N. 302 ORDINANZA 16 - 20 novembre 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Calamita' pubbliche e protezione civile - Interventi urgenti  diretti
  a fronteggiare l'«Emergenza Etna 2002» - Sospensione del versamento
  dei contributi previdenziali ed  assistenziali  -  Limitazione  del
  beneficio ai soli datori di  lavoro  privati,  con  esclusione  dei
  dipendenti dei datori di lavoro pubblici -  Dedotta  violazione  di
  numerosi parametri costituzionali  - Contraddittorieta'  e  carente
  descrizione della fattispecie, con  conseguente  impossibilita'  di
  vagliare la rilevanza della questione - Manifesta inammissibilita'. 
- Decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263, art. 6,  comma  1-bis,  comma
  aggiunto dalla legge di conversione 6 dicembre 2006, n. 290. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 4, 24, 32, 35, 36, 77, comma secondo, 97,
  101, 102 e 104. 
Calamita' pubbliche e protezione civile - Interventi urgenti  diretti
  a fronteggiare l'«Emergenza Etna 2002» - Sospensione del versamento
  dei contributi previdenziali ed  assistenziali  -  Limitazione  del
  beneficio ai soli datori di  lavoro  privati,  con  esclusione  dei
  dipendenti   dei   datori   di   lavoro   pubblici   -   Denunciata
  irragionevolezza, disparita' di trattamento, nonche' violazione dei
  principi costituzionali sulla tutela della salute  e  del  lavoro -
  Dedotta  indebita  interferenza  dell'attivita'   legislativa   sui
  provvedimenti giurisdizionali - Questione  analoga  ad  altra  gia'
  dichiarata non fondata - Mancata prospettazione di nuovi motivi  di
  censura, diversi da quelli gia' scrutinati - Manifesta infondatezza
  della questione. 
- Decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263, art. 6,  comma  1-bis,  comma
  aggiunto dalla legge 6 dicembre 2006, n. 290. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36 e 97. 
(GU n.47 del 25-11-2009 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma  1-bis,
del decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263  (Misure  straordinarie  per
fronteggiare  l'emergenza  nel  settore  dei  rifiuti  nella  regione
Campania - Misure per  la  raccolta  differenziata),  comma  aggiunto
dalla legge di conversione 6 dicembre 2006, n.  290  (Conversione  in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 2006,  n.  263,
recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore
dei  rifiuti  nella  regione  Campania),   promossi   dal   Tribunale
amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di  Catania,
con ordinanze del 6  maggio  e  del  4  marzo  2008,  rispettivamente
iscritte al n. 346 del  registro  ordinanze  2008  e  al  n.  54  del
registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 46, 1ª serie speciale, dell'anno 2008 e n. 9, 1ª  serie
speciale, dell'anno 2009. 
    Visti gli atti di costituzione di  Mauro  Giovanni  Salvatore  ed
altri nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 7  ottobre  2009  il  giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 6 maggio del 2008,  il  Tribunale
amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di  Catania,
ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento
agli artt. 2, 3, 4, 24, 32, 35, 36, 77, comma secondo, 97, 101, 102 e
104 della Costituzione, dell'art. 6, comma 1-bis, del decreto-legge 9
ottobre  2006,  n.  263  (Misure   straordinarie   per   fronteggiare
l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania  -  Misure
per  la  raccolta  differenziata),  comma  aggiunto  dalla  legge  di
conversione 6 dicembre  2006,  n.  290  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni, del decreto-legge 9  ottobre  2006,  n.  263,  recante
misure straordinarie per fronteggiare  l'emergenza  nel  settore  dei
rifiuti nella regione Campania); 
        che la fattispecie oggetto del giudizio a quo, secondo quanto
riportato   dal    rimettente    nell'intestazione    dell'ordinanza,
riguarderebbe il riconoscimento, a  favore  dei  soggetti  ricorrenti
nell'ambito del  giudizio  principale  (tutti  componenti  del  Corpo
nazionale dei Vigili  del  Fuoco),  «del  diritto  alla  restituzione
all'Ente previdenziale dei contributi sospesi per  "l'emergenza  Etna
2002" nei limiti e con le modalita' di  cui  all'art.  5,  comma  2»,
dell'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 29  novembre
2002, n. 3254 (Primi interventi  urgenti  diretti  a  fronteggiare  i
danni conseguenti ai gravi fenomeni eruttivi  connessi  all'attivita'
vulcanica dell'Etna nel territorio della provincia di Catania ed agli
eventi sismici concernenti la medesima area); 
        che tale comma prevede un piano di  recupero  dei  contributi
sospesi nella misura di otto volte i  mesi  interi  di  durata  della
sospensione (nel caso di specie 128 mesi, secondo  quanto  indica  il
rimettente), diversamente da quanto previsto dal  piano  di  recupero
attuato dall'Amministrazione di appartenenza, stabilito,  invece,  in
un arco temporale di 24  rate,  del  quale,  pertanto,  i  ricorrenti
chiedono che il TAR adito dichiari l'illegittimita'; 
        che, pero', lo stesso TAR rimettente - in contraddizione  con
l'iniziale identificazione del thema decidendum oggetto del  giudizio
principale limitato alla «declaratoria di illegittimita' del piano di
recupero» - viene successivamente ad affermare, nel «Fatto»,  che  il
medesimo giudizio avrebbe ad oggetto l'accertamento del  diritto  dei
ricorrenti    alla    corresponsione    delle     somme     derivanti
dall'applicazione del  beneficio  della  sospensione  delle  ritenute
previdenziali ed assistenziali, nonche' l'immediata  restituzione  di
quelle gia' trattenute sullo stipendio 2002, ai sensi dell'art. 4 del
decreto-legge 4 novembre 2002, n. 245 (Interventi  urgenti  a  favore
delle popolazioni colpite  dalle  calamita'  naturali  nelle  regioni
Molise, Sicilia e Puglia, nonche' ulteriori disposizioni  in  materia
di  protezione  civile,  convertito  in  legge,  con   modificazioni,
dall'art. 1, legge 27 dicembre 2002, n. 286), in  combinato  disposto
con l'art. 5 della citata o.P.C.m. n. 3254 del 2002; 
        che, quanto al requisito della rilevanza, il  giudice  a  quo
osserva come il ricorso in argomento, in applicazione della normativa
di cui all'art. 6, comma 1-bis, del d.l. n. 263 del 2006,  che  vieta
ai dipendenti dei datori di lavoro pubblici, tra i quali rientrano  i
soggetti ricorrenti nell'ambito del giudizio  a  quo,  l'applicazione
del beneficio di cui al combinato disposto dell'art. 4  del  d.l.  n.
245 del 2002, e dell'art. 5 dell'o.P.C.m. n. 3254 del 2002,  dovrebbe
essere respinto con declaratoria di inammissibilita'; 
        che  la  prima  delle  due  norme,  ricorda  il   rimettente,
stabilisce,   in   ragione   dell'emergenza   connessa   all'eruzione
dell'Etna, la sospensione dei termini «anche  previdenziali»,  mentre
la  seconda,  piu'  specificatamente,  prevede  la  sospensione,  nei
confronti dei soggetti residenti, aventi sede legale od operativa nel
territorio di  cui  al  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri del 29  ottobre  2002,  dei  versamenti  dei  contributi  di
previdenza e di assistenza sociale e dei  premi  per  l'assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni e le  malattie  professionali,  ivi
compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti; 
        che il giudice rimettente ritiene pertanto che l'applicazione
della disposizione censurata debba estendersi a tutti i provvedimenti
che trovino il loro presupposto giuridico nella legge n. 225 del 1992
e  che  tale  novella  imponga  di   interpretare   i   provvedimenti
amministrativi o normativi generali (quali, appunto, quelli contenuti
nella citata o.P.C.m. n. 3254 del 2002) nel senso  di  escludere  dal
relativo ambito di operativita' i  soggetti  diversi  dai  datori  di
lavoro privati e dai relativi dipendenti; 
        che, per altro verso, il giudice a quo ritiene che  l'art.  4
del d.l. n. 245 del 2002 non possa neppure  essere  considerato  come
idoneo a fondare (autonomamente rispetto alla legge n. 225 del  1992,
cosi' come reinterpretata alla luce dell'art.  6,  comma  1-bis,  del
d.l. n. 263 del 2006) il conferimento  del  beneficio  previdenziale,
ritenendo che tale ultima previsione, avendo contenuto inconciliabile
con l'art. 4 del d.l. 4 novembre 2002, n. 245, ne  abbia  determinato
l'abrogazione in parte qua; 
        che il TAR di Catania ritiene l'esplicita formulazione  della
disposizione censurata non compatibile con interpretazioni correttive
o adeguatrici della medesima previsione che possano determinarne  una
diversa lettura,  dato  che,  in  applicazione  della  norma  di  cui
all'art. 6, comma 1-bis, del d.l. n. 263 del 2006, l'o.P.C.m. del  29
novembre 2002 deve far ritenere applicabile ai soli datori di  lavoro
privati la sospensione dei contributi previdenziali che in essa trova
fondamento; 
        che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
ritiene che la previsione impugnata  violerebbe,  primariamente,  gli
artt. 2 e 3 della Costituzione, in quanto l'esclusione dal  beneficio
della sospensione degli adempimenti contributivi di una categoria  di
lavoratori (quelli dipendenti da datori di lavoro pubblici)  comporta
che a questi  ultimi  venga  negata  la  solidarieta'  sociale  della
comunita' nazionale; 
        che la stessa disposizione violerebbe anche l'art.  32  della
Costituzione, «interpretato alla luce dell'art. 9  della  Cost.»,  in
quanto, avendo l'amministrazione - tramite la sospensione dei termini
di versamento dei contributi di natura assistenziale e  previdenziale
- «realizzato, senza diretta  spesa,  ma  assumendo  l'onere  di  una
minore entrata, un accrescimento in termini di valore monetario delle
retribuzioni dei  lavoratori,  i  quali  hanno  cosi'  percepito  una
utilita' rivolta a consentire loro di adeguatamente fare fronte  alle
esigenze di tutela del proprio benessere (e di quello dei familiari a
carico), a fronte di un evento per definizione tale da  incidere  sui
livelli  di  vita  precedenti,  tramite  l'alterazione  improvvisa  e
sensibile dell'ambiente territoriale inciso dal fenomeno eruttivo che
ne ha compromesso l'ordinaria vivibilita'», si sarebbe determinata la
diminuzione, per la categoria dei lavoratori esclusi  dal  beneficio,
«dei livelli collettivi di assistenza sanitaria  invece  riconosciuti
ai dipendenti di datori di lavoro privati»; 
        che,  inoltre,  sempre  a  detta  del  rimettente,  la  norma
censurata verrebbe a violare gli artt. 4, 35 e 36 della Costituzione,
perche', «abrogando» il beneficio economico ed assistenziale  di  cui
all'o.P.C.m. del 29 novembre 2002, avrebbe determinato una (sia  pure
temporanea) ingiustificata riduzione del livello retributivo che  era
stato potenziato con l'intervento di protezione civile operato con la
predetta ordinanza; 
        che ugualmente  violato  dalla  norma  censurata  sarebbe  il
principio  della  tutela  dell'affidamento,  in  quanto,  secondo  il
giudice a  quo,  ai  soggetti  ricorrenti  nell'ambito  del  giudizio
principale, dipendenti da un datore di lavoro pubblico, sarebbe stata
sottratta  una  disponibilita'  retributiva,   originariamente   loro
conferita, venendo in tal modo ad  incidere  sia  su  situazioni  che
avevano   ricevuto   un   chiaro    e    definitivo    riconoscimento
giurisprudenziale, sia  sulla  «adeguatezza»  della  retribuzione  in
relazione allo specifico momento e contesto emergenziale; 
        che,  quindi,  risulterebbe  violato  anche  l'art.  3  della
Costituzione,  in  ragione  della  disparita'  di   trattamento   tra
lavoratori dipendenti della  pubblica  amministrazione  e  lavoratori
dipendenti da imprese private, disparita' che, secondo il  giudice  a
quo, non e' giustificata da alcuna ragione  sostanziale,  risultando,
in entrambe le fattispecie, analoga l'incidenza dell'evento  naturale
sull'esecuzione della prestazione lavorativa, data la  comune  natura
delle difficolta' che tutti i lavoratori, sia pubblici  che  privati,
hanno dovuto sostenere per continuare a prestare la propria attivita'
a servizio delle rispettive Amministrazioni o aziende private; 
        che tale  parametro  sarebbe  parimenti  violato  in  ragione
dell'asserita  irragionevolezza  della   previsione   censurata,   in
considerazione, secondo il rimettente, del fatto che il legislatore -
in presenza di una  dimensione  di  emergenza  riguardante  tutto  il
territorio interessato all'eruzione dell'Etna, (e dunque  relativa  a
tutti i  soggetti  che  sono  stati  chiamati  a  prestare  attivita'
lavorativa nelle  proibitive  condizioni  ambientali  che  l'eruzione
medesima  ha  determinato)  -  avrebbe  irragionevolmente  scelto  di
assistere una  sola  categoria  di  lavoratori,  individuata  con  un
criterio  che,  pur  se  oggettivo,  sarebbe  del  tutto  slegato  da
qualsiasi collegamento  fattuale  o  funzionale  con  l'emergenza  da
affrontare; 
        che l'irragionevolezza della previsione impugnata deriverebbe
anche,  sempre   secondo   il   TAR   rimettente,   dalla   ulteriore
considerazione che la stessa non  sarebbe  intervenuta  per  dirimere
un'originaria ambiguita' interpretativa,  essendo  la  norma  di  cui
all'o.P.C.m. del 29 novembre 2002 chiara nel non differenziare, tra i
vari beneficiari della misura in esame, i dipendenti delle  pubbliche
amministrazioni; 
        che il giudice a quo ritiene, infine, la previsione  abnorme,
perche',  allo  scopo  di  discriminare  nell'ambito  della  medesima
situazione   i   vari   destinatari   potenziali   degli   interventi
emergenziali, avrebbe operato una modifica  legislativa  con  effetto
retroattivo che non inciderebbe sulla legge, ma  «sull'esercizio  dei
poteri di amministrazione demandati alla Protezione civile»; 
        che la norma impugnata violerebbe altresi'  l'art.  97  della
Costituzione, in quanto la retroattivita' della previsione censurata,
nell'incidere senza alcuna giustificazione,  plausibile  o  evidente,
sulle situazioni  consolidate,  avrebbe  determinato  -  revocando  i
benefici gia' concessi - un grave vulnus alla immagine dello Stato ed
alla credibilita'  delle  istituzioni,  vanificando  il  rapporto  di
assistenza e sostegno che sia lo Stato  che  le  istituzioni  avevano
creato con i consociati colpiti dalle calamita' naturali; 
        che,  inoltre,  l'art.  97  della  Costituzione  risulterebbe
ulteriormente  violato  poiche'  la  disposizione  censurata  avrebbe
prodotto un motivo di grave inefficienza  nell'esercizio  dell'azione
dei pubblici  poteri,  avendo  costretto  gli  uffici  preposti  alla
trattazione dei relativi  affari  ad  un  rinnovato  esercizio  delle
relative funzioni; 
        che sarebbe violato anche il  principio  di  separazione  dei
poteri, per l'invasione, da parte  del  legislatore,  dell'ambito  di
competenza proprio del potere esecutivo, con conseguente, sostanziale
disordine nell'attivita' della pubblica amministrazione; 
        che l'articolo censurato sarebbe, altresi', in contrasto  con
gli artt. 24, 101,  102  e  104  della  Costituzione,  poiche'  esso,
assumendo un contenuto avente natura provvedimentale, vincolerebbe il
giudice all'adozione di determinate decisioni  in  controversie  gia'
pendenti, venendo cosi' a violare  il  giudicato,  nei  suoi  aspetti
esterni, formatosi sulle  pronunce  del  medesimo  organo  rimettente
(peraltro, confermate in appello), che avevano  annullato  l'o.P.C.m.
n. 3442 del 2005, e ripristinando, pertanto, in via  legislativa,  un
regime che - sul piano dell'esercizio  del  potere  esecutivo  -  era
stato ritenuto illegittimo con pronunce passate in giudicato; 
        che, infine, a parere del rimettente, la citata  disposizione
sarebbe censurabile anche in riferimento all'art. 77, secondo  comma,
della Costituzione, sia perche' non sussisterebbero i presupposti  di
necessita' ed urgenza, sia perche' la norma censurata  sarebbe  stata
inserita nella fase di conversione  di  un  decreto-legge  differente
ratione materiae dall'ambito di operativita' della stessa (avendo  il
decreto in questione ad oggetto l'emergenza dei rifiuti in Campania); 
        che e' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata sia  dichiarata  irrilevante,  inammissibile  o,  comunque,
manifestamente infondata; 
        che la difesa erariale -  nel  premettere  che  su  questioni
analoghe alla presente questa Corte si e' gia' pronunciata nel  senso
dell'infondatezza (sentenza n. 325 del 2008) - rileva come  il  testo
della    norma    sospettata     di     incostituzionalita'     porti
«inequivocabilmente» a ritenere «che essa sia rivolta direttamente ed
esclusivamente ai datori di lavoro e non ai  lavoratori»,  datori  di
lavoro i quali «non possono che essere quelli privati», e che da cio'
discenderebbe l'irrilevanza della questione; 
        che, inoltre, secondo  l'Avvocatura,  la  questione  proposta
risulterebbe parimenti irrilevante in ragione della  circostanza  che
la sospensione dei contributi sarebbe  relativa  solo  al  versamento
delle ritenute, le  quali,  indipendentemente  dall'effettuazione  di
tale  adempimento,  dovrebbero  comunque  essere   effettuate   sulle
retribuzioni dei lavoratori dipendenti; 
        che tale irrilevanza  risulterebbe  ulteriormente  dimostrata
dalla circostanza che, ove fosse riconosciuta a favore dei lavoratori
la sospensione del versamento, la stessa avrebbe ad oggetto  solo  il
periodo novembre 2002-marzo 2004 e, pertanto, alla data  odierna,  la
sospensione dovrebbe comunque ritenersi cessata; 
        che, inoltre, quanto all'asserita violazione degli artt. 2  e
3  della  Costituzione,  connessa  alla  denunciata   disparita'   di
trattamento tra lavoratori pubblici e  privati,  la  difesa  erariale
sostiene  che  il  confronto  sarebbe  stato  condotto   rispetto   a
situazioni del tutto disomogenee, poiche' la pubblica amministrazione
non avrebbe fini lucrativi e la prestazione di lavoro si  svolgerebbe
secondo regole  e  parametri  sui  quali  sarebbero  ininfluenti  gli
avversi fenomeni naturali e  le  condizioni  ambientali  eccezionali,
mentre, al contrario, il datore di lavoro privato, che  opera  in  un
determinato territorio, sarebbe significativamente  esposto  a  tutti
quegli  accadimenti  che  incidono  sulla  dimensione   organizzativa
dell'impresa e sulla sua possibilita' di un esercizio  caratterizzato
da molteplici fattori di tipo economico; 
        che da tali considerazioni discenderebbe,  altresi',  secondo
l'Avvocatura dello Stato, oltre alla disomogeneita'  delle  posizioni
poste a  confronto,  anche  l'assoluta  ragionevolezza  della  scelta
legislativa volta a limitare il beneficio ai soli  datori  di  lavoro
privati che, a differenza della pubblica amministrazione, non  sempre
disporrebbero di una capacita' organizzativa e di  risorse  idonee  a
consentire  di  fronteggiare  in  modo  adeguato  le  situazioni   di
emergenza originate da eventi calamitosi; 
        che, in sostanza, secondo la difesa erariale, la  sospensione
dell'obbligo contributivo, particolarmente gravoso per  i  datori  di
lavoro, puo' essere letta come  un  mezzo  per  liberare  risorse  da
sfruttare per la produzione  di  beni  e  servizi,  in  modo  da  non
alterare pesantemente il flusso di creazione di ricchezza  a  livello
regionale, e  dunque  il  prodotto  interno  lordo  relativo  a  quel
territorio; 
        che, peraltro - osserva ancora la difesa pubblica - se questa
viene ad essere la ratio posta alla base  della  scelta  legislativa,
verrebbe ad avere rilievo marginale l'effetto che la  stessa  avrebbe
determinato in favore dei soli lavoratori privati,  considerato,  tra
l'altro, che  la  quota  di  contribuzione  dagli  stessi  dovuta  (e
normalmente prelevata dal datore di  lavoro  nella  sua  qualita'  di
sostituto)  e'  modesta  e  la  maggior  retribuzione   e'   comunque
fiscalizzata; 
        che  secondo   l'Avvocatura   dello   Stato   sarebbero   poi
inammissibili le censure relative alla violazione degli artt. 4,  32,
35 e 36 della Costituzione per inconferenza dei  parametri  invocati,
cosi' come ugualmente inconferente sarebbe la censura  relativa  alla
pretesa violazione degli artt. 24, 101, 102 e 104 della Costituzione,
poiche' la  norma  impugnata  «attiene  al  piano  sostanziale  della
disciplina dei rapporti [...] e non a quello processuale della tutela
dei diritti»; 
        che,  infine,  per  l'Avvocatura,  manifestamente   infondate
risulterebbero le censure relative agli artt. 77, comma secondo, e 97
della Costituzione,  dato  che  esse  sarebbero  destituite  di  ogni
fondamento; 
        che si sono costituiti nel procedimento i soggetti ricorrenti
nell'ambito   del   giudizio   principale,   i   quali,   con   ampie
argomentazioni,  hanno   aderito   alle   censure   di   legittimita'
costituzionale  prospettate  dal  giudice  a  quo,   sostenendo   sia
l'irragionevolezza della previsione censurata, sia la violazione  del
principio dell'affidamento e del divieto di discriminazione,  sia  la
natura sostanzialmente innovativa della stessa  e,  conseguentemente,
negandone la natura interpretativa; 
        che, in prossimita' dell'esame in  camera  di  consiglio,  la
difesa delle parti private ha presentato memoria con cui ha  ribadito
quanto sostenuto nell'atto di costituzione, in ordine alla violazione
del principio di separazione dei poteri dello Stato e  di  violazione
dell'art. 97 della Costituzione; 
        che, in particolare, sotto questo profilo, le  parti  private
ritengono che la norma sospettata  di  illegittimita'  costituzionale
avrebbe determinato,  di  fatto,  l'esercizio  da  parte  del  potere
legislativo anche della potesta' amministrativa, in quanto  la  norma
di legge avrebbe determinato la modifica di un atto amministrativo; 
        che, nella stessa memoria, la difesa delle parti  private  si
e' poi soffermata sulla violazione del  principio  di  affidamento  e
sulla  irragionevolezza  della  norma  censurata,   richiamando,   al
riguardo, sia la giurisprudenza della Corte costituzionale che  della
Corte di  cassazione,  nonche'  quella  del  Consiglio  di  giustizia
amministrativa per la Regione Siciliana; 
        che, in ordine  al  principio  dell'affidamento,  la  memoria
richiama altresi' l'ordinamento  comunitario  e  la  Convenzione  dei
diritti dell'uomo,  soffermandosi,  in  particolare,  sulla  sentenza
Scordino (Grande Chambre, 29 marzo 2006); 
        che, infine, la parte privata ritiene che la norma denunciata
potrebbe eventualmente superare il vaglio  di  costituzionalita'  ove
interpretata   secondo   Costituzione,   cioe'   considerandola   non
retroattiva e, conseguentemente, non  applicabile  nella  fattispecie
oggetto del giudizio a quo; 
        che, con successiva ordinanza del 4 marzo 2008  (r.o.  n.  54
del 2009), analoga questione  di  legittimita'  costituzionale  della
medesima norma e' stata sollevata dallo stesso TAR  di  Catania,  nel
corso di altro giudizio, in riferimento agli artt. 2, 3, 4,  32,  35,
36 e 97 della Costituzione; 
        che la  fattispecie  oggetto  del  giudizio  a  quo  riguarda
l'accertamento del diritto di U. R., in ruolo presso  la  Guardia  di
Finanza, alla corresponsione delle somme derivanti  dall'applicazione
del  beneficio  delle  ritenute  previdenziali  ed  assistenziali   e
l'immediata restituzione di quelle gia'  trattenute  sullo  stipendio
del 2002, ai sensi dell'art. 4 del d.l. n. 245 del 2002 e dell'art. 5
dell'o.P.C.m. n. 3254 del 2002; 
        che la seconda ordinanza di rimessione riproduce  pressocche'
integralmente il testo dell'ordinanza precedente e, quindi, fonda, in
riferimento ai sopra citati parametri, la  sospettata  illegittimita'
costituzionale dell'art. 6, comma 1-bis, del d.l. n. 263 del  2006  -
sia in ordine alla  rilevanza,  sia  in  ordine  alla  non  manifesta
infondatezza della questione - su argomenti analoghi  ai  precedenti,
tranne  che  per  quanto  riguarda  l'art.  97  della   Costituzione,
relativamente al quale il rimettente non svolge alcuna motivazione; 
        che e' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  il  quale,  con  atto  sostanzialmente  identico   a   quello
depositato  nell'ambito  del  procedimento   relativo   all'ordinanza
iscritta al r.o. n. 346 del 2008, e con analoghe  argomentazioni,  ha
chiesto che la questione di legittimita' costituzionale sollevata sia
dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata. 
    Considerato  che  il  Tribunale  amministrativo  regionale  della
Sicilia, sezione staccata  di  Catania,  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3,  4,  24,
32, 35, 36, 77, comma secondo, 97, 101, 102 e 104 della Costituzione,
dell'art. 6, comma 1-bis, del decreto-legge del 9  ottobre  2006,  n.
263 (Misure straordinarie per fronteggiare  l'emergenza  nel  settore
dei  rifiuti  nella  regione  Campania -  Misure  per   la   raccolta
differenziata), comma aggiunto dalla legge di conversione 6  dicembre
2006,  n.  290  (Conversione  in  legge,   con   modificazioni,   del
decreto-legge 9 ottobre 2006, n. 263,  recante  misure  straordinarie
per fronteggiare l'emergenza nel settore dei  rifiuti  nella  regione
Campania); 
        che, successivamente, con  altra  ordinanza,  lo  stesso  TAR
Sicilia, sezione staccata di Catania, ha nuovamente sollevato analoga
questione di  legittimita'  costituzionale  della  citata  norma,  in
riferimento agli artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36 e 97  della  Costituzione,
con motivazioni identiche a quelle svolte nella precedente ordinanza; 
        che i giudizi, in quanto concernenti la stessa disposizione e
relativi a questioni analoghe o connesse,  devono  essere  riuniti  e
decisi con unica pronuncia; 
        che, preliminarmente, deve  essere  dichiarata  la  manifesta
inammissibilita'  della  questione  di  legittimita'   costituzionale
sollevata con la prima delle due ordinanze per  contraddittorieta'  e
carenza di descrizione della fattispecie propria del giudizio a  quo,
non essendo delimitato con chiarezza l'oggetto della questione; 
        che, in particolare, l'ordinanza identifica  inizialmente  il
thema decidendum del giudizio principale nella  richiesta,  da  parte
dei ricorrenti (tutti componenti del Corpo nazionale dei  Vigili  del
fuoco), della declaratoria di illegittimita' del  piano  di  recupero
dei contributi previdenziali a carico dei dipendenti stessi  (il  cui
prelievo  mensile  sulle   retribuzioni   era   stato   sospeso   per
l'«Emergenza Etna 2002» con l'ordinanza del Presidente del  Consiglio
dei ministri 29 novembre 2002,  n.  3254,  recante  disposizioni  sui
«Primi interventi urgenti diretti a fronteggiare i danni  conseguenti
ai gravi fenomeni eruttivi connessi all'attivita' vulcanica dell'Etna
nel territorio della provincia di  Catania  ed  agli  eventi  sismici
concernenti    la    medesima    area»),    in    quanto     previsti
dall'amministrazione di appartenenza in un arco temporale di 24 mesi,
la' dove la disciplina  originaria  (di  cui  all'art.  5,  comma  2,
dell'o.P.C.m.  sopra  citata)  avrebbe  invece  stabilito  che   tale
recupero sarebbe dovuto essere effettuato in un arco  temporale  pari
ad otto volte i mesi di sospensione (e quindi, nel caso di specie, in
128 mesi); 
        che,   successivamente,   pero',   l'ordinanza    entra    in
contraddizione con la iniziale identificazione del thema  decidendum,
assumendo come oggetto del giudizio principale non piu'  l'estensione
dell'arco temporale stabilito dal piano di recupero dei contributi il
cui prelievo era stato sospeso,  bensi'  il  diritto  dei  ricorrenti
all'applicazione del beneficio della sospensione dei  contributi  con
conseguente restituzione delle somme trattenute  sugli  stipendi  del
2002; 
        che,  conseguentemente,  il  contenuto  dell'ordinanza,   non
chiarendo l'oggetto del giudizio principale  ed,  anzi,  evidenziando
questioni per  la  cui  definizione  la  disposizione  sospettata  di
illegittimita' costituzionale risulta  irrilevante,  non  consente  a
questa Corte di vagliare l'effettiva applicabilita'  della  norma  ai
casi   dedotti,   determinando,   conseguentemente,   la    manifesta
inammissibilita' della questione, con assorbimento di ogni  ulteriore
profilo di inammissibilita' (ex plurimis, ordinanza n. 100 del 2009); 
        che la  questione  formulata  con  la  seconda  ordinanza  di
rimessione e' manifestamente infondata; 
        che con la  sentenza  n.  325  del  2008  -  ricordata  anche
dall'Avvocatura dello Stato - questa Corte ha gia' dichiarato la  non
fondatezza della questione di legittimita' costituzionale,  sollevata
in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, dell'art.  6,
comma 1-bis, del d.l. n. 263 del 2006, affermando come corrisponda ad
un principio di non irragionevole  esercizio  della  discrezionalita'
del legislatore la scelta di limitare il beneficio della  sospensione
del versamento contributivo ai soli datori di lavoro privati; 
        che  l'attuale  ordinanza  del  TAR  di   Catania   ripropone
questione analoga, in quanto la evocata disparita' di trattamento tra
lavoratori  privati  e  pubblici  in  ordine  alla  concessione   del
beneficio della  sospensione  del  versamento  contributivo  e'  solo
l'effetto speculare della scelta discrezionale del legislatore - gia'
ritenuta non irragionevole da questa  Corte  -  di  riconoscere  tale
beneficio ai soli datori di lavoro privati; 
        che,  ancora,  l'ordinanza   di   rimessione   non   fornisce
argomentazioni diverse o tali da indurre questa Corte a  rivedere  le
conclusioni gia' espresse sulla questione definita dalla sentenza  n.
325 del 2008, tali non ponendosi ritenere i richiami alla tutela  del
lavoro, di cui agli artt. 4, 35  e  36  della  Costituzione,  la  cui
adeguatezza va, comunque, valutata nel complesso della  disciplina  e
non in relazione ad uno specifico beneficio temporalmente  ridotto  e
contrassegnato fin dal suo inizio  dall'obbligo  della  restituzione,
ovvero quelli afferenti alla  possibile  interferenza  dell'attivita'
legislativa  sui  provvedimenti  giurisdizionali   (con   conseguente
«straripamento» della funzione legislativa in quella giurisdizionale,
come lamentato dal TAR di Catania); 
        che, infatti, questa Corte, anche di recente, ha escluso  che
all'adozione di una determinata disciplina con norme di legge sia  di
ostacolo la circostanza  che,  in  sede  giurisdizionale,  sia  stata
ritenuta  illegittima  quella,  di  contenuto  analogo  o   identico,
contenuta  in  una  fonte  normativa  secondaria   o   in   un   atto
amministrativo,  poiche',  anche  in   tal   caso,   ferma   restando
l'intangibilita' del giudicato, e' escluso  che  sia  compromessa  la
funzione giurisdizionale, muovendosi il legislatore e il  giudice  su
piani diversi, in  quanto  il  primo  fornisce  regole  di  carattere
generale e astratto, il secondo applica il diritto oggettivo  ad  una
singola fattispecie (sentenza n. 94 del 2009;  ordinanze  n.  32  del
2008 e n. 352 del 2006); 
        che, infine, del tutto apodittico appare il richiamo all'art.
32 della Costituzione sotto il profilo addotto  dal  rimettente,  la'
dove - travisando il significato  e  gli  effetti  del  beneficio  in
questione - afferma che la  norma  censurata  determinerebbe,  per  i
lavoratori ai quali la  sospensione  contributiva  viene  negata,  la
riduzione   dei   «livelli   collettivi   di   assistenza   sanitaria
riconosciuti ai dipendenti di datori di lavoro privati»; 
        che,  pertanto,  in  conformita'  alla  propria   consolidata
giurisprudenza, questa Corte deve dichiarare manifestamente infondata
la questione, in quanto non risultano addotti  argomenti  diversi  o,
comunque, tali da indurla a rivedere  le  conclusioni  gia'  espresse
nella precedente pronuncia di infondatezza (ex multis,  ordinanze  n.
42 del 2009, n. 343 del 2008 e n. 444 del 2007). 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Rriuniti i giudizi, 
        1) Dichiara la manifesta inammissibilita' della questione  di
legittimita'   costituzionale   dell'art.   6,   comma   1-bis,   del
decreto-legge 9  ottobre  2006,  n.  263  (Misure  straordinarie  per
fronteggiare  l'emergenza  nel  settore  dei  rifiuti  nella  regione
Campania - Misure per  la  raccolta  differenziata),  comma  aggiunto
dalla legge di conversione 6 dicembre 2006,  n.  290,  sollevata,  in
riferimento agli artt. 2, 3, 4, 24, 32, 35, 36,  77,  comma  secondo,
97, 101, 102 e 104 della Costituzione, dal  Tribunale  amministrativo
regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con l'ordinanza
r.o. n. 346 del 2008; 
        2) Dichiara la  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita'   costituzionale   dell'art.   6,   comma   1-bis,   del
decreto-legge n. 263 del 2006, sollevata, in riferimento artt. 2,  3,
4, 32, 35, 36 e 97 della Costituzione, dal  Tribunale  amministrativo
regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con l'ordinanza
r.o. n. 54 del 2009. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 novembre 2009. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                      Il redattore: Napolitano 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 20 novembre 2009. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola