N. 260 ORDINANZA 5 - 19 ottobre 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale -  Obbligo  di  rinvio  della  pena  detentiva  nei
  confronti di donna incinta o di madre di prole di eta' inferiore ad
  un anno - Possibilita' di negare il differimento  se  non  adeguato
  alle  finalita'  di  prevenzione  generale  e  se   la   detenzione
  domiciliare non sia idonea a prevenire il  pericolo  di  recidiva -
  Mancata   previsione -   Denunciata    irragionevolezza,    nonche'
  violazione delle finalita' di prevenzione generale della pena e dei
  principi a base  della  tutela  della  maternita'  e  del  minore -
  Esclusione - Manifesta infondatezza della questione. 
- Codice penale, art. 146, primo comma, numeri 1) e 2). 
- Costituzione, artt. 3, 27, terzo comma, e 30. 
(GU n.42 del 21-10-2009 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
                              Ordinanza 
nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  146,  primo
comma, numeri 1) e 2), del codice penale, promosso dal  Tribunale  di
sorveglianza  di  Venezia  nel  procedimento  relativo  a  J.S.   con
ordinanza dell'8  ottobre  2008,  iscritta  al  n.  29  del  registro
ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 6, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio dell'8  luglio  2009  il  giudice
relatore Paolo Maddalena. 
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Venezia,  con
ordinanza emessa l'8 ottobre 2008 (reg. ord.  n.  29  del  2009),  ha
sollevato, in riferimento agli articoli 3,  27,  terzo  comma,  e  30
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 146, primo comma, numeri 1) e 2), del codice penale (Rinvio
obbligatorio dell'esecuzione della pena),  nella  parte  in  cui  non
prevede che il giudice possa negare il differimento della pena quando
lo ritenga non adeguato alle finalita' previste dall'art.  27,  terzo
comma,  della  Costituzione,  sussista  il  pericolo  di  eccezionale
rilevanza di commissione di altri delitti, la detenzione  domiciliare
non sia idonea a prevenire il pericolo  di  recidiva  e  l'espiazione
della pena possa avvenire senza pregiudizio per le esigenze di tutela
dello stato di gravidanza o del rapporto del minore  infante  con  la
madre; 
        che il  Tribunale  rimettente  afferma  di  essere  investito
dell'istanza di differimento dell'esecuzione della pena  avanzata  da
una donna in stato di gravidanza  e  madre  di  un  bambino  di  eta'
inferiore ad un anno; 
        che il Tribunale di sorveglianza premette che  la  condannata
e'  una  nomade  di  spiccata  pericolosita'  sociale,   piu'   volte
condannata per reati  contro  il  patrimonio  e,  anche  di  recente,
arrestata per tentato furto; e ricorda che le era stata  revocata  la
misura della detenzione domiciliare per essersi allontanata dal luogo
prescritto; 
        che,  ad   avviso   del   rimettente,   detta   pericolosita'
esigerebbe, ai fini di un adeguato  contenimento,  l'applicazione  di
una  misura  detentiva,  perche'  il  richiesto   differimento,   ove
concesso, sarebbe abusivamente utilizzato per commettere altri reati,
senza alcun riguardo per le esigenze alla cui tutela il beneficio  e'
preordinato, posto che gia' in passato la nascita della figlia non ha
dissuaso la donna dal commettere delitti; 
        che, tuttavia, il giudice a quo afferma di non  poter  negare
il differimento della pena, potendo al piu'  disporre,  quale  misura
sostituiva del  richiesto  differimento,  anche  in  assenza  di  una
richiesta in tal senso dell'interessata, la detenzione domiciliare ai
sensi dell'art. 47-ter della legge 26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative e limitative della liberta'), gia' revocata dal  magistrato
di sorveglianza perche' rivelatasi del tutto inadeguata; 
        che, in punto di non  manifesta  infondatezza,  il  Tribunale
rimettente afferma di condividere il principio secondo il quale in un
paese democratico la detenzione delle donne  in  gravidanza  e  delle
madri che accudiscono figli in tenera eta' dovrebbe  essere  prevista
solo «in ultima istanza», e  di  essere  consapevole  del  fatto  che
l'alternativa  tra  l'immediata  esecuzione  della  pena  o  la   sua
temporanea inesigibilita' a causa di situazioni  soggettive,  che  il
legislatore  ritiene  di  qualificare  come  incompatibili   con   la
carcerazione,   non   comporta   soluzioni   univoche    sul    piano
costituzionale,  dovendosi   necessariamente   ammettere   spazi   di
valutazione normativa che ben possono contemperare  l'obbligatorieta'
della pena con  le  specifiche  situazioni  di  chi  vi  deve  essere
sottoposto; 
        che, secondo il giudice  a  quo,  la  previsione  del  rinvio
obbligatorio per la condannata in stato  di  gravidanza  o  madre  di
infante di eta' inferiore ad  un  anno,  la'  dove  la  misura  della
detenzione domiciliare disposta dal magistrato di sorveglianza si sia
gia'  rivelata  non   adeguata,   violerebbe   il   principio   della
proporzionalita'   e   di   individualizzazione    del    trattamento
sanzionatorio,  come   pure   il   principio   della   progressivita'
trattamentale; 
        che la  strumentalizzazione  dell'istituto  del  differimento
(che da extrema ratio in alcuni casi diventa la regola) ha  di  fatto
creato - osserva il rimettente - una sorta di immunita' per le  donne
nomadi in eta' fertile, le quali possono  dedicarsi  indisturbate  ad
attivita'  illecite,  potendo  confidare  sul  trattamento   previsto
dall'art. 146 cod. pen. per le donne in stato di gravidanza  o  madri
di figli in tenera eta'; e si tratterebbe di un  fenomeno  imponente,
considerato che generalmente  si  tratta  di  donne  che  iniziano  a
procreare precocemente, appena adolescenti, e che per le abitudini di
vita non conoscono il fenomeno delle nascite ridotte; 
        che nel caso di specie tutte le finalita' che la Costituzione
assegna  alla  pena  risulterebbero   obliterate,   con   conseguente
violazione del principio sancito dalla Corte  costituzionale  con  la
sentenza n. 306 del 1993: totalmente svilita sarebbe la finalita'  di
prevenzione  generale  e  di  difesa  sociale -  finalita'   la   cui
realizzazione  dipende  non  soltanto  dalla  minaccia  legale  della
sanzione penale, ma anche e soprattutto dalla sua concreta esecuzione
-, giacche' la rigida e prevedibile sospensione del momento esecutivo
esclude  che  la  pena  irrogata  possa  svolgere  una  funzione   di
intimidazione e dissuasione rispetto a possibili futuri comportamenti
criminosi;     sarebbe     vanificato      anche      il      profilo
retributivo-afflittivo, posto  che  la  rinuncia  all'esecuzione  (di
fatto a tempo indeterminato) lascerebbe sostanzialmente  impunito  il
reato commesso; infine, risulterebbero compromesse  le  finalita'  di
prevenzione speciale e di rieducazione; 
        che, secondo il rimettente, la  generalizzata  ed  automatica
applicazione del trattamento di favore  previsto  dalla  disposizione
censurata, nell'assegnare un  identico  beneficio  a  condannate  che
presentino   fra   loro   differenti   stadi    del    percorso    di
risocializzazione  e  diversi   gradi   di   pericolosita'   sociale,
vulnererebbe non soltanto il principio di  eguaglianza,  finendo  per
omologare  fra  loro,  senza  alcuna  plausibile  ratio,   situazioni
diverse, ma anche la stessa funzione rieducativa  della  pena,  posto
che il riconoscimento di un beneficio che non risulti correlato  alla
positiva evoluzione nel trattamento comprometterebbe  inevitabilmente
l'essenza stessa della  progressivita',  che  costituisce  il  tratto
saliente dell'iter riabilitativo; 
        che la norma denunciata  configgerebbe  con  l'art.  3  Cost.
anche per  lesione  del  canone  della  ragionevolezza,  giacche'  le
ipotesi del differimento obbligatorio per la donna incinta o madre di
figlio di eta' inferiore ad un anno sono le sole, tra quelle previste
dall'art. 146 cod. pen., a non ammettere alcuna verifica in  concreto
sulla sussistenza di una effettiva  situazione  di  pregiudizio  agli
interessi  che  la  norma  tende  a  tutelare   o   di   contrarieta'
dell'esecuzione penale al senso di umanita', e ad avere una  difforme
regolamentazione in sede cautelare  e  in  sede  esecutiva.  Difatti,
nelle medesime condizioni (stato  di  gestazione  e  presenza  di  un
figlio di eta' inferiore ad un anno) e' consentito  solo  nella  fase
cautelare disporre la carcerazione, sia pure ove sussistano  esigenze
di eccezionale rilevanza (art. 275, comma 4,  cod.  proc.  pen.):  in
presenza  delle  medesime  esigenze  di  sicurezza  sociale  e  delle
medesime situazioni personali, l'ordinamento consente solo al giudice
della cautela la salvaguardia delle prime, ove siano  di  eccezionale
rilevanza, mentre dopo il passaggio in giudicato le  stesse  esigenze
sarebbero postergate e nessuna verifica sarebbe consentita al giudice
di  sorveglianza  in  merito  all'eccezionalita'   delle   stesse   e
all'esistenza effettiva di pregiudizio per la madre e il minore.  Del
resto,  anche  in  altri   settori   l'ordinamento,   nel   prevedere
particolari forme di tutela della maternita' e del minore nella  fase
immediatamente successiva al  parto,  non  oblitera  la  salvaguardia
delle esigenze di sicurezza sociale (si cita il divieto di espulsione
della donna in stato di gravidanza  o  nei  sei  mesi  successivi  al
parto, previsto dall'art. 19 del d.lgs. 25 luglio 1998, n.  286,  che
trova un limite nelle esigenze di tutela dell'ordine pubblico e della
sicurezza dello Stato); 
        che, ad avviso del rimettente, la  particolare  normativa  di
favore per le donne in stato di gravidanza e puerperio puo'  indurre,
come nella  pratica  avviene,  «ad  una  strumentalizzazione  a  fini
illeciti  della  maternita'  e  del  rapporto  di   filiazione,   con
conseguente scelta  della  procreazione  al  solo  fine  di  ottenere
l'impunita' di fatto dai delitti commessi»: di  qui  lo  snaturamento
della  funzione  dell'istituto,  con  lesione  dell'art.   30   della
Costituzione; 
        che  nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte  costituzionale   e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso  per  la
manifesta infondatezza della questione; 
        che la difesa erariale osserva  che,  ai  sensi  del  secondo
comma dell'art. 146 cod.  pen.,  il  differimento  non  opera  o,  se
concesso, e' revocato se la gravidanza si interrompe, se la madre  e'
dichiarata decaduta dalla potesta' sul figlio ai sensi dell'art.  330
del codice civile, se  il  figlio  muore,  viene  abbandonato  ovvero
affidato ad altri, sempreche' l'interruzione di gravidanza o il parto
siano avvenuti da oltre due mesi; 
        che  nel  caso  di   specie,   ad   avviso   dell'Avvocatura,
sembrerebbero sussistere nei confronti della madre condannata tutti i
gravi elementi richiesti per l'adozione, anche in via  d'urgenza,  da
parte dell'autorita' giudiziaria  competente,  del  provvedimento  di
decadenza ex art. 330 cod. civ., con i conseguenti riflessi in ordine
al diniego del differimento provvisorio dell'esecuzione della pena; 
        che la disposizione censurata,  pertanto,  non  configgerebbe
con i parametri  costituzionali  evocati,  perche'  essa,  in  virtu'
dell'articolato sistema delineato al secondo comma, armonizzerebbe  e
bilancerebbe adeguatamente le esigenze di tutela  del  minore  e  del
rapporto  madre-figlio  e  quelle  di  sicurezza   sociale   connesse
all'esecuzione penale. 
    Considerato che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale,
sollevata dal Tribunale di sorveglianza di  Venezia,  investe  l'art.
146, primo comma, numeri 1) e 2), del codice penale, che  dispone  il
rinvio obbligatorio della pena  detentiva  se  deve  aver  luogo  nei
confronti di donna incinta o di madre di infante di eta' inferiore ad
un anno; 
        che, ad avviso del  rimettente,  la  disposizione  denunciata
violerebbe gli articoli 3, 27, terzo comma, e 30 della  Costituzione,
nella parte in cui  non  prevede  che  il  giudice  possa  negare  il
differimento della pena quando lo ritenga non adeguato alle finalita'
di prevenzione generale e di difesa sociale, sussista il pericolo  di
eccezionale rilevanza di commissione di altri delitti, la  detenzione
domiciliare non sia idonea a prevenire  il  pericolo  di  recidiva  e
l'espiazione della pena  possa  avvenire  senza  pregiudizio  per  le
esigenze di tutela dello stato  di  gravidanza  o  del  rapporto  del
minore infante con la madre; 
        che identica questione, sollevata dal medesimo  Tribunale  di
sorveglianza di Venezia  con  precedenti  ordinanze,  e'  gia'  stata
dichiarata manifestamente infondata da questa Corte  con  l'ordinanza
n. 145 del 2009; 
        che, in  tale  occasione,  la  Corte  ha  rilevato:  che  non
irragionevolmente il legislatore ha ritenuto, con riguardo al periodo
della gravidanza e al primo anno del bambino, che la  protezione  del
rapporto  madre-figlio  in  un  ambiente   idoneo   debba   prevalere
sull'interesse dello Stato all'esecuzione immediata della  pena;  che
il  rinvio  del  momento  esecutivo  non  esclude  la   funzione   di
intimidazione e dissuasione della pena, posto che non ci si trova  di
fronte ad una rinuncia sine die della esecuzione; che non costituisce
idoneo tertium comparationis la  disciplina  dettata  dall'art.  275,
comma 4, cod. proc. pen., ne' e' pertinente il richiamo  all'art.  19
del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286; che, infine, il  pericolo  che  la
maternita' venga utilizzata come scudo  per  ottenere  il  rinvio  e'
adeguatamente bilanciato dal fatto che il secondo comma dell'art. 146
cod. pen. prevede, tra le condizioni ostative  alla  concessione  del
differimento,  la  dichiarazione  di  decadenza  della  madre   dalla
potesta' sul figlio e  l'abbandono  o  l'affidamento  del  figlio  ad
altri; 
        che, pertanto, non essendo state  proposte  censure  nuove  e
diverse da quelle gia' esaminate da questa Corte, la  questione  deve
essere dichiarata manifestamente infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 146, primo comma, numeri  1)  e
2), del codice  penale  (rinvio  obbligatorio  dell'esecuzione  della
pena), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 30,
della Costituzione, dal Tribunale  di  sorveglianza  di  Venezia  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 ottobre 2009. 
                       Il Presidente: Amirante 
                       Il redattore: Maddalena 
                      Il cancelliere: Di Paola 
    Depositata in cancelleria il 19 ottobre 2009. 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola