N. 286 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 agosto 2009
Ordinanza del 31 agosto 2009 emessa dal Tribunale di Pesaro nel procedimento penale a carico di Diouf Ibrahima. Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato - Configurazione della fattispecie come reato - Violazione del principio di ragionevolezza - Contrasto con i principi di uguaglianza e di personalita' della responsabilita' penale - Violazione del principio di solidarieta' - Contrasto con i principi in materia del diritto internazionale generalmente riconosciuto. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. - Costituzione, artt. 2, 3, 10 e 27.(GU n.48 del 2-12-2009 )
IL TRIBUNALE Nel processo penale a carico di Diouf Ibrahima nato in Senegal 29 settembre 1984, sedicente, in Italia senza fissa dimora elett. dom. presso avv. Michele Mariella in Pesaro, dif. fid. avv. Michele Mariella di Pesaro, imputato del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/1998 e successive modifiche (ex legge 15 luglio 2009, n. 94) perche', senza giustificato motivo, trasgrediva all'ordine di lasciare il territorio dello Stato, impartito dal Questore di Pesaro in data 18 giugno 2009, emesso sulla base del decreto prefettizio di espulsione recante la stessa data (provvedimenti notificati all'imputato in pari data), essendo stato controllato in territorio di Fano, in data 25 agosto 2009. Accertato in Fano in data 25 agosto 2009. Commesso a decorrere dal 24 giugno 2009. Premesso che: 1) Diouf Ibrahima e' stato identificato dal N.O.R.M. dei CC di Fano in data 18 giugno 2009 e deferito al Prefetto di Pesaro e Urbino perche' privo di titolo di soggiorno nel territorio dello Stato; 2) con decreto in data 18 giugno 2009 il prefetto, premesso che Diouf Ibrahima, sedicente, ha dichiarato di essere entrato nel territorio dello Stato il giorno 28 agosto 2007 attraverso il valico di frontiera di Milano ma non ha richiesto il permesso di soggiorno entro otto giorni lavorativi dall'ingresso nel territorio nello Stato, senza giustificato motivo, ne ha ordinato l'espulsione dal territorio nazionale delegando all'esecuzione il Questore di Pesaro e Urbino; 3) nella stessa data 18 giugno 2009 il questore, «accertato che non e' possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera per mancanza di documenti idonei all'espatrio» e «considerato che non sono disponibili posti presso C.I.E. dislocati sul territorio nazionale», ha ordinato ex art. 14, comma 5-bis del d.lgs. n. 286/1998 al medesimo Diouf Ibrahima di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di 5 giorni dalla data della. notifica del provvedimento, effettuata il 18 giugno stesso, attraverso la frontiera di Milano-Malpensa, ove dovra' esibire tale atto al personale di Polizia di frontiera, con avvertimento che nel caso si dovesse trattenere nel territorio dello Stato in violazione dei tale ordine senza giustificato motivo sara' punito con la reclusione da uno a quattro anni e nei suoi confronti si procedera' all'adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica; 4) in data 25 agosto 2009 alle ore 9,00 circa, Diouf Ibrahima e' stato controllato dai CC della stazione di Mondavio in localita' viale Piceno del Comune di Fano in ed arrestato; 5) Diouf Ibrahim e' stato quindi presentato per la convalida dell'arresto e il giudizio direttissimo all'udienza del 26 agosto 2009; 6) nell'udienza Diouf, assistito da un interprete di lingua francese, ha dichiarato di essere giunto in Italia il 28 luglio 2007 in treno dalla Francia ove era andato in aereo dal Senegal, servendosi di un visto Schengen procuratogli da un amico di suo padre; di essere privo di documenti di identita' perche' consegnati al suo accompagnatore che e' ritornato in Senegal; di avere fatto studi secondari e di essere venuto in Italia per studiare e lavorare, ma di non avere potuto fare nulla di regolare perche' privo di documenti di identita'; di avere raccolto pomodori nel foggiano e di essere venuto nel pesarese per cercare altre possibilita' di studio e lavoro. A specifica domanda ha dichiarato di avere perfettamente inteso il contenuto del provvedimento del questore, oltrettutto scritto anche in lingua italiana, ma di non avervi ottemperato perche' confidava nella possibilita' di un lavoro che avrebbe dovuto procurargli il suo vecchio datore di lavoro foggiano; 7) nell'udienza 26 agosto 2009 il giudice ha convalidato l'arresto e, poiche' il p.m. non ha chiesto l'applicazione di misure cautelali, ha rimesso in liberta' Diouf Ibrahima; ha quindi disposto procedersi a giudizio direttissimo; 8) il difensore d'ufficio ha chiesto un termine a difesa, anche per l'eventuale richiesta di riti alternativi, il giudice ha rinviato all'udienza del 31 agosto 2009, ore 9,00; 9) nell'udienza odierna l'imputato ha nominato un difensore di fiducia e ha chiesto procedersi a giudizio abbreviato; 10) il pubblico ministero ha concluso chiedendo la condanna dell'imputato, concesse le attenuanti generiche e con la diminuente del rito, alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione; 11) il difensore, rilevata l'illegittimita' dell'ordine del questore per mancanza di motivazione, ha chiesto l'assoluzione dell'imputato perche' il fatto non sussiste. In subordine ha chiesto l'applicazione della norma piu' favorevole all'imputato costituita dall'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998, entrata in vigore 1'8 agosto 2009. O s s e r v a I) L'ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato non era e non e' eseguibile dall'imputato. Se infatti, come espone il questore, non e' stato possibile all'autorita' di pubblica sicurezza eseguire l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera per mancanza di documenti idonei all'espatrio, non si vede come avrebbe potuto lo stesso senegalese sedicente e privo di documenti idonei all'espatrio ottenere l'imbarco al posto di frontiera dell'aeroporto di Malpensa. Non e' dato comprendere che cosa Diouf Ibrahima avrebbe potuto fare di piu' e di diverso rispetto al presentarsi al posto di frontiera da solo anziche' accompagnato dalla forza pubblica. II) Sussiste pertanto un giustificato motivo all'inottemperanza all'ordine del questore, che comporta l'insussistenza del reato mancando una componente essenziale dell'elemento materiale dello stesso, costituito dal trattenersi nel territorio dello Stato senza giustificato motivo. III) Il reato contestato a Diouf Ibrahima non sussiste comunque anche per un altro motivo: il provvedimento 18 giugno 2009 del questore e' illegittimo per assoluta carenza e comunque insanabile contraddittorieta' della motivazione e deve pertanto essere disapplicato dal giudice. In base al disposto dell'art. 14, comma 1 del d.lgs. n. 286/1998, l'espulsione deve essere eseguita mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Qualora siano necessari accertamenti supplementari in ordine alla sua identita' o nazionalita' ...il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso un centro di identificazione ed espulsione (C.I.E.). In base al disposto dell'art. 14, comma 5-bis, soltanto qualora non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di identificazione ed espulsione, ovvero siano trascorsi i termini di permanenza senza aver eseguito l'espulsione o il respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. Ovviamente l'emissione dell'ordine presuppone una condizione che non e' espressamente prevista dalla legge ma che deve ritenersi implicita, cioe' che l'ordine sia almeno astrattamente eseguibile, ed eseguibile legalmente, cioe' nel rispetto delle norme di legge. La pubblica amministrazione non puo' emettere un ordine di cui sia certa ab origine l'ineseguibilita' in forma legale (nella specie, per mancanza di documenti idonei all'espatrio), o che sia eseguibile soltanto con modalita' illegali (espatrio clandestino). Si tratta di elementari applicazioni del principio di legalita' che deve caratterizzare ogni atto della p.a. Di fronte all'ineseguibilita' attuale dell'espatrio il questore avrebbe dovuto soprassedere e cercare una soluzione pratica per svolgere gli accertamenti necessari ai fini della identificazione dello straniero e della acquisizione di documentazione idonea all'espatrio. Una cosa e' certa: il riconoscimento dell'impossibilita' della p.a. di attuare coattivamente l'espulsione dello straniero mediante accompagnamento alla frontiera per mancanza di documenti idonei all'espatrio e l'ordine impartito allo straniero di lasciare il territorio dello Stato presentandosi alla frontiera, sono evidentemente e insanabilmente contraddittori e illogici, e privano di una vera e valida motivazione il provvedimento del questore, determinandone la disapplicazione da parte del giudice. IV) In base alle considerazioni che precedono il reato ascritto a Diouf Ibrahima deve ritenersi pertanto insussistente. Poiche' tuttavia all'imputato e' contestata una inottemperanza all'ordine del questore protratta dal 24 giugno 2009, data di scadenza del termine di cinque giorni assegnatogli dal questore, al 25 agosto 2009, data dell'arresto, si deve verificare se la condotta consistente nel trattenersi nel territorio dello Stato sia diversamente qualificabile con riferimento alla previsione dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998, introdotto dalla legge n. 94/2009, entrata in vigore in data 8 agosto 2009, secondo cui: «Salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, Io straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonche' di quelle di cui all'art. l della legge 28 maggio 2007, n. 68, e' punito con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro...». Si tratta di una disposizione che introduce due nuove figure di reato, la prima di natura istantanea (ingresso illegale nel territorio dello Stato), la seconda permanente (soggiorno illegale nel territorio dello Stato). V) La nuova figura del soggiorno illegale si attaglia perfettamente alla condotta di Diouf Ibrahima dall'8 agosto alla data dell'arresto. Del nuovo reato sussistono tutti gli elementi, peraltro semplici: il trattenersi nel territorio dello Stato e l'illegalita' dello stesso, non con riferimento l' ordine del questore ma alla violazione delle disposizioni del testo unico, precisamente, nella specie, dell'art. 5 che prevede la necessita' del permesso di soggiorno o di altro titolo legalmente rilasciato. VI) A questo punto il giudice dovrebbe pronunciare sentenza di assoluzione dal reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, limitatamente all'inottemperanza protratta fino al 7agosto 2009, perche' il fatto non sussiste e, qualificata la condotta di Diouf Ibrahima dall'8 agosto al giorno dell'arresto come soggiorno illegale nel territorio dello Stato ex art. 10-bis, dichiarare la colpevolezza dell'imputato e condannarlo alla pena di legge. Il giustificato motivo costituito dalla impossibilita' di lasciare legalmente il territorio dello Stato per mancanza di documenti idonei all'espatrio, evidenziato ai punti I) e II), non e' infatti previsto dall'art. 10-bis e non e' applicabile per analogia, tenuto conto della ratio della norma e dell'intenzione del legislatore, diretta ad impedire drasticamente sia l'ingresso che il trattenimento non regolare dello straniero nel territorio dello Stato. Il giudice tuttavia ritiene di non potersi pronunciare in questi termini poiche' rileva molteplici elementi che rendono non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del Testo Unico. VII) Sia nel corso dei lavori parlamentari che successivamente alla promulgazione ed entrata in vigore della legge sono state sollevate severe osservazioni critiche nei confronti della legge, e in particolare delle disposizioni recanti l'introduzione delle nuove figure di reato, ritenuta incostituzionale e comunque incompatibile con la civilta' del nostro Paese. Al fine di illustrare il contenuto delle posizioni critiche riguardanti l'introduzione dei nuovi reati e' utile riprodurre il testo dell'appello 30 giugno 2009 di insigni giuristi, appartenenti ad aree culturali e ideologiche diverse, a cui hanno successivamente aderito numerosi cittadini, e le considerazioni provenienti da aree significative del volontariato sociale, laiche e religiose, espressive le prime di penetranti critiche della normativa sotto il profilo giuridico costituzionale, le seconde dell'impatto previsto sulla societa' e sui valori fondamentale, soprattutto sulla solidarieta'. VIII) Dall'appello di giuristi 30 giugno 2009: «...In particolare, riteniamo necessario richiamare l'attenzione della discussione pubblica sulla norma che punisce a titolo di reato l'ingresso e il soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato, una norma che, a nostro avviso, oltre ad esasperare la preoccupante tendenza all'uso simbolico della sanzione penale, criminalizza mere condizioni personali e presenta molteplici profili di illegittimita' costituzionale. La norma e', anzitutto, priva di fondamento giustificativo, poiche' la sua sfera applicativa e' destinata a sovrapporsi integralmente a quella dell'espulsione quale misura amministrativa, il che mette in luce l'assoluta irragionevolezza della nuova figura di reato; inoltre, il ruolo di extrema ratio che deve rivestire la sanzione penale impone che essa sia utilizzata, nel rispetto del principio di proporzionalita', solo in mancanza di altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo. Ne' un fondamento giustificativo del nuovo reato puo' essere individuato sulla base di una presunta pericolosita' sociale della condizione del migrante irregolare: la Corte costituzionale (sent. 78 del 2007) ha infatti gia' escluso che la condizione di mera irregolarita' dello straniero sia sintomatica di una pericolosita' sociale dello stesso, sicche' la criminalizzazione di tale condizione stabilita dal disegno di legge si rivela anche su questo terreno priva di fondamento giustificativo. L'ingresso o la presenza illegale del singolo straniero dunque non rappresentano, di per se', fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l'espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante: la relativa incriminazione, pertanto, assume un connotato discriminatorio ratione subiecti contrastante non solo con il principio di eguaglianza, ma con la fondamentale garanzia costituzionale in materia penale, in base alla quale si puo' essere puniti solo per fatti materiali. L'introduzione del reato in esame, inoltre, produrrebbe una crescita abnorme di ineffettivita' del sistema penale, gravato di centinaia di migliaia di ulteriori processi privi di reale utilita' sociale e condannato per cio' alla paralisi. Ne' questo effetto sarebbe scongiurato dalla attribuzione della relativa cognizione al giudice di pace (con alterazione degli attuali criteri di ripartizione della competenza tra magistratura professionale e magistratura onoraria e snaturamento della fisionomia di quest'ultima): da un lato perche' la paralisi non e' meno grave se investe il settore di giurisdizione del giudice di pace, dall'altro per le ricadute sul sistema complessivo delle impugnazioni, gia' in grave sofferenza. Rientra certo tra i compiti delle istituzioni pubbliche ''regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati'' (Corte cost., sent. n. 5 del 2004), ma nell'adempimento di tali compiti il legislatore deve attenersi alla rigorosa osservanza dei principi fondamentali del sistema penale e, ferma restando la sfera di discrezionalita' che gli compete, deve orientare la sua azione a canoni di razionalita' finalistica, ''Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le societa' piu' avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, si' che (...) non si puo' non cogliere con preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a 'nascondere' la miseria e a considerare le persone in condizioni di poverta' come pericolose e colpevoli''. Le parole con le quali la Corte costituzionale dichiaro' l'illegittimita' del reato di ''mendicita'' di cui all'art. 670, comma 1, cod. pen. (sent. n. 519 del 1995) offrono ancora oggi una guida per affrontare questioni come quella dell'immigrazione con strumenti adeguati allo loro straordinaria complessita' e rispettosi delle garanzie fondamentali riconosciute dalla Costituzione a tutte le persone». IX) Da un documento di sintesi di interventi di personalita' e gruppi di volontariato religiosi e civili pubblicato il 5 luglio 2009 (si omettono sigle e nomi): «Come cittadini italiani riteniamo che il provvedimento varato oggi al Senato sia un vero e proprio ''atto eversivo'' verso la civilta' del diritto espressa nella Dichiarazione universale dei diritti umani (la dignita' della persona umana), nella Costituzione italiana (articoli 2 e 3), in tanti testi delle Nazioni Unite il cui spirito e' presente nella Dottrina sociale della Chiesa, orientata ad affermare il ''bene comune'', che e' il bene di tutti e di ciascuno, sintesi di liberta' e giustizia. Come credenti nel Dio che tutti ama e nel Vangelo di Cristo ''nostra pace'' pensiamo che per i cristiani nessuno sia straniero e, soprattutto, che nessuno straniero sia di per se' un delinquente. Chi ostenta i valori cristiani conosce le parole di Cristo ''Ero straniero e mi avete accolto'' (Matteo 25), ...Rinnoviamo l'appello ad operare con urgente fermezza per respingere la deriva autoritaria e totalitaria basata sulla logica dello straniero-nemico che nasconde i veri pericoli della criminalita' organizzata, della corruzione economica e politica, del degrado etico e che alimenta la paura, eccita gli animi al peggio, diffonde modelli di violenza e prepara mali piu' grandi... Dolore e orrore. Il 2 luglio 2009 e' stata votata una legge che rompe l'unita' della famiglia umana e ne offende la dignita', prende piede l'idea che esistano esseri umani di seconda e terza categoria , un popolo di ''non persone'', di esseri umani, uomini e donne invisibili. E una perdita totale di senso morale e di sentimento dell'umano; questo accade, nel nostro Paese che ha prodotto milioni di emigranti. La legge ''portera' solo dolore''...Il dolore nasce dall'orrore giuridico e civile del ''reato di clandestinita'', dall'idea del povero come delinquente e della poverta' come reato. La legge votata non e' solo contraria alla nostra Costituzione ma a tutta la civilta' del Diritto. Punisce una condizione di nascita, l'essere straniero, invece che la commissione di un reato. Dichiara reato una condizione anagrafica. ...A questo punto, quanti stranieri frequenteranno un servizio sociale o si rivolgeranno, se vittime della ''tratta'', ad associazioni volontarie o istituzionali, forze di Polizia comprese, oggi messe in un angolo dalla diffusione delle cosiddette ''ronde''? Quanti stranieri andranno a far registrare una nascita, si presenteranno in ospedale per farsi curare? Quali gravi conseguenze questo potra' produrre sulla salute di tutti i cittadini e' gia' stato evidenziato da moltissime associazioni di medici. ....La legge e' pericolosa perche' accrescera' la clandestinita' che dice di combattere, favorira' il ''si salvi chi puo'', dara' spazio alla criminalita' organizzata, aumentando l'insicurezza di tutti. Non c'e' futuro senza solidarieta'. La legge, tra l'altro, e' inutilmente crudele ...Ci fa tornare ai tempi della discriminazione razziale. E' una forma di accanimento contro i poveri anche se la poverta' piu' grande, oggi, e' la nostra: poverta' di coraggio, di umanita', di capacita' di scommettere sugli altri, di costruire insieme una sicurezza comune. La sicurezza basata sulla paura sta diventando un alibi per norme ingiuste e dannose, per scaricare il malessere di molti italiani sugli immigrati, capro espiatorio della crisi, bersaglio facile su cui sfoghiamo il tramonto di ogni etica condivisa e della testimonianza cristiana, La tutela della vita e della dignita' umana va assunta nella sua interezza per tutti e in ogni momento dell'esistenza. ''Non c'e' futuro senza solidarieta''... Non c'e' sicurezza senza l'aiuto reciproco, senza l'esercizio dei diritti e dei doveri dentro un'azione comune per il bene comune». X) Questo giudice condivide integralmente i rilievi critici alla normativa in questione, sia sotto il profilo giuridico che con riferimento ai valori fondamentali da questa messi a rischio, e osserva che proprio dalle osservazioni di coloro che operano sul campo nei rapporti diretti con le persone immigrate deve trarsi un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale concretantesi nella gravissima lesione del principio di solidarieta' umana e sociale che permea l'intera Costituzione e che e' espresso in particolare negli artt. 2, 3, 4. XI) Si e' osservato che la norma in questione e' priva di un fondamento giustificativo, di razionalita' giuridico-costituzionale. E' ben vero che la norma e' praticamente priva di effetti concreti nei confronti della maggior parte degli immigrati non regolari, poiche' praticamente nessuno sarebbe in grado di pagare la pesante ammenda prevista, da 5.000 a 10.000 euro, o di essere sottoposto utilmente alla esazione coatta di tale somma. La sanzione vera, effettiva nei confronti dell'immigrato irregolare e' l'espulsione, peraltro gia' prevista e possibile anche prima dell'introduzione delle nuove figure di reato. Tuttavia, in realta', un criterio di razionalita', di perversa razionalita', c'e' e consiste nell'obiettivo e nella predisposizione di strumenti idonei a rendere la vita impossibile all'immigrato non regolare, a fare terra bruciata intorno a lui, a minare radicalmente la possibilita' stessa della solidarieta' nei suoi confronti. Questo obiettivo si realizza mediante gli effetti che a cascata conseguono all'introduzione delle nuove figure di reato, in particolare, per quanto riguarda il caso di specie, all'introduzione del reato di soggiorno illegale. XII) La configurazione come reato dell'immigrazione e del soggiorno non regolari comporta la configurabilita' del concorso nel reato ex art. 110 c.p. a carico di tutti coloro che esprimono nei confronti del c.d. «clandestino» concreta e fattiva solidarieta', accogliendolo, ospitandolo, aiutandolo a trovare alloggio, a nutrirsi e a fare qualche attivita' per sostentarsi. Non si parla ovviamente delle condotte di sfruttamento dell'immigrato irregolare, gia' severamente e giustamente perseguite e punite, ma della pura e semplice solidarieta', quella di chi, gratuitamente, obbedendo a valori laici o religiosi, comunque al principio e dovere della solidarieta' umana e sociale, accoglie e aiuta la persona povera, bisognosa di tutto. La configurabilita' del concorso nel reato opera come deterrente nei confronti degli altri, i cittadini, e degli stessi immigrati «regolari» posti a rischio di espulsione a loro volta se aiutano un connazionale, sterilizza appunto la solidarieta'. La contravvenzione con ammenda salatissima, inutile e inefficace per l'immigrato irregolare, e' invece efficacissima nei confronti di tutti gli altri. XIII) Questa grave ricaduta della norma sulla societa' e' accentuata da un'altra conseguenza: l'obbligo di denuncia del reato, la cui inosservanza e' sanzionata penalmente, da parte dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio che vengano a conoscenza della condizione di immigrato irregolare a causa o in occasione dell'esercizio delle loro funzioni. La gamma dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio e' notoriamente vastissima e il timore della denuncia costringerebbe gli stranieri non regolari, anzi costringe perche' gia' questi effetti sono palpabili, a vivere nella paura, nell'isolamento, in una vera e propria clandestinita'. Inumana, degradante, e questa si pericolosa per la sicurezza. Le deroghe all'obbligo di denuncia previste dalla legge per i sanitari e per gli operatori scolastici riguardano soltanto ristretti ambiti di vita e comunque non sono sufficienti per dare agli immigrati non regolari una vera sicurezza anche nell'accesso a questi servizi, poiche' questo comporta comunque una emersione, una visibilita', e le molteplici formalita' connesse, ad esempio l'obbligo di indicare all'Autorita' di P.S. la residenza nel caso di accoglienza di un giovane immigrato non regolare in un convitto scolastico, producono gli stessi effetti di una denuncia. XIV) In sintesi, si puo' affermare che la norma introdotta, apparentemente superflua e inefficace, raggiunge in realta' il risultato di fare terra bruciata attorno all'immigrato non regolare, di minare radicalmente la possibilita' e lo spirito di solidarieta'. Di fatto contribuisce a trasformare la societa' da solidale in ostile, da accogliente in escludente, a diffondere nella mentalita' popolare l'ostilita' per qualunque tipo di diversita', a diffondere la disponibilita' alla delazione e anche alla violenza, come purtroppo le cronache, anche recenti, mostrano. In sintesi, la norma introdotta viola la Costituzione perche' favorisce e induce a comportamenti e a prassi che contrastano e mettono a rischio il principio fondamentale della solidarieta' umana e sociale, che la Costituzione, al contrario, pone come valore primario da realizzare e promuovere (in particolare art. 2 e 3). XV) La configurazione come reato dell'immigrazione e del soggiorno non regolari appare inoltre in contrasto con principi del diritto internazionale generalmente riconosciuti. La regolamentazione dei fenomeni migratori e' certamente un'esigenza legittima, affermata sia nelle convenzioni internazionali che nelle legislazioni nazionali. E' altrettanto legittima la previsione di sanzioni penali a carico degli stranieri che contravvengono ad obblighi o divieti loro imposti dalle autorita' qualora venga loro negato o limitato il diritto a entrare o a soggiornare nel territorio di uno Stato. Le convenzioni internazionali e le legislazioni degli Stati generalmente riservano alla fase del tentativo di immigrazione e delle verifiche relative alla sua accettabilita', normative e sanzioni di natura amministrativa. Cio' perche' piu' adatte a governare in modo «mite» un fenomeno estremamente complesso, globale, che costituisce comunque espressione o conseguenza di situazioni di poverta', di oppressione, diffuse in ampie aree del mondo, sovente riferibili a responsabilita' storiche degli Stati ex coloniali e, piu' recenti, del sistema dello sfruttamento economico neocoloniale dei Paesi poveri. Nelle convenzioni internazionali la condizione dello straniero, anche dello straniero «non regolare» viene guardata con comprensione, benevolenza, nella evidente consapevolezza che il migrante si muove, abbandona la propria terra e cerca una nuova patria per uscire da condizioni di poverta', di oppressione, per trovare migliori condizioni di vita per se' e per la propria famiglia. Non viene guardato in primo luogo come un possibile o certo criminale ma come un essere umano che si muove nel mondo esercitando, in certo qual modo, il diritto nativo, originario, di cittadino del mondo, di compartecipe con tutti gli altri uomini e donne della «proprieta'» della terra e del diritto a goderne per una esistenza libera e dignitosa. Espressioni di questo atteggiamento si trovano in particolare nella Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, nella Convenzione O.I.L. sui lavoratori migranti n. 143 del 1975, ratificata con legge n. 158/1981 e nella Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori emigranti e dei membri delle loro famiglie, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1990, entrata in vigore il 1° luglio 2003, non ancora ratificata dall'Italia e da altri Stati europei. La Dichiarazione universale riconosce il diritto di ogni individuo a lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese (art. 13). E, mentre riconosce il diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni (art. 14), non sembra potersi negare il riconoscimento del diritto quantomeno di cercare, se non di ottenere, in altri Paesi lavoro, cibo e condizioni di vita umane. Giova richiamare a questo riguardo le parole di Louise Arbour, Alto Commissario ONU per i diritti umani, il 18 giugno 2008, dopo l'approvazione da parte del Parlamento europeo della direttiva sui respingimenti e sulle espulsioni: «... e' il momento di concedere gli stessi benefici anche a coloro che vivono sotto la minaccia di una estrema poverta', della fame, delle malattie, soprattutto quelle epidemiche, pericoli dai quali hanno il diritto di tentare di fuggire». Le Convenzioni O.I.L. e ONU riconoscono come persone e soggetti di diritti tutti i migranti, sia regolari che non regolari (art. 24 O.N.U.). L'art. 1. della Conv. O.I.L. dichiara che «Ogni membro per cui la presente convenzione sia in vigore s'impegna a rispettare i diritti fondamentali dell'uomo di tutti i lavoratori migranti». Tra questi deve comprendersi il diritto al lavoro e alla possibilita' di assicurare a se' e alla propria famiglia una esistenza conforme alla dignita' umana, solennemente proclamato dall'art 23 della Dichiarazione universale. L'art. 19 della Convenzione O.N.U., oltre alla enunciazione del principio di legalita' della legge penale, al secondo comma, formulando come un suggerimento a legislatori e giudici nei processi penali contro stranieri migranti, regolari e non regolari, recita testualmente: «Si dovrebbe tenere conto di considerazioni umanitarie relative alla condizione di un lavoratore emigrante, in particolare rispetto al suo diritto di residenza o lavoro, nell'emanare una sentenza per un reato commesso da un lavoratore emigrante o da un membro della sua famiglia» (altro che aggravante ex art. 61, n.11-bis c.p.!). In sostanza dalle convenzioni internazionali emerge una figura del migrante, anche non regolare, come persona dotata di piena dignita' umana e degna del massimo rispetto nella sua ricerca di condizioni di vita piu' umane. Quindi una persona che dovra' certamente assoggettarsi alle normative dei singoli Stati dirette a verificare se nel caso concreto l'immigrazione sia legalizzabile, ma che non potra' essere considerato, per definizione, un criminale o comunque per cio' stesso imputato di reato nel momento in cui si affaccia ai patrii confini o viene sorpreso sul territorio dello Stato. Anche sotto questo profilo la nuova normativa appare quindi contrastante con la Costituzione. XVI) Il Presidente della Repubblica, nella lettera inviata al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle Camere in data 15 luglio 2009 immediatamente dopo avere promulgato la legge n. 94/2009, ha evidenziato, insieme ad altre «perplessita' e preoccupazioni», «...la circostanza che la nuova ipotesi di trattenimento indebito non preveda la esimente della permanenza determinata da ''giustificato motivo''». La Corte costituzionale (sentenze n. 572004 e 22/2007) ha sottolineato il rilievo che la esimente puo' avere ai fini della «tenuta costituzionale di disposizioni del genere di quella ora introdotta». Questo giudice condivide tale perplessita' e rileva che, si qualifichi il giustificato motivo come esimente o si consideri, come parrebbe doversi desumere dalla formulazione dell'art. 14, comma 5-ter, la mancanza di giustificato motivo come parte integrante dell'elemento materiale del reato, la mancata previsione dello stesso nell'art. 10-bis, considerata la sostanziale analogia con l'art. 14, comma 5-ter, appare integrare un ulteriore elemento di irrazionalita' normativa e disparita' di trattamento tra persone imputate di fatti analoghi. XVII) In sintesi, per i motivi esposti, l'art. 10-bis nella parte in cui prevede come reato il soggiorno illegale nel territorio dello Stato appare contrastante con i seguenti principi e norme costituzionali: a) con il principio di ragionevolezza che, nelle sue varie espressioni (razionalita' finalistica, adeguatezza dei mezzi ai fini, proporzionalita', rispetto sostanziale dei valori fondanti della Costituzione), in base alla elaborazione giurisprudenziale della Corte costituzionale, deve presiedere all'esercizio dell'attivita' legislativa in materia penale; b) con il principio di uguaglianza (art. 3) e con il principio di personalita' della responsabilita' penale (art. 27) poiche', sanzionando penalmente in modo indiscriminato gli stranieri che soggiornano illegalmente nel territorio dello Stato, presuppone arbitrariamente riguardo a tutti l'esistenza di una condizione di pericolosita' sociale, che, per giustificare l'affermazione di una responsabilita' penale, deve invece essere accertata in concreto e con riferimento alle singole persone; c) con il principio di solidarieta' (artt. 2 e 3, primo e secondo comma) poiche' con la previsione indiscriminata della illiceita' penale del soggiorno non regolare nel territorio dello Stato di persone migranti, generalmente sospinte a cercare migliori condizioni di vita dalla poverta' e dall'oppressione sofferte nei propri Paesi e per effetto delle conseguenze normative di tale previsione, provoca un radicale mutamento nello spirito e negli atteggiamenti dei cittadini, degli stranieri «regolari» e della societa' nel suo complesso, nei confronti di persone in condizioni di poverta', obiettive difficolta' di vita, bisognose di solidarieta' e accoglienza, un indurimento degli animi e dei comportamenti, suscettibile oltrettutto di estendersi anche ad altre situazioni di «diversita'» ed emarginazione (non sembra estraneo al mutato clima sociale favorito dalla logica amico/nemico, il ripetersi frequente di comportamenti ostili e aggressivi nei confronti di varie categorie di «diversi», come le persone omosessuali, i rom, gli stranieri). Il contrario di quella societa' aperta e solidale, costruita sull'accoglienza, sulla promozione e sulla emancipazione di coloro che sono in condizione svantaggiata, voluta dai costituenti; d) con l'art. 10 della Costituzione poiche' la configurazione come reato del soggiorno non regolare dello straniero nel territorio dello Stato contrasta con i principi affermati in materia di immigrazione nel diritto internazionale generalmente riconosciuto (non rilevando al riguardo la ratifica da parte dell'Italia); e) con gli artt. 3 e 27 della Costituzione per l'omessa previsione della mancanza di giustificato motivo come elemento costitutivo del reato o quantomeno come esimente codificata. XVIII) Le questioni di costituzionalita' sopra enunciate appaiono a questo giudice serie e comunque non manifestamente infondate. Esse sono inoltre rilevanti nel processo poiche', se accolte dalla Corte costituzionale, con la conseguente declaratoria di illegittimita' della norma denunciata, comporterebbero l'assoluzione dell'imputato Diouf Ibrahima anche dal reato di cui all'art. 10-bis d.P.R. n. 286/1998 e succ. mod. In sostanza, il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle suddette questioni.
P. Q. M. Visti gli artt. 137 della Costituzione, 1 della legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza; Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, introdotto dall'art. 1, comma 16 a) della legge 15 luglio 2009, n. 94, nella parte in cui prevede come reato il fatto dello straniero che si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del medesimo testo unico, con riferimento agli articoli 2, 3, 10, 27, della Costituzione nonche' del principio costituzionale di ragionevolezza della legge penale. Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Pronunciata in Pesaro, nell'udienza in Camera di consiglio, in data 31 agosto 2009. Il giudice: Andreucci