N. 236 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 marzo 2009

Ordinanza del 10 marzo  2009  emessa  dal  Tribunale  di  Milano  nel
procedimento civile promosso da C.C. ed altro contro V.A.. 
 
Procreazione medicalmente assistita - Limiti  all'applicazione  delle
  tecniche  sugli  embrioni  -  Divieto  di  crioconservazione  degli
  embrioni soprannumerari  -  Denunciata  lesione  del  principio  di
  rispetto della dignita' umana, in  considerazione  della  reiterata
  sottoposizione della  donna  a  trattamenti  altamente  invasivi  -
  Irragionevolezza della previsione normativa  di  un  protocollo  di
  procreazione medicalmente assistita  generalizzato,  immodificabile
  dal sanitario e non corrispondente alle migliori pratiche mediche -
  Ritenuta incoerenza con la finalita' esplicitata dal legislatore di
  favorire la soluzione dei  problemi  riproduttivi  derivanti  dalla
  sterilita' o dalla infertilita' umana,  assicurando  i  diritti  di
  tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito -  Ingiustificata
  uniformita'  di  trattamento  riservata  a  situazioni   soggettive
  normativamente differenziabili in quanto bisognose di un protocollo
  terapeutico diversificato - Incidenza sul diritto alla salute della
  donna e della coppia. 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 14, comma 1. 
- Costituzione, artt. 2, 3 e 32, commi primo e secondo. 
Procreazione medicalmente assistita - Limiti  all'applicazione  delle
  tecniche sugli embrioni - Previsione della creazione di  un  numero
  massimo di tre  embrioni  ai  fini  di  un  unico  e  contemporaneo
  impianto - Denunciata  lesione  del  principio  di  rispetto  della
  dignita' umana, in considerazione  della  reiterata  sottoposizione
  della donna a trattamenti  altamente  invasivi  -  Irragionevolezza
  della  previsione  normativa  di  un  protocollo  di   procreazione
  medicalmente assistita generalizzato, immodificabile dal  sanitario
  e non corrispondente alle  migliori  pratiche  mediche  -  Ritenuta
  incoerenza con la finalita' esplicitata dal legislatore di favorire
  la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o
  dalla infertilita' umana, assicurando i diritti di tutti i soggetti
  coinvolti, compreso il concepito -  Ingiustificata  uniformita'  di
  trattamento  riservata  a  situazioni   soggettive   normativamente
  differenziabili in quanto bisognose di  un  protocollo  terapeutico
  diversificato - Incidenza sul diritto alla  salute  della  donna  e
  della coppia. 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 14, comma 2. 
- Costituzione, artt. 2, 3 e 32, commi primo e secondo. 
Procreazione medicalmente assistita - Limiti  all'applicazione  delle
  tecniche sugli embrioni -  Ammissibilita'  della  crioconservazione
  degli embrioni fino alla data del trasferimento, da realizzare  non
  appena possibile, nel  solo  caso  in  cui  il  loro  trasferimento
  nell'utero non risulti possibile per grave e documentata  causa  di
  forza maggiore relativa  allo  stato  di  salute  della  donna  non
  prevedibile al momento della fecondazione - Omessa  previsione  che
  l'impianto dell'embrione possa essere differito per  cause  diverse
  da quella legislativamente indicata -  Illogica  limitazione  della
  crioconservazione fino alla data del trasferimento,  da  realizzare
  non appena possibile - Denunciata lesione del principio di rispetto
  della dignita' umana - Irragionevolezza della previsione  normativa
  di   un   protocollo   di   procreazione   medicalmente   assistita
  generalizzato, immodificabile dal sanitario  e  non  corrispondente
  alle  migliori  pratiche  mediche  -  Ritenuta  incoerenza  con  la
  finalita' esplicitata dal legislatore di favorire la soluzione  dei
  problemi  riproduttivi   derivanti   dalla   sterilita'   o   dalla
  infertilita' umana, assicurando  i  diritti  di  tutti  i  soggetti
  coinvolti, compreso il concepito -  Ingiustificata  uniformita'  di
  trattamento  riservata  a  situazioni   soggettive   normativamente
  differenziabili in quanto bisognose di  un  protocollo  terapeutico
  diversificato - Incidenza sul diritto alla  salute  della  donna  e
  della  coppia  -  Contrasto  con  il  divieto   costituzionale   di
  trattamenti sanitari obbligatori  se  non  imposti  per  legge  nel
  rispetto della dignita' umana e rivolti alla  tutela  della  salute
  dell'interessato ovvero della salute pubblica. 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 14, comma 3. 
- Costituzione, artt. 2, 3 e 32, commi primo e secondo. 
Procreazione  medicalmente   assistita   -   Consenso   informato   -
  Irrevocabilita' del consenso da parte della donna  all'impianto  in
  utero  degli  embrioni  creati  dal  momento   della   fecondazione
  dell'ovulo - Lesione del  diritto  alla  procreazione  cosciente  e
  responsabile  -  Contrasto  con  il   divieto   costituzionale   di
  trattamenti sanitari obbligatori  se  non  imposti  per  legge  nel
  rispetto della dignita' umana e rivolti alla  tutela  della  salute
  dell'interessato ovvero della salute pubblica. 
- Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 6, comma 3, ultimo periodo. 
- Costituzione, art. 32, comma secondo. 
(GU n.39 del 30-9-2009 )
                            IL TRIBUNALE 
    Nel procedimento ex art. 700 c.p.c. promosso ante causam da C. C.
e  M.  E.  con  gli  avvocati  Maria  Paola  Costantini,   Sebastiano
Papandrea, Ileana Alesso e Massima Clara, ricorrente, contro dott. V.
A., resistente. 
    Letti gli atti, esaminati i  documenti,  ha  emesso  la  seguente
ordinanza. 
    I signori C. C.  e  M.  E:,  coniugi  di  cui  risulta  accertata
l'infertilita' primaria da oligoastenoteratozoospermia  severa  e  da
fattore tubarico, hanno Premesso: di essere portatori, la signora C.,
di drepanocitosi, il sig. M., di beta-talassemia,  patologie  da  cui
deriva il 25% di possibilita' di malattia per la  prole;  di  essersi
rivolti alla dott. V., dello S. S., sussistendone tutti  i  requisiti
di legge, per accedere alle  tecniche  di  procreazione  medicalmente
assistita, svolgendo i colloqui del caso al fine  di  individuare  le
metodiche piu' appropriate alla propria situazione e  per  aviare  le
procedure del caso; di aver ottenuto dal  medico  l'approvazione  per
l'avviamento di una procedura di fecondazione in vitro  per  ottenere
una gravidanza ed, a seguito dell'emanazione  delle  Linee  Guida  di
applicazione della  legge  n.  40/2004,  di  effettuare  la  diagnosi
pre-impianto relativamente ed esclusivamente in ordine alla patologia
di cui sono portatori; di essere stati, pero', informati dalla  dott.
V. della sussistenza di divieti ed obblighi frapposti dalla legge  n.
40/2004 (o, comunque, dalla interpretazione restrittiva della stessa)
che impediscono di applicare ad essi ricorrenti le migliori  pratiche
mediche   diffuse   ed   accettate   dalla   comunita'    scientifica
internazionale. 
    In particolare l'applicazione  della  miglior  pratica  medica  a
favore dei coniugi C. - M., individuata  perche'  l'intervento  abbia
piu'  probabilita'  di  successo  e  la  salute  della  sig.  C.  sia
maggiormente tutelata, e' impedita: 
        1) dal comma 2 dell'art. 14 della legge n. 40/2004 (che vieta
di creare un numero  di  embrioni  superiore  a  tre  e  comunque  in
correlazione ad un unico contemporaneo impianto)  che,  impedendo  la
produzione  di  piu'  di  tre  embrioni,  risulta   inadeguata   alla
situazione concreta della coppia per la quale, secondo le indicazioni
delle societa' scientifiche, e' necessario che siano prodotti piu' di
tre embrioni cosi' da  poter  trasferire  gli  embrioni  idonei  alla
gravidanza e poter individuare quelli sani in ordine  alla  specifica
patologia, limitando la reiterazione delle procedure di  stimolazione
ovarica preparatorie alla fecondazione in vitro;  la  limitazione  di
cui alla norma citata si risolve, dunque, in una prassi inadeguata  e
si sostanzia in un comportamento inumano per le conseguenze derivanti
sul piano psicologico e fisico per  madre  e  nascituro,  amplificate
dall'obbligo di trasferire in utero tutti gli embrioni prodotti senza
alcuna valutazione medica e relativa all'interita'  psico-fisica  dei
soggetti coinvolti; 
        2) dall'art. 14, comma 1 (che vieta la crioconservazione e la
soppressione degli embrioni, salvo quanto  previsto  dalla  legge  n.
194/1978), comma 3  (che  consente  la  crioconservazione  temporanea
degli embrioni solo nel caso di impossibilita'  temporanea  dovuta  a
forza maggiore relativa alla salute della donna  non  prevedibile  al
momento della  fecondazione)  e  comma  4  (che  vieta  la  riduzione
embrionaria, salvo i casi previsti  dalla  legge  n.  194/1978)  che,
prevedendo il divieto di crioconservazione dell'embrione - con deroga
esplicita e per un limitato periodo di tempo solo in presenza  di  un
problema di salute della donna di natura non prevedibile  al  momento
della fecondazione  e  transitorio  -  impediscono  di  tenere  conto
dell'ipotesi ben piu' grave il cui il rischio sia  prevedibile  e  di
natura non transitoria e che, nel caso in  esame,  si  sostanzia  nel
grave rischio per l'integrita'  psicofisico  per  la  donna,  provata
dagli effetti devastanti che la malattia  genetica  trasmissibile  al
nascituro ha prodotto su amici e familiari e che le ha  provocato  un
grave stato di  depressione,  ansia  e  disagio  psichico  legato  al
desiderio di non far soffrire e vedere  soffrire  il  futuro  bambino
delle stesse sofferenze; 
        3) dall'art. 6, comma 3 (che impedisce la revoca del consenso
informato dopo la fecondazione dell'ovulo) che,  comportando  che  la
coppia sia costretta ad accettare di proseguire  tutta  la  procedura
dopo la fecondazione dell'ovulo e  cio'  senza  alcun  riguardo  alle
concrete condizioni fisiche od ad altri eventi, impone di  proseguire
nel trattamento terapeutico  e  cio'  in  contrasto  con  il  diritto
incondizionato dei cittadini (salvo i casi previsti per i trattamenti
sanitari obbligatori) di rifiutare le cure mediche. 
    Ad avviso  dei  ricorrenti,  solo  attraverso  un'interpretazione
costituzionalmente orientata possono essere raggiunti gli  obbiettivi
perseguiti dalla norma, non incorrendo in contraddizioni, consentendo
che la PMA sia eseguita secondo le migliori tecniche mediche, con una
maggiore probabilita' di successo e con minori rischi per la donna ed
il nascituro. 
    I  ricorrenti  hanno  proposto,  ai  fini  dell'accoglimento  del
ricorso, le seguenti interpretazioni normative: 
        a) la previsione del comma 2  dell'art.  14  della  legge  n.
40/2004 puo' essere interpretata valorizzando l'inciso «tenuto  conto
dell'evoluzione tecnico-scientifica» di cui alla  prima  parte  della
norma medesima, cosi' che la lettura corretta della norma sarebbe nel
senso  che  «il  medico,  secondo  le  proprie  conoscenze   mediche,
applicando le migliori e piu' appropriate tecniche, dovra' creare  il
numero  di  embrioni  necessario  per  le  esigenze  concrete   della
paziente, effettuando il trasferimento  in  utero  di  un  numero  di
embrioni (comunque) non superiore a tre per  unico  trasferimento»  e
cio' anche in considerazione del fatto che  la  norma  parla  non  di
contemporaneo  trasferimento  in  utero  ma  di  «impianto»,   evento
successivo al trasferimento e solo eventuale, di cui il  medico  puo'
prevedere   l'incidenza   statistica   in   base   alle    risultanze
scientifiche; 
        b) l'art. 14, commi 1, 3 e 4 puo' interpretarsi tenendo conto
del richiamo, quale eccezione, alla legge n. 194/1978 e,  quindi,  al
bilanciamento degli interessi e dei diritti  dei  soggetti  coinvolti
previsti in tale legge; bilanciamento  piu'  volte  confermato  dalla
Corte costituzionale (sent. n. 27/1975 e  n.  35/1997)  e  richiamato
anche  dall'art.  1  della  legge  n.  40/2004;  detto  bilanciamento
consentirebbe di tenere conto  del  grave  rischio  per  l'integrita'
psicofisico per la  donna  (nel  caso  di  specie  documentato  dalla
relazione psicologica in atti, dalla storia clinica  della  coppia  e
dai dati medici indicanti  il  forte  grado  di  trasmissibilita'  al
nascituro di una malattia maligna e non  guaribile),  consentendo  la
crioconservazione,  che  si  configura  come  condizione   temporanea
passibile di modifica, sia per eventuali possibili cure future  della
patologia   trasmissibile,   sia   per    ripensamenti    da    parte
dell'interessata; 
        c) l'art. 6, comma 3 puo' leggersi nel senso di consentire al
medico, ai sensi dell'art. 6, comma 4, di interrompere  la  procedura
per ragioni inerenti rischi e pericoli per la futura madre,  evitando
cosi'  di  imporre  un  comportamento  obbligato  alla  donna,  unico
soggetto che subisce conseguenze sulla sua integrita'  psicofisica  a
seguito della PMA. 
    Parte  ricorrente   ha   sottolineato   i   rilevanti   vizi   di
ragionevolezza,    illogicita'    e     contraddittorieta'     insiti
nell'interpretazione rigida delle citate norme, considerando che,  in
tal caso, le stesse devono ritenersi  in  contrasto  con  i  principi
costituzionali, posto che: 
        il divieto di produrre piu' di tre embrioni di  cui  all'art.
14, comma secondo, contrasta con gli arti. 3 e 32 della Costituzione:
in relazione alla tutela della salute della donna che,  a  causa  del
limite legislativo, dovrebbe subire ripetuti  cicli  di  stimolazione
ovarica  (con  notevoli  rischi  alla  salute  ed,  in  alcuni  casi,
possibile aumento del rischio di insorgenza  di  patologie),  poiche'
non  sempre  i  tre  embrioni   eventualmente   prodotti   hanno   le
caratteristiche  necessarie  per   attecchire   nell'utero   e   tale
probabilita' diminuisce  in  caso  di  donna  in  eta'  avanzata;  in
relazione alla discriminazione indiretta con riferimento agli effetti
che la disciplina produce sulla base delle diverse eta' delle donne; 
        il divieto di crioconservazione  degli  embrioni  di  cui  al
primo  comma  deve  ritenersi  una  conseguenza   dell'illegittimita'
costituzione del secondo comma della  norma  citata  posto  che,  una
volta venuto meno il limite  massimo  degli  embrioni  producibili  e
l'obbligo di contestuale impianto, deve necessariamente ammettersi la
possibilita' di crioconservare gli embrioni non trasferiti e cio'  al
fine di tutelare l'embrione permettendo il  successivo  trasferimento
in utero; 
        l'art. 6, comma 3 della legge va  ritenuto  contrastante  con
gli artt. 2, 13 e  32  della  Costituzione  imponendo,  di  fatto  un
trattamento sanitario obbligatorio e ritenendo la tutela del  diritto
dell'embrione allo sviluppo ed alla nascita prevalente rispetto  alla
volonta' della madre di' non procedere all'impianto. 
    I  ricorrenti  hanno  concluso  domandando   che,   ritenuta   la
sussistenza del fumus boni  juris  (sulla  base  dell'interpretazione
costituzionalmente orientata della normativa) e del periculum in mora
(stante l'eta' dei ricorrenti,  la  gravita'  delle  loro  condizioni
fisiche e l'altamente  probabile  necessita'  di  dover  ricorrere  a
plurimi tentativi), sia ordinato alla dott. V. «di eseguire a  favore
dei  ricorrenti,  secondo  l'applicazione   delle   metodiche   della
procreazione medicalmente assistita, la cd.  fecondazione  in  vitro,
secondo le migliori pratiche mediche,  previa  diagnosi  preimpianto,
provvedendo a trasferire nell'utero della  signora  C.  gli  embrioni
creati in base alle direttive impartite dalla  medesima  paziente  ed
applicando le procedure dettate dalla scienza medica  per  assicurare
il miglior successo della tecnica in considerazione dell'eta' e dello
stato di salute della  paziente,  considerato  anche  il  rischio  di
gravidanze   plurigemellari   pericolose   provvedendo   altresi'   a
crioconservare per un futuro impianto gli embrioni risultati idonei e
che non sia possibile trasferire immediatamente». 
    Nel  caso,  poi,  di  interpretazione   rigida   della   suddetta
normativa, i ricorrenti hanno  domandato  che,  stante  la  sostenuta
incostituzionalita' della normativa medesima,  fossero  ritenute  non
manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale:
dell'art. 14, commi 2 e 3 della legge n. 40/2004 per violazione degli
artt. 2, 3 e 32 Cost.; dell'art. 14, comma 1, della  legge  medesima,
limitatamente alla parole «crioconservazione», per  violazione  degli
artt. 3 e 32 Cost.; dell'art. 6, comma  3,  della  stessa  legge  per
violazione degli artt. 2, 13 e 32 Cost. 
    Fissata l'udienza di comparizione delle parti, la dott. V. non si
e' costituita ma e' comparsa spontaneamente in udienza dichiarando di
non essere contraria all'accoglimento  del  ricorso  e  chiarendo  le
ragioni per cui, a suo avviso, dovrebbe essere consentito,  nel  caso
della C., sia la crioconservazione di embrioni  apparentemente  sani,
sia la produzione di embrioni in misura superiore rispetto ai casi di
PMA su soggetti non portatori di malattie generiche. Essa ha spiegato
che «per poter ottenere un numero di embrioni presumibilmente sani da
parte  di  soggetto  affetto   da   patologie   ereditarie,   occorre
sovrastimolare la produzione di ovociti, con evidenti rischi  per  la
paziente. Ovviamente, non potendo impiantare  piu'  di  tre  embrioni
presumibilmente sani per volta e non potendo conservare il numero  di
embrioni sani  in  esubero,  nel  caso  di  fallimento  dell'impianto
occorrera' nuovamente sovrastimolare  la  paziente,  e  da  cio'  non
potranno che derivarne conseguenze dannose per la stessa».  La  dott.
V., su invito  del  giudice,  ha  successivamente  provveduto  a  far
pervenire una relazione illustrativa degli aspetti medico-scientifici
della vicenda oggetto di causa quindi il giudice si e'  riservato  di
decidere sulla richiesta cautelare. 
    I  ricorrenti  hanno  dimostrato  che  per  la  loro   situazione
personale e di coppia, con riferimento allo stato di infertilita'  ed
alla particolare  condizione  di  portatori  di  patologia  genetica,
nonche' all'eta' della signora, il protocollo dettato  dall'art.  14,
comma 2,  della  legge  n.  40/2004,  secondo  le  migliori  pratiche
mediche,  e'  inadeguato  al  fine  di  ottenere,   con   ragionevole
probabilita', che le tecniche di PMA siano eseguite con  successo;  a
tal fine, risulta dimostrata la necessita' di fecondare un numero  di
ovociti superiore a tre, su cui effettuare la  diagnosi  pre-impianto
per poi procedere all'impianto degli embrioni piu' sani e vitali. 
    E' in atti la relazione U.M.R. a firma dott. C. da cui emerge che
i ricorrenti hanno cercato inutilmente in 14 anni  di  matrimonio  di
avere un figlio, si sono sottoposti a tutti i necessari  accertamenti
a conclusione dei quali e'  stata  diagnosticata  una  situazione  di
«infertilita' primaria di  coppia  da  oliga-asteno-terato-zoospermia
severa e da fattore  tubarico».  Risulta,  inoltre,  che  entrambi  i
coniugi sono portatori sani di Beta  Talassemia  (la  signora  C.  di
drepanocitosi, mutazione genetica della  Beta  Talessemia)  grave  ed
incurabile e che la percentuale di avere un figlio malato da genitori
portatori sani di tale patologia e' del 25% della prole. I ricorrenti
si sono gia' sottoposti a cinque tentativi di fecondazione in vitro e
di diagnosi pre-impianto non riusciti: il primo sospeso per eccessiva
risposta (gennaio  2002);  il  secondo  con  DGP  (diagnosi  genetica
pre-impianto con esito negativo (giugno 2002); il  terzo  con  DGP  e
nessun  embrione  trasferito  (giugno  2003);  il  quarto  con   ICSI
(iniezione  intra-citoplastica  di  un  singolo  spermatozoo)   senza
diagnosi pre-impianto con esito  positivo,  successiva  villocentesi,
talassemia major ed aborto terapeutico (novembre 2005); il quinto con
esito positivo seguito da aborto spontaneo (giugno 2006). 
    Dalla relazione citata emerge, inoltre,  che,  in  considerazione
dei risultati di fecondazione in  vitro  gia'  eseguiti  e  dell'eta'
della C., della patologia di cui entrambi i  coniugi  sono  portatori
sani e dell'alto rischio genetico, al fine  di  un'adeguata  riuscita
del trattamento riproduttivo assistito da diagnosi  pre-impianto  per
la malattia di cui la coppia e' portatrice, «si  ritengono  necessari
un numero minimo di nove ovociti da utilizzare per ottenere almeno un
embrione portatore sano e non malato da trasferire  nell'utero  della
sig.  C.  Nello  specifico  della  paziente  considerate   tutte   le
condizioni fisiche ed anagrafiche si consiglia  il  trasferimento  in
utero di tre embrioni». 
    Cio' premesso si osserva  che  la  legge  40  del  2004  ha  come
finalita' quella di favorire la soluzione  di  problemi  riproduttivi
derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' umana consentendo  il
ricorso alla  procreazione  medicalmente  assistita  alle  condizioni
stabilite dalla legge stessa «che  assicura  i  diritti  di  tutti  i
soggetti   coinvolti,   compreso    il    concepito».    L'art.    4,
nell'individuare in astratto i casi in cui e' consentito  il  ricorso
alle tecniche di PMA, stabilisce, al comma  2,  che  le  stesse  sono
applicate in base al principio di «gradualita' alfine di  evitare  il
ricorso ad interventi  aventi  un  grado  di  invasivita'  tecnico  e
psicologico piu' gravoso per i destinatari, ispirandosi al  principio
della  minore  invasivita»  e  con  il   consenso   informato   degli
interessati, secondo specifiche modalita'. 
    Il  capo  IV  della  legge  pone  specifiche  misure   a   tutela
dell'embrione, vietandone la sperimentazione e la  produzione  a  tal
fine, la ricerca clinica e sperimentale  a  fini  diversi  da  quelli
stabiliti nell'art. 13.  Nel  contesto  della  tutela  dell'embrione,
l'art.  14  vieta,  al  primo  comma,  la  crioconservazione   e   la
soppressione di  embrioni,  salvo  quanto  previsto  dalla  legge  n.
194/1978; al comma 2 stabilisce che «Le tecniche di produzione  degli
embrioni,  tenuto  conto  del!'evoluzione  tecnico-scientifica  e  di
quanto previsto all'art 7, comma 3, non devono creare  un  numero  di
embrioni superiore a quello strettamente necessario  ad  un  unico  e
contemporaneo impianto comunque non superiore a tre». Al terzo  comma
viene  consentita  la  crioconservazione  «Qualora  il  trasferimento
nell'utero  degli  embrioni  non  risulti  possibile  per   grave   e
documentata causa di forza maggiore relativa  allo  stato  di  salute
della donna non prevedibile al momento della  fecondazione»  ma  cio'
«fino  alla  data  del  trasferimento,  da  realizzare   non   appena
possibile».  La  violazione  dei  limiti  e  divieti  richiamati   e'
considerata reato e sono previste conseguenze disciplinari  a  carico
dei sanitari. 
    Va, poi, richiamato l'art 6, comma 3, ultima parte,  che  dispone
che la volonta'  di  accedere  alle  tecniche  di  PMA  «puo'  essere
revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al
momento della fecondazione dell'ovulo». 
    Le linee guida di cui al decreto del Ministero  della  salute  11
aprile 2008, conformandosi alla decisione della sentenza  21  gennaio
2008 n. 398 del T.a.r. Lazio (che ha annullato le Linee guida di  cui
al decreto ministeriale 21 luglio 2004 nella  parte  contenuta  nelle
Misure di tutela dell'embrione laddove statuivano che  ogni  indagine
relativa allo stato di salute degli  embrioni  creati  in  vitro,  ai
sensi dell'art. 13, comma 5, dovesse essere di  tipo  osservazionale)
non pongono piu' alcun  limite  alla  diagnosi  pre-impianto,  ormai,
quindi, consentita. 
    Dalla documentazione scientifica prodotta e dalla  relazione  che
la dott. V. ha fatto pervenire risulta che la procedura da  eseguire,
nel rispetto della citata normativa, nel caso di  coppie  affette  da
patologie generiche, quale  quella  formata  dai  ricorrenti,  e'  la
seguente: la paziente  deve  essere  sottoposta  ad  iperstimolazione
ovarica controllata, con utilizzo di preparati ormonali, al  fine  di
ottenere un numero di ovociti congruo per la fecondazione  in  vitro,
da cui verranno selezionati  i  tre  migliori  per  essere  fecondati
(crioconservando  quelli  eventualmente  in  soprannumero  di   buona
qualita'); sul numero di ovociti (da zero a tre) fecondati e, quindi,
degli  embrioni  ottenuti,  dovra'  essere   eseguita   la   diagnosi
pre-impianto mediante estrazione del blastomero ed analisi con  sonde
genetiche specifiche. 
    Dalla suddetta documentazione scientifica, pero', emerge  che  e'
statisticamente  improbabile  che,  considerando  l'impiego  di   tre
ovociti,  si  ottengano  tre  embrioni  da  trasferire   (stante   la
possibilita': di mancata  fertilizzazione  di  uno  o  piu'  dei  tre
ovociti;  possibile  danneggiamento  dell'embrione  nel  corso  della
procedura di diagnosi pre-impianto; diagnosi di embrione portatore di
talassemia major), mentre e' piu' probabile il trasferimento di uno o
due embrioni con una chance di gravidanza inequivocabilmente  ridotta
(anche in considerazione dell'eta' della C.) rispetto a quella attesa
per  il  trasferimento  di  tre  embrioni  (25%)  e  con  conseguente
necessita' di ulteriore  stimolazione  ovarica  per  la  reiterazione
delle tecniche di PMA. Nel caso di fecondazione di un numero maggiore
di  ovociti,  aumentando  la  possibilita'   di   eseguire   diagnosi
preimpianto su  un  numero  maggiore  di  embrioni,  aumenterebbe  la
possibilita' di  reperirne  almeno  tre  non  portatori  di  malattia
genetica  (nel  caso  in  esame,  thalassemia  major),  con  maggiore
possibilita' di gravidanza con esito positivo. 
    I limiti normativi, come sopra delineati, dunque, non  consentono
di avvalersi delle migliori metodiche mediche, che prevedono il minor
numero possibile di cicli  di  stimolazione,  in  considerazione  dei
rischi di salute per la donna consistenti: nella maggiore  assunzione
per piu' volte di preparati  ormonali;  del  rischio  chirurgico  per
traumatismo  accidentale  di  vasi  e/o  organi  contigui   all'ovaio
dell'ago da  pick-up  con  conseguente  sanguinamento  endoaddominale
(emoperitoneo) o da infezione ovarica; del rischio  da  «sindrome  da
iperstimolazione  ovarica»  per  eccesso  di  risposta   ai   farmaci
ormonali. 
    Permanendo, poi, l'obbligo di impianto contemporaneo, nonche'  il
divieto di crioconservazione (se non in caso il trasferimento non sia
possibile «per grave e documentata causa di forza  maggiore  relativa
allo stato di salute della donna non  prevedibile  al  momento  della
fecondazione» e solo «fino alla data dei trasferimento, da realizzare
non appena possibile») e di interruzione  del  proseguimento  di  PMA
successivamente  alla  creazione  dell'embrione,  dopo  la   diagnosi
pre-impianto, dovra' comunque procedersi al  trasferimento  di  tutti
gli embrioni ottenuti, con il rischio  di  una  gravidanza  gemellare
ovvero dello sviluppo di patologie genetiche nel  concepito,  che  la
diagnosi pre-impianto ha consentito di' diagnosticare. 
    Le problematiche mediche sopra illustrate, pur tutte presenti nel
caso in oggetto, non possono essere risolte con l'applicazione  della
legge n. 40/2004, di cui non si Ritiene  possibile  l'interpretazione
costituzionalmente orientata suggerita  dai  ricorrenti.  Dagli  atti
preparatori  della  legge  n.  40/2004  risulta  che  il  divieto  di
crioconservazione degli embrioni e' dettato dalla  preoccupazione  di
evitare la soppressione di embrioni e di limitarne il piu'  possibile
la produzione in sovrannumero. E' stata conseguentemente dettata  una
disciplina intesa a vietare la produzione di embrioni sia a  fini  di
ricerca e sperimentazione a fini diversi  da  quelli  previsti  dalla
legge (art. 13) e limitato  rigidamente  il  numero  di  embrioni  da
produrre  per  la  PMA,  imponendo  un  protocollo  generale  e   non
modificabile che, pur comportando il possibile sacrificio embrionale,
lo ridimensioni drasticamente a tre embrioni per  ogni  tentativo  di
impianto. In questa ottica deve leggersi  anche  la  possibilita'  di
temporanea crioconservazione, consentita solo nei limiti estremamente
ridotti di cui al comma 3 dell'art. 14. 
    Essendo questa la chiara intenzione del Legislatore, la normativa
citata non consente alcuna lettura differente da quella che e' palese
(creazione di un numero massimo di' tre embrioni in  ogni  caso,  ivi
compreso   malattie    genetiche    della    coppia;    divieto    di
crioconservazione oltre il caso  strettamente  indicato  al  comma  3
dell'art. 14; e divieto di revoca del consenso dopo  la  fecondazione
dell'ovulo) e deve ritenersi una normativa rigida, che detta  precisi
obblighi e divieti, chiaramente diretti a limitare la  produzione  di
embrioni ed a garantire l'utilizzo degli stessi per la sola PMA e  la
cui  violazione  e'  considerata  dal  Legislatore  reato   e   viene
sanzionata in modo severo (commi 6 e 7, art. 14). 
    Peraltro i ricorrenti hanno domandato, in via subordinata,  sotto
il profilo del fumus boni juris,  che,  ritenuta  non  manifestamente
infondata la questione di costituzionalita' delle norme  citate,  per
violazione  degli  arti.  2,  3,  13  e  32  della  Costituzione,  il
procedimento in esame sia sospeso e gli atti siano rimessi alla Corte
costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87/1953. 
    Detta domanda e' ammissibile anche in questa sede cautelare  ante
causam posto che il giudice della cautela puo'  ritenersi  giudice  a
quo svolgendosi il procedimento cautelare  in  contraddittorio  pieno
tra le parti, sussistendo contrapposizione di interessi (che nel caso
di specie e'  ravvisabile,  per  i  ricorrenti,  nell'interesse  alla
prestazione medica richiesta, per  la  resistente  nell'interesse  ad
operare secondo le tecniche mediche  piu'  adeguate  senza  incorrere
nelle sanzioni previste per la violazione della normativa)  che  solo
l'intervento del giudice, seppure in via cautelare,  puo'  risolvere.
Anche il giudice della cautela, inoltre, nel caso in cui  ravvisi  il
contrasto  della  normativa  da  applicare  con  i   principi   della
Costituzione e non ritenga che detto contrasto sia superabile con una
lettura  della  stessa  costituzionalmente  orientata,  e'  tenuto  a
richiedere il controllo del Giudice costituzionale (cfr. Corte  cost.
n. 457/1993 e n. 186/1976) e cio' al fine di evitare che,  riservando
il rilievo di incostituzionalita' al giudizio di merito,  si  finisca
per negare giustizia a  chi  versa  in  particolari  condizioni,  che
impongono una decisione d'urgenza. 
    E sotto questo profilo si rileva come sussista nel caso di specie
anche il periculum in mora stante l'eta' avanzata (per l'accesso alla
PMA)  della  signora  C.  (nata  nel  1966),  l'accertata   incidenza
dell'eta' sul successo della PMA ed i tempi  processuali  solitamente
necessari per ottenere una pronuncia nel merito  idonea  a  rimuovere
gli ostacoli che si frappongono ad una produttiva  procedura  medica,
secondo  quanto  indicato   dai   ricorrenti   e   risultante   dalla
documentazione scientifica prodotta. 
    Come si e' osservato la domanda cautelare non puo' essere accolta
sulla base della normativa vigente e risulta pienamente  giustificata
la posizione della dott. V. che, pur non opponendosi  alle  richieste
dei ricorrenti, ha rifiutato senza un ordine del giudice ad  eseguire
la PMA a favore dei ricorrenti. Indubbiamente  qualora  il  sanitario
procedesse con le tecniche piu' adeguate a consentire  ai  ricorrenti
possibilita'  di  successo  di  una   gravidanza,   previo   diagnosi
dell'embrione ed impianto di embrione sano, incorrerebbe nei  divieti
di  legge  e  nelle  sanzioni  previste,   dovendo   procedere   alla
fecondazione di un numero di ovociti superiore  a  quello  stabilito,
crioconservare gli embrioni creati  in  esubero  e  che  non  possono
essere   trasferiti   nell'immediatezza,   procedendo   secondo    le
indicazioni e le condizioni (di eta' e di salute) della  paziente  ed
interrompendo la PMA anche dopo la fecondazione dell'embrione. 
    Si  ritiene,  pero',  che  i  dubbi  di  costituzionalita'  della
normativa, evidenziati dai ricorrenti, siano in buona parte fondati. 
    La disciplina degli artt. 14, commi 2 e 3 della legge n. 40/2004,
laddove impone per tutti coloro che accedono alle tecniche di PMA  un
protocollo  generalizzato,  senza  lasciare   al   sanitario   alcuna
discrezionalita' o possibilita' di modifica del detto protocollo  nel
caso di utenti affetti da patologie  generiche,  risulta  illogica  e
contraddittoria, rispetto agli obiettivi che dichiaratamente  intende
perseguire e che, si ribadisce, consistono nel «favorire la soluzione
dei problemi riproduttivi» assicurando «i diritti di tutti i soggetti
coinvolti, compreso il concepito». 
    Il Legislatore ha certamente riconosciuto all'embrione uno status
di   diritto   meritevole   di   tutela;   cio'   nonostante,   nella
discrezionalita' che gli compete, ha valutato che le tecniche di  PMA
non potevano  prescindere  dal  sacrificio  di  un  certo  numero  di
embrioni ed ha ammesso tale possibile  sacrificio,  contenendolo  nel
limite di tre embrioni per ogni tentativo di PMA,  ponendo  l'obbligo
di utilizzo degli stessi in un unico e contemporaneo impianto  ed  il
divieto di crioconservazione e dell'interruzione della procedura, una
volta fecondato l'ovocito, al fine di ottenere che tutti gli embrioni
creati (nella limitata misura di tre) siano rigorosamente  utilizzati
per  la  PMA  e,  dunque,  per  un  verso  si  eviti  la   produzione
incontrollata di embrioni e  per  altro  verso  se  ne  impedisca  lo
spreco. Evidentemente, dunque, il Legislatore, nel bilanciamento  dei
diritti dei soggetti interessati alla normativa, ha ritenuto  che  la
tutela  dell'embrione  dovesse  moderatamente  sacrificarsi  per   il
perseguimento  della  finalita'  della   legge,   consistente   nella
soluzione dei problemi  riproduttivi  derivanti  dalla  sterilita'  e
dall'infertilita' umana. 
    Di fatto, pero', la tutela dell'embrione, cosi'  come  concepita,
nel caso di patologie genetiche della coppia, finisce per impedire il
perseguimento della finalita' indicata, oltre che per non  permettere
che sia Osservato il principio di limitata  invasivita',  secondo  le
migliori tecniche mediche, che pure all'art. 4 viene richiamato  come
principio  per  l'applicazione  delle  tecniche  di  PMA  e  che   e'
certamente dettato dalla necessita' di salvaguardare  la  salute  dei
destinatari della PMA e, quindi, in primo luogo della donna,  che  ne
subisce le conseguenze piu'  rilevanti  sotto  il  profilo  fisico  e
psichico. 
    Come gia' si e' rilevato, infatti, nel caso di coppie affette  da
malattie genetiche ed ad alto tasso di infertilita', la necessita' di
diagnosi pre-impianto  comporta  che,  fertilizzando  unicamente  tre
ovociti per volta, tutta la procedura di fecondazione in vitro  abbia
una  limitatissima  probabilita'  di  successo;  e',   invece,   piu'
probabile che si finisca per non avere embrioni  sani  da  trasferire
stante i fattori negativi (non rari) che possono  intervenire,  quale
la mancata  fertilizzazione  di'  uno  o  piu'  ovociti,  l'eventuale
danneggiamento dell'embrione nel corso della  procedura  di  diagnosi
pre-impianto, la diagnosi di embrione portatore di malattia genetica. 
    In queste condizioni,  la  percentuale  di  gravidanza  e'  molto
ridotta, soprattutto nel caso di pazienti (quale la  signora  C.)  di
eta' avanzata,  con  conseguente  necessita'  di  procedere  a  nuove
pratiche invasive e disturbanti per  la  donna,  causa  di  possibili
danni sia fisici  che  psicologici.  Ed  ancor  piu'  ridotta  e'  la
probabilita' di concepimento di un bambino non portatore di  malattia
geneticamente trasmessa atteso  che,  pur  ricorrendo  alla  diagnosi
pre-impianto dell'embrione, non potendosi piu' revocare  il  consenso
informato (ostando l'ultima parte del comma 3  dell'art.  6),  dovra'
procedersi comunque all'impianto dell'embrione,  ancorche'  risultato
non sano, ipotesi tutt'altro che remota (25% delle probabilita')  nel
caso di coppia di soggetti portatori di malattia genetica. 
    Risulta, dunque, intrinsecamente irrazionale e  contrastante  con
lo  stesso  spirito  della  legge  prevedere  un  protocollo  di  PMA
generalizzato ed immodificabile,  non  corrispondente  alle  migliori
pratiche mediche diffuse ed  accettate  dalla  comunita'  scientifica
internazionale; al contrario le finalita' sia di  risultato  positivo
della PMA e, quindi, di rimozione degli ostacoli alla procreazione  e
di tutela dei soggetti coinvolti - in primo luogo  la  donna  ed  ivi
compreso il  concepito,  che  ha  diritto  ad  una  futura  vita  non
connotata dalle limitazioni e dalle sofferenze connesse  a  patologie
genetiche - possono  essere  ottenute  solo  superando  detto  schema
preordinato  e  consentendo  al  medico,  nel  caso   specifico,   di
individuare il numero di ovociti da fecondare, il numero di  embrioni
da impiantare, consentendo la  crioconservazione  degli  embrioni  in
esubero fino al momento in cui, sulla  base  dello  stato  di  salute
della donna e delle possibilita'  concrete  terapeutiche,  l'impianto
avra' maggiore probabilita' di successo. 
    Non e', inoltre, da sottovalutare la irrazionalita'  della  legge
anche sotto un altro profilo. Ritenuta la limitazione  di  produzione
di embrioni a tutela del  concepito,  l'attuale  protocollo  disposto
dall'art. 14 di fatto comporta la necessita', per le coppie infertili
di soggetti portatori di malattie genetiche, di procedere a  ripetuti
impianti stante la riduzione delle possibilita'  di  gravidanza,  con
conseguente  perdita  degli  embrioni  impiantati   improduttivamente
reiteratamente. 
    Si ritiene, pertanto, che la normativa citata, nel predeterminare
il numero di embrioni che  possono  essere  prodotti  ed  impiantati,
finisca per creare una situazione di sbilanciamento  degli  interessi
coinvolti  posto  che,  nel  valutare  come  prioritaria  la   tutela
dell'embrione,  finisce  per  vanificare  le  finalita'  della  legge
stessa, oltre che per sacrificare ingiustificatamente la tutela degli
altri destinatari della normativa, in primo luogo la donna  che  deve
subire le conseguenze maggiori della limitazione imposta dalla legge. 
    L'art. 14, comma 1, 2 e 3 contrasta, inoltre, con l'art. 32  e  2
della Costituzione poiche' impone alla donna di sottoporsi a ripetuti
cicli di iperstimolazione ovarica, prelievi ovarici ed impianti,  con
grave  possibile  pregiudizio  per  la  sua  salute  fisica   e   con
pregiudizio psichico per la coppia; i primi conseguenti alla maggiore
assunzione  di  preparati  ormonali  (con  conseguente   instabilita'
psicologica e rischio di cancro ovario),  al  rischio  chirurgico  da
pick-up ovario (rischio di traumatismo accidentale  di  vasi  e/o  di
organi  contigui  all'ovaio  dell'ago  da  pick-up  con   conseguente
sanguinamento  endoaddommale  nella  misura  di  1/700;  rischio   di
infezione ovarica nella misura di 1/500) ed al rischio  di  «sindrome
da iperstimolazione ovarica»  per  eccesso  di  risposta  ai  farmaci
ormonali  da  parte  della  paziente  (nella  misura  di   1/150-200,
soprattutto in caso di iniziale gravidanza);  i  secondi  conseguenti
allo stress ed all'ansia  per  la  preoccupazione  del  ripetersi  di
eventi negativi conseguenti alla PMA. Risulta violato anche l'art.  2
della  Costituzione  posto  che   la   reiterata   sottoposizione   a
trattamenti ad alta invasivita' lede il principio di  rispetto  della
dignita'  umana  della  donna,  mentre  l'attuazione   del   medesimo
trattamento sanitario per casi differenti dal punto di vista  clinico
(coppie con malattie genetiche e situazione di differente  fertilita'
della donna in relazione  all'eta'  anagrafica)  che  necessitano  di
procedure differenziate lede il principio di uguaglianza  sostanziale
di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    Non sembra, poi, che la scelta di un protocollo medico codificato
e generalizzato sia rimessa  alla  discrezionalita'  del  Legislatore
poiche' la Corte costituzionale ha gia' affermato, con la sentenza n.
282/2002, come il diritto ad essere curato  secondo  i  canoni  della
scienza dell'arte medica non possa essere  limitato  da  una  pratica
medica prevista legislativamente atteso che «La  pratica  terapeutica
si pone... all'incrocio fra due diritti  fondamentali  della  persona
malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della
scienza e dell'arte  medica;  e  quello  ad  essere  rispettato  come
persona,  e  in  particolare  nella  propria  integrita'   fisica   e
psichica... Salvo  che  entrino  in  gioco  altri  diritti  o  doveri
costituzionali non e' di norma,  il  legislatore  a  poter  stabilire
direttamente e specificatamente quali siano le pratiche  terapeutiche
ammesse, con quali limiti e a quali condizioni.  Poiche'  la  pratica
dell'arte  medica  si  fonda  sulle   acquisizioni   scientifiche   e
sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo  in
questa materia e' costituita dalla autonomia e dalla  responsabilita'
del medico che, sempre con il consenso del paziente, opera le  scelte
professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione». 
    E non puo' esservi  dubbio  che  le  tecniche  di  PMA  siano  da
qualificarsi come metodi terapeutici sia in relazione ai beni che  ne
risultano implicati (cfr. Corte cost. n. 559/1987 e n. 185/1998)  sia
perche' implicano un trattamento da eseguirsi sotto diretto controllo
medico, coperto dal SSN e diretto a superare una causa patologica che
impedisce la procreazione, oltre  che  a  contrastare  le  sofferenze
connesse  alla  difficolta'  di  realizzarsi  pienamente   diventando
genitore. 
    Si  ritengono,  inoltre,  contrastanti  con   l'art.   32   della
costituzione l'art.  14,  quarto  comma -  nella  parte  in  cui  non
consente  il  differimento  dell'impianto  dell'embrione  per   cause
diverse dalla «grave e documentata causa di forza  maggiore  relativa
allo stato di salute della donna non  prevedibile  al  momento  della
fecondazione» e limita  la  crioconservazione  «fino  alla  data  del
trasferimento, da realizzare non appena  possibile»  -  e  l'art.  6,
comma 3, ultima parte, che limita la  possibilita'  di  revoca  della
volonta' di accedere alla PMA  fino  al  momento  della  fecondazione
dell'ovulo. Dette norme, infatti, impongono un trattamento  sanitario
contro la volonta' dell'interessato, non  necessario  per  la  tutela
della sua salute o della collettivita' e non rispettoso della persona
umana ed in contrasto con il diritto alla  procreazione  cosciente  e
responsabile di Cui alla legislazione ordinaria (v. legge n. 194/1978
e la legge n. 405 del 1975) ed alla Convenzione di  Oviedo  4  aprile
1997, ratificata con legge  n.  145/2001,  che  prevede  come  regola
generale che ogni intervento nel campo della salute non  puo'  essere
effettuato   se   non   previo   consenso   libero    ed    informato
dell'interessato. 
    Deve,   percio',    sollevarsi    questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma 1, 2 e 3 e dell'art. 6,  comma  3,
ultima parte, della legge n. 40/2004, per contrasto con gli artt.  2,
3 e 32, commi primo e  secondo,  Costituzione,  nella  parte  in  cui
stabiliscono  il  divieto   di   crioconservazione   degli   embrioni
soprannumerari, impediscono la creazione di  un  numero  di  embrioni
superiore a tre e stabiliscono la necessita' di procede ad un unico e
contemporaneo  impianto  degli  embrioni  creati,   nonche'   laddove
prevedono l'irrevocabilita' del  consenso  da  parte  della  paziente
all'impianto in utero degli embrioni creati. 
                              P. Q. M. 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenutane la rilevanza e  non  manifesta  infondatezza,  rimette
alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 14, comma 1, 2 e 3 della legge 19 febbraio 2004, n. 40  per
contrasto con gli artt. 2, 3 e 32, commi 1 e 2,  della  Costituzione,
nonche' dell'art. 6, comma 3 ultima parte, della  legge  19  febbraio
2004,  n.  40,  per  contrasto  dell'art.  32,  secondo  comma  della
Costituzione  nella  parte   in   cui   impongono   il   divieto   di
crioconservazione  degli  embrioni   soprannumerari,   impongono   la
creazione di un numero di embrioni non superiore a ire da impiantarsi
contemporaneamente  in  un  unico  impianto   e   laddove   prevedono
l'irrevocabilita' del consenso da parte della donna  all'impianto  in
utero degli embrioni creati; 
    Sospende il giudizio e  dispone  l'immediata  trasmissione  degli
atti alla Core costituzionale; 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei  ministri  e
sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Cosi' deciso in Milano, in data 8 marzo 2009. 
                          Il giudice: Nardo