N. 317 SENTENZA 30 novembre - 4 dicembre 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo  penale -  Sentenza  contumaciale  di  condanna -  Pregressa
  impugnazione proposta dal difensore  d'ufficio -  Restituzione  nel
  termine del contumace per proporre impugnazione  ed  esercizio  del
  diritto alla prova da parte dell'imputato restituito nel  termine -
  Preclusione - Eccezione di  inammissibilita'  della  questione  per
  omessa  ricerca  di  interpretazione  conforme   a   Costituzione -
  Reiezione. 
- Cod. proc. civ. 175, secondo comma. 
- Costituzione, artt. 24, 111,  primo  comma,  e  117,  primo  comma;
  Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
  delle liberta' fondamentali, art. 6. 
Convenzione europea per i diritti dell'uomo  (CEDU) -  Confronto  tra
  tutela  convenzionale   e   tutela   costituzionale   dei   diritti
  fondamentali - Svolgimento nel senso della massima espansione delle
  garanzie, anche attraverso lo sviluppo delle  potenzialita'  insite
  nelle norme costituzionali che hanno ad oggetto i medesimi  diritti
  - Impossibilita' per  la  Corte  costituzionale  di  sostituire  la
  propria interpretazione di norma CEDU a quella operata dalla  Corte
  di Strasburgo - Spettanza alla Corte costituzionale, in riferimento
  all'art. 117, primo comma,  Cost.,  del  compito  di  valutare,  in
  termini di interpretazione e bilanciamento, come e in  qual  misura
  l'interpretazione  della   CEDU   si   inserisca   nell'ordinamento
  costituzionale. 
- Cod. proc. civ. 175, secondo comma. 
- Costituzione, artt. 24, 111,  primo  comma,  e  117,  primo  comma;
  Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
  delle liberta' fondamentali, art. 6. 
Processo  penale -Sentenza  contumaciale  di   condanna -   Pregressa
  impugnazione proposta  dal  difensore  d'ufficio -  Non  consentita
  restituzione nel termine per  proporre  impugnazione  dell'imputato
  che non abbia avuto effettiva conoscenza  del  procedimento  o  del
  provvedimento - Violazione del diritto di difesa e del diritto  del
  contraddittorio  dell'imputato  contumace,   anche   in   relazione
  all'effetto espansivo  dell'art.  6  CEDU  e  della  corrispondente
  giurisprudenza   della   Corte   di   Strasburgo -   Illegittimita'
  costituzionale  in  parte  qua -  Decisione   non   incidente   sui
  presupposti  fissati  dalla  legge  per  l'accesso  del   contumace
  inconsapevole al meccanismo di garanzia. 
- Cod. proc. civ. 175, secondo comma. 
- Costituzione, artt. 24, 111,  primo  comma,  e  117,  primo  comma;
  Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
  delle liberta' fondamentali, art. 6. 
Processo  penale  -  Sentenza  contumaciale  di  condanna -  Imputato
  restituito  nel  termine -  Esercizio  del  diritto  alla   prova -
  Preclusione - Ritenuta violazione  del  diritto  di  difesa  e  del
  diritto del  contraddittorio  dell'imputato  contumace -  Questione
  irrilevante   in   quanto   astratta   e   prematura -    Manifesta
  inammissibilita'. 
- Cod. proc. civ. 175, secondo comma. 
- Costituzione, artt. 24, 111,  primo  comma,  e  117,  primo  comma;
  Convenzione europea per la salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
  delle liberta' fondamentali, art. 6. 
(GU n.49 del 9-12-2009 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
Composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 175,  comma  2,
del codice di procedura penale, promosso dalla Corte  di  cassazione,
nel procedimento penale a  carico  di  F.V.,  con  ordinanza  del  17
settembre 2008, iscritta al n. 428  del  registro  ordinanze  2008  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  1,  prima
serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  F.  V.  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza  pubblica  del  3  novembre  2009  il  Giudice
relatore Gaetano Silvestri; 
    Uditi l'avvocato Savino Lupo per F. V. e l'avvocato  dello  Stato
Maurizio Greco per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - La Corte di cassazione, prima sezione penale, con  ordinanza
del 17 settembre 2008, ha sollevato - in riferimento agli  artt.  24,
111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione -  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 175, comma 2, del codice  di
procedura penale, come sostituito dall'art. 1  del  decreto-legge  21
febbraio 2005, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di impugnazione
delle sentenze contumaciali e dei decreti di  condanna),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 22 aprile 2005, n. 60, nella parte  in
cui preclude la restituzione del contumace nel termine  per  proporre
impugnazione  quando  quest'ultima  sia  stata  gia'   proposta   dal
difensore di ufficio, e «nella parte in cui non consente all'imputato
restituito nel termine l'esercizio del diritto alla prova». 
    In via preliminare la Corte rimettente chiarisce come si proceda,
nel  giudizio  principale,  a  valutare  il  ricorso  per  cassazione
proposto riguardo ad  un  provvedimento  della  Corte  di  assise  di
appello di Bologna, con il quale e' stata  disposta  la  trasmissione
per competenza, alla stessa Corte di legittimita', d'una richiesta di
restituzione in termini formulata a norma  dell'art.  175,  comma  2,
cod. proc. pen. 
    La richiesta in questione era stata  avanzata  nell'interesse  di
persona condannata in contumacia per gravissimi delitti, con sentenza
della  Corte  di  assise  di  Piacenza  poi  confermata,  a   seguito
dell'impugnazione proposta dal difensore d'ufficio, con sentenza  del
competente giudice di appello, divenuta irrevocabile  in  difetto  di
ulteriore impugnazione. 
    Secondo la Corte d'appello bolognese, quando la sentenza  diviene
irrevocabile senza che siano stati esperiti in concreto tutti i gradi
di giudizio, l'imputato puo' essere rimesso in termini, nel  concorso
delle condizioni indicate all'art. 175 cod. proc. pen., con esclusivo
riguardo al mezzo di impugnazione non ancora sperimentato.  Nei  casi
di intervenuta celebrazione del giudizio di appello, come  quello  di
specie,  l'interessato  avrebbe  dunque  la  mera   possibilita'   di
promuovere,  pur  tardivamente,   la   fase   di   legittimita'   del
procedimento a suo carico. Di qui la disposta trasmissione degli atti
alla Corte suprema, individuata quale giudice  competente,  nel  caso
concreto, a valutare la domanda di rimessione in termini. 
    Il  difensore  di   fiducia   dell'imputato   ha   impugnato   il
provvedimento  appena  descritto,  sul  presupposto  che  lo   stesso
consista in una dichiarazione di inammissibilita'  della  domanda  di
restituzione nel termine per proporre  un  nuovo  appello  contro  la
sentenza contumaciale di condanna. Tale lettura  e'  stata  condivisa
dai  giudici  di  legittimita',  i  quali  hanno  dunque  considerato
ammissibile il ricorso. 
    Le doglianze  difensive  si  sono  incentrate  -  secondo  quanto
riferito dalla rimettente  -  sulla  pretesa  che  l'esercizio  della
facolta' di  appello  da  parte  del  difensore  «consumi»  l'analoga
facolta' riconosciuta all'imputato, di talche'  la  restituzione  nel
termine per proporre il  gravame  non  potrebbe  essere  disposta  in
nessun caso. Si e' sostenuto, in senso contrario, che il principio di
«unicita'» del diritto all'impugnazione sarebbe derogato nel caso  di
persona che non abbia avuto contezza del procedimento a  suo  carico.
Varrebbe qui, in particolare,  la  norma  «speciale»  desumibile  dal
comma 2 dell'art. 175 cod. proc. pen., dopo le  modifiche  introdotte
dal d.l. n. 17 del 2005 e dalla relativa legge  di  conversione.  Dal
testo della disposizione e' stato  infatti  eliminato  l'inciso  che,
fino alla novella, aveva  precluso  la  rimessione  nel  termine  con
riguardo   ad    impugnazioni    gia'    proposte    dal    difensore
dell'interessato.  Dunque,  secondo  il  ricorrente,   il   contumace
inconsapevole avrebbe ormai diritto a proporre appello  anche  quando
si  determini,  per   effetto   dell'impugnazione   precedente,   una
duplicazione del giudizio di gravame. 
    Con i motivi aggiunti a sostegno del ricorso, poi, la difesa  del
condannato  contumace  ha  eccepito  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 175 cod. proc. pen., nella parte in  cui  non  ammette  «la
possibilita' di concedere la restituzione in termini per  l'esercizio
di tutte quelle facolta' difensive da  cui  l'imputato  contumace  e'
decaduto a causa della completa o  parziale  ignoranza  del  percorso
processuale». 
    Sempre in via preliminare, la Corte  rimettente  precisa  d'avere
accertato, in esito ad indagini mirate, che nel corso del giudizio  a
suo carico il ricorrente non era mai stato reperito, neppure al  fine
di eseguire i provvedimenti coercitivi, di  natura  cautelare  e  poi
esecutiva, progressivamente adottati nei suoi confronti. 
    Tutto cio' premesso, il giudice a quo ricorda  che  la  questione
posta dalla difesa del ricorrente e' stata affrontata  dalle  Sezioni
unite della Corte di cassazione con una recente sentenza (31  gennaio
2008, n. 6026),  secondo  la  quale  e'  preclusa  al  condannato  in
contumacia la rimessione nel termine per l'impugnazione, quando detta
impugnazione sia gia' stata proposta dal  difensore  ed  il  relativo
procedimento sia gia' stato definito. 
    Il rimettente richiama gli argomenti  posti  a  fondamento  della
decisione. La giurisprudenza ha tradizionalmente  ritenuto  che,  pur
quando la legge accorda a piu' soggetti la possibilita'  di  proporre
un   gravame,   vale   la   regola   di   «unicita'»   del    diritto
all'impugnazione, e che l'atto di esercizio della facolta'  «consuma»
il potere corrispondente degli  ulteriori  soggetti  legittimati.  In
particolare, l'impugnazione proposta  dal  difensore  e'  pur  sempre
l'espressione di una prerogativa dell'imputato (come si  evince,  tra
l'altro, dalla rubrica dell'art. 571 cod. proc. pen.). D'altra  parte
la  duplicazione   del   giudizio   impugnatorio,   per   se   stessa
incompatibile coi principi generali  dell'ordinamento,  non  potrebbe
trovare giustificazione nell'assenza di una preclusione  formale  nel
testo novellato dell'art. 175 cod.  proc.  pen.  L'esame  dei  lavori
parlamentari concernenti la legge n. 60 del 2005 (di conversione  del
d.l. n. 17 del 2005) non varrebbe infatti  ad  evidenziare,  in  modo
univoco,  la   intentio   sottesa   alla   soppressione   dell'inciso
concernente le impugnazioni gia' proposte. Del resto, si aggiunge, se
davvero il legislatore avesse inteso ammettere la celebrazione di  un
nuovo giudizio di gravame, non avrebbe mancato di regolare  la  sorte
della sentenza gia' pronunciata in esito al  giudizio  precedente,  e
degli  atti  ad  essa  prodromici.   Dunque,   l'eliminazione   della
disposizione preclusiva sarebbe dovuta alla sua superfluita', essendo
il divieto dibis in idem gia' desumibile  dalla  disciplina  generale
delle impugnazioni. 
    La Corte rimettente afferma di condividere la soluzione  adottata
dalle Sezioni unite, con la conseguenza  che  il  ricorso  sottoposto
alla  sua  valutazione  dovrebbe  essere  respinto,   nonostante   la
tempestivita' della richiesta di rimessione in termini e  l'effettiva
inconsapevolezza del richiedente in merito al procedimento  celebrato
in suo danno. 
    Proprio in base  a  tali  conclusioni  assume  rilevanza,  sempre
secondo il giudice a quo, la questione di legittimita' costituzionale
enunciata in apertura. 
    Nel  merito,  il  rimettente  sottolinea  come  l'art.  6   della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo,  nella
costante lettura datane dalla Corte europea  dei  diritti  dell'uomo,
garantisca all'accusato il diritto di partecipare al giudizio  penale
che lo riguarda, ed il diritto altresi', quando il giudizio si svolga
senza che l'interessato ne abbia contezza, a  misure  ripristinatorie
che  rendano  effettivo  l'esercizio  personale  della   difesa.   La
previsione convenzionale, in relazione al disposto  del  primo  comma
dell'art. 117 Cost., assume il rango  di  fonte  interposta,  cui  il
diritto interno deve conformarsi, sempre che la fonte  sovranazionale
esprima una norma compatibile con il dettato  della  Costituzione  ed
assicuri un  corretto  bilanciamento  tra  l'esigenza  di  assicurare
l'osservanza degli obblighi assunti sul  piano  internazionale  e  la
tutela di altri  beni  di  adeguata  rilevanza  costituzionale  (sono
richiamate le sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e  349  del
2007). 
    La Corte rimettente, nonostante il contrario avviso  espresso  in
proposito dalle Sezioni  unite  della  stessa  Corte  di  cassazione,
ritiene non manifestamente infondato il sospetto di un contrasto  tra
la norma censurata e l'art. 6 della Convenzione  europea,  e  di  una
connessa violazione del  parametro  costituzionale  appena  indicato.
Dovrebbe escludersi, in particolare, che la  preclusione  opposta  al
contumace trovi giustificazione nel necessario bilanciamento del  suo
diritto alla difesa con l'interesse costituzionalmente protetto  alla
ragionevole  durata  del  processo  (del  quale   il   principio   di
«consumazione» della facolta' di appello costituirebbe un  presidio).
Da un lato, infatti, le regole processuali tendenti ad assicurare  la
«unicita'»  delle  impugnazioni  non  riceverebbero  alcuna   diretta
copertura costituzionale dal principio della ragionevole durata,  che
varrebbe unicamente a precludere la proliferazione  irragionevole  di
adempimenti processuali. Per altro verso, non  potrebbe  considerarsi
«razionale» un  bilanciamento  di  interessi  risolto  in  danno  del
diritto alla difesa di  persone  che  siano  state  condannate  senza
alcuna cognizione del giudizio celebrato nei  loro  confronti,  anche
riguardo alla fase d'appello. 
    Il disvalore del bis in idem non potrebbe essere opposto, secondo
la rimettente, a chi non abbia senza colpa partecipato  al  processo,
dovendo pur sempre garantirsi, anche in una  prospettiva  di  massima
semplificazione, che la procedura adottata conduca  ad  un  risultato
«giusto»,  con  cio'  intendendosi,  nella   specie,   un   risultato
conseguito senza vulnerare il diritto inviolabile alla difesa. 
    In  definitiva,  il  «risultato  dell'interpretazione»  elaborata
dalle Sezioni unite della Corte  suprema,  e  condivisa  dal  giudice
rimettente, assegnerebbe alla norma censurata un contenuto precettivo
non compatibile con l'art. 117, primo comma, Cost.  (integrato  dalla
disposizione convenzionale piu' volte richiamata),  con  l'art.  111,
primo comma, Cost., che pone direttamente al legislatore l'obbligo di
assicurare il giusto processo, e con  l'art.  24  Cost.  Non  sarebbe
possibile, d'altra parte, «una interpretazione adeguatrice o secundum
constitutionem mediante l'uso degli  ordinari  strumenti  ermeneutici
indicati dall'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale». 
    2. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato in data 20 gennaio 2009,  chiedendo  che
la questione sia dichiarata inammissibile. 
    Il giudice rimettente, infatti, non avrebbe adempiuto all'obbligo
di   sperimentare   soluzioni   interpretative    «costituzionalmente
orientate»,  tali  da  riconoscere  il  diritto  del  contumace  alla
rimessione in termini anche nel caso di  impugnazione  gia'  proposta
dal difensore.  Uno  spazio  in  tal  senso  residuerebbe  nonostante
l'opposta presa di posizione delle Sezioni unite della Corte suprema,
che ha fatto seguito a decisioni di segno contrario (sono  citate  le
sentenze 21 giugno 2006, n. 34468, e 7 dicembre 2006, n. 41711) e non
sarebbe stata confermata, in seguito, da pronunce di segno  conforme.
Non potrebbe dirsi, quindi, che le Sezioni unite abbiano  consolidato
un indirizzo sfavorevole agli interessi del condannato in contumacia. 
    L'attivita'  dell'interprete,   d'altra   parte,   non   potrebbe
prescindere  dai  precetti  fissati  nell'art.  6  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo, secondo la lettura datane dalla  Corte
europea. Inoltre, il nuovo testo del comma 2 dell'art. 175 cod. proc.
pen.  non  contiene,  a  differenza  di  quello  originario,   alcuna
disposizione preclusiva fondata  sulla  precedente  impugnazione  del
difensore.  Sarebbe  dunque  arbitrario  desumerne  una   regola   di
inammissibilita' per le richieste di rimessione che intervengano dopo
un precedente giudizio di  gravame.  Regola  che  in  effetti  -  ove
ritenuta sussistente - «potrebbe urtare contro i  principi  contenuti
negli artt. 24 e 111 Cost.». 
    Gli argomenti fondati sulla pretesa «consumazione» del diritto ad
impugnare trascurano, ad avviso della difesa erariale, che l'art. 175
cod.  proc.  pen.  non  ha  solo  la  funzione  di   garantire,   pur
tardivamente, un secondo giudizio sul fatto, ma rappresenta il  mezzo
per   compensare   la   mancata   partecipazione   dell'imputato   al
procedimento che lo riguarda. Il  meccanismo  anzi,  ed  «a  rigore»,
costituirebbe un rimedio non «pienamente satisfattivo»,  poiche'  non
asseconda l'aspettativa del condannato  in  contumacia  all'integrale
celebrazione del giudizio in sua presenza. 
    L'interpretazione  adottata  dal  giudice   rimettente,   infine,
provocherebbe un vulnus ad  interessi  garantiti  anche  dall'art.  6
della  Convenzione  europea  dei  diritti   dell'uomo.   L'Avvocatura
generale ricorda, a tale proposito, che la Corte EDU  non  ha  ancora
perfezionato un giudizio di conformita' del novellato art.  175  cod.
proc. pen. ai precetti della Convenzione,  ed  ha  invece  affermato,
ripetutamente,  che  la  restituzione  in   termini   del   contumace
inconsapevole deve essere assicurata  «senza  ulteriori  requisiti  o
filtri». 
    3. - Con atto depositato in data 23 gennaio 2009 si e' costituito
nel giudizio, quale parte del procedimento principale, il  ricorrente
F.V.,  nel  cui  interesse  e'  stata  presentata  la  richiesta   di
rimessione in termini dichiarata inammissibile dalla Corte di  assise
di appello di Bologna. 
    La parte premette che il giudizio culminato con  la  sentenza  di
condanna si era  svolto  senza  che  l'interessato  ne  avesse  avuta
contezza, e ripercorre, in termini adesivi, gli argomenti esposti dal
giudice rimettente. Viene escluso, in particolare, che l'art. 6 della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo possa determinare un vulnus
al principio di ragionevole durata  del  processo,  essendo  evidente
come la semplificazione del rito  non  possa  mai  spingersi  fino  a
determinare   l'assoluta   compressione   del   diritto   di   difesa
dell'imputato, anche nella  prospettiva  della  produzione  di  nuove
prove che contrastino il quadro cognitivo gia' valutato ai fini della
pronuncia di condanna. 
    Si ricorda ancora,  nell'atto  di  costituzione,  come  la  Corte
europea  dei  diritti  dell'uomo  abbia  stabilito  che  la   persona
condannata in absentia, quando  non  sia  possibile  attribuirle  una
rinuncia volontaria alla partecipazione, «deve  in  ogni  circostanza
poter ottenere che una giurisdizione statuisca nuovamente sul  merito
delle accuse» (e' richiamata la sentenza Sejdovic c.  Italia  del  10
novembre 2004). 
    Da ultimo, la parte osserva che  la  stessa  celebrazione  di  un
giudizio di  appello  potrebbe  risultare  inidonea  a  garantire  il
diritto   di   difesa   dell'interessato,   se    non    accompagnata
«dall'automatico riconoscimento della facolta' di presentare prove in
suo favore». In caso  contrario  «si  rimarrebbe  nell'ambito  di  un
processo inevitabilmente ingiusto, ed il  grado  di  appello,  seppur
celebrato ex  novo,  si  limiterebbe  ad  una  analisi  di  risultati
prodotti da un contraddittorio parziale». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte di cassazione dubita - in  riferimento  agli  artt.
24, 111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione -  della
legittimita' costituzionale dell'art. 175, comma  2,  del  codice  di
procedura penale, come sostituito dall'art. 1  del  decreto-legge  21
febbraio 2005, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di impugnazione
delle sentenze contumaciali e dei decreti di  condanna),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 22 aprile 2005, n. 60, nella parte  in
cui preclude la restituzione del contumace nel termine  per  proporre
impugnazione  quando  quest'ultima  sia  stata  gia'   proposta   dal
difensore di ufficio, e «nella parte in cui non consente all'imputato
restituito nel termine l'esercizio del diritto alla prova». 
    2. - La questione e' parzialmente fondata. 
    2.1. - La questione promossa nel presente giudizio inerisce  alla
piu' vasta problematica della garanzia del diritto di  difesa  e  del
diritto al contraddittorio dell'imputato contumace. In particolare si
tratta, nel caso di specie, dell'imputato giudicato in contumacia che
non abbia avuto contezza del processo e non abbia potuto, per  questo
motivo, partecipare al suo svolgimento, vedendosi  precluso,  in  tal
modo, l'esercizio del proprio diritto di difendersi,  anche  mediante
la produzione di nuove e diverse prove rispetto a  quelle  presentate
dall'accusa. 
    3. - Il diritto  dell'imputato  a  partecipare  personalmente  al
processo che lo riguarda e' sancito dal Patto internazionale relativo
ai diritti civili e politici, firmato a New York il 16 dicembre 1966,
ratificato e reso esecutivo in Italia in base alla legge  25  ottobre
1977,  n.  881  (Ratifica  ed  esecuzione  del  patto  internazionale
relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonche' del patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici, con  protocollo
facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York  rispettivamente
il 16 e  il  19  dicembre  1966),  che  attribuisce  all'imputato  il
«diritto di essere presente al processo» (art. 14, comma  3,  lettera
d). 
    Il medesimo diritto, nello spazio europeo, e' garantito dall'art.
6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva in Italia in base alla legge 4 agosto 1955,  n.  848
(Ratifica ed esecuzione della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma  il  4
novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla  Convenzione  stessa,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952), nell'interpretazione datane dalla
Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  nei  termini  piu'   avanti
specificati. 
    Il  Comitato  dei  Ministri  del  Consiglio  d'Europa,   con   la
risoluzione del 21 maggio 1975, n. 11,  ha  precisato  i  criteri  da
seguire nel giudizio in assenza  dell'imputato,  stabilendo,  tra  le
«regole minime», che «ogni persona  giudicata  in  sua  assenza  deve
poter impugnare la decisione con tutti i  mezzi  di  gravame  che  le
sarebbero consentiti qualora fosse stata  presente»  (raccomandazione
n. 7). 
    L'art. 3 del  Secondo  Protocollo  addizionale  alla  Convenzione
europea di estradizione, adottato a  Strasburgo  il  17  marzo  1978,
ratificato e reso esecutivo in Italia in base alla legge  18  ottobre
1984,  n.  755  (Ratifica  ed  esecuzione  del   secondo   protocollo
aggiuntivo alla  convenzione  europea  di  estradizione,  adottato  a
Strasburgo il 17  marzo  1978),  prevede  che  l'estradizione  di  un
condannato, ai fini dell'esecuzione di  una  pena  inflitta  mediante
provvedimento reso in contumacia, possa essere subordinata  al  fatto
che la Parte richiedente fornisca «assicurazioni ritenute sufficienti
per garantire alla persona la cui estradizione e' chiesta il  diritto
ad un nuovo procedimento di  giudizio  che  tuteli  i  diritti  della
difesa». 
    L'art.  5,  numero  1),  della  Decisione  quadro  del  Consiglio
dell'Unione europea del 13 giugno 2002  (2002/584/GAI),  relativa  al
mandato d'arresto europeo ed alle procedure  di  consegna  tra  Stati
membri, dispone: «Se il mandato di arresto europeo e' stato emesso ai
fini dell'esecuzione di  una  pena  o  di  una  misura  di  sicurezza
comminate  mediante  decisione  pronunciata  "in  absentia",   e   se
l'interessato  non  e'  stato  citato  personalmente  ne'  altrimenti
informato della data e del luogo dell'udienza  che  ha  portato  alla
decisione  pronunciata  in  absentia,   la   consegna   puo'   essere
subordinata alla condizione  che  l'autorita'  giudiziaria  emittente
fornisca  assicurazioni  considerate  sufficienti  a  garantire  alle
persone oggetto del mandato di arresto  europeo  la  possibilita'  di
richiedere un nuovo processo nello Stato membro emittente e di essere
presenti al giudizio». 
    4. - La Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  ha  interpretato
l'art. 6 CEDU con una  serie  di  pronunce  (Colozza  c.  Italia,  12
febbraio 1985; F.C.B. c. Italia, 28 agosto 1991;  T.  c.  Italia,  12
ottobre 1992; Somogyi c. Italia, 18 maggio 2004; Sejdovic c.  Italia,
10 novembre 2004 e Idem, Grande Camera, 1° marzo 2006),  nelle  quali
ha  dedotto  dalla  disposizione  citata  della  Convenzione   -   in
particolare dal comma 3 - un gruppo di regole di garanzia processuale
rilevanti per la presente questione: a) l'imputato ha il  diritto  di
esser presente al processo svolto a suo carico;  b)  lo  stesso  puo'
rinunciare  volontariamente  all'esercizio  di   tale   diritto;   c)
l'imputato deve essere consapevole dell'esistenza di un processo  nei
suoi  confronti;  d)   devono   esistere   strumenti   preventivi   o
ripristinatori,  per  evitare  processi   a   carico   di   contumaci
inconsapevoli, o per assicurare in un nuovo giudizio, anche  mediante
la produzione di nuove prove, il diritto di difesa che non  e'  stato
possibile esercitare personalmente  nel  processo  contumaciale  gia'
concluso. 
    5. - Il legislatore italiano ha scelto lo strumento delle  misure
ripristinatorie, per garantire comunque al contumace inconsapevole la
possibilita' di esercitare adeguatamente il suo diritto di difesa  in
giudizio. L'attuale disciplina - parte  della  quale  e'  oggetto  di
censura  nel  presente  giudizio  -  e'  frutto  di  una  progressiva
evoluzione, che giova riassumere, allo scopo di meglio focalizzare la
questione oggi sottoposta al vaglio di questa Corte. 
    Il codice di procedura penale del 1930, nel suo testo originario,
consentiva la celebrazione del processo in  contumacia,  con  l'unica
garanzia rappresentata dalla previsione che l'estratto della sentenza
fosse notificato al contumace, per il  quale  il  termine  utile  per
l'impugnazione decorreva dalla data della notifica (artt. 199 e 500).
Con la riforma del 1955, e la conseguente introduzione nel codice  di
un  art.  183-bis,  veniva  prevista  anche  per  il   contumace   la
possibilita' di essere rimesso nel termine per impugnare, qualora non
avesse potuto farlo, in precedenza,  per  «caso  fortuito»  o  «forza
maggiore». 
    Mentre era ancora in vigore la disciplina del  1955,  interveniva
la prima sentenza della Corte EDU (Colozza c.  Italia,  1985),  nella
quale si riteneva necessario, per garantire il diritto di difesa  del
contumace inconsapevole, che fosse assicurata una  nuova  valutazione
dell'accusa da parte del giudice, in un procedimento nel  cui  ambito
l'imputato venisse «ascoltato» sul merito dell'imputazione. 
    Il codice di procedura penale del  1988  stabiliva  alcune  nuove
regole  in  materia  di  processo  all'imputato   contumace   (regole
«anticipate» di qualche mese, attraverso la modifica di alcune  norme
del codice del 1930, dalla legge 23  gennaio  1989,  n.  24,  recante
«Nuova disciplina della contumacia»). 
    La possibilita' per il  difensore  di  impugnare  la  sentenza  a
carico del contumace veniva accordata alla  sola  condizione  che  lo
stesso difensore fosse munito di uno specifico mandato in  tal  senso
(comma 3 dell'art. 571). Questa Corte deduceva da tale norma la ratio
che fosse  stata  «privilegiata  l'autodifesa  rispetto  alla  difesa
tecnica» (sentenza n. 315 del 1990). Si subordinava  la  restituzione
nel termine alla prova, da parte del condannato, di aver ignorato  il
provvedimento senza sua colpa (comma 2 dell'art. 175). Veniva fissato
un termine di dieci giorni dalla cognizione dell'atto e si precludeva
la rimessione nel termine per l'impugnazione, a favore dell'imputato,
qualora il difensore avesse gia' impugnato la sentenza. Infine l'art.
603, ancora in vigore, ammetteva, alle medesime  condizioni  previste
per l'impugnazione tardiva nel testo originario del comma 2 dell'art.
175 cod. proc. pen., il  diritto  alla  rinnovazione  dell'istruzione
dibattimentale. 
    Intervenendo nuovamente con la legge 16  dicembre  1999,  n.  479
(Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in
composizione monocratica e altre modifiche  al  codice  di  procedura
penale. Modifiche al codice di  procedura  penale  e  all'ordinamento
giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile  pendente,
di indennita' spettanti al giudice  di  pace  e  di  esercizio  della
professione forense), il legislatore  sopprimeva  la  necessita'  del
mandato speciale al difensore per impugnare la sentenza resa a carico
del contumace, ma non eliminava per quest'ultimo  la  preclusione  ad
una restituzione nel termine per l'impugnazione, nel caso che  questa
fosse stata gia' proposta dal difensore medesimo. 
    Intervenivano quindi altre due significative pronunce della Corte
di Strasburgo (in particolare, la decisione  11  settembre  2003  nel
procedimento Sejdovic c. Italia,  e  la  successiva  sentenza,  nello
stesso procedimento, in data 10 novembre 2004). In tali  pronunce  si
censurava la legislazione italiana  per  l'eccessiva  difficolta'  di
provare il difetto di conoscenza  e  per  l'estrema  brevita'  (dieci
giorni)  del  tempo  utile  per  la  presentazione  dell'istanza   di
restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale.  Con
la seconda delle decisioni citate,  la  Corte  europea  segnalava  un
«problema strutturale connesso ad una disfunzione della  legislazione
italiana». 
    Tenendo  conto  di  tale  giurisprudenza  della  Corte  EDU,   il
legislatore e' intervenuto ancora una volta in materia, con una nuova
formulazione  dell'art.  175  cod.   proc.   pen.,   introdotta   dal
decreto-legge n. 17 del 2005 e dalla relativa legge  di  conversione,
che detta alcune nuove regole: a) il contumace non deve piu'  provare
l'inconsapevolezza   dell'esistenza   del    procedimento    o    del
provvedimento, per la cui impugnazione chiede di  essere  rimesso  in
termini, con la conseguenza che l'onere della  prova  ricade  su  chi
sostiene invece la consapevolezza; b) il termine per la richiesta  e'
aumentato a trenta giorni  dalla  conoscenza  dell'atto;  c)  non  e'
riprodotta l'esplicita preclusione ad una restituzione dell'imputato,
nel termine per impugnare, in caso di impugnazione gia' proposta  dal
difensore. 
    6. - Dopo la riforma del  2005,  la  Corte  di  cassazione  aveva
ritenuto in due pronunce (sez. I, 21 giugno 2006, n. 34468; sez. I, 7
dicembre 2006, n. 41711) che, in base al nuovo  testo  dell'art.  175
cod. proc. pen., fosse ammissibile la restituzione del contumace  nel
termine per impugnare anche dopo l'impugnazione del difensore.  Nella
seconda delle pronunce citate, la Corte di legittimita' segnalava che
l'art. 669 cod. proc. pen.  prevede  appositi  rimedi  per  rimuovere
l'eventuale contrasto tra giudicati, nell'ipotesi di  una  pluralita'
di sentenze emesse, per lo stesso  fatto,  a  carico  della  medesima
persona. 
    E' tuttavia  intervenuta,  successivamente,  una  sentenza  delle
Sezioni unite della stessa Corte di cassazione (31 gennaio  2008,  n.
6026), che ha capovolto l'interpretazione precedente ed ha sviluppato
una serie di argomenti, che possono  essere  considerati  all'origine
della presente questione di legittimita' costituzionale.  Si  afferma
che il  codice  di  rito  vigente  e'  caratterizzato  dal  principio
dell'unicita' del diritto di impugnazione, collegato al principio del
ne bis in idem,  da  ritenere  fondamentale  nel  nostro  ordinamento
processuale. A cio' si  aggiunge  che  la  Corte  costituzionale  non
avrebbe negato, in linea di  principio,  la  validita'  delle  misure
ripristinatorie ai fini della difesa del  contumace  inconsapevole  e
che l'art. 6 CEDU non accorderebbe allo stesso una tutela maggiore di
quella offerta dall'art. 111 Cost.  Si  deve  tener  conto  -  sempre
secondo le Sezioni unite - che, con la modifica  dell'art.  571  cod.
proc. pen., il legislatore ha consentito l'impugnazione senza mandato
da parte del difensore, affermando  cosi'  il  primato  della  difesa
tecnica su quella personale. Segue il richiamo alle sentenze nn.  348
e 349 del 2007  di  questa  Corte,  dalle  quali  si  ricaverebbe  la
necessita' di bilanciare la  difesa  dell'imputato  contumace  ed  il
principio di ragionevole  durata  del  processo,  di  cui  l'unicita'
dell'impugnazione sarebbe diretta proiezione.  Il  duplice  esercizio
del  diritto  all'impugnazione  entrerebbe  in  conflitto  con   tale
principio e non potrebbe pertanto essere introdotto  nell'ordinamento
processuale italiano. 
    Quanto alla recente modifica dell'art. 175 cod. proc. pen., ed in
particolare   all'eliminazione   dell'inciso   che   precludeva    la
restituzione in  termini  nel  caso  di  gravame  gia'  proposto  dal
difensore,  i  lavori  parlamentari  non  offrirebbero   una   chiave
interpretativa univoca circa l'intenzione del legislatore. 
    Non  si  dovrebbe  trascurare,  infine,  la  possibilita'  che  i
contumaci, in  caso  di  ammissibilita'  della  doppia  impugnazione,
rendano sempre provvisorie le sentenze emesse nei loro confronti. 
    Dopo la suddetta  sentenza  delle  Sezioni  unite,  la  Corte  di
cassazione ha aderito, con tre pronunce -  l'ultima  delle  quali  e'
quella che ha sollevato la presente questione - al nuovo orientamento
interpretativo (l'ordinanza di rimessione e' stata preceduta da  sez.
I, 11 novembre 2008, n. 33 del 2009, e sez. I, 10 dicembre  2008,  n.
8429  del  2009).  Non  si  rilevano  decisioni  difformi.  Si   puo'
concludere quindi che sul punto si  e'  formato  un  vero  e  proprio
«diritto vivente», che impone a questa Corte  di  incentrare  le  sue
valutazioni sulla  norma  impugnata  nell'interpretazione  dominante,
fatta propria dal giudice a quo. 
    L'imputato giudicato in contumacia resta cosi'  privo,  nel  caso
che il suo difensore abbia gia' promosso  un  giudizio  impugnatorio,
della possibilita'  di  chiedere  la  restituzione  nel  termine  per
impugnare  e,  conseguentemente,  dell'effettivita'  del  diritto  ad
essere presente nel processo che lo riguarda. 
    L'esistenza di un diritto vivente nel senso indicato non consente
di  accogliere  la  richiesta  dell'Avvocatura  dello  Stato  di  una
pronuncia  di  inammissibilita',  per   non   avere   il   rimettente
considerato la possibilita'  di  dare  della  disposizione  censurata
un'interpretazione conforme alla Costituzione, sulla falsariga  delle
pronunce della Corte di  cassazione  anteriori  alla  sentenza  delle
Sezioni unite n. 6026 del 2008. Al contrario, lo  stesso  giudice  ha
esplicitamente ritenuto  di  non  poter  giungere  a  interpretazione
diversa da quella delle Sezioni unite,  facendo  uso  degli  ordinari
strumenti ermeneutici. 
    7. - Identificato come sopra l'oggetto del presente giudizio,  la
valutazione   della   questione   di   legittimita'    costituzionale
concernente l'art. 175, comma 2, cod. proc. pen. deve essere condotta
in riferimento congiunto ai parametri di cui agli  artt.  117,  primo
comma - in relazione all'art. 6 CEDU, quale interpretato dalla  Corte
di Strasburgo - 24 e 111, primo comma, Cost. Occorre infatti  mettere
in rilievo la compenetrazione delle  tutele  offerte  da  queste  tre
norme, ai fini di un adeguato esercizio del diritto di difesa. Questa
Corte   ha   gia'   chiarito   che   l'integrazione   del   parametro
costituzionale rappresentato dal primo comma dell'art. 117 Cost.  non
deve intendersi come una sovraordinazione gerarchica delle norme CEDU
- in se' e per se' e quindi a  prescindere  dalla  loro  funzione  di
fonti interposte - rispetto  alle  leggi  ordinarie  e,  tanto  meno,
rispetto  alla  Costituzione.   Con   riferimento   ad   un   diritto
fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non puo'  mai
essere causa di una diminuzione di  tutela  rispetto  a  quelle  gia'
predisposte dall'ordinamento interno,  ma  puo'  e  deve,  viceversa,
costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa.  Se
si  assume  questo  punto  di  partenza  nella  considerazione  delle
interrelazioni normative tra i vari livelli delle garanzie, si arriva
facilmente alla  conclusione  che  la  valutazione  finale  circa  la
consistenza effettiva della tutela in singole fattispecie  e'  frutto
di  una  combinazione  virtuosa  tra  l'obbligo   che   incombe   sul
legislatore nazionale di adeguarsi ai principi  posti  dalla  CEDU  -
nella sua interpretazione  giudiziale,  istituzionalmente  attribuita
alla  Corte  europea  ai  sensi  dell'art.  32  della  Convenzione  -
l'obbligo che parimenti incombe sul giudice comune di dare alle norme
interne una interpretazione  conforme  ai  precetti  convenzionali  e
l'obbligo  che  infine   incombe   sulla   Corte   costituzionale   -
nell'ipotesi di impossibilita' di una interpretazione  adeguatrice  -
di non consentire che continui ad  avere  efficacia  nell'ordinamento
giuridico italiano una norma di cui sia stato accertato il deficit di
tutela riguardo ad un diritto  fondamentale.  Del  resto,  l'art.  53
della  stessa  Convenzione  stabilisce  che  l'interpretazione  delle
disposizioni CEDU non puo' implicare livelli di  tutela  inferiori  a
quelli assicurati dalle fonti nazionali. 
    L'accertamento dell'eventuale deficit  di  garanzia  deve  quindi
essere svolto in comparazione con un livello superiore gia' esistente
e  giuridicamente  disponibile  in  base  alla  continua  e  dinamica
integrazione del parametro, costituito dal vincolo al rispetto  degli
obblighi internazionali, di cui al primo comma dell'art. 117 Cost. 
    E' evidente che questa Corte non solo non puo' consentire che  si
determini, per il tramite dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  una
tutela inferiore a quella gia' esistente in base al diritto  interno,
ma neppure puo' ammettere che una tutela superiore, che sia possibile
introdurre per la stessa via, rimanga sottratta  ai  titolari  di  un
diritto fondamentale. La conseguenza di questo ragionamento e' che il
confronto  tra  tutela  convenzionale  e  tutela  costituzionale  dei
diritti fondamentali deve  essere  effettuato  mirando  alla  massima
espansione  delle  garanzie,  anche  attraverso  lo  sviluppo   delle
potenzialita' insite nelle norme costituzionali che hanno ad  oggetto
i medesimi diritti. 
    Nel concetto di  massima  espansione  delle  tutele  deve  essere
compreso, come gia' chiarito nelle sentenze nn. 348 e 349  del  2007,
il necessario bilanciamento con  altri  interessi  costituzionalmente
protetti, cioe' con altre norme  costituzionali,  che  a  loro  volta
garantiscano  diritti  fondamentali  che  potrebbero  essere   incisi
dall'espansione di una singola tutela. Questo bilanciamento trova nel
legislatore il suo riferimento primario, ma  spetta  anche  a  questa
Corte nella sua attivita' interpretativa delle norme costituzionali. 
    Il richiamo al «margine di apprezzamento» nazionale  -  elaborato
dalla stessa Corte di Strasburgo, come  temperamento  alla  rigidita'
dei principi formulati in  sede  europea  -  trova  la  sua  primaria
concretizzazione nella funzione legislativa del Parlamento,  ma  deve
essere sempre presente nelle valutazioni di  questa  Corte,  cui  non
sfugge che la tutela dei diritti fondamentali deve essere sistemica e
non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in  potenziale
conflitto tra  loro.  Naturalmente,  alla  Corte  europea  spetta  di
decidere sul singolo caso e sul singolo diritto fondamentale,  mentre
appartiene alle autorita' nazionali  il  dovere  di  evitare  che  la
tutela di alcuni diritti fondamentali  -  compresi  nella  previsione
generale ed  unitaria  dell'art.  2  Cost.  -  si  sviluppi  in  modo
squilibrato, con sacrificio  di  altri  diritti  ugualmente  tutelati
dalla Carta costituzionale e dalla stessa Convenzione europea. 
    Il  risultato  complessivo   dell'integrazione   delle   garanzie
dell'ordinamento  deve  essere  di  segno  positivo,  nel  senso  che
dall'incidenza della singola norma CEDU sulla  legislazione  italiana
deve derivare un plus di tutela per  tutto  il  sistema  dei  diritti
fondamentali. 
    Questa Corte non puo' sostituire la  propria  interpretazione  di
una disposizione della CEDU a quella della Corte di  Strasburgo,  con
cio' uscendo dai confini delle proprie competenze, in  violazione  di
un preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione
e la ratifica, senza  l'apposizione  di  riserve,  della  Convenzione
(sentenza n. 311 del 2009), ma puo' valutare come ed in  qual  misura
il prodotto dell'interpretazione della  Corte  europea  si  inserisca
nell'ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel  momento
in cui va ad integrare il primo comma dell'art. 117 Cost., da  questo
ripete il suo rango nel sistema  delle  fonti,  con  tutto  cio'  che
segue, in termini di interpretazione e  bilanciamento,  che  sono  le
ordinarie operazioni cui questa Corte e' chiamata in tutti i  giudizi
di sua competenza. 
    In sintesi, il «margine di apprezzamento» nazionale  puo'  essere
determinato avuto  riguardo  soprattutto  al  complesso  dei  diritti
fondamentali, la cui visione  ravvicinata  e  integrata  puo'  essere
opera del legislatore, del giudice delle leggi e del giudice  comune,
ciascuno nell'ambito delle proprie competenze. 
    8. - Alla  luce  delle  considerazioni  che  precedono,  si  deve
esaminare l'eventualita' che - come  affermato  dalle  Sezioni  unite
della Corte di cassazione nella citata sentenza n. 6026 del 2008 - il
diritto di difesa del contumace inconsapevole debba  bilanciarsi  con
il principio di ragionevole durata del processo, di  cui  al  secondo
comma dell'art. 111 della Costituzione. 
    Tale eventualita' deve essere esclusa,  giacche'  il  diritto  di
difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono
entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente
dalla completezza del sistema delle  garanzie.  Cio'  che  rileva  e'
esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale delineato dalla
stessa  norma  costituzionale  invocata  come  giustificatrice  della
limitazione  del  diritto  di  difesa  del  contumace.  Una   diversa
soluzione  introdurrebbe  una  contraddizione  logica   e   giuridica
all'interno dello stesso art. 111 Cost., che da una parte  imporrebbe
una piena tutela  del  principio  del  contraddittorio  e  dall'altra
autorizzerebbe  tutte  le  deroghe  ritenute  utili  allo  scopo   di
abbreviare la durata dei  procedimenti.  Un  processo  non  «giusto»,
perche' carente sotto il profilo delle garanzie, non e'  conforme  al
modello costituzionale, quale che sia la sua durata. 
    In realta', non si tratterebbe di un vero bilanciamento, ma di un
sacrificio puro  e  semplice,  sia  del  diritto  al  contraddittorio
sancito dal suddetto art. 111  Cost.,  sia  del  diritto  di  difesa,
riconosciuto dall'art. 24, secondo comma, Cost.: diritti garantiti da
norme costituzionali che entrambe  risentono  dell'effetto  espansivo
dell'art. 6 CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di
Strasburgo. 
    E' bene chiarire in proposito che un incremento di tutela indotto
dal dispiegarsi degli effetti della  normativa  CEDU  certamente  non
viola gli articoli della Costituzione posti a garanzia  degli  stessi
diritti, ma ne esplicita ed arricchisce il contenuto,  innalzando  il
livello  di  sviluppo  complessivo  dell'ordinamento  nazionale   nel
settore dei diritti fondamentali. 
    9. - A fortiori non possono essere richiamati, per convalidare la
legittimita'  costituzionale  della  norma  censurata,   i   principi
dell'unicita' del diritto all'impugnazione e del divieto  di  bis  in
idem, da cui non possono essere tratte conclusioni limitative  di  un
diritto  fondamentale.  Tali  principi   devono   essere   presi   in
considerazione, invece, sia  per  ricercare  i  rimedi  ad  eventuali
giudicati contraddittori che  gia'  siano  presenti  nell'ordinamento
positivo,  sia  per  approntare,  da  parte  del  legislatore,  norme
tecniche di dettaglio, volte a rendere  maggiormente  operativo,  sul
piano processuale, il principio di garanzia  costituito  dal  diritto
del contumace inconsapevole a fruire di una  misura  ripristinatoria.
Quest'ultima, per avere effettivita',  non  puo'  essere  «consumata»
dall'atto  di  un  soggetto,  il  difensore   (normalmente   nominato
d'ufficio,  in  tali  casi,  stante  l'assenza  e   l'irreperibilita'
dell'imputato), che non ha ricevuto un mandato ad hoc  e  che  agisce
esclusivamente di  propria  iniziativa.  L'esercizio  di  un  diritto
fondamentale non puo' essere sottratto  al  suo  titolare,  che  puo'
essere sostituito solo nei limiti strettamente necessari a  sopperire
alla sua impossibilita' di esercitarlo e non deve trovarsi di  fronte
all'effetto irreparabile di una  scelta  altrui,  non  voluta  e  non
concordata, potenzialmente dannosa per la sua persona. 
    E' appena il caso di aggiungere che questa Corte puo' intervenire
in materia nei limiti della sua competenza e non puo' incidere  sulla
conformazione del processo contumaciale, che spetta  al  legislatore.
Si deve soltanto sottolineare che,  nell'accogliere  parzialmente  la
questione sollevata dalla Corte rimettente, si elimina una  specifica
violazione al diritto di difesa ed al  contraddittorio  dell'imputato
contumace inconsapevole, allo scopo di rendere effettiva  proprio  la
misura ripristinatoria scelta dal legislatore  -  la  rimessione  nel
termine per proporre impugnazione - senza profilare un nuovo  modello
di processo al contumace. 
    Qualunque decisione di accoglimento  produce  effetti  sistemici;
questa Corte non puo' tuttavia negare il suo intervento a tutela  dei
diritti fondamentali per considerazioni di astratta coerenza formale. 
    L'art. 175, comma 2, cod. proc. pen., per i motivi sopra  esposti
deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte  in
cui preclude la restituzione  del  contumace,  che  non  aveva  avuto
cognizione del  processo,  nel  termine  per  proporre  impugnazione,
quando la stessa impugnazione sia gia' stata proposta dal  difensore.
Resta chiaro che la presente decisione attiene alla sola  preclusione
formale individuata  dal  diritto  vivente  (quella  cioe'  derivante
dall'esistenza di una  pregressa  impugnazione),  e  non  incide  sui
presupposti  fissati  dalla  legge  per   l'accesso   del   contumace
inconsapevole al meccanismo di garanzia. 
    10. - Il petitum  avanzato  dal  rimettente  comprende  anche  la
dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  della  disposizione
censurata nella parte in cui non consente all'imputato restituito nel
termine l'esercizio del diritto alla prova. 
    La questione e' manifestamente inammissibile. 
    Si tratta  di  questione  che,  avuto  riguardo  al  procedimento
principale,  pendente  davanti  al  giudice  della  legittimita',  si
presenta come astratta e  prematura,  e  quindi  irrilevante  per  la
definizione del giudizio. Se rimesso nel termine,  l'imputato  potra'
proporre l'acquisizione di nuove prove nel giudizio di merito, ed  in
quella sede potra' eventualmente sorgere il  problema  dell'esercizio
del  suo  diritto  alla  prova,  asseritamente  violato  dalla  norma
censurata. Nel processo a quo la Corte di cassazione  e'  chiamata  a
giudicare soltanto sulla legittimita' del diniego di restituzione nel
termine pronunciato dalla Corte di  assise  di  appello  di  Bologna,
restando impregiudicata la successiva attivita' processuale,  che  si
svolgera' nell'ipotesi  di  apertura  del  giudizio  di  impugnazione
sinora negato al ricorrente. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara la illegittimita' costituzionale dell'art. 175, comma 2,
del codice di procedura penale, nella parte in cui  non  consente  la
restituzione dell'imputato, che non abbia avuto effettiva  conoscenza
del procedimento  o  del  provvedimento,  nel  termine  per  proporre
impugnazione contro la  sentenza  contumaciale,  nel  concorso  delle
ulteriori   condizioni   indicate   dalla   legge,   quando   analoga
impugnazione sia stata proposta in  precedenza  dal  difensore  dello
stesso imputato; 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 175, comma 2, cod. proc.  pen.,
nella parte in cui non consente all'imputato restituito  nel  termine
l'esercizio del diritto alla prova, sollevata,  in  riferimento  agli
artt. 24, 111, primo comma e 117, primo  comma,  della  Costituzione,
dalla Corte di cassazione, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2009. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                       Il redattore: Silvestri 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 4 dicembre 2009. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola