; di aver ottenuto dal medico l'approvazione per l'avviamento di una procedura di fecondazione in vitro per ottenere una gravidanza ed, a seguito dell'emanazione delle Linee Guida di applicazione della legge n. 40/2004, di effettuare la diagnosi pre-impianto relativamente ed esclusivamente in ordine alla patologia di cui sono portatori; di essere stati, pero', informati dalla dott. V. della sussistenza di divieti ed obblighi frapposti dalla legge n. 40/2004 (o, comunque, dalla interpretazione restrittiva della stessa) che impediscono di applicare ad essi ricorrenti le migliori pratiche mediche diffuse ed accettate dalla comunita' scientifica internazionale. In particolare l'applicazione della miglior pratica medica a favore dei coniugi C. - M., individuata perche' l'intervento abbia piu' probabilita' di successo e la salute della sig. C. sia maggiormente tutelata, e' impedita: 1) dal comma 2 dell'art. 14 della legge n. 40/2004 (che vieta di creare un numero di embrioni superiore a tre e comunque in correlazione ad un unico contemporaneo impianto) che, impedendo la produzione di piu' di tre embrioni, risulta inadeguata alla situazione concreta della coppia per la quale, secondo le indicazioni delle societa' scientifiche, e' necessario che siano prodotti piu' di tre embrioni cosi' da poter trasferire gli embrioni idonei alla gravidanza e poter individuare quelli sani in ordine alla specifica patologia, limitando la reiterazione delle procedure di stimolazione ovarica preparatorie alla fecondazione in vitro; la limitazione di cui alla norma citata si risolve, dunque, in una prassi inadeguata e si sostanzia in un comportamento inumano per le conseguenze derivanti sul piano psicologico e fisico per madre e nascituro, amplificate dall'obbligo di trasferire in utero tutti gli embrioni prodotti senza alcuna valutazione medica e relativa all'interita' psico-fisica dei soggetti coinvolti; 2) dall'art. 14, comma 1 (che vieta la crioconservazione e la soppressione degli embrioni, salvo quanto previsto dalla legge n. 194/1978), comma 3 (che consente la crioconservazione temporanea degli embrioni solo nel caso di impossibilita' temporanea dovuta a forza maggiore relativa alla salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione) e comma 4 (che vieta la riduzione embrionaria, salvo i casi previsti dalla legge n. 194/1978) che, prevedendo il divieto di crioconservazione dell'embrione - con deroga esplicita e per un limitato periodo di tempo solo in presenza di un problema di salute della donna di natura non prevedibile al momento della fecondazione e transitorio - impediscono di tenere conto dell'ipotesi ben piu' grave il cui il rischio sia prevedibile e di natura non transitoria e che, nel caso in esame, si sostanzia nel grave rischio per l'integrita' psicofisico per la donna, provata dagli effetti devastanti che la malattia genetica trasmissibile al nascituro ha prodotto su amici e familiari e che le ha provocato un grave stato di depressione, ansia e disagio psichico legato al desiderio di non far soffrire e vedere soffrire il futuro bambino delle stesse sofferenze; 3) dall'art. 6, comma 3 (che impedisce la revoca del consenso informato dopo la fecondazione dell'ovulo) che, comportando che la coppia sia costretta ad accettare di proseguire tutta la procedura dopo la fecondazione dell'ovulo e cio' senza alcun riguardo alle concrete condizioni fisiche od ad altri eventi, impone di proseguire nel trattamento terapeutico e cio' in contrasto con il diritto incondizionato dei cittadini (salvo i casi previsti per i trattamenti sanitari obbligatori) di rifiutare le cure mediche. Ad avviso dei ricorrenti, solo attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata possono essere raggiunti gli obbiettivi perseguiti dalla norma, non incorrendo in contraddizioni, consentendo che la PMA sia eseguita secondo le migliori tecniche mediche, con una maggiore probabilita' di successo e con minori rischi per la donna ed il nascituro. I ricorrenti hanno proposto, ai fini dell'accoglimento del ricorso, le seguenti interpretazioni normative: a) la previsione del comma 2 dell'art. 14 della legge n. 40/2004 puo' essere interpretata valorizzando l'inciso «tenuto conto dell'evoluzione tecnico-scientifica» di cui alla prima parte della norma medesima, cosi' che la lettura corretta della norma sarebbe nel senso che «il medico, secondo le proprie conoscenze mediche, applicando le migliori e piu' appropriate tecniche, dovra' creare il numero di embrioni necessario per le esigenze concrete della paziente, effettuando il trasferimento in utero di un numero di embrioni (comunque) non superiore a tre per unico trasferimento» e cio' anche in considerazione del fatto che la norma parla non di contemporaneo trasferimento in utero ma di «impianto», evento successivo al trasferimento e solo eventuale, di cui il medico puo' prevedere l'incidenza statistica in base alle risultanze scientifiche; b) l'art. 14, commi 1, 3 e 4 puo' interpretarsi tenendo conto del richiamo, quale eccezione, alla legge n. 194/1978 e, quindi, al bilanciamento degli interessi e dei diritti dei soggetti coinvolti previsti in tale legge; bilanciamento piu' volte confermato dalla Corte costituzionale (sent. n. 27/1975 e n. 35/1997) e richiamato anche dall'art. 1 della legge n. 40/2004; detto bilanciamento consentirebbe di tenere conto del grave rischio per l'integrita' psicofisico per la donna (nel caso di specie documentato dalla relazione psicologica in atti, dalla storia clinica della coppia e dai dati medici indicanti il forte grado di trasmissibilita' al nascituro di una malattia maligna e non guaribile), consentendo la crioconservazione, che si configura come condizione temporanea passibile di modifica, sia per eventuali possibili cure future della patologia trasmissibile, sia per ripensamenti da parte dell'interessata; c) l'art. 6, comma 3 puo' leggersi nel senso di consentire al medico, ai sensi dell'art. 6, comma 4, di interrompere la procedura per ragioni inerenti rischi e pericoli per la futura madre, evitando cosi' di imporre un comportamento obbligato alla donna, unico soggetto che subisce conseguenze sulla sua integrita' psicofisica a seguito della PMA. Parte ricorrente ha sottolineato i rilevanti vizi di ragionevolezza, illogicita' e contraddittorieta' insiti nell'interpretazione rigida delle citate norme, considerando che, in tal caso, le stesse devono ritenersi in contrasto con i principi costituzionali, posto che: il divieto di produrre piu' di tre embrioni di cui all'art. 14, comma secondo, contrasta con gli arti. 3 e 32 della Costituzione: in relazione alla tutela della salute della donna che, a causa del limite legislativo, dovrebbe subire ripetuti cicli di stimolazione ovarica (con notevoli rischi alla salute ed, in alcuni casi, possibile aumento del rischio di insorgenza di patologie), poiche' non sempre i tre embrioni eventualmente prodotti hanno le caratteristiche necessarie per attecchire nell'utero e tale probabilita' diminuisce in caso di donna in eta' avanzata; in relazione alla discriminazione indiretta con riferimento agli effetti che la disciplina produce sulla base delle diverse eta' delle donne; il divieto di crioconservazione degli embrioni di cui al primo comma deve ritenersi una conseguenza dell'illegittimita' costituzione del secondo comma della norma citata posto che, una volta venuto meno il limite massimo degli embrioni producibili e l'obbligo di contestuale impianto, deve necessariamente ammettersi la possibilita' di crioconservare gli embrioni non trasferiti e cio' al fine di tutelare l'embrione permettendo il successivo trasferimento in utero; l'art. 6, comma 3 della legge va ritenuto contrastante con gli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione imponendo, di fatto un trattamento sanitario obbligatorio e ritenendo la tutela del diritto dell'embrione allo sviluppo ed alla nascita prevalente rispetto alla volonta' della madre di' non procedere all'impianto. I ricorrenti hanno concluso domandando che, ritenuta la sussistenza del fumus boni juris (sulla base dell'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa) e del periculum in mora (stante l'eta' dei ricorrenti, la gravita' delle loro condizioni fisiche e l'altamente probabile necessita' di dover ricorrere a plurimi tentativi), sia ordinato alla dott. V. «di eseguire a favore dei ricorrenti, secondo l'applicazione delle metodiche della procreazione medicalmente assistita, la cd. fecondazione in vitro, secondo le migliori pratiche mediche, previa diagnosi preimpianto, provvedendo a trasferire nell'utero della signora C. gli embrioni creati in base alle direttive impartite dalla medesima paziente ed applicando le procedure dettate dalla scienza medica per assicurare il miglior successo della tecnica in considerazione dell'eta' e dello stato di salute della paziente, considerato anche il rischio di gravidanze plurigemellari pericolose provvedendo altresi' a crioconservare per un futuro impianto gli embrioni risultati idonei e che non sia possibile trasferire immediatamente». Nel caso, poi, di interpretazione rigida della suddetta normativa, i ricorrenti hanno domandato che, stante la sostenuta incostituzionalita' della normativa medesima, fossero ritenute non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale: dell'art. 14, commi 2 e 3 della legge n. 40/2004 per violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.; dell'art. 14, comma 1, della legge medesima, limitatamente alla parole «crioconservazione», per violazione degli artt. 3 e 32 Cost.; dell'art. 6, comma 3, della stessa legge per violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost. Fissata l'udienza di comparizione delle parti, la dott. V. non si e' costituita ma e' comparsa spontaneamente in udienza dichiarando di non essere contraria all'accoglimento del ricorso e chiarendo le ragioni per cui, a suo avviso, dovrebbe essere consentito, nel caso della C., sia la crioconservazione di embrioni apparentemente sani, sia la produzione di embrioni in misura superiore rispetto ai casi di PMA su soggetti non portatori di malattie generiche. Essa ha spiegato che «per poter ottenere un numero di embrioni presumibilmente sani da parte di soggetto affetto da patologie ereditarie, occorre sovrastimolare la produzione di ovociti, con evidenti rischi per la paziente. Ovviamente, non potendo impiantare piu' di tre embrioni presumibilmente sani per volta e non potendo conservare il numero di embrioni sani in esubero, nel caso di fallimento dell'impianto occorrera' nuovamente sovrastimolare la paziente, e da cio' non potranno che derivarne conseguenze dannose per la stessa». La dott. V., su invito del giudice, ha successivamente provveduto a far pervenire una relazione illustrativa degli aspetti medico-scientifici della vicenda oggetto di causa quindi il giudice si e' riservato di decidere sulla richiesta cautelare. I ricorrenti hanno dimostrato che per la loro situazione personale e di coppia, con riferimento allo stato di infertilita' ed alla particolare condizione di portatori di patologia genetica, nonche' all'eta' della signora, il protocollo dettato dall'art. 14, comma 2, della legge n. 40/2004, secondo le migliori pratiche mediche, e' inadeguato al fine di ottenere, con ragionevole probabilita', che le tecniche di PMA siano eseguite con successo; a tal fine, risulta dimostrata la necessita' di fecondare un numero di ovociti superiore a tre, su cui effettuare la diagnosi pre-impianto per poi procedere all'impianto degli embrioni piu' sani e vitali. E' in atti la relazione U.M.R. a firma dott. C. da cui emerge che i ricorrenti hanno cercato inutilmente in 14 anni di matrimonio di avere un figlio, si sono sottoposti a tutti i necessari accertamenti a conclusione dei quali e' stata diagnosticata una situazione di «infertilita' primaria di coppia da oliga-asteno-terato-zoospermia severa e da fattore tubarico». Risulta, inoltre, che entrambi i coniugi sono portatori sani di Beta Talassemia (la signora C. di drepanocitosi, mutazione genetica della Beta Talessemia) grave ed incurabile e che la percentuale di avere un figlio malato da genitori portatori sani di tale patologia e' del 25% della prole. I ricorrenti si sono gia' sottoposti a cinque tentativi di fecondazione in vitro e di diagnosi pre-impianto non riusciti: il primo sospeso per eccessiva risposta (gennaio 2002); il secondo con DGP (diagnosi genetica pre-impianto con esito negativo (giugno 2002); il terzo con DGP e nessun embrione trasferito (giugno 2003); il quarto con ICSI (iniezione intra-citoplastica di un singolo spermatozoo) senza diagnosi pre-impianto con esito positivo, successiva villocentesi, talassemia major ed aborto terapeutico (novembre 2005); il quinto con esito positivo seguito da aborto spontaneo (giugno 2006). Dalla relazione citata emerge, inoltre, che, in considerazione dei risultati di fecondazione in vitro gia' eseguiti e dell'eta' della C., della patologia di cui entrambi i coniugi sono portatori sani e dell'alto rischio genetico, al fine di un'adeguata riuscita del trattamento riproduttivo assistito da diagnosi pre-impianto per la malattia di cui la coppia e' portatrice, «si ritengono necessari un numero minimo di nove ovociti da utilizzare per ottenere almeno un embrione portatore sano e non malato da trasferire nell'utero della sig. C. Nello specifico della paziente considerate tutte le condizioni fisiche ed anagrafiche si consiglia il trasferimento in utero di tre embrioni». Cio' premesso si osserva che la legge 40 del 2004 ha come finalita' quella di favorire la soluzione di problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' umana consentendo il ricorso alla procreazione medicalmente assistita alle condizioni stabilite dalla legge stessa «che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». L'art. 4, nell'individuare in astratto i casi in cui e' consentito il ricorso alle tecniche di PMA, stabilisce, al comma 2, che le stesse sono applicate in base al principio di «gradualita' alfine di evitare il ricorso ad interventi aventi un grado di invasivita' tecnico e psicologico piu' gravoso per i destinatari, ispirandosi al principio della minore invasivita» e con il consenso informato degli interessati, secondo specifiche modalita'. Il capo IV della legge pone specifiche misure a tutela dell'embrione, vietandone la sperimentazione e la produzione a tal fine, la ricerca clinica e sperimentale a fini diversi da quelli stabiliti nell'art. 13. Nel contesto della tutela dell'embrione, l'art. 14 vieta, al primo comma, la crioconservazione e la soppressione di embrioni, salvo quanto previsto dalla legge n. 194/1978; al comma 2 stabilisce che «Le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto del!'evoluzione tecnico-scientifica e di quanto previsto all'art 7, comma 3, non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto comunque non superiore a tre». Al terzo comma viene consentita la crioconservazione «Qualora il trasferimento nell'utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione» ma cio' «fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile». La violazione dei limiti e divieti richiamati e' considerata reato e sono previste conseguenze disciplinari a carico dei sanitari. Va, poi, richiamato l'art 6, comma 3, ultima parte, che dispone che la volonta' di accedere alle tecniche di PMA «puo' essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell'ovulo». Le linee guida di cui al decreto del Ministero della salute 11 aprile 2008, conformandosi alla decisione della sentenza 21 gennaio 2008 n. 398 del T.a.r. Lazio (che ha annullato le Linee guida di cui al decreto ministeriale 21 luglio 2004 nella parte contenuta nelle Misure di tutela dell'embrione laddove statuivano che ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell'art. 13, comma 5, dovesse essere di tipo osservazionale) non pongono piu' alcun limite alla diagnosi pre-impianto, ormai, quindi, consentita. Dalla documentazione scientifica prodotta e dalla relazione che la dott. V. ha fatto pervenire risulta che la procedura da eseguire, nel rispetto della citata normativa, nel caso di coppie affette da patologie generiche, quale quella formata dai ricorrenti, e' la seguente: la paziente deve essere sottoposta ad iperstimolazione ovarica controllata, con utilizzo di preparati ormonali, al fine di ottenere un numero di ovociti congruo per la fecondazione in vitro, da cui verranno selezionati i tre migliori per essere fecondati (crioconservando quelli eventualmente in soprannumero di buona qualita'); sul numero di ovociti (da zero a tre) fecondati e, quindi, degli embrioni ottenuti, dovra' essere eseguita la diagnosi pre-impianto mediante estrazione del blastomero ed analisi con sonde genetiche specifiche. Dalla suddetta documentazione scientifica, pero', emerge che e' statisticamente improbabile che, considerando l'impiego di tre ovociti, si ottengano tre embrioni da trasferire (stante la possibilita': di mancata fertilizzazione di uno o piu' dei tre ovociti; possibile danneggiamento dell'embrione nel corso della procedura di diagnosi pre-impianto; diagnosi di embrione portatore di talassemia major), mentre e' piu' probabile il trasferimento di uno o due embrioni con una chance di gravidanza inequivocabilmente ridotta (anche in considerazione dell'eta' della C.) rispetto a quella attesa per il trasferimento di tre embrioni (25%) e con conseguente necessita' di ulteriore stimolazione ovarica per la reiterazione delle tecniche di PMA. Nel caso di fecondazione di un numero maggiore di ovociti, aumentando la possibilita' di eseguire diagnosi preimpianto su un numero maggiore di embrioni, aumenterebbe la possibilita' di reperirne almeno tre non portatori di malattia genetica (nel caso in esame, thalassemia major), con maggiore possibilita' di gravidanza con esito positivo. I limiti normativi, come sopra delineati, dunque, non consentono di avvalersi delle migliori metodiche mediche, che prevedono il minor numero possibile di cicli di stimolazione, in considerazione dei rischi di salute per la donna consistenti: nella maggiore assunzione per piu' volte di preparati ormonali; del rischio chirurgico per traumatismo accidentale di vasi e/o organi contigui all'ovaio dell'ago da pick-up con conseguente sanguinamento endoaddominale (emoperitoneo) o da infezione ovarica; del rischio da «sindrome da iperstimolazione ovarica» per eccesso di risposta ai farmaci ormonali. Permanendo, poi, l'obbligo di impianto contemporaneo, nonche' il divieto di crioconservazione (se non in caso il trasferimento non sia possibile «per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione» e solo «fino alla data dei trasferimento, da realizzare non appena possibile») e di interruzione del proseguimento di PMA successivamente alla creazione dell'embrione, dopo la diagnosi pre-impianto, dovra' comunque procedersi al trasferimento di tutti gli embrioni ottenuti, con il rischio di una gravidanza gemellare ovvero dello sviluppo di patologie genetiche nel concepito, che la diagnosi pre-impianto ha consentito di' diagnosticare. Le problematiche mediche sopra illustrate, pur tutte presenti nel caso in oggetto, non possono essere risolte con l'applicazione della legge n. 40/2004, di cui non si Ritiene possibile l'interpretazione costituzionalmente orientata suggerita dai ricorrenti. Dagli atti preparatori della legge n. 40/2004 risulta che il divieto di crioconservazione degli embrioni e' dettato dalla preoccupazione di evitare la soppressione di embrioni e di limitarne il piu' possibile la produzione in sovrannumero. E' stata conseguentemente dettata una disciplina intesa a vietare la produzione di embrioni sia a fini di ricerca e sperimentazione a fini diversi da quelli previsti dalla legge (art. 13) e limitato rigidamente il numero di embrioni da produrre per la PMA, imponendo un protocollo generale e non modificabile che, pur comportando il possibile sacrificio embrionale, lo ridimensioni drasticamente a tre embrioni per ogni tentativo di impianto. In questa ottica deve leggersi anche la possibilita' di temporanea crioconservazione, consentita solo nei limiti estremamente ridotti di cui al comma 3 dell'art. 14. Essendo questa la chiara intenzione del Legislatore, la normativa citata non consente alcuna lettura differente da quella che e' palese (creazione di un numero massimo di' tre embrioni in ogni caso, ivi compreso malattie genetiche della coppia; divieto di crioconservazione oltre il caso strettamente indicato al comma 3 dell'art. 14; e divieto di revoca del consenso dopo la fecondazione dell'ovulo) e deve ritenersi una normativa rigida, che detta precisi obblighi e divieti, chiaramente diretti a limitare la produzione di embrioni ed a garantire l'utilizzo degli stessi per la sola PMA e la cui violazione e' considerata dal Legislatore reato e viene sanzionata in modo severo (commi 6 e 7, art. 14). Peraltro i ricorrenti hanno domandato, in via subordinata, sotto il profilo del fumus boni juris, che, ritenuta non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' delle norme citate, per violazione degli arti. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, il procedimento in esame sia sospeso e gli atti siano rimessi alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87/1953. Detta domanda e' ammissibile anche in questa sede cautelare ante causam posto che il giudice della cautela puo' ritenersi giudice a quo svolgendosi il procedimento cautelare in contraddittorio pieno tra le parti, sussistendo contrapposizione di interessi (che nel caso di specie e' ravvisabile, per i ricorrenti, nell'interesse alla prestazione medica richiesta, per la resistente nell'interesse ad operare secondo le tecniche mediche piu' adeguate senza incorrere nelle sanzioni previste per la violazione della normativa) che solo l'intervento del giudice, seppure in via cautelare, puo' risolvere. Anche il giudice della cautela, inoltre, nel caso in cui ravvisi il contrasto della normativa da applicare con i principi della Costituzione e non ritenga che detto contrasto sia superabile con una lettura della stessa costituzionalmente orientata, e' tenuto a richiedere il controllo del Giudice costituzionale (cfr. Corte cost. n. 457/1993 e n. 186/1976) e cio' al fine di evitare che, riservando il rilievo di incostituzionalita' al giudizio di merito, si finisca per negare giustizia a chi versa in particolari condizioni, che impongono una decisione d'urgenza. E sotto questo profilo si rileva come sussista nel caso di specie anche il periculum in mora stante l'eta' avanzata (per l'accesso alla PMA) della signora C. (nata nel 1966), l'accertata incidenza dell'eta' sul successo della PMA ed i tempi processuali solitamente necessari per ottenere una pronuncia nel merito idonea a rimuovere gli ostacoli che si frappongono ad una produttiva procedura medica, secondo quanto indicato dai ricorrenti e risultante dalla documentazione scientifica prodotta. Come si e' osservato la domanda cautelare non puo' essere accolta sulla base della normativa vigente e risulta pienamente giustificata la posizione della dott. V. che, pur non opponendosi alle richieste dei ricorrenti, ha rifiutato senza un ordine del giudice ad eseguire la PMA a favore dei ricorrenti. Indubbiamente qualora il sanitario procedesse con le tecniche piu' adeguate a consentire ai ricorrenti possibilita' di successo di una gravidanza, previo diagnosi dell'embrione ed impianto di embrione sano, incorrerebbe nei divieti di legge e nelle sanzioni previste, dovendo procedere alla fecondazione di un numero di ovociti superiore a quello stabilito, crioconservare gli embrioni creati in esubero e che non possono essere trasferiti nell'immediatezza, procedendo secondo le indicazioni e le condizioni (di eta' e di salute) della paziente ed interrompendo la PMA anche dopo la fecondazione dell'embrione. Si ritiene, pero', che i dubbi di costituzionalita' della normativa, evidenziati dai ricorrenti, siano in buona parte fondati. La disciplina degli artt. 14, commi 2 e 3 della legge n. 40/2004, laddove impone per tutti coloro che accedono alle tecniche di PMA un protocollo generalizzato, senza lasciare al sanitario alcuna discrezionalita' o possibilita' di modifica del detto protocollo nel caso di utenti affetti da patologie generiche, risulta illogica e contraddittoria, rispetto agli obiettivi che dichiaratamente intende perseguire e che, si ribadisce, consistono nel «favorire la soluzione dei problemi riproduttivi» assicurando «i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Il Legislatore ha certamente riconosciuto all'embrione uno status di diritto meritevole di tutela; cio' nonostante, nella discrezionalita' che gli compete, ha valutato che le tecniche di PMA non potevano prescindere dal sacrificio di un certo numero di embrioni ed ha ammesso tale possibile sacrificio, contenendolo nel limite di tre embrioni per ogni tentativo di PMA, ponendo l'obbligo di utilizzo degli stessi in un unico e contemporaneo impianto ed il divieto di crioconservazione e dell'interruzione della procedura, una volta fecondato l'ovocito, al fine di ottenere che tutti gli embrioni creati (nella limitata misura di tre) siano rigorosamente utilizzati per la PMA e, dunque, per un verso si eviti la produzione incontrollata di embrioni e per altro verso se ne impedisca lo spreco. Evidentemente, dunque, il Legislatore, nel bilanciamento dei diritti dei soggetti interessati alla normativa, ha ritenuto che la tutela dell'embrione dovesse moderatamente sacrificarsi per il perseguimento della finalita' della legge, consistente nella soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' e dall'infertilita' umana. Di fatto, pero', la tutela dell'embrione, cosi' come concepita, nel caso di patologie genetiche della coppia, finisce per impedire il perseguimento della finalita' indicata, oltre che per non permettere che sia Osservato il principio di limitata invasivita', secondo le migliori tecniche mediche, che pure all'art. 4 viene richiamato come principio per l'applicazione delle tecniche di PMA e che e' certamente dettato dalla necessita' di salvaguardare la salute dei destinatari della PMA e, quindi, in primo luogo della donna, che ne subisce le conseguenze piu' rilevanti sotto il profilo fisico e psichico. Come gia' si e' rilevato, infatti, nel caso di coppie affette da malattie genetiche ed ad alto tasso di infertilita', la necessita' di diagnosi pre-impianto comporta che, fertilizzando unicamente tre ovociti per volta, tutta la procedura di fecondazione in vitro abbia una limitatissima probabilita' di successo; e', invece, piu' probabile che si finisca per non avere embrioni sani da trasferire stante i fattori negativi (non rari) che possono intervenire, quale la mancata fertilizzazione di' uno o piu' ovociti, l'eventuale danneggiamento dell'embrione nel corso della procedura di diagnosi pre-impianto, la diagnosi di embrione portatore di malattia genetica. In queste condizioni, la percentuale di gravidanza e' molto ridotta, soprattutto nel caso di pazienti (quale la signora C.) di eta' avanzata, con conseguente necessita' di procedere a nuove pratiche invasive e disturbanti per la donna, causa di possibili danni sia fisici che psicologici. Ed ancor piu' ridotta e' la probabilita' di concepimento di un bambino non portatore di malattia geneticamente trasmessa atteso che, pur ricorrendo alla diagnosi pre-impianto dell'embrione, non potendosi piu' revocare il consenso informato (ostando l'ultima parte del comma 3 dell'art. 6), dovra' procedersi comunque all'impianto dell'embrione, ancorche' risultato non sano, ipotesi tutt'altro che remota (25% delle probabilita') nel caso di coppia di soggetti portatori di malattia genetica. Risulta, dunque, intrinsecamente irrazionale e contrastante con lo stesso spirito della legge prevedere un protocollo di PMA generalizzato ed immodificabile, non corrispondente alle migliori pratiche mediche diffuse ed accettate dalla comunita' scientifica internazionale; al contrario le finalita' sia di risultato positivo della PMA e, quindi, di rimozione degli ostacoli alla procreazione e di tutela dei soggetti coinvolti - in primo luogo la donna ed ivi compreso il concepito, che ha diritto ad una futura vita non connotata dalle limitazioni e dalle sofferenze connesse a patologie genetiche - possono essere ottenute solo superando detto schema preordinato e consentendo al medico, nel caso specifico, di individuare il numero di ovociti da fecondare, il numero di embrioni da impiantare, consentendo la crioconservazione degli embrioni in esubero fino al momento in cui, sulla base dello stato di salute della donna e delle possibilita' concrete terapeutiche, l'impianto avra' maggiore probabilita' di successo. Non e', inoltre, da sottovalutare la irrazionalita' della legge anche sotto un altro profilo. Ritenuta la limitazione di produzione di embrioni a tutela del concepito, l'attuale protocollo disposto dall'art. 14 di fatto comporta la necessita', per le coppie infertili di soggetti portatori di malattie genetiche, di procedere a ripetuti impianti stante la riduzione delle possibilita' di gravidanza, con conseguente perdita degli embrioni impiantati improduttivamente reiteratamente. Si ritiene, pertanto, che la normativa citata, nel predeterminare il numero di embrioni che possono essere prodotti ed impiantati, finisca per creare una situazione di sbilanciamento degli interessi coinvolti posto che, nel valutare come prioritaria la tutela dell'embrione, finisce per vanificare le finalita' della legge stessa, oltre che per sacrificare ingiustificatamente la tutela degli altri destinatari della normativa, in primo luogo la donna che deve subire le conseguenze maggiori della limitazione imposta dalla legge. L'art. 14, comma 1, 2 e 3 contrasta, inoltre, con l'art. 32 e 2 della Costituzione poiche' impone alla donna di sottoporsi a ripetuti cicli di iperstimolazione ovarica, prelievi ovarici ed impianti, con grave possibile pregiudizio per la sua salute fisica e con pregiudizio psichico per la coppia; i primi conseguenti alla maggiore assunzione di preparati ormonali (con conseguente instabilita' psicologica e rischio di cancro ovario), al rischio chirurgico da pick-up ovario (rischio di traumatismo accidentale di vasi e/o di organi contigui all'ovaio dell'ago da pick-up con conseguente sanguinamento endoaddommale nella misura di 1/700; rischio di infezione ovarica nella misura di 1/500) ed al rischio di «sindrome da iperstimolazione ovarica» per eccesso di risposta ai farmaci ormonali da parte della paziente (nella misura di 1/150-200, soprattutto in caso di iniziale gravidanza); i secondi conseguenti allo stress ed all'ansia per la preoccupazione del ripetersi di eventi negativi conseguenti alla PMA. Risulta violato anche l'art. 2 della Costituzione posto che la reiterata sottoposizione a trattamenti ad alta invasivita' lede il principio di rispetto della dignita' umana della donna, mentre l'attuazione del medesimo trattamento sanitario per casi differenti dal punto di vista clinico (coppie con malattie genetiche e situazione di differente fertilita' della donna in relazione all'eta' anagrafica) che necessitano di procedure differenziate lede il principio di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3 della Costituzione. Non sembra, poi, che la scelta di un protocollo medico codificato e generalizzato sia rimessa alla discrezionalita' del Legislatore poiche' la Corte costituzionale ha gia' affermato, con la sentenza n. 282/2002, come il diritto ad essere curato secondo i canoni della scienza dell'arte medica non possa essere limitato da una pratica medica prevista legislativamente atteso che «La pratica terapeutica si pone... all'incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell'arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrita' fisica e psichica... Salvo che entrino in gioco altri diritti o doveri costituzionali non e' di norma, il legislatore a poter stabilire direttamente e specificatamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni. Poiche' la pratica dell'arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia e' costituita dalla autonomia e dalla responsabilita' del medico che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione». E non puo' esservi dubbio che le tecniche di PMA siano da qualificarsi come metodi terapeutici sia in relazione ai beni che ne risultano implicati (cfr. Corte cost. n. 559/1987 e n. 185/1998) sia perche' implicano un trattamento da eseguirsi sotto diretto controllo medico, coperto dal SSN e diretto a superare una causa patologica che impedisce la procreazione, oltre che a contrastare le sofferenze connesse alla difficolta' di realizzarsi pienamente diventando genitore. Si ritengono, inoltre, contrastanti con l'art. 32 della costituzione l'art. 14, quarto comma - nella parte in cui non consente il differimento dell'impianto dell'embrione per cause diverse dalla «grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione» e limita la crioconservazione «fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile» - e l'art. 6, comma 3, ultima parte, che limita la possibilita' di revoca della volonta' di accedere alla PMA fino al momento della fecondazione dell'ovulo. Dette norme, infatti, impongono un trattamento sanitario contro la volonta' dell'interessato, non necessario per la tutela della sua salute o della collettivita' e non rispettoso della persona umana ed in contrasto con il diritto alla procreazione cosciente e responsabile di Cui alla legislazione ordinaria (v. legge n. 194/1978 e la legge n. 405 del 1975) ed alla Convenzione di Oviedo 4 aprile 1997, ratificata con legge n. 145/2001, che prevede come regola generale che ogni intervento nel campo della salute non puo' essere effettuato se non previo consenso libero ed informato dell'interessato. Deve, percio', sollevarsi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, 2 e 3 e dell'art. 6, comma 3, ultima parte, della legge n. 40/2004, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 32, commi primo e secondo, Costituzione, nella parte in cui stabiliscono il divieto di crioconservazione degli embrioni soprannumerari, impediscono la creazione di un numero di embrioni superiore a tre e stabiliscono la necessita' di procede ad un unico e contemporaneo impianto degli embrioni creati, nonche' laddove prevedono l'irrevocabilita' del consenso da parte della paziente all'impianto in utero degli embrioni creati.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenutane la rilevanza e non manifesta infondatezza, rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, 2 e 3 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 per contrasto con gli artt. 2, 3 e 32, commi 1 e 2, della Costituzione, nonche' dell'art. 6, comma 3 ultima parte, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, per contrasto dell'art. 32, secondo comma della Costituzione nella parte in cui impongono il divieto di crioconservazione degli embrioni soprannumerari, impongono la creazione di un numero di embrioni non superiore a ire da impiantarsi contemporaneamente in un unico impianto e laddove prevedono l'irrevocabilita' del consenso da parte della donna all'impianto in utero degli embrioni creati; Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Core costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Milano, in data 8 marzo 2009. Il giudice: Nardo