N. 286 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 agosto 2009

Ordinanza del 31 agosto 2009  emessa  dal  Tribunale  di  Pesaro  nel
procedimento penale a carico di Diouf Ibrahima. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie  come  reato  -  Violazione  del
  principio  di  ragionevolezza  -  Contrasto  con  i   principi   di
  uguaglianza  e  di  personalita'  della  responsabilita'  penale  -
  Violazione del principio di solidarieta' - Contrasto con i principi
  in materia del diritto internazionale generalmente riconosciuto. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.  10-bis,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 10 e 27. 
(GU n.48 del 2-12-2009 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Nel processo penale a carico di Diouf Ibrahima nato in Senegal 29
settembre 1984, sedicente, in Italia senza fissa dimora  elett.  dom.
presso avv. Michele  Mariella  in  Pesaro,  dif.  fid.  avv.  Michele
Mariella di Pesaro, imputato del reato  di  cui  all'art.  14,  comma
5-ter, d.lgs. n. 286/1998 e successive modifiche (ex legge 15  luglio
2009,  n.  94)  perche',  senza  giustificato   motivo,   trasgrediva
all'ordine di lasciare  il  territorio  dello  Stato,  impartito  dal
Questore di Pesaro in data 18 giugno  2009,  emesso  sulla  base  del
decreto  prefettizio   di   espulsione   recante   la   stessa   data
(provvedimenti notificati all'imputato in pari data),  essendo  stato
controllato in territorio di Fano, in data 25 agosto 2009. 
    Accertato in Fano in data 25 agosto 2009.  Commesso  a  decorrere
dal 24 giugno 2009. 
    Premesso che: 
        1) Diouf Ibrahima e' stato identificato dal N.O.R.M.  dei  CC
di Fano in data 18 giugno 2009 e deferito al  Prefetto  di  Pesaro  e
Urbino perche' privo di titolo  di  soggiorno  nel  territorio  dello
Stato; 
        2) con decreto in data 18 giugno 2009 il  prefetto,  premesso
che Diouf Ibrahima, sedicente, ha dichiarato di  essere  entrato  nel
territorio dello Stato il giorno 28 agosto 2007 attraverso il  valico
di frontiera di Milano ma non ha richiesto il permesso  di  soggiorno
entro otto  giorni  lavorativi  dall'ingresso  nel  territorio  nello
Stato, senza giustificato motivo, ne  ha  ordinato  l'espulsione  dal
territorio nazionale delegando all'esecuzione il Questore di Pesaro e
Urbino; 
        3) nella stessa data 18 giugno 2009 il  questore,  «accertato
che non e' possibile eseguire con immediatezza l'espulsione  mediante
accompagnamento alla  frontiera  per  mancanza  di  documenti  idonei
all'espatrio» e «considerato che non sono  disponibili  posti  presso
C.I.E. dislocati sul territorio nazionale», ha ordinato ex  art.  14,
comma 5-bis del d.lgs. n. 286/1998  al  medesimo  Diouf  Ibrahima  di
lasciare il territorio dello Stato entro il termine di 5 giorni dalla
data della. notifica  del  provvedimento,  effettuata  il  18  giugno
stesso,  attraverso  la  frontiera  di  Milano-Malpensa,  ove  dovra'
esibire  tale  atto  al  personale  di  Polizia  di  frontiera,   con
avvertimento che nel caso si dovesse trattenere nel territorio  dello
Stato in violazione dei tale ordine senza giustificato  motivo  sara'
punito con la reclusione da uno a quattro anni e nei  suoi  confronti
si procedera' all'adozione di un nuovo  provvedimento  di  espulsione
con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica; 
        4) in data 25 agosto 2009 alle ore 9,00 circa, Diouf Ibrahima
e' stato controllato dai CC della stazione di Mondavio  in  localita'
viale Piceno del Comune di Fano in ed arrestato; 
        5) Diouf Ibrahim e' stato quindi presentato per la  convalida
dell'arresto e il giudizio direttissimo  all'udienza  del  26  agosto
2009; 
        6) nell'udienza Diouf, assistito da un interprete  di  lingua
francese, ha dichiarato di essere giunto in Italia il 28 luglio  2007
in  treno  dalla  Francia  ove  era  andato  in  aereo  dal  Senegal,
servendosi di un visto Schengen  procuratogli  da  un  amico  di  suo
padre; di essere privo di documenti di identita'  perche'  consegnati
al suo accompagnatore che e' ritornato in  Senegal;  di  avere  fatto
studi secondari e di essere venuto in Italia per studiare e lavorare,
ma di non avere potuto  fare  nulla  di  regolare  perche'  privo  di
documenti di identita'; di avere raccolto pomodori nel foggiano e  di
essere venuto nel pesarese per cercare altre possibilita' di studio e
lavoro. A specifica domanda  ha  dichiarato  di  avere  perfettamente
inteso il  contenuto  del  provvedimento  del  questore,  oltrettutto
scritto anche in  lingua  italiana,  ma  di  non  avervi  ottemperato
perche' confidava nella possibilita' di un lavoro che avrebbe  dovuto
procurargli il suo vecchio datore di lavoro foggiano; 
        7) nell'udienza 26 agosto  2009  il  giudice  ha  convalidato
l'arresto e, poiche' il p.m. non ha chiesto l'applicazione di  misure
cautelali, ha rimesso in liberta' Diouf Ibrahima; ha quindi  disposto
procedersi a giudizio direttissimo; 
        8) il difensore d'ufficio ha chiesto  un  termine  a  difesa,
anche per l'eventuale richiesta di riti alternativi,  il  giudice  ha
rinviato all'udienza del 31 agosto 2009, ore 9,00; 
        9) nell'udienza odierna l'imputato ha nominato  un  difensore
di fiducia e ha chiesto procedersi a giudizio abbreviato; 
        10) il pubblico ministero ha concluso chiedendo  la  condanna
dell'imputato, concesse le attenuanti generiche e con  la  diminuente
del rito, alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione; 
        11) il difensore, rilevata l'illegittimita'  dell'ordine  del
questore  per  mancanza  di  motivazione,  ha  chiesto  l'assoluzione
dell'imputato perche' il fatto non sussiste. In subordine ha  chiesto
l'applicazione della norma piu'  favorevole  all'imputato  costituita
dall'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998, entrata in vigore 1'8 agosto
2009. 
 
                            O s s e r v a 
 
    I) L'ordine del questore di lasciare il  territorio  dello  Stato
non era e non e' eseguibile dall'imputato. Se infatti, come espone il
questore, non e' stato possibile all'autorita' di pubblica  sicurezza
eseguire l'espulsione mediante  accompagnamento  alla  frontiera  per
mancanza di documenti idonei all'espatrio, non si vede  come  avrebbe
potuto lo stesso senegalese sedicente e  privo  di  documenti  idonei
all'espatrio ottenere l'imbarco al posto di frontiera  dell'aeroporto
di Malpensa. Non e' dato comprendere che cosa Diouf Ibrahima  avrebbe
potuto fare di piu' e di diverso rispetto al presentarsi al posto  di
frontiera da solo anziche' accompagnato dalla forza pubblica. 
    II) Sussiste pertanto un giustificato  motivo  all'inottemperanza
all'ordine del  questore,  che  comporta  l'insussistenza  del  reato
mancando una  componente  essenziale  dell'elemento  materiale  dello
stesso, costituito dal trattenersi nel territorio dello  Stato  senza
giustificato motivo. 
    III) Il reato contestato a Diouf Ibrahima non  sussiste  comunque
anche per un altro  motivo:  il  provvedimento  18  giugno  2009  del
questore e' illegittimo per assoluta carenza  e  comunque  insanabile
contraddittorieta'  della  motivazione   e   deve   pertanto   essere
disapplicato dal giudice. In base al disposto dell'art. 14,  comma  1
del d.lgs. n. 286/1998, l'espulsione deve  essere  eseguita  mediante
accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.  Qualora
siano  necessari  accertamenti  supplementari  in  ordine  alla   sua
identita' o nazionalita' ...il questore dispone che lo straniero  sia
trattenuto per il tempo strettamente necessario presso un  centro  di
identificazione ed espulsione (C.I.E.). In base al disposto dell'art.
14, comma 5-bis, soltanto qualora non sia stato possibile  trattenere
lo straniero presso  un  centro  di  identificazione  ed  espulsione,
ovvero siano trascorsi i termini di permanenza  senza  aver  eseguito
l'espulsione o il respingimento, il questore ordina allo straniero di
lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni.
Ovviamente l'emissione dell'ordine presuppone una condizione che  non
e'  espressamente  prevista  dalla  legge  ma  che   deve   ritenersi
implicita, cioe' che l'ordine sia almeno astrattamente eseguibile, ed
eseguibile legalmente, cioe' nel rispetto delle norme  di  legge.  La
pubblica amministrazione non puo' emettere un ordine di cui sia certa
ab origine l'ineseguibilita'  in  forma  legale  (nella  specie,  per
mancanza di documenti idonei  all'espatrio),  o  che  sia  eseguibile
soltanto con modalita' illegali (espatrio clandestino). Si tratta  di
elementari  applicazioni  del  principio  di   legalita'   che   deve
caratterizzare ogni atto della  p.a.  Di  fronte  all'ineseguibilita'
attuale dell'espatrio  il  questore  avrebbe  dovuto  soprassedere  e
cercare una soluzione pratica per svolgere gli accertamenti necessari
ai fini della identificazione dello straniero e della acquisizione di
documentazione  idonea  all'espatrio.   Una   cosa   e'   certa:   il
riconoscimento   dell'impossibilita'   della    p.a.    di    attuare
coattivamente l'espulsione dello straniero  mediante  accompagnamento
alla frontiera  per  mancanza  di  documenti  idonei  all'espatrio  e
l'ordine impartito allo straniero di  lasciare  il  territorio  dello
Stato   presentandosi   alla   frontiera,   sono   evidentemente    e
insanabilmente contraddittori e illogici, e privano  di  una  vera  e
valida motivazione il provvedimento del questore,  determinandone  la
disapplicazione da parte del giudice. 
    IV) In base alle considerazioni che precedono il reato ascritto a
Diouf  Ibrahima  deve  ritenersi  pertanto   insussistente.   Poiche'
tuttavia all'imputato e' contestata una inottemperanza all'ordine del
questore protratta dal 24 giugno 2009, data di scadenza  del  termine
di cinque giorni assegnatogli dal questore, al 25 agosto  2009,  data
dell'arresto, si deve  verificare  se  la  condotta  consistente  nel
trattenersi nel territorio dello Stato sia diversamente qualificabile
con riferimento  alla  previsione  dell'art.  10-bis  del  d.lgs.  n.
286/1998, introdotto dalla legge n. 94/2009,  entrata  in  vigore  in
data 8 agosto 2009, secondo cui: «Salvo che il fatto costituisca piu'
grave reato, Io straniero che fa ingresso  ovvero  si  trattiene  nel
territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente
testo unico nonche' di quelle di cui all'art. l della legge 28 maggio
2007, n. 68, e' punito con l'ammenda da 5.000 a 10.000  euro...».  Si
tratta di una disposizione che introduce due nuove figure  di  reato,
la prima di natura istantanea (ingresso illegale nel territorio dello
Stato), la seconda  permanente  (soggiorno  illegale  nel  territorio
dello Stato). 
    V)  La  nuova  figura  del   soggiorno   illegale   si   attaglia
perfettamente alla condotta di Diouf Ibrahima dall'8 agosto alla data
dell'arresto. Del nuovo reato sussistono tutti gli elementi, peraltro
semplici: il trattenersi nel territorio dello Stato  e  l'illegalita'
dello stesso, non con riferimento l'  ordine  del  questore  ma  alla
violazione delle disposizioni del testo  unico,  precisamente,  nella
specie, dell'art.  5  che  prevede  la  necessita'  del  permesso  di
soggiorno o di altro titolo legalmente rilasciato. 
    VI) A questo punto il giudice dovrebbe  pronunciare  sentenza  di
assoluzione dal reato di cui all'art. 14, comma 5-ter,  limitatamente
all'inottemperanza protratta fino al 7agosto 2009, perche'  il  fatto
non sussiste e, qualificata la  condotta  di  Diouf  Ibrahima  dall'8
agosto al giorno dell'arresto come soggiorno illegale nel  territorio
dello Stato ex art. 10-bis, dichiarare la colpevolezza  dell'imputato
e condannarlo alla pena di legge. Il giustificato  motivo  costituito
dalla impossibilita' di lasciare legalmente il territorio dello Stato
per mancanza di documenti idonei all'espatrio, evidenziato  ai  punti
I) e  II),  non  e'  infatti  previsto  dall'art.  10-bis  e  non  e'
applicabile per analogia, tenuto conto  della  ratio  della  norma  e
dell'intenzione del legislatore, diretta  ad  impedire  drasticamente
sia l'ingresso che il trattenimento non regolare dello straniero  nel
territorio dello Stato. Il giudice tuttavia ritiene  di  non  potersi
pronunciare in questi termini poiche' rileva molteplici elementi  che
rendono non manifestamente infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis del Testo Unico. 
    VII) Sia nel corso dei lavori  parlamentari  che  successivamente
alla promulgazione ed  entrata  in  vigore  della  legge  sono  state
sollevate severe osservazioni critiche nei confronti della  legge,  e
in particolare delle disposizioni recanti l'introduzione delle  nuove
figure di reato, ritenuta incostituzionale e  comunque  incompatibile
con la civilta' del nostro Paese. Al fine di illustrare il  contenuto
delle posizioni critiche riguardanti l'introduzione dei  nuovi  reati
e' utile riprodurre il testo dell'appello 30 giugno 2009  di  insigni
giuristi, appartenenti ad aree culturali e ideologiche diverse, a cui
hanno successivamente aderito numerosi cittadini, e le considerazioni
provenienti da aree significative del volontariato sociale, laiche  e
religiose, espressive le prime di penetranti critiche della normativa
sotto il profilo giuridico costituzionale,  le  seconde  dell'impatto
previsto sulla societa' e sui valori fondamentale, soprattutto  sulla
solidarieta'. 
    VIII)  Dall'appello  di   giuristi   30   giugno   2009:   «...In
particolare,  riteniamo  necessario  richiamare  l'attenzione   della
discussione pubblica sulla  norma  che  punisce  a  titolo  di  reato
l'ingresso e il soggiorno illegale  dello  straniero  nel  territorio
dello Stato, una norma che, a nostro avviso, oltre ad  esasperare  la
preoccupante  tendenza  all'uso  simbolico  della  sanzione   penale,
criminalizza mere condizioni personali e presenta molteplici  profili
di illegittimita' costituzionale. La norma e',  anzitutto,  priva  di
fondamento  giustificativo,  poiche'  la  sua  sfera  applicativa  e'
destinata a sovrapporsi integralmente a quella dell'espulsione  quale
misura   amministrativa,   il   che   mette   in   luce    l'assoluta
irragionevolezza della nuova figura di reato; inoltre,  il  ruolo  di
extrema ratio che deve rivestire la sanzione penale impone  che  essa
sia utilizzata, nel rispetto del principio di proporzionalita',  solo
in mancanza di altri strumenti idonei al raggiungimento dello  scopo.
Ne'  un  fondamento  giustificativo  del  nuovo  reato  puo'   essere
individuato sulla base di una presunta  pericolosita'  sociale  della
condizione del migrante irregolare: la Corte costituzionale (sent. 78
del  2007)  ha  infatti  gia'  escluso  che  la  condizione  di  mera
irregolarita' dello straniero sia sintomatica  di  una  pericolosita'
sociale dello stesso, sicche' la criminalizzazione di tale condizione
stabilita dal disegno di legge si  rivela  anche  su  questo  terreno
priva di fondamento giustificativo. L'ingresso o la presenza illegale
del singolo straniero dunque non rappresentano,  di  per  se',  fatti
lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l'espressione  di
una condizione individuale, la condizione di  migrante:  la  relativa
incriminazione, pertanto, assume un connotato discriminatorio ratione
subiecti contrastante non solo con il principio  di  eguaglianza,  ma
con la fondamentale garanzia costituzionale  in  materia  penale,  in
base alla quale si puo'  essere  puniti  solo  per  fatti  materiali.
L'introduzione del reato in esame, inoltre, produrrebbe una  crescita
abnorme di ineffettivita' del sistema penale, gravato di centinaia di
migliaia di ulteriori processi privi  di  reale  utilita'  sociale  e
condannato  per  cio'  alla  paralisi.  Ne'  questo  effetto  sarebbe
scongiurato dalla attribuzione della relativa cognizione  al  giudice
di pace (con alterazione degli attuali criteri di ripartizione  della
competenza tra magistratura professionale e magistratura  onoraria  e
snaturamento della fisionomia di quest'ultima): da un lato perche' la
paralisi non e' meno grave se investe il settore di giurisdizione del
giudice di pace, dall'altro per le ricadute sul  sistema  complessivo
delle impugnazioni, gia' in grave sofferenza.  Rientra  certo  tra  i
compiti   delle   istituzioni   pubbliche   ''regolare   la   materia
dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici  interessi  pubblici
da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi  a  flussi  migratori
incontrollati''  (Corte   cost.,   sent.   n.   5   del   2004),   ma
nell'adempimento di tali compiti il legislatore deve  attenersi  alla
rigorosa osservanza dei principi fondamentali del sistema  penale  e,
ferma restando la sfera di discrezionalita'  che  gli  compete,  deve
orientare la sua azione a canoni di razionalita'  finalistica,  ''Gli
squilibri e le forti tensioni che  caratterizzano  le  societa'  piu'
avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, si' che (...)
non si puo' non cogliere con preoccupata inquietudine l'affiorare  di
tendenze, o  anche  soltanto  tentazioni,  volte  a  'nascondere'  la
miseria e a considerare le persone in  condizioni  di  poverta'  come
pericolose  e  colpevoli''.  Le  parole  con  le   quali   la   Corte
costituzionale dichiaro' l'illegittimita' del reato di  ''mendicita''
di cui all'art. 670, comma 1, cod.  pen.  (sent.  n.  519  del  1995)
offrono ancora oggi una guida per affrontare  questioni  come  quella
dell'immigrazione con  strumenti  adeguati  allo  loro  straordinaria
complessita' e rispettosi delle  garanzie  fondamentali  riconosciute
dalla Costituzione a tutte le persone». 
    IX) Da un documento di sintesi di interventi  di  personalita'  e
gruppi di volontariato religiosi e civili pubblicato il 5 luglio 2009
(si omettono sigle e nomi): «Come cittadini italiani riteniamo che il
provvedimento varato oggi al Senato sia  un  vero  e  proprio  ''atto
eversivo'' verso la civilta' del diritto espressa nella Dichiarazione
universale dei diritti umani (la dignita' della persona umana), nella
Costituzione italiana (articoli 2 e 3), in tanti testi delle  Nazioni
Unite il cui spirito e' presente nella Dottrina sociale della Chiesa,
orientata ad affermare il ''bene comune'', che e' il bene di tutti  e
di ciascuno, sintesi di liberta' e giustizia. Come credenti  nel  Dio
che tutti ama e nel Vangelo di Cristo ''nostra  pace''  pensiamo  che
per i cristiani nessuno sia straniero  e,  soprattutto,  che  nessuno
straniero sia di  per  se'  un  delinquente.  Chi  ostenta  i  valori
cristiani conosce le parole di Cristo  ''Ero  straniero  e  mi  avete
accolto'' (Matteo 25), ...Rinnoviamo l'appello ad operare con urgente
fermezza per respingere la deriva autoritaria  e  totalitaria  basata
sulla logica dello straniero-nemico  che  nasconde  i  veri  pericoli
della  criminalita'  organizzata,  della   corruzione   economica   e
politica, del degrado etico e che alimenta la paura, eccita gli animi
al peggio, diffonde modelli di violenza e prepara mali piu' grandi...
Dolore e orrore. Il 2 luglio 2009 e' stata votata una legge che rompe
l'unita' della famiglia umana e ne offende la dignita', prende  piede
l'idea che esistano esseri umani di seconda e terza  categoria  ,  un
popolo  di  ''non  persone'',  di  esseri  umani,  uomini   e   donne
invisibili. E una perdita totale di  senso  morale  e  di  sentimento
dell'umano; questo accade, nel nostro Paese che ha  prodotto  milioni
di emigranti. La legge ''portera'  solo  dolore''...Il  dolore  nasce
dall'orrore  giuridico  e  civile  del  ''reato  di  clandestinita'',
dall'idea del povero come delinquente e della poverta' come reato. La
legge votata non e' solo contraria  alla  nostra  Costituzione  ma  a
tutta la civilta' del Diritto. Punisce  una  condizione  di  nascita,
l'essere straniero, invece che la commissione di un  reato.  Dichiara
reato una condizione anagrafica. ...A questo punto, quanti  stranieri
frequenteranno un servizio sociale  o  si  rivolgeranno,  se  vittime
della ''tratta'', ad associazioni volontarie o  istituzionali,  forze
di Polizia comprese, oggi messe in un angolo dalla  diffusione  delle
cosiddette ''ronde''? Quanti stranieri andranno a far registrare  una
nascita, si presenteranno in ospedale per farsi curare?  Quali  gravi
conseguenze questo potra' produrre sulla salute di tutti i  cittadini
e' gia' stato  evidenziato  da  moltissime  associazioni  di  medici.
....La legge e' pericolosa perche' accrescera' la clandestinita'  che
dice di combattere, favorira' il ''si salvi chi puo'',  dara'  spazio
alla criminalita' organizzata, aumentando l'insicurezza di tutti. Non
c'e' futuro senza solidarieta'. La legge, tra l'altro, e' inutilmente
crudele ...Ci fa tornare ai tempi della discriminazione razziale.  E'
una forma di accanimento contro i poveri anche se  la  poverta'  piu'
grande, oggi, e' la nostra: poverta' di  coraggio,  di  umanita',  di
capacita' di  scommettere  sugli  altri,  di  costruire  insieme  una
sicurezza comune. La sicurezza basata sulla paura sta  diventando  un
alibi per norme ingiuste e dannose, per  scaricare  il  malessere  di
molti  italiani  sugli  immigrati,  capro  espiatorio  della   crisi,
bersaglio facile su cui sfoghiamo il tramonto di ogni etica condivisa
e della  testimonianza  cristiana,  La  tutela  della  vita  e  della
dignita' umana va assunta nella sua interezza per  tutti  e  in  ogni
momento dell'esistenza. ''Non c'e' futuro senza solidarieta''...  Non
c'e' sicurezza senza l'aiuto reciproco, senza l'esercizio dei diritti
e dei doveri dentro un'azione comune per il bene comune». 
    X) Questo giudice condivide integralmente i rilievi critici  alla
normativa in questione,  sia  sotto  il  profilo  giuridico  che  con
riferimento ai valori fondamentali  da  questa  messi  a  rischio,  e
osserva che proprio dalle osservazioni  di  coloro  che  operano  sul
campo nei rapporti diretti con le persone immigrate  deve  trarsi  un
ulteriore  profilo  di  illegittimita'  costituzionale  concretantesi
nella gravissima  lesione  del  principio  di  solidarieta'  umana  e
sociale che  permea  l'intera  Costituzione  e  che  e'  espresso  in
particolare negli artt. 2, 3, 4. 
    XI) Si e' osservato che la norma in  questione  e'  priva  di  un
fondamento giustificativo, di razionalita'  giuridico-costituzionale.
E' ben vero che la norma e' praticamente priva  di  effetti  concreti
nei confronti della  maggior  parte  degli  immigrati  non  regolari,
poiche' praticamente nessuno sarebbe in grado di  pagare  la  pesante
ammenda prevista, da 5.000 a 10.000  euro,  o  di  essere  sottoposto
utilmente alla esazione coatta  di  tale  somma.  La  sanzione  vera,
effettiva nei confronti dell'immigrato  irregolare  e'  l'espulsione,
peraltro gia' prevista  e  possibile  anche  prima  dell'introduzione
delle nuove figure di reato. Tuttavia, in  realta',  un  criterio  di
razionalita',   di   perversa   razionalita',   c'e'    e    consiste
nell'obiettivo e nella predisposizione di strumenti idonei a  rendere
la vita impossibile all'immigrato non regolare, a fare terra bruciata
intorno a lui, a minare radicalmente  la  possibilita'  stessa  della
solidarieta'  nei  suoi  confronti.  Questo  obiettivo  si   realizza
mediante gli effetti che a cascata conseguono all'introduzione  delle
nuove figure di reato, in particolare, per quanto riguarda il caso di
specie, all'introduzione del reato di soggiorno illegale. 
    XII)  La  configurazione  come  reato  dell'immigrazione  e   del
soggiorno non regolari comporta la configurabilita' del concorso  nel
reato ex art. 110 c.p. a carico di tutti  coloro  che  esprimono  nei
confronti del c.d. «clandestino»  concreta  e  fattiva  solidarieta',
accogliendolo, ospitandolo, aiutandolo a trovare alloggio, a nutrirsi
e a fare qualche attivita' per sostentarsi. Non si  parla  ovviamente
delle  condotte  di  sfruttamento  dell'immigrato  irregolare,   gia'
severamente e giustamente  perseguite  e  punite,  ma  della  pura  e
semplice solidarieta', quella  di  chi,  gratuitamente,  obbedendo  a
valori laici o  religiosi,  comunque  al  principio  e  dovere  della
solidarieta' umana e sociale, accoglie e  aiuta  la  persona  povera,
bisognosa di tutto. La configurabilita' del concorso nel reato  opera
come deterrente nei confronti  degli  altri,  i  cittadini,  e  degli
stessi immigrati «regolari» posti a  rischio  di  espulsione  a  loro
volta se aiutano un connazionale, sterilizza appunto la solidarieta'.
La contravvenzione con ammenda salatissima, inutile e inefficace  per
l'immigrato irregolare, e'  invece  efficacissima  nei  confronti  di
tutti gli altri. 
    XIII)  Questa  grave  ricaduta  della  norma  sulla  societa'  e'
accentuata da un'altra conseguenza: l'obbligo di denuncia del  reato,
la cui inosservanza e' sanzionata penalmente, da parte  dei  pubblici
ufficiali e degli incaricati  di  pubblico  servizio  che  vengano  a
conoscenza della condizione di immigrato  irregolare  a  causa  o  in
occasione dell'esercizio delle loro funzioni. La gamma  dei  pubblici
ufficiali e degli incaricati di  pubblico  servizio  e'  notoriamente
vastissima e il timore della denuncia  costringerebbe  gli  stranieri
non  regolari,  anzi  costringe  perche'  gia'  questi  effetti  sono
palpabili, a vivere nella  paura,  nell'isolamento,  in  una  vera  e
propria clandestinita'. Inumana, degradante, e questa  si  pericolosa
per la sicurezza. Le deroghe all'obbligo di denuncia  previste  dalla
legge per i  sanitari  e  per  gli  operatori  scolastici  riguardano
soltanto ristretti ambiti di vita e comunque non sono sufficienti per
dare  agli  immigrati  non  regolari   una   vera   sicurezza   anche
nell'accesso a questi servizi, poiche' questo comporta  comunque  una
emersione, una visibilita', e le molteplici formalita'  connesse,  ad
esempio l'obbligo di indicare all'Autorita' di P.S. la residenza  nel
caso di accoglienza di  un  giovane  immigrato  non  regolare  in  un
convitto scolastico, producono gli stessi effetti di una denuncia. 
    XIV) In sintesi, si  puo'  affermare  che  la  norma  introdotta,
apparentemente  superflua  e  inefficace,  raggiunge  in  realta'  il
risultato di fare terra bruciata attorno all'immigrato non  regolare,
di minare radicalmente la possibilita' e lo spirito di  solidarieta'.
Di fatto contribuisce  a  trasformare  la  societa'  da  solidale  in
ostile, da accogliente in escludente, a diffondere  nella  mentalita'
popolare l'ostilita' per qualunque tipo di diversita',  a  diffondere
la  disponibilita'  alla  delazione  e  anche  alla  violenza,   come
purtroppo le cronache, anche recenti, mostrano. In sintesi, la  norma
introdotta  viola  la  Costituzione  perche'  favorisce  e  induce  a
comportamenti e a prassi che  contrastano  e  mettono  a  rischio  il
principio fondamentale della solidarieta' umana  e  sociale,  che  la
Costituzione, al contrario, pone come valore primario da realizzare e
promuovere (in particolare art. 2 e 3). 
    XV)  La  configurazione  come  reato  dell'immigrazione   e   del
soggiorno non regolari appare inoltre in contrasto con  principi  del
diritto internazionale generalmente riconosciuti. La regolamentazione
dei fenomeni migratori e' certamente un'esigenza legittima, affermata
sia  nelle  convenzioni   internazionali   che   nelle   legislazioni
nazionali. E' altrettanto legittima la previsione di sanzioni  penali
a carico degli stranieri che contravvengono  ad  obblighi  o  divieti
loro imposti dalle autorita' qualora venga loro negato o limitato  il
diritto a entrare o a soggiornare nel territorio  di  uno  Stato.  Le
convenzioni internazionali e le legislazioni degli Stati generalmente
riservano alla fase del tentativo di immigrazione e  delle  verifiche
relative alla sua accettabilita',  normative  e  sanzioni  di  natura
amministrativa. Cio' perche' piu' adatte a governare in  modo  «mite»
un fenomeno estremamente complesso, globale, che costituisce comunque
espressione o conseguenza di situazioni di poverta', di  oppressione,
diffuse in ampie aree del mondo, sovente riferibili a responsabilita'
storiche degli Stati ex coloniali e, piu' recenti, del sistema  dello
sfruttamento  economico  neocoloniale   dei   Paesi   poveri.   Nelle
convenzioni internazionali la condizione dello straniero, anche dello
straniero   «non   regolare»   viene   guardata   con   comprensione,
benevolenza, nella evidente consapevolezza che il migrante si  muove,
abbandona la propria terra e cerca una nuova  patria  per  uscire  da
condizioni  di  poverta',  di  oppressione,  per   trovare   migliori
condizioni di vita per se' e  per  la  propria  famiglia.  Non  viene
guardato in primo luogo come un possibile o certo criminale  ma  come
un essere umano che si muove nel mondo  esercitando,  in  certo  qual
modo, il diritto nativo,  originario,  di  cittadino  del  mondo,  di
compartecipe con tutti gli altri uomini e  donne  della  «proprieta'»
della terra e del diritto  a  goderne  per  una  esistenza  libera  e
dignitosa. 
    Espressioni di questo atteggiamento  si  trovano  in  particolare
nella  Dichiarazione   universale   dei   diritti   umani   approvata
dall'Assemblea generale delle Nazioni  Unite  il  10  dicembre  1948,
nella Convenzione O.I.L. sui lavoratori migranti  n.  143  del  1975,
ratificata con legge n. 158/1981 e nella  Convenzione  internazionale
sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori  emigranti  e  dei
membri delle loro famiglie, approvata dall'Assemblea  generale  delle
Nazioni Unite il 18 dicembre 1990, entrata in  vigore  il  1°  luglio
2003, non ancora ratificata dall'Italia e da altri Stati europei.  La
Dichiarazione universale riconosce il diritto  di  ogni  individuo  a
lasciare qualsiasi Paese, incluso il  proprio,  e  di  ritornare  nel
proprio Paese (art. 13). E, mentre riconosce il diritto di cercare  e
di godere in altri Paesi asilo  dalle  persecuzioni  (art.  14),  non
sembra potersi negare il riconoscimento  del  diritto  quantomeno  di
cercare, se non di ottenere, in altri Paesi lavoro, cibo e condizioni
di vita umane. Giova richiamare a questo riguardo le parole di Louise
Arbour, Alto Commissario ONU per i diritti umani, il 18 giugno  2008,
dopo l'approvazione da parte del Parlamento europeo  della  direttiva
sui respingimenti e sulle espulsioni: «... e' il momento di concedere
gli stessi benefici anche a coloro che vivono sotto  la  minaccia  di
una estrema poverta', della fame, delle malattie, soprattutto  quelle
epidemiche, pericoli  dai  quali  hanno  il  diritto  di  tentare  di
fuggire». Le Convenzioni O.I.L. e  ONU  riconoscono  come  persone  e
soggetti di diritti tutti i migranti, sia regolari che  non  regolari
(art. 24 O.N.U.). L'art. 1. della Conv.  O.I.L.  dichiara  che  «Ogni
membro per cui la presente convenzione  sia  in  vigore  s'impegna  a
rispettare i diritti fondamentali dell'uomo  di  tutti  i  lavoratori
migranti». Tra questi deve comprendersi il diritto al lavoro  e  alla
possibilita'  di  assicurare  a  se'  e  alla  propria  famiglia  una
esistenza  conforme  alla  dignita'  umana,  solennemente  proclamato
dall'art  23  della  Dichiarazione  universale.   L'art.   19   della
Convenzione  O.N.U.,  oltre  alla  enunciazione  del   principio   di
legalita' della legge penale, al secondo comma,  formulando  come  un
suggerimento a legislatori  e  giudici  nei  processi  penali  contro
stranieri migranti, regolari e non regolari, recita testualmente: «Si
dovrebbe tenere conto  di  considerazioni  umanitarie  relative  alla
condizione di un lavoratore emigrante, in particolare rispetto al suo
diritto di residenza o lavoro, nell'emanare una sentenza per un reato
commesso da  un  lavoratore  emigrante  o  da  un  membro  della  sua
famiglia» (altro che aggravante  ex  art.  61,  n.11-bis  c.p.!).  In
sostanza dalle  convenzioni  internazionali  emerge  una  figura  del
migrante, anche non regolare, come persona dotata di  piena  dignita'
umana e degna del massimo rispetto nella sua ricerca di condizioni di
vita  piu'  umane.  Quindi  una   persona   che   dovra'   certamente
assoggettarsi alle normative dei singoli Stati dirette  a  verificare
se nel caso concreto l'immigrazione sia  legalizzabile,  ma  che  non
potra' essere considerato, per definizione, un criminale  o  comunque
per cio' stesso imputato di reato nel momento in cui si  affaccia  ai
patrii confini o viene sorpreso sul  territorio  dello  Stato.  Anche
sotto questo profilo la nuova normativa  appare  quindi  contrastante
con la Costituzione. 
    XVI) Il Presidente della Repubblica,  nella  lettera  inviata  al
Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle Camere in
data 15 luglio 2009 immediatamente dopo avere promulgato la legge  n.
94/2009,  ha  evidenziato,   insieme   ad   altre   «perplessita'   e
preoccupazioni»,  «...la  circostanza  che  la   nuova   ipotesi   di
trattenimento indebito  non  preveda  la  esimente  della  permanenza
determinata da  ''giustificato  motivo''».  La  Corte  costituzionale
(sentenze n. 572004 e 22/2007) ha  sottolineato  il  rilievo  che  la
esimente  puo'  avere  ai  fini  della  «tenuta   costituzionale   di
disposizioni del genere di quella  ora  introdotta».  Questo  giudice
condivide  tale  perplessita'  e  rileva  che,   si   qualifichi   il
giustificato motivo come  esimente  o  si  consideri,  come  parrebbe
doversi desumere dalla formulazione dell'art.  14,  comma  5-ter,  la
mancanza di giustificato motivo come parte  integrante  dell'elemento
materiale del reato, la mancata  previsione  dello  stesso  nell'art.
10-bis, considerata la sostanziale  analogia  con  l'art.  14,  comma
5-ter, appare  integrare  un  ulteriore  elemento  di  irrazionalita'
normativa e disparita' di trattamento tra persone imputate  di  fatti
analoghi. 
    XVII) In sintesi, per i motivi esposti, l'art. 10-bis nella parte
in cui prevede come reato il soggiorno illegale nel territorio  dello
Stato  appare  contrastante  con  i   seguenti   principi   e   norme
costituzionali: 
        a) con il principio di ragionevolezza che,  nelle  sue  varie
espressioni (razionalita' finalistica, adeguatezza dei mezzi ai fini,
proporzionalita', rispetto  sostanziale  dei  valori  fondanti  della
Costituzione), in  base  alla  elaborazione  giurisprudenziale  della
Corte costituzionale, deve  presiedere  all'esercizio  dell'attivita'
legislativa in materia penale; 
        b) con  il  principio  di  uguaglianza  (art.  3)  e  con  il
principio di personalita'  della  responsabilita'  penale  (art.  27)
poiche', sanzionando penalmente in modo indiscriminato gli  stranieri
che soggiornano illegalmente nel territorio dello  Stato,  presuppone
arbitrariamente riguardo a tutti l'esistenza  di  una  condizione  di
pericolosita' sociale, che, per giustificare  l'affermazione  di  una
responsabilita' penale, deve invece essere accertata  in  concreto  e
con riferimento alle singole persone; 
        c) con il principio di solidarieta' (artt. 2  e  3,  primo  e
secondo  comma)  poiche'  con  la  previsione  indiscriminata   della
illiceita' penale del soggiorno non  regolare  nel  territorio  dello
Stato di persone migranti, generalmente sospinte a  cercare  migliori
condizioni di vita dalla poverta'  e  dall'oppressione  sofferte  nei
propri Paesi e  per  effetto  delle  conseguenze  normative  di  tale
previsione, provoca un  radicale  mutamento  nello  spirito  e  negli
atteggiamenti dei  cittadini,  degli  stranieri  «regolari»  e  della
societa' nel suo complesso, nei confronti di persone in condizioni di
poverta', obiettive difficolta' di vita, bisognose di solidarieta'  e
accoglienza,  un  indurimento  degli  animi  e   dei   comportamenti,
suscettibile oltrettutto di estendersi anche ad altre  situazioni  di
«diversita'» ed emarginazione (non sembra estraneo  al  mutato  clima
sociale favorito dalla logica amico/nemico, il ripetersi frequente di
comportamenti ostili e aggressivi nei confronti di varie categorie di
«diversi», come le persone omosessuali, i  rom,  gli  stranieri).  Il
contrario  di  quella   societa'   aperta   e   solidale,   costruita
sull'accoglienza, sulla promozione e sulla  emancipazione  di  coloro
che sono in condizione svantaggiata, voluta dai costituenti; 
        d) con l'art. 10 della Costituzione poiche' la configurazione
come reato del soggiorno non regolare dello straniero nel  territorio
dello  Stato  contrasta  con  i  principi  affermati  in  materia  di
immigrazione nel  diritto  internazionale  generalmente  riconosciuto
(non rilevando al riguardo la ratifica da parte dell'Italia); 
        e) con gli artt. 3  e  27  della  Costituzione  per  l'omessa
previsione  della  mancanza  di  giustificato  motivo  come  elemento
costitutivo del reato o quantomeno come esimente codificata. 
    XVIII) Le questioni di costituzionalita' sopra enunciate appaiono
a questo giudice serie e comunque non manifestamente infondate.  Esse
sono inoltre rilevanti nel processo poiche', se accolte  dalla  Corte
costituzionale, con la  conseguente  declaratoria  di  illegittimita'
della norma denunciata, comporterebbero  l'assoluzione  dell'imputato
Diouf Ibrahima anche dal reato  di  cui  all'art.  10-bis  d.P.R.  n.
286/1998 e succ. mod.  In  sostanza,  il  giudizio  non  puo'  essere
definito   indipendentemente   dalla   risoluzione   delle   suddette
questioni. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 137 della Costituzione, 1  della  legge  cost.  9
febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza; 
    Solleva  d'ufficio  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 10-bis del decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286,
introdotto dall'art. 1, comma 16 a) della legge 15  luglio  2009,  n.
94, nella parte in cui prevede come reato il  fatto  dello  straniero
che si trattiene nel  territorio  dello  Stato  in  violazione  delle
disposizioni del medesimo testo unico, con riferimento agli  articoli
2, 3, 10, 27, della Costituzione nonche' del principio costituzionale
di ragionevolezza della legge penale. 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso. 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e  comunicata  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Pronunciata in Pesaro, nell'udienza in Camera  di  consiglio,  in
data 31 agosto 2009. 
 
                        Il giudice: Andreucci