N. 320 SENTENZA 30 novembre - 4 dicembre 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Prove - Registrazioni di  conversazioni  effettuate
  da uno degli interlocutori all'insaputa degli altri, di intesa  con
  la polizia giudiziaria - Qualificazione, secondo il diritto vivente
  della  giurisprudenza  di  legittimita',  come  documenti  anziche'
  intercettazioni - Dedotta violazione del diritto alla riservatezza,
  della liberta' e segretezza delle comunicazioni e  del  diritto  di
  difesa nonche' contrasto con l'art. 8 CEDU, come interpretato dalla
  Corte europea dei  diritti  dell'uomo  -  Sufficiente  assolvimento
  dell'onere di individuare, all'interno di un corpus  normativo,  la
  norma  ritenuta  lesiva  della   Costituzione   -   Esclusione   di
  inammissibilita'. 
- Cod. proc. pen., artt. 234, 266 e ss. 
- Costituzione, artt. 2, 15, 24 e 117, primo comma. 
Processo penale - Prove - Registrazioni di  conversazioni  effettuate
  da uno degli interlocutori all'insaputa degli altri, di intesa  con
  la polizia giudiziaria - Qualificazione, secondo il diritto vivente
  della  giurisprudenza  di  legittimita',  come  documenti  anziche'
  intercettazioni - Dedotta violazione del diritto alla riservatezza,
  della liberta' e segretezza delle comunicazioni e  del  diritto  di
  difesa nonche' contrasto con l'art. 8 CEDU, come interpretato dalla
  Corte  europea  dei   diritti   dell'uomo   -   Questione   fondata
  sull'erroneo  presupposto  interpretativo  dell'esistenza   di   un
  diritto vivente come sopra identificato - Richiesta  di  avallo  di
  un'opzione   interpretativa,   con   conseguente   uso    improprio
  dell'incidente  di  costituzionalita'  -   Inammissibilita'   della
  questione. 
- Cod. proc. pen., artt. 234, 266 e ss. 
- Costituzione, artt. 2, 15, 24 e 117, primo comma. 
(GU n.49 del 9-12-2009 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  234,  266  e
seguenti del codice di procedura penale, promosso  dal  Tribunale  di
Lecce, nel procedimento  penale  a  carico  di  S.A.  ed  altro,  con
ordinanza del 19  maggio  2008,  iscritta  al  n.  384  del  registro
ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 50, 1ª serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  S.A.,  nonche'   l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza  pubblica  del  3  novembre  2009  il  giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    Uditi l'avvocato Livia Rossi per S.A. e  l'avvocato  dello  Stato
Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 19 maggio 2008, il Tribunale di Lecce,  in
composizione collegiale, ha sollevato, in riferimento agli  artt.  2,
15,  24  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,  questione   di
legittimita' costituzionale degli «artt. 234 e 266  e  seguenti»  del
codice  di  procedura  penale,  nella  parte   in   cui   -   secondo
l'interpretazione della giurisprudenza di legittimita', assunta quale
«diritto vivente» -  includono  tra  i  documenti,  anziche'  tra  le
intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, sottraendole  cosi'
alla  disciplina  dettata  per   queste   ultime   o   comunque   non
subordinandole   ad   un   provvedimento   motivato    dell'autorita'
giudiziaria, le registrazioni di  conversazioni  (telefoniche  o  tra
presenti) effettuate  da  uno  degli  interlocutori  o  dei  soggetti
ammessi ad assistervi, all'insaputa degli altri, «di  intesa  con  la
polizia  giudiziaria,  eventualmente  utilizzando   mezzi   messi   a
disposizione» da quest'ultima, «e, in ogni caso, nel contesto  di  un
procedimento penale gia' avviato». 
    Il Tribunale rimettente - investito del processo nei confronti di
due persone, imputate del delitto di tentata estorsione  aggravata  -
premette che, all'esito dell'istruzione dibattimentale  e  nel  corso
della discussione finale, il difensore di uno  degli  imputati  aveva
eccepito l'inutilizzabilita' della registrazione su audiocassetta  di
una  conversazione  tra  presenti,   acquisita   al   fascicolo   del
dibattimento e trascritta mediante perizia. Ad avviso  della  difesa,
detta registrazione - eseguita dalla persona offesa d'intesa  con  la
polizia giudiziaria e tramite strumenti da  questa  forniti -  doveva
ritenersi inutilizzabile, in  quanto  effettuata  senza  il  rispetto
delle forme previste dagli artt. 266 e seguenti cod. proc. pen. e, in
particolare,  senza  alcun   decreto   autorizzativo   dell'autorita'
giudiziaria. 
    In proposito, il giudice a  quo  riferisce  che,  secondo  quanto
emerso in dibattimento, la persona offesa - successivamente  deceduta
- dopo aver ricevuto richieste estorsive  telefoniche,  in  relazione
alle quali  aveva  presentato  denuncia  ai  Carabinieri,  era  stata
nuovamente   contattata   dagli   ignoti   estorsori,   che   avevano
preannunciato  la  visita  di  un  loro  inviato  «per  definire   la
faccenda». Di cio' la persona  offesa  aveva  riferito  alla  polizia
giudiziaria, su indicazione della quale era stato quindi  predisposto
un  servizio  investigativo  volto  a  registrare  il  colloquio  con
l'inviato. 
    Riguardo  alle  modalita'  della  registrazione,  le   risultanze
probatorie  erano  contrastanti.  Secondo  un  ufficiale  di  polizia
giudiziaria, sentito come teste, la persona offesa avrebbe utilizzato
un  registratore  fornito  dai  Carabinieri,  mentre  questi  ultimi,
appostati  nelle  vicinanze,   ascoltavano   in   modo   diretto   la
conversazione.  Stando,  invece,  al  figlio  dell'offeso,   presente
anch'egli nel luogo dell'incontro, i due sarebbero  stati  muniti  di
microfoni, occultati sulle loro persone, tramite i quali  la  polizia
giudiziaria avrebbe ascoltato e registrato  la  conversazione  in  un
luogo appartato. Era pacifico, in ogni caso, che il  colloquio  fosse
stato registrato da uno degli interlocutori, o attraverso  uno  degli
interlocutori e con il suo consenso. 
    La registrazione risulterebbe, inoltre, decisiva  ai  fini  della
prova della responsabilita' degli imputati.  La  persona  offesa,  in
quanto  deceduta,  non  aveva  potuto  essere  infatti   sentita   in
dibattimento,  mentre  i  testi  escussi   avevano   riferito   della
conversazione  in  termini  «estremamente  generici»,  tali  da   non
consentire, neppure  alla  luce  delle  altre  prove  acquisite,  una
compiuta ricostruzione della vicenda. 
    Tanto premesso, il giudice a quo rileva  come  le  sezioni  unite
della  Corte  di  cassazione,  con  la  sentenza  28  maggio  2003-24
settembre  2003,  n.  36747,   abbiano   affermato   che,   ai   fini
dell'applicabilita' della disciplina di cui agli artt. 266 e seguenti
cod. proc. pen., per  «intercettazione»  deve  intendersi  unicamente
l'apprensione  occulta,  in  tempo  reale,  del  contenuto   di   una
conversazione o di una comunicazione da parte di soggetti estranei al
colloquio.  Non  rientrerebbe,   pertanto,   in   tale   nozione   la
registrazione di un colloquio, tanto  telefonico  che  tra  presenti,
effettuata da una delle persone  che  vi  partecipano  o  ammesse  ad
assistervi: in tale  ipotesi,  mancherebbe  infatti  la  lesione  del
diritto   alla   segretezza    della    comunicazione,    limitandosi
l'interessato a memorizzare  fonicamente  le  notizie  legittimamente
apprese  dall'altro  interlocutore.  Detta   registrazione   potrebbe
essere, quindi, acquisita al processo ai sensi dell'art.  234,  comma
1,  cod.  proc.  pen.,  che  qualifica  «documento»  tutto  cio'  che
rappresenta fatti o cose mediante la fotografia,  la  cinematografia,
la fonografia o  qualsiasi  altro  mezzo:  il  nastro  contenente  la
registrazione  non  costituirebbe,   in   effetti,   altro   che   la
documentazione fonografica del colloquio. 
    In  base  ai   principi   enunciati   dalle   sezioni   unite   -
qualificabili, secondo il  rimettente,  come  «diritto  vivente»,  in
quanto recepiti in plurime pronunce successive delle sezioni semplici
della Corte di cassazione - la disciplina di garanzia prevista per le
intercettazioni non si applicherebbe ai colloqui  registrati  da  uno
degli interlocutori, neppure quando la registrazione  sia  effettuata
su richiesta della  polizia  giudiziaria  e  con  strumenti  da  essa
forniti,   ancorche'   questa,    o    qualsiasi    terzo,    possano
contemporaneamente  ascoltare  la  conversazione.   Di   conseguenza,
l'audiocassetta contenente la registrazione di  cui  si  discute  nel
processo a quo costituirebbe «documento» legittimamente utilizzabile,
indipendentemente  dalle  modalita'  con  cui  la  registrazione   e'
avvenuta. 
    Ad  avviso  del  rimettente,  tuttavia,  la   «pacifica   esegesi
giurisprudenziale» ora ricordata contrasterebbe con plurimi parametri
costituzionali. 
    Le stesse sezioni unite della Corte di cassazione  hanno  difatti
chiarito, in altra e piu' recente pronuncia  (la  sentenza  28  marzo
2006-28 luglio 2006, n. 26795), che il documento rilevante come prova
ai sensi  dell'art.  234  cod.  proc.  pen.  va  nettamente  distinto
dall'atto del procedimento e dalla sua  documentazione,  giacche'  le
norme  del  codice  di  rito  in  materia  di  prova  documentale  si
riferiscono esclusivamente ai documenti formati fuori (anche  se  non
necessariamente prima) del procedimento penale nel quale si chiede  o
si dispone che essi facciano ingresso. Su tale premessa,  le  sezioni
unite  hanno  quindi  concluso  che  soltanto  le  videoregistrazioni
effettuate  fuori  del   procedimento   possono   configurare   prova
documentale,  mentre  quelle  effettuate  nel  corso  delle  indagini
costituiscono la documentazione dell'attivita' investigativa. 
    Alla luce della chiara distinzione cosi' tracciata,  si  dovrebbe
dunque ritenere che la registrazione di una conversazione  effettuata
da  uno  degli  interlocutori,  o  con  il  suo  consenso,  cessa  di
costituire un documento allorche' avvenga  d'intesa  con  la  polizia
giudiziaria e utilizzando mezzi da essa forniti. In siffatta ipotesi,
essa  concreterebbe  piuttosto  un  atto  di  indagine,  che  implica
un'occulta   (rispetto   al   soggetto   ignaro)   captazione   della
conversazione ad opera della stessa polizia giudiziaria. 
    Risulterebbe, di conseguenza, violato l'art. 15 Cost.,  essendosi
di fronte ad una attivita' investigativa che incide sul diritto  alla
segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni, senza  che  sia
previsto un preventivo controllo dell'autorita' giudiziaria, espresso
attraverso un provvedimento motivato: provvedimento  che  rappresenta
il  livello  minimo  di  garanzia  prefigurato  dal  citato  precetto
costituzionale per la limitazione  del  diritto  in  questione,  allo
scopo di assicurare un equo contemperamento fra il diritto  stesso  e
l'interesse alla prevenzione e alla repressione  dei  reati,  oggetto
anch'esso di protezione costituzionale. 
    La  mancanza  del  provvedimento   autorizzativo   dell'autorita'
giudiziaria comprometterebbe, altresi', il diritto di difesa (art. 24
Cost.), poiche' solo grazie alla motivazione di  detto  provvedimento
il soggetto ignaro, coinvolto nel procedimento penale, sarebbe  posto
in grado di verificare  la  correttezza  dell'operato  della  polizia
giudiziaria, anche per  quel  che  attiene  al  «momento  esecutivo»:
«momento» che parimenti  rientra  -  come  riconosciuto  dalla  Corte
costituzionale nella sentenza n. 34  del  1973  -  nell'ambito  delle
garanzie previste dall'art. 15 Cost. 
    Ne' varrebbe far leva, in  contrario,  sull'argomento  -  addotto
dalle sezioni unite nella sentenza del 2003,  a  dimostrazione  della
ritenuta  natura  documentale  della  registrazione  -  per  cui  sul
contenuto  della  conversazione  registrata  potrebbe  essere  sempre
chiamato a deporre l'interlocutore consenziente. Anche  nel  caso  di
intercettazione «ordinaria», difatti, puo' essere chiamato a  deporre
sul contenuto della conversazione uno  degli  interlocutori,  benche'
inconsapevole dell'avvenuta captazione: rimanendo esclusa soltanto la
testimonianza dell'operatore di polizia giudiziaria che  ha  eseguito
le  attivita'  di  captazione,  la  quale   aggirerebbe   le   regole
procedimentali poste a garanzia della  difesa.  Proprio  per  questo,
d'altronde, tale testimonianza verrebbe ritenuta dalla giurisprudenza
- secondo il rimettente -  non  gia'  inutilizzabile,  ma  nulla  per
violazione degli artt. 178, comma 1, lettera c),  e  180  cod.  proc.
pen. Siffatta nullita' non si dovrebbe riconoscere, invece, nel  caso
di registrazione effettuata da uno degli  interlocutori,  qualora  si
accedesse alla tesi della sua natura documentale: con la  conseguenza
che, in tal caso, potrebbe essere chiamato a  deporre  sul  contenuto
della  conversazione  anche  l'operatore  di  polizia  che   l'avesse
ascoltata, o addirittura sommariamente  trascritta  (conclusione  che
dimostrerebbe  «quanto  risulti  contraria  ai  diritti  di   difesa»
l'interpretazione delle sezioni unite). 
    Ove pure, peraltro, la registrazione in discorso  fosse  reputata
estranea all'area di tutela  dell'art.  15  Cost.,  essa  inciderebbe
comunque sul diritto alla riservatezza, riconducibile alla  sfera  di
protezione dell'art. 2 Cost. Anche in tale  prospettiva,  l'attivita'
considerata esigerebbe,  quindi,  almeno  un  provvedimento  motivato
dell'autorita' giudiziaria che la autorizzi, determinandone i limiti,
gli scopi e le modalita' esecutive. 
    Trattandosi,   peraltro,   di   attivita'    assimilabile    alle
intercettazioni - poiche' non diretta all'acquisizione dei soli «dati
esteriori» della conversazione, ma alla captazione del suo  contenuto
- essa andrebbe piu' puntualmente regolata dagli artt. 266 e seguenti
cod. proc. pen., che  contengono  una  disciplina  completa  sotto  i
profili dianzi evidenziati. 
    L'indirizzo giurisprudenziale censurato  violerebbe,  da  ultimo,
l'art. 117, primo comma, Cost., stante la sua contrarieta' all'art. 8
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, come  interpretato  dalla  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo. Cio', in correlazione con quanto  affermato  nelle
sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte costituzionale, secondo
le quali la norma nazionale incompatibile con le  disposizioni  della
Convenzione, nell'interpretazione datane dalla Corte  di  Strasburgo,
lede il citato parametro costituzionale, che impone il  rispetto  dei
vincoli derivanti dagli obblighi internazionali nell'esercizio  della
potesta' legislativa dello Stato e delle regioni. 
    La Corte europea ha piu' volte ritenuto, difatti, che nel caso di
registrazione  di  conversazioni  (telefoniche   o   tra   presenti),
effettuate da uno degli interlocutori utilizzando strumenti  messi  a
disposizione  dalle  autorita'  investigative  e  nel   contesto   di
un'indagine ufficiale,  si  configura  un'interferenza  con  la  vita
privata rilevante agli effetti dell'art. 8 della Convenzione. In base
a tale norma, l'attivita' in questione e' dunque possibile  solo  nei
casi previsti dalla legge e, cioe', da una disposizione «prevedibile»
che offra  una  protezione  contro  gli  atti  arbitrari  del  potere
pubblico, indicando in modo chiaro in quali  circostanze  e  a  quali
condizioni la pubblica autorita'  puo'  porre  in  essere  misure  di
sorveglianza segrete. 
    La  censurata   interpretazione   della   Corte   di   cassazione
comporterebbe, viceversa, che le registrazioni in  questione  possano
essere  eseguite  in  assenza  di  una  legge   che   ne   disciplini
compiutamente i limiti e le condizioni. In quanto  prova  documentale
«precostituita», la fonoregistrazione risulterebbe regolata, difatti,
solo sul piano dell'ammissione e  dell'utilizzazione  processuale,  e
non anche con riguardo all'attivita' di formazione:  lacuna,  questa,
non colmabile neppure facendo ricorso all'art. 189 cod.  proc.  pen.,
che disciplina le cosiddette prove atipiche, trattandosi di norma che
parimenti non regola il procedimento di formazione della  prova,  del
quale presuppone anzi l'inesistenza. 
    La  circostanza  che  si  sia  di  fronte  ad   un   orientamento
giurisprudenziale consolidato impedirebbe, d'altronde, di  sanare  il
rilevato contrasto in via ermeneutica. 
    2. -  Nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'   intervenuto   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile o manifestamente infondata. 
    2.1. - Ad avviso della  difesa  erariale,  la  questione  sarebbe
inammissibile, in quanto invocherebbe un  intervento  riservato  alla
discrezionalita' legislativa. Ammesso pure che la qualificazione come
documento  delle  registrazioni  in  discorso  presenti  profili   di
illegittimita' costituzionale, cio' non dimostrerebbe ancora  che  il
solo regime costituzionalmente conforme sia quello stabilito  per  le
intercettazioni:  tanto  piu'  che  il  rimettente  non  allega   una
violazione  dell'art.  3  Cost.,  mostrando  cosi'  di  ritenere  che
intercettazioni e registrazioni effettuate da  uno  dei  partecipanti
costituiscano fattispecie ben diverse. 
    Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata. Il giudice a
quo avrebbe  basato,  infatti,  i  suoi  dubbi  essenzialmente  sulla
circostanza che il contenuto  della  registrazione  effettuata  dalla
persona  offesa  non  possa  essere   riscontrato   in   dibattimento
acquisendo la testimonianza di quest'ultima, perche'  deceduta.  Cio'
dimostrerebbe che il problema che il giudice deve  risolvere  e',  in
realta', un problema di valutazione, e  non  gia'  di  ammissibilita'
della prova, come tale rimesso al suo libero convincimento. 
    La registrazione  della  conversazione  ad  opera  di  uno  degli
interlocutori costituirebbe, in ogni caso, atto libero e lecito,  che
non inciderebbe sulla segretezza delle comunicazioni, ne' sul diritto
di difesa. La registrazione, anche se «ideata» come mezzo di indagine
dalla  polizia  giudiziaria,  puo'  essere  effettuata  solo  con  il
consenso   del   partecipante:    onde    l'iniziativa    dell'organo
investigativo non muterebbe la natura dell'atto, che  resterebbe  una
documentazione della conversazione della quale si dovra' valutare  la
credibilita'. 
    Infondata  sarebbe  anche  la  censura   di   contrarieta'   alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Le  pronunce  della  Corte
europea indicate dal rimettente riguarderebbero, infatti, ordinamenti
processuali diversi dal nostro, nel  quale  l'operato  della  polizia
giudiziaria  e'  sottoposto  al  costante  controllo   del   pubblico
ministero,  tenuto  ad  acquisire   pure   le   prove   a   discarico
dell'indagato.   La   formazione   di   documenti   anche   «atipici»
presenterebbe, quindi, nel nostro ordinamento, un tasso  di  garanzia
superiore a quello presente nei casi esaminati dalla  Corte  europea:
sicche', pur in  assenza  di  un  atto  autorizzativo  dell'autorita'
giudiziaria, il sistema desumibile dall'art. 234 cod. proc. pen.  non
potrebbe essere assoggettato alle medesime censure. 
    2.2.  -  Con  successiva   memoria,   presentata   nell'imminenza
dell'udienza pubblica, l'Avvocatura dello Stato - oltre a ribadire  e
sviluppare le precedenti deduzioni difensive - ha  altresi'  eccepito
l'inammissibilita' della questione per difetto di  motivazione  sulla
rilevanza. 
    La difesa erariale osserva come il rimettente abbia espressamente
affermato che, nel giudizio principale,  e'  incerto  se  la  persona
offesa tenesse presso di se' l'apparecchio di  registrazione,  ovvero
dei microfoni collegati ad un apparecchio di registrazione utilizzato
dagli agenti di polizia giudiziaria, appostati nelle vicinanze.  Tale
circostanza    non    sarebbe    affatto    irrilevante    ai    fini
dell'utilizzabilita'   del   documento,   nel   caso   di    adesione
all'orientamento  delle  sezioni  unite  sottoposto  a  scrutinio  di
costituzionalita'. Mentre,  infatti,  l'utilizzabilita'  risulterebbe
indubbia nel primo caso, nel secondo essa potrebbe  essere  viceversa
esclusa, avendo la Corte  di  cassazione  riconosciuto  che,  ove  la
polizia giudiziaria, grazie al materiale fornito al partecipante alla
conversazione, possa procedere ad un ascolto diretto, si realizza una
vera e propria intercettazione ambientale non autorizzata. 
    3. - Si e' costituito, altresi', S.A., imputato  nel  processo  a
quo, chiedendo l'accoglimento della questione. 
    Nel  ritenere  pienamente  condivisibili  gli  argomenti  addotti
nell'ordinanza  di  rimessione,  la   parte   privata   osserva   che
qualificare come documento, liberamente acquisibile, la registrazione
effettuata dal cosiddetto «agente segreto attrezzato per  il  suono»,
laddove questo si identifichi nel privato  interlocutore  che  agisce
come longa manus della polizia giudiziaria, significherebbe  aggirare
la  rigorosa  disciplina  delle  intercettazioni,  deprivandola   del
necessario intervento del giudice. 
    In questo senso - ricorda la parte privata - si  e'  espressa  la
stessa Corte di cassazione, la quale  ha  ritenuto  -  sia  pure  con
indirizzo poi non sempre ribadito - che ne  risulterebbe  compromesso
anche il diritto di difesa del soggetto imputato o indagato, il quale
veda registrate dichiarazioni a se' sfavorevoli. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale di  Lecce  solleva  questione  di  legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 2,  15,  24  e  117,  primo
comma, della Costituzione, degli «artt. 234 e  266  e  seguenti»  del
codice  di  procedura  penale,  nella  parte   in   cui   -   secondo
l'interpretazione accolta della Corte di cassazione, qualificata come
«diritto vivente» -  includono  tra  i  documenti,  anziche'  tra  le
intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, sottraendole  cosi'
alla  disciplina  stabilita  per  queste  ultime   o   comunque   non
subordinandole   ad   un   provvedimento   motivato    dell'autorita'
giudiziaria, le registrazioni di  conversazioni  (telefoniche  o  tra
presenti) effettuate  da  uno  degli  interlocutori  o  dei  soggetti
ammessi ad assistervi, all'insaputa  degli  altri,  d'intesa  con  la
polizia giudiziaria ed eventualmente con strumenti da essa forniti, e
comunque nell'ambito «di un procedimento penale gia' avviato». 
    Ad avviso del giudice a quo, il «diritto vivente»  fatto  oggetto
di  censura  violerebbe  l'art.  15  Cost.,  giacche'   la   predetta
registrazione si tradurrebbe  in  un  atto  di  indagine  volto  alla
captazione occulta (rispetto al soggetto ignaro) di una conversazione
da parte della polizia giudiziaria, senza le garanzie previste per la
limitazione della liberta' e segretezza delle comunicazioni. 
    Sarebbe violato, altresi', l'art. 24 Cost., in quanto la mancanza
di un provvedimento autorizzativo motivato dell'autorita' giudiziaria
- costituente il livello minimo delle garanzie prefigurate  dall'art.
15 Cost. - comprometterebbe il diritto di difesa del soggetto ignaro,
che solo grazie alla motivazione del suddetto provvedimento  potrebbe
verificare la correttezza  dell'operato  della  polizia  giudiziaria,
anche per quel che attiene al «momento esecutivo». 
    Ove  pure  l'attivita'  in  questione  fosse  reputata   estranea
all'area di tutela dell'art. 15 Cost.,  essa  lederebbe  comunque  il
diritto alla riservatezza, riconducibile  alla  sfera  di  protezione
dell'art. 2 Cost.: sicche', anche in tale  prospettiva,  l'operazione
esigerebbe   almeno   un   provvedimento   motivato    dell'autorita'
giudiziaria che la autorizzi, determinandone i limiti, gli scopi e le
modalita' esecutive. 
    Risulterebbe leso, infine, l'art. 117, primo comma, Cost., stante
la contrarieta' dell'esegesi giurisprudenziale censurata  all'art.  8
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali, come interpretato  dalla  Corte  europea
dei diritti dell'uomo. Secondo tale Corte, infatti, la  registrazione
di  una  conversazione,  effettuata  da   uno   degli   interlocutori
utilizzando  strumenti   messi   a   disposizione   dalle   autorita'
investigative e nel contesto di un'indagine ufficiale, configura  una
interferenza nella vita privata, rilevante ai fini dell'art. 8  della
Convenzione. Di  conseguenza,  essa  e'  ammissibile  solo  nei  casi
previsti dalla legge e, cioe', da una disposizione «prevedibile», che
indichi in modo chiaro in quali circostanze e a quali  condizioni  la
pubblica autorita'  puo'  porre  in  essere  misure  di  sorveglianza
segrete:  requisiti,  questi,  non  soddisfatti  dall'interpretazione
della Corte di cassazione sottoposta a scrutinio. 
    2. - In via preliminare,  va  osservato  che,  nel  sollevare  la
questione  di  costituzionalita',  il   giudice   a   quo   coinvolge
formalmente nello scrutinio - oltre all'art.  234  cod.  proc.  pen.,
concernente la prova documentale - gli «artt.  266  e  seguenti»  del
medesimo codice, ossia l'intero complesso delle disposizioni del capo
IV del titolo III del libro III, regolative delle intercettazioni  di
conversazioni o comunicazioni (artt. 266-271). Nondimeno, dal  tenore
delle censure emerge chiaramente come le doglianze del rimettente  si
appuntino - nell'ambito di tale complesso normativo -  essenzialmente
sull'art.  266,  che  definisce  i  limiti  di  ammissibilita'  delle
intercettazioni (telefoniche e tra presenti): mentre il richiamo agli
articoli successivi appare diretto  solo  ad  evocare  l'effetto  (di
sottoposizione alla disciplina da  essi  dettata)  che  conseguirebbe
alla qualificazione  delle  registrazioni  di  cui  si  discute  come
intercettazioni, anziche' come documenti, secondo quanto richiesto in
via principale dallo stesso giudice a quo. 
    Deve, di conseguenza, escludersi che la questione vada dichiarata
inammissibile per mancato assolvimento dell'onere - da cui il giudice
rimettente e'  in  linea  di  principio  gravato  -  di  individuare,
all'interno di un determinato corpo normativo, la norma o la parte di
essa che determinerebbe la lamentata lesione della  Costituzione  (ex
plurimis, ordinanze n. 21 del 2003, n. 337  del  2002  e  n.  97  del
2000). 
    3. - La questione e', tuttavia,  inammissibile  per  una  diversa
ragione. 
    4. - Il giudice a quo pone a premessa  fondante  della  questione
l'asserita esistenza di un «diritto vivente», in forza del  quale  la
registrazione occulta di una conversazione, effettuata da  uno  degli
interlocutori  o  con  il   suo   consenso,   costituisce   documento
utilizzabile nel processo ai sensi dell'art.  234  cod.  proc.  pen.,
anche quando la registrazione  sia  stata  operata  d'intesa  con  la
polizia giudiziaria e con mezzi tecnici  da  essa  forniti;  e  cio',
benche' la stessa polizia giudiziaria,  o  qualsiasi  terzo,  possano
ascoltare contemporaneamente il colloquio. 
    Tale presupposto risulta, in realta', smentito sia dall'esistenza
di contrarie decisioni della giurisprudenza di legittimita', sia  dai
principi generali in materia processuale  che  lo  stesso  rimettente
evoca nel formulare le proprie censure. 
    5. - Anteriormente alla pronuncia delle sezioni unite della Corte
di  cassazione,  indicata  dal  giudice   a   quo   come   generativa
dell'asserito «diritto vivente» (sentenza 28 maggio 2003-24 settembre
2003, n. 36747), la giurisprudenza di legittimita' era,  in  effetti,
consolidata  nel  senso  che  la   registrazione   occulta   di   una
conversazione,  effettuata  di  propria  iniziativa  da  un   privato
interlocutore, non costituisse intercettazione, ma prova documentale.
Formavano  invece  oggetto  di  contrasto  le  ipotesi  in   cui   la
registrazione fosse eseguita da un operatore di polizia  giudiziaria,
ovvero  anche  da  un  privato,  ma  su  indicazione  della   polizia
giudiziaria e avvalendosi di strumenti da questa approntati. 
    Con la citata sentenza  del  2003 -  relativa  a  fattispecie  di
registrazione occulta, da parte di operatori di polizia, di  colloqui
con loro informatori - le sezioni unite  della  Corte  di  cassazione
hanno affermato due principi. Da  un  lato,  il  carattere  di  prova
documentale  -  e  non  di  intercettazione  -  delle   registrazioni
effettuate da uno dei soggetti partecipanti o ammessi  a  presenziare
alla  conversazione,  quali  essi  siano   (ivi   compreso,   dunque,
l'operatore di polizia giudiziaria): cio' in quanto  mancherebbe,  in
simile ipotesi, uno dei requisiti tipici dell'intercettazione,  ossia
l'estraneita' al colloquio del  captante  occulto.  Dall'altro  lato,
l'inutilizzabilita'  come  prova  della   registrazione   fonografica
effettuata clandestinamente  da  personale  di  polizia  giudiziaria,
rappresentativa di colloqui  intercorsi  tra  lo  stesso  ed  i  suoi
confidenti o persone  informate  sui  fatti  o  indagati,  in  quanto
l'utilizzazione aggirerebbe i divieti espressi dagli artt. 63,  comma
2, 191, 195, comma 4, e  203  cod.  proc.  pen.  e  volti  a  rendere
impermeabile il  processo  da  apporti  probatori  unilaterali  degli
organi investigativi. 
    Detta  sentenza   non   prende,   peraltro,   specificamente   in
considerazione  ne'  il  caso  il  cui  la  registrazione  non  venga
effettuata direttamente dalla polizia giudiziaria, ma da un  soggetto
da  essa  «attrezzato»;  ne',  correlativamente,  l'ipotesi  in   cui
l'agente «attrezzato» non si limiti a registrare la conversazione, ma
trasmetta il suono ad una stazione esterna di ascolto  gestita  dalla
polizia; ne', infine e soprattutto, il problema della  compatibilita'
della  qualificazione  come  prova  documentale  della  registrazione
fonografica effettuata dalla polizia giudiziaria con il  concetto  di
«documento» accolto dal vigente codice di procedura penale. 
    6. - Anche in correlazione a cio', dopo la sentenza delle sezioni
unite, il panorama interpretativo giurisprudenziale non  si  presenta
affatto totalmente coeso nella direzione indicata dal giudice a  quo.
Al contrario, a  fianco  di  un  indirizzo  maggioritario  nei  sensi
rappresentati dal  rimettente,  risultano  tuttora  rinvenibili,  con
riguardo  alla  fattispecie  che  qui  interessa,  i   medesimi   due
orientamenti alternativi emersi prima di quella pronuncia. 
    Per un verso, infatti - come segnala anche l'Avvocatura  generale
dello Stato nella memoria - la  Corte  di  cassazione  ha  affermato,
anche di recente,  che  la  disciplina  di  garanzia  in  materia  di
intercettazioni deve reputarsi applicabile quanto meno  nel  caso  in
cui il partecipante alla conversazione non si limiti  a  registrarla,
ma utilizzi  apparecchi  radiotrasmittenti  mediante  i  quali  terzi
estranei - e, in particolare, la polizia giudiziaria - siano posti in
grado di ascoltare il colloquio in  tempo  reale.  In  tale  ipotesi,
difatti,     ricorrerebbe      pienamente      l'elemento      tipico
dell'intercettazione,   rappresentato   dalla   captazione    occulta
simultanea  della  comunicazione  da  parte  di   un   estraneo   (in
particolare, sentenza 7 novembre 2007-12 dicembre 2007, n. 46724). 
    Nel caso che interessa, l'eventuale adesione a  questo  indirizzo
interpretativo  renderebbe  la  questione  meramente  ipotetica.   Il
rimettente afferma, infatti,  espressamente  che,  nella  specie,  e'
incerto - a causa del contrasto delle risultanze probatorie sul punto
-  se  la  persona  offesa   tenesse   con   se'   l'apparecchio   di
registrazione, ovvero  un  microfono  radiotrasmittente,  tramite  il
quale  la  polizia   giudiziaria   ha   captato   e   registrato   la
conversazione. Nella prospettiva considerata, la rilevanza del dubbio
di costituzionalita' rimarrebbe, dunque,  subordinata  al  preventivo
scioglimento  nel   primo   senso   di   tale   alternativa,   legata
all'accertamento in fatto. 
    In  altre  decisioni,  la  Corte  di  cassazione  ha,   peraltro,
affermato, in termini piu' generali, che le registrazioni di colloqui
effettuate, in assenza di autorizzazione del giudice,  da  uno  degli
interlocutori dotato di strumenti  di  captazione  predisposti  dalla
polizia giudiziaria, debbono  considerarsi  comunque  inutilizzabili,
indipendentemente dal contemporaneo ascolto da  parte  della  stessa,
giacche', in tal  modo,  si  verrebbe  a  realizzare  un  surrettizio
aggiramento delle regole sulle intercettazioni (in questo  senso,  da
ultimo, la sentenza 6 novembre 2008-26 novembre 2008, n. 44128). 
    A sostegno di tale indirizzo - che supererebbe evidentemente alla
radice i dubbi di costituzionalita' del rimettente - si e'  osservato
che l'intercettazione  eseguita  dalla  polizia  giudiziaria  con  il
consenso  di  uno  dei  partecipanti  alla  conversazione   necessita
comunque  dell'autorizzazione   del   giudice:   perche'   si   abbia
intercettazione,  difatti,  non  sarebbe  necessario  che   tutti   i
conversanti ignorino che un terzo e'  in  condizione  di  captare  il
messaggio, ma basterebbe che l'atto avvenga  all'insaputa  di  almeno
uno di essi. Ne costituirebbe conferma l'art. 266, comma  1,  lettera
f), cod. proc. pen., il quale, prevedendo che l'intercettazione possa
essere disposta nei  casi  di  ingiuria,  molestia  o  disturbo  alle
persone col mezzo del telefono, dimostrerebbe che, anche quando e' lo
stesso denunciante a sollecitare l'intercettazione ed e' quindi quasi
sempre partecipe e comunque consapevole della  conversazione  recante
ingiuria, molestia o disturbo, gli  artt.  266-271  cod.  proc.  pen.
debbono trovare applicazione. 
    Cio' posto, non vi sarebbe nessuna  concreta  differenza  tra  il
caso in cui il colloquiante  consenta  alla  polizia  giudiziaria  di
installare  un  dispositivo  che  le  permetta  di  intercettare   la
conversazione con un interlocutore ignaro,  e  l'ipotesi  in  cui  il
medesimo colloquiante, agendo su  precisa  indicazione  degli  organi
investigativi e con apparecchiature  da  questa  approntate,  proceda
alla registrazione del colloquio. Il  ricorso  al  congegno  azionato
dall'interlocutore rappresenterebbe, difatti, in simile  ipotesi,  un
mero   espediente   diretto   ad   eludere   l'obbligo   di   munirsi
dell'autorizzazione giudiziaria e neppure motivato  dall'esigenza  di
non vanificare una esecuzione tempestiva dell'operazione,  dato  che,
proprio  per  le  situazioni  di  urgenza,  la  legge   prevede   che
l'operazione stessa possa venire immediatamente disposta dal pubblico
ministero con decreto, salva la successiva  convalida  da  parte  del
giudice (art. 266, comma 2, cod. proc. pen.). 
    7. - Ma, al di la' di quanto precede, e' poi lo stesso rimettente
a rimarcare come, dopo la sentenza  del  2003,  sia  intervenuta  una
ulteriore, rilevante pronuncia delle sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione. Si tratta della sentenza 28 marzo 2006-28 luglio 2006, n.
26795, in materia di videoregistrazioni, la quale ha puntualizzato un
aspetto rimasto in ombra nella precedente decisione: vale a  dire  la
distinzione tra «documento» e «atto  del  procedimento»,  oggetto  di
documentazione. 
    La sentenza del 2006 ha chiarito, in specie - sulla scorta  della
relazione al progetto preliminare del codice  di  procedura  penale -
che le norme sui documenti, contenute in detto codice, si riferiscono
esclusivamente   ai   documenti   formati   fuori   (anche   se   non
necessariamente prima) e comunque  non  in  vista  ne'  tantomeno  in
funzione del procedimento nel  quale  si  chiede  o  si  dispone  che
facciano ingresso. Requisito, questo,  che  costituisce  un  naturale
portato del principio di separazione delle fasi: il vigente codice di
rito, al fine di attuare i  principi  del  processo  accusatorio,  ha
infatti delineato una rigida separazione tra la fase delle indagini e
quella del dibattimento, dettando una disciplina specifica e di segno
restrittivo in tema  di  recupero,  nella  seconda  sede,  attraverso
l'acquisizione della loro documentazione, dei  contenuti  degli  atti
formati nella prima. 
    Sulla base della premessa dianzi ricordata, la sentenza del  2006
ha quindi escluso che le videoregistrazioni effettuate dalla  polizia
giudiziaria nel corso delle indagini possano  essere  introdotte  nel
processo   come    «documenti»:    esse    costituiscono    piuttosto
«documentazione  dell'attivita'  investigativa»,  rimanendo   percio'
suscettibili di utilizzazione processuale solo  se  «riconducibili  a
un'altra categoria probatoria». 
    In particolare, ove eseguite in luoghi non fruenti di  protezione
costituzionale - quali i luoghi pubblici, ovvero aperti o esposti  al
pubblico - dette riprese visive  restano  utilizzabili  nel  processo
come «prova atipica», ai sensi  dell'art.  189  cod.  proc.  pen.  Al
contrario, le videoregistrazioni in luoghi riconducibili al  concetto
di «domicilio» di cui all'art. 14 Cost., in assenza di una  normativa
che  le  consenta,  disciplinandone  i  casi  e   i   modi,   debbono
considerarsi inibite in assoluto: con la conseguenza che  e'  vietata
la loro acquisizione e utilizzazione nel processo,  in  quanto  prova
illecita. Da  ultimo  -  sempre  secondo  la  citata  sentenza  -  le
videoriprese in luoghi non riconducibili al concetto di domicilio, ma
meritevoli di tutela ai sensi dell'art. 2 Cost., per la  riservatezza
delle attivita' che vi si compiono,  possono  essere  eseguite  dalla
polizia giudiziaria, ma solo con un  «livello  minimo  di  garanzie»,
rappresentato   da   un    provvedimento    autorizzativo    motivato
dell'autorita' giudiziaria. 
    Nel  frangente,  e'  lo  stesso  giudice  a   quo   a   sostenere
esplicitamente che, alla luce della  «chiara  distinzione»  tracciata
nel 2006 dal giudice di legittimita',  la  registrazione  fonografica
eseguita  da  uno  degli  interlocutori  d'intesa  con   la   polizia
giudiziaria e con strumenti da essa forniti non costituisce  piu'  un
«documento», ma la documentazione di un'attivita' di indagine. 
    Ma,  se  cosi'  e',  cade  la  stessa  premessa  fondante   della
questione. Da un  lato,  infatti,  l'affermazione  ora  ricordata  e'
contraddittoria rispetto al petitum, con  il  quale  si  chiede  alla
Corte di sottrarre le registrazioni in parola dal novero delle  prove
documentali. Dall'altro lato, una volta escluso  -  per  affermazione
dello stesso rimettente - che si sia  al  cospetto  di  un  documento
utilizzabile a fini di prova ai sensi dell'art. 234 cod. proc.  pen.,
il giudice a quo avrebbe  dovuto  precisare  per  quale  ragione,  se
ritiene che l'attivita'  investigativa  in  questione  contrasti  con
diritti fondamentali, non reputi praticabile una  soluzione  analoga,
mutatis  mutandis,  a  quella  adottata  dalle  sezioni  unite  nella
sentenza del 2006, da lui stesso invocata a fondamento delle  proprie
censure. 
    8. - Deve  dunque  concludersi  che,  in  mancanza  dell'asserito
«diritto vivente» - la cui esistenza viene ad essere posta in dubbio,
sotto il  profilo  dianzi  evidenziato,  dalla  stessa  ordinanza  di
rimessione - la questione di legittimita'  costituzionale,  sollevata
dal giudice a quo con riferimento ad una interpretazione della  norma
censurata da lui non condivisa, mira nella sostanza ad ottenere dalla
Corte un avallo ad una diversa interpretazione, cosi' evidenziando un
uso improprio dell'incidente di costituzionalita'. Il che  implica  -
per costante giurisprudenza della Corte  -  l'inammissibilita'  della
questione  stessa  (si  vedano,  ex  plurimis,  quanto  ai  casi   di
inesistenza o inesatta ricostruzione del «diritto vivente» oggetto di
censura, le ordinanze n. 90 del 2009, n. 251 e n. 64 del 2006, n. 452
del 2005). 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara   inammissibile    la    questione    di    legittimita'
costituzionale  degli  artt.  234,  266  e  seguenti  del  codice  di
procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2,  15,  24  e
117, primo comma, della Costituzione,  dal  Tribunale  di  Lecce  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2009. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                         Il redattore: Frigo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 4 dicembre 2009. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola