N. 10 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 8 ottobre 2009

Ricorso per conflitto tra enti depositato in cancelleria l'8  ottobre
2009 (della Regione Toscana). 
 
Sicurezza  pubblica  -  Volontariato  -  Comuni,  Province  e  Citta'
  metropolitane - Decreto del Ministro dell'interno  attuativo  delle
  norme  statali  che  prevedono  il  possibile   coinvolgimento   di
  associazioni  di  cittadini  per  la   segnalazione   agli   organi
  competenti di eventi che  possano  arrecare  danno  alla  sicurezza
  urbana ovvero di  situazioni  di  disagio  sociale  -  Ricorso  per
  conflitto  di  attribuzione  della  Regione  Toscana  -  Denunciata
  violazione  dei  limiti  alla  competenza  statale  in  materia  di
  sicurezza  pubblica,  violazione  della  potesta'   legislativa   e
  regolamentare delle Regioni nelle materie residuali  della  polizia
  amministrativa  locale  e  delle  politiche  sociali,  lesione  del
  principio di leale collaborazione - Richiesta di dichiarare che  il
  decreto  impugnato  e'  lesivo  delle  attribuzioni   regionali   e
  conseguentemente di annullarlo. 
- Decreto del Ministro dell'interno 8 agosto 2009. 
- Costituzione, art. 117, commi secondo, lett. h),  quarto  e  sesto;
  legge 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, commi 40, 41,  42,  43  e  44;
  legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 41. 
(GU n.49 del 9-12-2009 )
    Ricorso  per  la  Regione  Toscana,  in  persona  del  Presidente
protempore, autorizzato con delibera della Giunta  regionale  n.  838
del 28 settembre 2009 rappresentato e  difeso,  come  da  mandato  in
calce  al  presente  atto,  dall'avv.  Lucia   Bora   dell'Avvocatura
regionale, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. G.
Pasquale Mosca del Foro di Roma, in Roma, Corso d'Italia, 102; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro  tempore  per
conflitto di attribuzione del decreto  del  Ministro  dell'interno  8
agosto 2009, recante «Determinazione  degli  ambiti  operativi  delle
associazioni di osservatori  volontari,  requisiti  per  l'iscrizione
nell'elenco prefettizio e modalita' di tenuta dei  relativi  elenchi,
di cui ai commi da 40 a 44 dell'articolo  3  della  legge  15  luglio
2009, n. 94», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.
183 dell'8 agosto 2009, per contrasto  con  l'articolo  117,  secondo
comma, lett. h), quarto comma e sesto comma della Costituzione ed  il
principio di leale collaborazione, per i profili di seguito indicati. 
    Con il decreto del Ministro dell'interno dell'8 agosto  2009,  e'
stata data attuazione all'art. 3, commi 40, 41, 42,  43  e  44  della
legge 15 luglio 2009, n. 94  (recante  «Disposizioni  in  materia  di
sicurezza pubblica»), i quali prevedono il  possibile  coinvolgimento
di  associazioni  di  cittadini  per  la  segnalazione  agli   organi
competenti di eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana
ovvero di situazioni di disagio sociale. 
    Preme sin d'ora  evidenziare  che  la  Regione  Toscana  ha  gia'
proposto questione di costituzionalita' di fronte  a  codesta  ecc.ma
Corte costituzionale avverso il suddetto articolo 3, commi 40, 41, 42
e 43, per violazione dell'art. 117, secondo comma, lett.  h),  quarto
comma e sesto comma, Cost., anche sotto il profilo  della  violazione
della leale collaborazione. 
    Parimenti, le norme del decreto ministeriale  8  agosto  2009  in
esame, non sembrano raccordarsi con il quadro  costituzionale  e,  in
particolare, danno attuazione proprio alle predette disposizioni gia'
impugnate. Piu' in particolare, per effetto di  tali  previsioni,  le
competenze regionali in materia di polizia amministrativa locale e di
politiche sociali  risultano  compresse  (anche  rispetto  al  quadro
normativo di riferimento antecedente la riforma del Titolo V);  tutto
cio' in violazione dell'articolo 117, secondo comma lett. h),  quarto
comma e sesto comma, Cost., anche sotto il profilo  della  violazione
del principio di leale collaborazione. 
    Il  decreto  ministeriale  impugnato  e'  pertanto  lesivo  delle
attribuzioni regionali per i seguenti motivi di 
 
                            D i r i t t o 
 
1) Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. h), quarto comma  e
sesto comma Cost. e violazione del principio di leale collaborazione. 
    Con il decreto del Ministro dell'interno dell'8 agosto  2009,  lo
Stato ha previsto - in attuazione dell'art. 3,  commi  da  40  a  44,
della legge 15 luglio 2009, n. 94 - una specifica disciplina relativa
al possibile coinvolgimento di associazioni di privati cittadini  per
la segnalazione agli organi competenti di eventi che possano arrecare
danno alla sicurezza urbana ovvero di situazioni di disagio sociale. 
    In particolare: 
        l'art. 1, relativo ai requisiti per l'iscrizione e tenuta del
registro delle associazioni di osservatori volontari, prevede che «1.
In  ciascuna  Prefettura -  Ufficio  territoriale  del   Governo   e'
istituito l'elenco provinciale delle associazioni di cittadini di cui
all'art. 3, comma 41 della legge  15  luglio  2009,  n.  94,  per  la
segnalazione alle polizie locali, ovvero alle Forze di polizia  dello
Stato, di eventi che possono arrecare  danno  alla  sicurezza  urbana
ovvero situazioni di disagio  sociale.  2.  Ai  fini  dell'iscrizione
nell'elenco  di  cui  al  precedente  comma,  le   associazioni   ivi
richiamate, oltre a quanto previsto dai commi 40, 41 e 42 dell'art. 3
della legge 15 luglio 2009, n. 94,  e  dalla  vigente  normativa  sul
diritto  di  associazione,  devono  avere  fra  gli  scopi   sociali,
risultanti  dall'atto  costitutivo  e/o  dallo  statuto,  quello   di
prestare attivita' di  volontariato  con  finalita'  di  solidarieta'
sociale nell'ambito della  sicurezza  urbana,  come  individuata  dal
decreto del Ministro dell'interno del 5 agosto  2008,  richiamato  in
premessa, ovvero del disagio sociale, o comunque  riconducibili  alle
stesse.  Inoltre,  ai  fini  della  predetta  iscrizione  le   stesse
associazioni devono: 
          a) svolgere la propria attivita' gratuitamente e senza fini
di lucro, anche indiretto; 
          b) non essere espressione di partiti o movimenti  politici,
ne'  di  organizzazioni  sindacali  ne'  essere   ad   alcun   titolo
riconducibili a questi; 
          c)  non  essere  ad  alcun  titolo  collegate  a  tifoserie
organizzate; 
          d) non essere riconducibili  a  movimenti,  associazioni  o
gruppi organizzati, di cui al decreto-legge 26 aprile 1993,  n.  122,
convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205; 
          e) non essere comunque destinatarie  anche  indirettamente,
di risorse economiche, ovvero  di  altri  finanziamenti  a  qualsiasi
titolo provenienti da soggetti di cui alle lettere b), c) e d); 
          f) individuare gli associati destinati a svolgere attivita'
di segnalazione di cui al comma 1, quali  Osservatori  volontari,  ed
attestare che gli stessi siano in  possesso  dei  requisiti  previsti
dall'art. 5. 3. La domanda di  iscrizione,  sottoscritta  dal  legale
rappresentante,  corredata  da  copia  autentica  dello  statuto  e/o
dell'atto costitutivo, della completa indicazione degli associati, di
coloro che fanno parte degli organi  rappresentativi,  nonche'  della
documentazione comprovante il possesso dei requisiti di cui  all'art.
5 e di quella integrativa eventualmente richiesta, e' indirizzata  al
Prefetto della provincia dove l'associazione intende  operare  ed  ha
una sede. 4. L'iscrizione e'  effettuata  dal  Prefetto,  sentito  il
Comitato provinciale per l'ordine e  la  sicurezza  pubblica,  previa
verifica dei requisiti di cui al comma  2  nonche'  del  possesso  da
parte   degli   associati   e   degli   appartenenti   agli    organi
rappresentativi  dei  requisiti  di  cui  all'art.  5,  comma  1,  ad
eccezione di quelli di  cui  alla  lettera  b).  Resta  fermo  quanto
previsto per gli osservatori volontari»; 
        l'art. 2, comma 1, relativo ai compiti delle associazioni  di
osservatori volontari, prevede che «Le associazioni di  cui  all'art.
1,  comma  1,  attraverso  i  propri  associati  individuati  per  lo
svolgimento delle attivita' di segnalazione di cui al medesimo comma,
di seguito indicati come «osservatori volontari»,  volgono  attivita'
di mera osservazione in specifiche aree del  territorio  comunale.  I
predetti volontari, in presenza dei presupposti di  cui  all'art.  4,
comma 1, ultimo periodo, segnalano alla polizia locale e  alle  Forze
di polizia eventi che possono arrecare danno alla  sicurezza  urbana,
ovvero situazioni di disagio sociale»; 
        l'art.  4,  relativo  alla  possibilita'  per  i  sindaci  di
stipulare convenzioni con le associazioni di  osservatori  volontari,
prevede che «1. Per le finalita' di cui all'art. 3, comma  40,  della
legge 15 luglio 2009, n. 94, i sindaci stipulano convenzioni  con  le
associazioni  iscritte  nell'elenco  volte  ad  individuare  l'ambito
territoriale  e  temporale  in  cui  l'associazione  e'  destinata  a
svolgere l'attivita'  di  cui  all'art.  2,  comma  1,  del  presente
decreto, nonche' a disciplinare il  piano  d'impiego,  la  formazione
degli associati con compiti di  osservatore  volontario  ed  adeguate
forme di controllo per la verifica del  rispetto  delle  disposizioni
contenute nelle convenzioni e di quelle di cui al  presente  decreto.
Il piano d'impiego deve contenere anche i presupposti  oggettivi  per
effettuare le,segnalazioni  alla  polizia  locale  e  alle  Forze  di
polizia  dello  Stato.  2.  Il  contenuto  delle  convenzioni   viene
concordato con il Prefetto  competente  per  territorio,  sentito  il
Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica»; 
        l'art.  6,  relativo  alla   revoca   dell'iscrizione   delle
associazioni   di   volontari,   prevede   che    «1.    L'iscrizione
dell'associazione e' revocata dal  Prefetto  quando:  a)  venga  meno
anche uno dei requisiti  previsti  dall'art.  1,  commi  2  e  4;  b)
l'associazione violi  il  divieto  disposto  dal  Prefetto  ai  sensi
dell'art. 5, comma 3; c) l'associazione  non  ottemperi  nel  termine
previsto dall'art. 5,  comma  3,  a  far  cessare  l'interessato  dal
rapporto associativo; d) il Prefetto abbia adottato nel corso  di  un
anno,  nei  confronti  della  medesima  associazione,  piu'   di   un
provvedimento di divieto d'impiego in  relazione  a  quanto  previsto
dall'art. 5, comma 1, lettere c), d) ed e); e)  l'associazione  violi
il divieto di cui all'art. 7, comma 1;  f)  l'associazione  ponga  in
essere comportamenti in contrasto con quanto  previsto  dall'art.  3,
commi 40 e 42, della legge 15 luglio 2009,  n.  94,  e  dal  presente
decreto. 2. Il Prefetto comunica al sindaco la revoca dell'iscrizione
dell'associazione nell'elenco provinciale»; 
        l'art.  7,  comma  1,   relativo   alla   revisione   annuale
dell'elenco  delle  associazioni  di  volontari,  prevede   che   «Il
Prefetto,  competente  per  territorio,  provvede  annualmente   alla
revisione dell'elenco di cui all'art. 1, al  fine  di  verificare  il
permanere dei requisiti delle associazioni e degli appartenenti  alle
stesse. A  tal  fine,  il  legale  rappresentante  dell'associazione,
almeno  un  mese  prima  della  revisione   annuale,   deposita,   in
Prefettura - Ufficio  territoriale  del  Governo,  la  documentazione
comprovante l'attualita' dei requisiti.  Il  mancato  deposito  della
documentazione  suddetta  nel   termine   sopra   indicato   comporta
automaticamente  la   sospensione   degli   effetti   dell'iscrizione
nell'elenco provinciale e il divieto di svolgimento  dei  compiti  di
cui al presente decreto»; 
        l'art.  7,  comma  3,  relativo   all'ammissione   di   nuovi
associati, prevede che «L'ammissione di nuovi associati  deve  essere
tempestivamente segnalata alla Prefettura - Ufficio territoriale  del
Governo per la verifica dei requisiti di  cui  al  presente  decreto.
Fino  alla   comunicazione   dell'esito   degli   accertamenti,   gli
interessati non possono svolgere le attivita' di cui all'art. 2»; 
        l'art. 9, infine, recante la disciplina transitoria,  prevede
che «1. Le associazioni gia' costituite, che alla data  del  presente
decreto  svolgono  attivita'  di  volontariato   con   finalita'   di
solidarieta'  sociale  comunque  riconducibili  a   quanto   previsto
dall'art. 3, comma 40 della legge  15  luglio  2009,  n.  94,  e  dal
presente decreto, possono  essere  iscritte  nell'elenco  provinciale
delle  associazioni  di  osservatori  volontari,  con   le   medesime
modalita' di cui all'art. 1, comma  3  del  presente  decreto,  fermo
restando il possesso degli altri requisiti previsti dallo stesso art.
1. Dette associazioni  possono  continuare  a  espletare  la  propria
attivita'  anche  nell'ambito  e  nei  limiti   dell'art.   2   prima
dell'iscrizione e comunque per un periodo non superiore  a  sei  mesi
dalla data del presente decreto. 2. Per lo stesso periodo di 6  mesi,
i comuni possono continuare ad avvalersi dei rapporti in atto, per lo
svolgimento,  da  parte  dei   cittadini,   di   attivita'   comunque
riconducibili all'art. 3, comma 40 della legge  15  luglio  2009,  n.
94». 
    1a) E' evidente che  dette  norme  intervengono  direttamente  su
profili  attinenti  alla  disciplina  della  «polizia  amministrativa
locale», cioe' ad una materia che, in base al combinato disposto  del
secondo comma, lett. h) e quarto dell'art.  117  della  Costituzione,
rientra nella potesta' legislativa residuale delle regioni. 
    Come gia' rilevato in sede di ricorso avverso l'art. 3, commi  da
40 a 43, della legge n. 94/2009,  dette  disposizioni  -  e,  quindi,
anche quelle del decreto impugnato, che delle prime sono attuative  -
non possono essere inquadrate fra le norme disciplinanti  la  materia
dell'ordine pubblico e sicurezza che, sola, ai sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lett. h), Cost. compete in via esclusiva alla potesta'
legislativa statale. In merito, si  sottolinea  innanzitutto  che  la
giurisprudenza  costituzionale  costantemente  circoscrive   l'ambito
della «sicurezza pubblica» «alle misure inerenti alla prevenzione dei
reati o al mantenimento dell'ordine pubblico» (sentenza  n.  407  del
2002).  Detta   espressione,   quindi,   deve   essere   oggetto   di
interpretazione restrittiva, in quanto  l'art.  117,  secondo  comma,
lett.  h),  Cost.  la  abbina  a  quella  di  «ordine  pubblico»,  in
contrapposizione alla «polizia amministrativa locale», da annoverarsi
fra le competenze legislative residuali delle regioni. 
    Preme evidenziare che le regioni stesse erano gia' titolari delle
predette competenze anche prima della riforma del Titolo V,  piu'  in
particolare a  seguito  del  decreto  legislativo  n.  112  del  1998
(«Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato  alle
regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge  15
marzo 1997, n. 59»), il cui art. 159 aveva previsto che: 
        «1. Le funzioni ed i  compiti  amministrativi  relativi  alla
polizia  amministrativa  regionale  e  locale  concernono  le  misure
dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati  ai
soggetti giuridici  ed  alle  cose  nello  svolgimento  di  attivita'
relative alle materie nelle quali vengono esercitate  le  competenze,
anche delegate, delle regioni e  degli  enti  locali,  senza  che  ne
risultino lesi o messi in pericolo i beni e gli interessi tutelati in
funzione dell'ordine pubblico  e  della  sicurezza  pubblica.  2.  Le
funzioni ed i compiti amministrativi relativi all'ordine  pubblico  e
sicurezza pubblica di cui all'articolo 1, comma 3, lettera l),  della
legge 15  marzo  1997,  n.  59  concernono  le  misure  preventive  e
repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso  come
il complesso  dei  beni  giuridici  fondamentali  e  degli  interessi
pubblici primari sui quali si regge l'ordinata  e  civile  convivenza
nella comunita' nazionale, nonche' alla sicurezza delle  istituzioni,
dei cittadini e dei loro beni». 
    Alle regioni, pertanto, erano gia' state affidate  le  competenze
in materia di polizia amministrativa locale. 
    Ed infatti, la gia' richiamata interpretazione restrittiva  della
nozione   di   «sicurezza   pubblica»   e'   stata   adottata   dalla
giurisprudenza costituzionale anche prima della riforma del Titolo V.
Piu' precisamente, nella sentenza n. 290 del 25 luglio 2001,  codesta
ecc.ma Corte costituzionale ha statuito che «L'art. 159, comma 2, del
d.lgs.  n.  112  del  1998  precisa  che  le  funzioni  e  i  compiti
amministrativi relativi all'ordine pubblico e alla sicurezza pubblica
concernono le misure preventive e repressive dirette al  mantenimento
dell'ordine pubblico, inteso come il  complesso  dei  beni  giuridici
fondamentali e degli interessi pubblici primari sui  quali  si  regge
l'ordinata e civile convivenza  nella  comunita'  nazionale,  nonche'
alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro  beni.  E'
opportuno  chiarire  che  tale  definizione   nulla   aggiunge   alla
tradizionale  nozione  di  ordine  pubblico  e   sicurezza   pubblica
tramandata dalla giurisprudenza  di  questa  Corte,  nella  quale  la
riserva allo Stato  riguarda  le  funzioni  primariamente  dirette  a
tutelare beni fondamentali quali l'integrita' fisica o psichica delle
persone, la sicurezza dei possessi ed  ogni  altro  bene  che  assume
primaria  importanza  per  l'esistenza  stessa  dell'ordinamento.  E'
dunque in questo senso che  deve  essere  interpretata  la  locuzione
«interessi pubblici primari» utilizzata nell'art. 159, comma  2:  non
qualsiasi  interesse  pubblico  alla  cui  cura  siano  preposte   le
pubbliche amministrazioni, ma soltanto quegli interessi essenziali al
mantenimento  di  una  ordinata  convivenza  civile.   Una   siffatta
precisazione e' necessaria ad impedire che una smisurata  dilatazione
della nozione di sicurezza e  ordine  pubblico  si  converta  in  una
preminente competenza statale in relazione a tutte le  attivita'  che
vanificherebbe ogni ripartizione di compiti tra autorita' statali  di
polizia e autonomie locali». 
    Come gia' anticipato, tale orientamento e' stato confermato anche
dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. 
    In particolare, nella gia'  citata  sentenza  n.  407  del  2002,
codesta ecc.ma Corte ha sottolineato che per definire il concetto  di
«sicurezza pubblica»  «e'  sufficiente  constatare  che  il  contesto
specifico della lettera h) del secondo comma  dell'art.  117  [ordine
pubblico e sicurezza,  ad  esclusione  della  polizia  amministrativa
locale], - che riproduce pressoche' integralmente l'art. 1,  comma  3
lettera l) della legge n. 59 del 1997  -  induce,  in  ragione  della
connessione  testuale  con  "ordine   pubblico"   e   dell'esclusione
esplicita della "polizia amministrativa locale", nonche' in  base  ai
lavori preparatori, ad un'interpretazione restrittiva  della  nozione
di "sicurezza pubblica".  Questa  infatti,  secondo  un  tradizionale
indirizzo di questa Corte, e' da configurare in  contrapposizione  ai
compiti di polizia amministrativa regionale e  locale,  come  settore
riservato allo Stato relativo alle misure inerenti  alla  prevenzione
dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico» (seguono lo  stesso
orientamento anche le pronunce  successive:  cfr.,  per  esempio,  le
sentenze n. 428 del 29 dicembre 2004; n. 105 del 17  marzo  2006;  n.
222 del 13 giugno 2006; n. 237 del 22 giugno  2006;  n.  196  del  1°
luglio 2009). 
      
    Con riferimento, poi, alla nozione di «sicurezza urbana», con  la
recente sentenza n. 196 del 1°  luglio  2009,  codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale  ha  precisato  che  una  disciplina   legislativa   e
regolamentare statale in materia e' conforme al riparto di competenze
legislative e regolamentari previsto dalla Costituzione  soltanto  se
ed in quanto la predetta espressione sia circoscritta dalla  medesima
normativa all'ambito della «sicurezza pubblica»,  cioe'  come  detto,
alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell'ordine pubblico. 
    Ebbene, ne' l'art. 3, comma 40, della legge n.  94/2009,  ne'  il
decreto del Ministro dell'interno censurato specificano tali limiti. 
    Anzi, la formulazione  notevolmente  ampia  e  generica  da  essi
utilizzata - «sicurezza urbana»  -  risulta  idonea  a  ricomprendere
anche gli interventi volti a migliorare le condizioni di  vivibilita'
nei centri urbani, la convivenza civile e  la  coesione  sociale.  In
tale ampia dizione sono incluse le attivita' di prevenzione  e  lotta
al degrado urbano,  volte  a  favorire  un  ordinato  sviluppo  delle
relazioni sociali ed economiche ed una ordinata e  civile  convivenza
della comunita'  regionale,  le  quali,  chiaramente,  devono  essere
ricondotte nell'ambito di competenza regionale, in quanto espressioni
di «polizia amministrativa locale». 
    L'invasione delle attribuzioni regionali  da  parte  del  decreto
censurato emerge ancor piu' chiaramente se si considera che i compiti
delle associazioni di privati  previsti  dallo  stesso  decreto  sono
estesi alla prevenzione delle situazioni di disagio sociale. 
    Quest'ultima e' una locuzione notoriamente ardua da  definire  in
modo compiuto. Infatti, si puo' intendere per «disagio sociale» (cfr.
il Rapporto del maggio 2001 che presenta i risultati di una  indagine
svolta dal Ciriec per conto dell'Osservatorio Regionale  sul  Mercato
del Lavoro (ORML) della Regione Toscana) «la situazione -  prolungata
nel tempo - in cui il soggetto, per specifiche condizioni, non e'  in
grado di utilizzare pienamente le proprie risorse e  le  opportunita'
offerte dalla societa', e alternativamente e/o contemporaneamente  si
isola o suscita rigetto da parte della societa' stessa; si  manifesta
cioe' come problema sociale per la soluzione del quale e'  opportuno,
e talvolta indispensabile, un intervento». 
    Si tratta, quindi,  inevitabilmente,  di  una  definizione  molto
ampia, dovuta al fatto che molteplici possono essere le cause che, da
sole oppure combinandosi variamente  fra  loro,  possono  condurre  a
situazioni  di  disagio  sociale.   Puo'   trattarsi,   infatti,   di
ristrettezze  economiche,  difficolta'   familiari,   disoccupazione,
malattie o invalidita', solitudine, eta', sesso,  carenze  culturali,
estraneita', tossicodipendenza, maltrattamenti, ecc. 
    Di conseguenza, in relazione al «disagio sociale» si  intersecano
tra  loro  molteplici  settori  ed  attivita'  di   prevenzione,   di
assistenza, di recupero, ecc. E' evidente, pero', che le modalita' di
prestare rimedio a tali situazioni disagiate ben  possono  ricondursi
alla sfera delle «politiche sociali», la quale ricade,  per  costante
giurisprudenza costituzionale, nella competenza legislativa residuale
regionale, (cfr., ex pluribus, la sentenza n. 50 del 7 marzo 2008). 
    A nulla rileverebbe, in questo caso, invocare  la  lett.  m)  del
secondo comma dell'art. 117 della Costituzione, che attribuisce  alla
competenza  legislativa  esclusiva  statale  la  «determinazione  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali  che  devono  essere  garantiti  su   tutto   il   territorio
nazionale». 
    E' chiaro, infatti, che le associazioni di  cui  ai  commi  40  e
seguenti della legge n. 94/2009  ed  alle  disposizioni  del  decreto
censurato non operano nell'ambito dell'erogazione di  «servizi»,  ma,
per cosi'  dire,  «a  monte»,  vale  a  dire  svolgono  attivita'  di
prevenzione del disagio sociale. 
    Ebbene, evidentemente una siffatta attivita' rientra nella  sfera
della  competenza  legislativa  residuale  regionale  in  materia  di
«politiche sociali». Infatti, non e' (logicamente, prima  ancora  che
giuridicamente) pensabile interpretare detta  materia  nel  senso  di
attribuire alle  regioni  il  solo  compito  di  intervenire  in  via
successiva, cioe' quando le situazioni di disagio sono ormai insorte,
lasciando allo Stato la determinazione della  disciplina  applicabile
all'attivita' di prevenzione. 
    In conclusione, sia l'espressione «sicurezza urbana»  sia  quella
di  «disagio  sociale»,  sono  locuzioni  eccessivamente   ampie   ed
omnicomprensive,  quindi  suscettibili  di  invadere  le   competenze
regionali. 
    Il ragionamento appena concluso vale non solo per l'art. 3, commi
40 e ss. della legge n. 94/2009, ma anche per il decreto del Ministro
dell'interno dell'8 agosto 2009. 
    Con le disposizioni in  esso  contenute,  di  fatto,  le  regioni
vengono private del ruolo che a  loro  spetta,  in  base  al  dettato
costituzionale, in  materia  di  «polizia  amministrativa  locale»  e
«politiche sociali». 
    Piu' in particolare, l'art. 1, innanzitutto affida al Prefetto il
compito della tenuta del registro  delle  associazioni  di  cittadini
legittimate  a  partecipare  all'attivita'  di   segnalazione   delle
situazioni che possano arrecare danno alla sicurezza urbana o  quelle
di disagio sociale;  inoltre,  la  stessa  disposizione  prevede,  al
secondo comma, un elenco analitico e dettagliato dei requisiti che le
predette  associazioni  devono  soddisfare  ai  fini  dell'iscrizione
nell'apposito elenco. 
    L'art. 2, poi, fissa in modo dettagliato  quali  sono  i  compiti
degli «osservatori volontari», nonche' le  modalita'  di  svolgimento
dei medesimi. 
    Inoltre, l'art. 4, al comma 2, prevede  che  il  contenuto  delle
convenzioni che i sindaci possono, ai sensi del comma 1 dello  stesso
articolo, stipulare con le associazioni di privati sia concordato con
il Prefetto, di nuovo senza alcun coinvolgimento delle regioni. 
    Il successivo art. 6, poi, relativo alla  revoca  dell'iscrizione
delle associazioni di volontari, di nuovo  affida  tutti  i  relativi
compiti al Prefetto. Sempre a  quest'ultimo  l'art.  7,  al  comma  1
affida il compito di provvedere alla  revisione  annuale  dell'elenco
delle associazioni di volontari, mentre al comma  3  si  prevede  che
l'ammissione di nuovi associati sia comunicata alla Prefettura. 
    In sostanza, dai primi sette articoli del  decreto  del  Ministro
dell'interno  censurato  con  il  presente  ricorso  si  ricava   una
disciplina molto  dettagliata  per  quanto  riguarda  i  compiti,  le
modalita' di  svolgimento  dei  medesimi,  i  requisiti  a  tal  fine
necessari,  nonche'  i  controlli  in  ordine  alle  associazioni  di
cittadini che possono partecipare all'attivita' di segnalazione degli
eventi idonei  ad  arrecare  danno  alla  sicurezza  urbana  e  delle
situazioni di disagio sociale. 
    Risulta  palese  che  dette  norme  affidano  tutte  le  relative
funzioni e competenze al  Prefetto,  cioe'  ad  un  rappresentante  a
livello territoriale del Governo, senza  alcun  coinvolgimento  delle
regioni. 
    Il decreto, per i profili qui in  rilievo,  rappresenta  pertanto
un'inammissibile intromissione nelle  prerogative  riconosciute  alle
regioni, cio' che rende evidente  la  violazione  delle  attribuzioni
regionali  di  cui  all'art.  117  Cost.  in  materia   di   «polizia
amministrativa locale» e di «politiche sociali». 
    Ne' la suddetta invasivita'  delle  attribuzioni  regionali  puo'
ritenersi superata dalla disposizione contenuta nell'art. 8, il quale
si  limita  a  prefigurare  una   forma   meramente   eventuale,   e,
soprattutto, del tutto marginale,  di  partecipazione  delle  regioni
nella materia  regolata  dal  decreto.  Infatti,  detta  disposizione
prevede che  «Le  regioni  e  gli  enti  locali  interessati  possono
organizzare corsi di formazione e aggiornamento per  gli  osservatori
volontari, appartenenti alle associazioni iscritte nell'elenco di cui
all'art. 1,  concernenti  l'attivita'  di  segnalazione.  2.  Per  le
associazioni di cui al successivo art.  9  i  corsi  dovranno  essere
svolti in tempo utile per proseguire nell'impiego degli  osservatori.
3. Al termine  del  corso  di  formazione  il  legale  rappresentante
dell'associazione trasmette al Prefetto  l'attestato  di  superamento
del  corso  di  cui  al  comma  1,  necessario  per  l'impiego  degli
osservatori volontari nelle attivita' di segnalazione». 
    Si tratta, all'evidenza,  di  una  previsione  che  non  consente
affatto  alle  regioni  di  recuperare,  in  qualche   modo,   quelle
attribuzioni loro spettanti alla stregua del dettato costituzionale e
loro sottratte per effetto dell'art. 3, commi da 40 a 43, della legge
n. 94/2009 e del decreto  del  Ministro  dell'interno  dell'8  agosto
2009. 
    Risulta  palese,  infatti,  che  attribuire   alle   regioni   la
possibilita'  di  organizzare  i  corsi   di   formazione   per   gli
appartenenti alle associazioni di cui trattasi  rappresenta  un  mero
«palliativo»: resta ferma, comunque, l'indebita ingerenza statale  in
materie di competenza regionale, senza  alcuna  possibilita'  per  le
regioni medesime di incidere  sulla  disciplina  delle  attivita'  in
esame. 
    1b)  Il  vizio  di   costituzionalita'   sopra   evidenziato   e'
ulteriormente confermato dalla violazione dell'art. 117, sesto  comma
della Costituzione: infatti, posto che, per quanto sin qui esposto la
materia disciplinata dal  decreto  ministeriale  censurato  non  puo'
essere ricondotta alle nozioni di «ordine pubblico e  sicurezza»,  la
stessa non puo' quindi essere oggetto di regolamento statale poiche',
ai sensi dell'art. 117, sesto comma  della  Costituzione,  il  potere
regolamentare dello Stato esiste solo nelle materie di  sua  potesta'
legislativa  esclusiva.  In  altri  termini,  nelle  materie  di  cui
trattasi, un regolamento statale non poteva  intervenire,  o,  quanto
meno, non con modalita' cosi' «invasive». 
    Preme  evidenziare,  inoltre,  che  il  decreto  in  esame  viola
ulteriormente le competenze regionali perche' una fonte regolamentare
viene  espressamente  ad  essere  abilitata  a  modificare  anche  la
legislazione regionale vigente in materia. 
    A  tal  riguardo,  e  a  rafforzamento  della  fondatezza   delle
argomentazioni fin qui svolte, si rileva che la Regione Toscana aveva
gia' esercitato le proprie competenze  in  materia  disciplinando  la
possibilita' di partecipazione di privati cittadini alle attivita' de
quibus, attraverso l'emanazione della legge regionale  n.  12  del  3
aprile 2006 («Norme in materia di polizia comunale  e  provinciale»).
Tale normativa, «in conformita' a quanto previsto dall'articolo  117,
comma secondo, lettera h),  della  Costituzione,  detta  disposizioni
concernenti   i   requisiti    essenziali    di    uniformita'    per
l'organizzazione e lo svolgimento, anche in  forma  associata,  delle
funzioni  di  polizia  amministrativa  locale  tramite  strutture  di
polizia  comunale,  denominata  polizia  municipale,  e  di   polizia
provinciale [...]» (art. 1). 
    Piu' in  particolare,  l'articolo  7  di  detta  legge  regionale
prevede che «1. I comuni e le province possono stipulare  convenzioni
con le associazioni di volontariato  iscritte  nel  registro  di  cui
all'articolo 4 della legge regionale 26 aprile  1993,  n.  28  (Norme
relative ai rapporti delle  organizzazioni  di  volontariato  con  la
regione, gli enti locali e gli altri enti pubblici - Istituzione  del
registro  regionale  delle   organizzazioni   del   volontariato)   e
successive modificazioni, per realizzare  collaborazioni  tra  queste
ultime  e  le  strutture  di  polizia  locale  rivolte   a   favorire
l'educazione alla convivenza, al senso civico  e  al  rispetto  della
legalita'. [...]». 
    La  normativa  regolamentare  impugnata  incide  sulla   suddetta
disciplina legislativa regionale, vanificando il ruolo ed  i  compiti
delle associazioni di volontariato ivi previste;  cio'  evidentemente
non e' compatibile  con  il  riparto  della  potesta'  legislativa  e
regolamentare come delineato  nella  Costituzione,  anche  alla  luce
dell'interpretazione fornitane dalla gia'  richiamata  giurisprudenza
costituzionale. 
    1c) Particolarmente lesivo delle attribuzioni regionali si rivela
l'art. 9 del decreto del Ministro dell'interno dell'8 agosto 2009, il
quale, al comma 1, prevede che «Le associazioni gia' costituite,  che
alla data del presente decreto svolgono attivita' di volontariato con
funzioni di solidarieta'  sociale  comunque  riconducibili  a  quanto
previsto dall'art. 3 comma 40 della legge 15 luglio 2009,  n.  94,  e
dal presente decreto, possono essere iscritte nell'elenco provinciale
delle  associazioni  di  osservatori  volontari,  con   le   medesime
modalita' di cui all'art. 1, comma 3,  del  presente  decreto,  fermo
restando il possesso degli altri requisiti previsti dallo stesso art.
1. Dette associazioni  possono  continuare  a  espletare  la  propria
attivita'  anche  nell'ambito  e  nei  limiti   dell'art.   2   prima
dell'iscrizione e comunque per un periodo non superiore  a  sei  mesi
dalla data del presente decreto». Il comma 2, poi, prevede  che  «Per
lo stesso periodo di 6 mesi, i comuni possono continuare ad avvalersi
dei rapporti in atto, per lo svolgimento, da parte dei cittadini,  di
attivita' comunque riconducibili all'art. 3, comma 40 della legge  15
luglio 2009, n. 94». 
    Ebbene, non vi e' chi non  veda  come  la  predetta  disposizione
risulti  immediatamente  e  gravemente  lesiva   delle   attribuzioni
regionali, in quanto preclude alle associazioni di cittadini che gia'
collaboravano con le autorita' locali, in base alla  legge  regionale
n. 12/2006, alla segnalazione di eventi potenzialmente dannosi per la
«sicurezza urbana», di continuare ad operare a meno che si conformino
a quanto stabilito dal decreto censurato. 
    Tale preclusione risulta ancor piu' grave  con  riferimento  alle
associazioni di volontariato che collaborano con le stesse  autorita'
nell'ambito della prevenzione delle situazioni  di  disagio  sociale.
Neppure in tal caso, infatti, sussiste, come gia'  anticipato,  alcun
fondamento costituzionale alla potesta' legislativa  e  regolamentare
dello Stato. Anzi, si tratta di ambiti riservati alle regioni,  tanto
che la Regione Toscana ha gia' disciplinato la materia con  la  legge
regionale  n.  41  del  24  febbraio  2005  («Sistema  integrato   di
interventi e servizi  per  la  tutela  dei  diritti  di  cittadinanza
sociale»), che all'art. 58, comma 1, prevede: «Le  politiche  per  le
persone a rischio di esclusione sociale consistono nell'insieme degli
interventi e dei servizi volti a prevenire e ridurre tutte  le  forme
di emarginazione, comprese le forme di poverta' estrema», precisando,
poi, ai  commi  successivi,  le  modalita'  di  attuazione  di  dette
politiche di prevenzione delle situazioni di disagio sociale. 
    Con riguardo alle associazioni  operanti  nell'ambito  da  ultimo
menzionato, inoltre, e' necessario evidenziare che,  per  il  tramite
dell'amplissima  formulazione   della   norma   transitoria   dettata
dall'art. 9, il rischio e' quello di  una  vera  e  propria  paralisi
dell'attivita' delle associazioni medesime,  a  meno  che  queste  si
conformino a quanto previsto dal decreto  del  Ministro  dell'interno
dell'8 agosto 2009 e  dalla  legge  n.  94/2009,  passando  sotto  la
vigilanza del Prefetto. 
    In  particolare,  e'  l'espressione  «funzioni  di   solidarieta'
comunque riconducibili, a quanto previsto» dalla censurata  normativa
statale che davvero rischia di  svuotare  di  contenuto  (e,  quindi,
privare di possibilita' applicative pratiche) la normativa  regionale
in materia  di  prevenzione  delle  situazioni  di  disagio  sociale.
Infatti, gia' la locuzione «disagio sociale», come  sopra  ampiamente
evidenziato, risulta di per se' dai contorni non ben definiti;  ancor
piu'  generico,  quindi,  e'  il   riferimento   alle   funzioni   di
solidarieta'  sociale  «comunque  connesse»  alla  prevenzione   (tra
l'altro) delle situazioni di disagio sociale. 
    In definitiva,  con  una  siffatta  formulazione,  le  competenze
statali sono in grado di estendersi ad un punto  tale  da  vanificare
ogni attribuzione regionale in materia. 
    Pertanto, ribadito nuovamente che nei settori di cui trattasi non
e' possibile un intervento statale, soprattutto a  livello  di  fonte
regolamentare,  preme  evidenziare  nuovamente  l'indebita  invasione
delle attribuzioni regionali ad opera del predetto art. 9,  il  quale
davvero risulta in grado di impedire l'attivita'  delle  associazioni
di volontariato  di  collaborazione  alla  gestione  della  comunita'
locale sia sotto il profilo della «sicurezza urbana»,  sia  per  cio'
che attiene alle «politiche sociali» (a meno che  tali  associazioni,
come piu' volte detto, si conformino  alle  modalita'  fissate  dalla
normativa statale impugnata). 
    In conclusione, il decreto censurato, ed in  particolare  il  suo
art. 9, costituiscono un'indebita evidente  ingerenza  statale  nelle
competenze regionali. 
    1d) Le norme censurate sono ulteriormente  incostituzionali,  per
violazione  del   principio   di   leale   collaborazione,   poiche',
disciplinando ambiti di  competenza  regionale,  il  decreto  avrebbe
dovuto,  quantomeno,  contenere  la  previsione  dell'intesa  con  le
regioni interessate o comunque adeguate  forme  di  concertazione  al
fine di tutelare le istanze regionali  costituzionalmente  garantite,
in un ambito  che  involge  profili  di  competenza  residuale  delle
regioni. 
    Il decreto in esame, invece,  non  prevede  alcun  coinvolgimento
delle  regioni  medesime,   risultando   percio'   costituzionalmente
illegittimo. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Si chiede che la Corte costituzionale dichiari che il decreto del
Ministro dell'interno dell'8 agosto 2009 e' lesivo delle attribuzioni
regionali per contrasto con l'articolo 117, secondo comma, lett.  h),
quarto comma e sesto comma della Costituzione, anche sotto il profilo
della  violazione  del  principio  di  leale  collaborazione,  e  per
l'effetto lo annulli. 
    Si deposita la delibera della giunta regionale di  autorizzazione
a stare in giudizio. 
        Firenze-Roma, addi' 30 settembre 2009 
 
                           Avv. Lucia Bora