N. 325 ORDINANZA 30 novembre - 4 dicembre 2009

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Lavoro e  occupazione  -  Apposizione  di  termini  alla  durata  del
  contratto  di  lavoro  subordinato   per   ragioni   di   carattere
  sostitutivo - Condizioni di liceita'  -  Abolizione  dell'onere  di
  indicare il  nominativo  del  lavoratore  sostituito  -  Denunciata
  violazione dei principi e criteri direttivi della legge comunitaria
  2000, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario  -
  Questioni gia' dichiarate non fondate - Manifesta infondatezza. 
- D.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, comma 1, e 11. 
- Costituzione, artt. 76, 77 e 117, primo comma;  legge  29  dicembre
  2000, n. 422, art. 2, comma  1,  lett.  b);  direttiva  1999/70/CE,
  clausola 8, punto 3, dell'Accordo-quadro da essa recepito; legge 18
  aprile 1962, n. 230, art. 1, secondo comma, lett. b). 
Lavoro e  occupazione  -  Apposizione  di  termini  alla  durata  del
  contratto di lavoro subordinato in violazione delle  condizioni  di
  legge - Previsione, per i giudizi in corso, del  solo  obbligo  del
  datore di lavoro  di  corrispondere  al  prestatore  di  lavoro  un
  indennizzo di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed  un  massimo
  di  6  mensilita'  dell'ultima  retribuzione  globale  di  fatto  -
  Denunciata violazione di molteplici parametri - Questioni aventi ad
  oggetto disposizione gia' dichiarata costituzionalmente illegittima
  - Manifesta inammissibilita'. 
- D.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 4-bis,  introdotto  dall'art.
  21, comma 1-bis del d.l. 25 giugno 2008, n.  112,  convertito,  con
  modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 
- Costituzione, artt. 3, 4, 11, 24, 35, 41, 43, 53, 76, 77, 101, 102,
  104, 111, primo comma, e 117, primo comma. 
(GU n.49 del 9-12-2009 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici:  Paolo  MADDALENA  Giudice,   Alfio   FINOCCHIARO,   Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 1, 11
e 4-bis del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368  (Attuazione
della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul  lavoro  a
tempo  determinato  concluso  dall'UNICE,  dal  CEEP  e   dal   CES),
introdotto dall'art. 21, comma  1-bis  del  decreto-legge  25  giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica e la perequazione tributaria), inserito dalla legge 6 agosto
2008,  n.  133  (Conversione  in  legge,   con   modificazioni,   del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,  recante  disposizioni  urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
promossi dalla Corte d'appello di Milano con ordinanza del 28 ottobre
2008, dal Tribunale di Roma con ordinanza del 10  ottobre  2008,  dal
Tribunale  di  Rossano  con  ordinanza  del  17  novembre  2008,  dal
Tribunale di Roma con ordinanza del 21 novembre 2008,  dal  Tribunale
di Pistoia con ordinanza del 6 novembre 2008, dal Tribunale di Pesaro
con ordinanza del 20  gennaio  2009,  dal  Tribunale  di  Tivoli  con
ordinanza del 4 dicembre 2008 e dalla Corte d'appello di  Milano  con
ordinanza del 31 ottobre 2008, rispettivamente iscritte  ai  nn.  59,
60, 76, 82,  83,  99,  127  e  145  del  registro  ordinanze  2009  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9,  10,  11,
12, 14, 18 e 21, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti gli atti di  costituzione  di  Poste  Italiane  s.p.a.,  di
D.G.D., nonche' gli atti di intervento del Presidente  del  Consiglio
dei ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 4 novembre  2009  il  giudice
relatore Luigi Mazzella. 
    Ritenuto che nel corso del giudizio  di  appello  proposto  dalla
COIN s.p.a. avverso la  sentenza  del  Tribunale  di  Milano  n.  520
pubblicata il 17 febbraio 2006, che aveva dichiarato l'illegittimita'
del termine apposto al contratto di lavoro stipulato con R.M. in data
18 febbraio  2002,  per  violazione  dell'art.  4-bis  del  d.lgs.  6
settembre  2001,  n.  368  (Attuazione  della  direttiva   1999/70/CE
relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo  determinato  concluso
dall'UNICE, dal CEEP e dal CES) - come aggiunto dall'art.  21,  comma
1-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni  urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6  agosto  2008,  n.  133,
condannando  la  predetta  societa'  a  riammettere  in  servizio  la
ricorrente e a pagare le retribuzioni maturate  a  decorrere  dal  21
settembre 2004, oltre ad  interessi  e  rivalutazione  monetaria,  la
Corte di appello di Milano ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale del citato art. 4-bis, per contrasto con gli artt. 3 e
24 Cost., nella parte in cui dispone che, per i giudizi in corso alla
data della sua entrata in vigore, in caso di violazione  degli  artt.
1, 2 e 4 del d.lgs. n. 368 del 2001, il datore di  lavoro  e'  tenuto
unicamente  ad  indennizzare  il   prestatore   di   lavoro   secondo
predeterminati criteri di calcolo dell'indennita'  (R.O.  n.  59  del
2009); 
        che,  secondo  il  giudice   a   quo   la   norma   censurata
contrasterebbe sia con il principio di uguaglianza sancito  dall'art.
3 Cost., poiche' prevede una tutela  attenuata  per  i  lavoratori  a
termine che siano parti in un giudizio in corso, rispetto a tutti gli
altri lavoratori a  tempo  determinato,  sia  con  l'art.  24  Cost.,
perche' un intervento legislativo che, come  nella  specie,  riguarda
solo un certo tipo di controversie pendenti ad una certa data sarebbe
privo del carattere di  astrattezza  proprio  della  legislazione  ed
assumerebbe  carattere  provvedimentale  generale  con  riguardo   ai
giudizi  in  corso,  invadendo  cosi'  l'area  riservata  al   potere
giudiziario. Con la conseguenza che ne sarebbero pregiudicati i  soli
ricorrenti che, per ragioni assolutamente casuali, abbiano introdotto
la causa prima dell'entrata in vigore  della  legge  censurata  e  la
stessa non sia stata definita prima della medesima data; 
        che, secondo  la  Corte  rimettente  la  norma  in  questione
irragionevolmente distingue tra coloro che  per  motivi  indipendenti
dalla loro volonta' (attivita' del sindacato o del legale, durata dei
processi) hanno ottenuto una sentenza non piu' impugnabile  e  coloro
che hanno ancora un  giudizio  in  corso,  pur  avendo  stipulato  un
contratto a termine in pari data con lo stesso  datore  di  lavoro  e
nello stesso periodo; e, ancora, tra coloro che hanno  depositato  il
ricorso introduttivo del giudizio prima o dopo  l'entrata  in  vigore
della legge; 
        che a giudizio del rimettente l'art. 4-bis si  pone  altresi'
in contrasto con l'art.  117,  primo  comma,  Cost.  e,  per  il  suo
tramite, con l'art. 6,  par.  1  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  del
4 novembre 1950, resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955,  n.  848,
il quale, nell'affermare il diritto al  «giusto  processo»  e'  stato
interpretato dalla Corte europea di  Strasburgo  nel  senso  che  «il
principio dello stato di diritto e  la  nozione  di  giusto  processo
sanciti dal predetto art. 6  della  Convenzione  impedisce  qualsiasi
ingerenza del legislatore  -  salvo  che  per  impellenti  motivi  di
interesse generale - con l'amministrazione della giustizia  volta  ad
influenzare le decisioni giudiziarie di una controversia»; 
        che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
eccependo l'irrilevanza della questione in quanto il  giudice  a  quo
non si e' pronunciato sulla  illegittimita'  del  termine,  prima  di
affrontare la norma censurata; 
        che,  secondo  la  difesa  erariale  la  norma  censurata  si
giustifica  per  l'enorme  dilatazione  del  contenzioso  diretto   a
contestare la validita' dell'apposizione del termine ai contratti  di
lavoro, con possibile vanificazione, a  causa  dell'incertezza  delle
conseguenze  economiche  delle  dichiarazioni  di  invalidita'  delle
clausole appositive del termine, delle finalita' della riforma  della
disciplina del contratto a tempo determinato introdotta dal d.lgs. n.
368 del 2001; 
        che nel corso del giudizio promosso da I.C. contro  la  Poste
Italiane s.p.a. perche' fosse dichiarata  l'invalidita'  del  termine
apposto  al  contratto  di  lavoro  sottoscritto  tra  le  parti,  il
Tribunale  di   Roma   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 11 del  d.lgs.  n.  368  del
2001, per contrasto con gli artt. 76, 77 e 117, primo  comma,  Cost.,
nonche' dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001, per contrasto con
gli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 101, 102, secondo comma,
e 117, primo comma, Cost. nella parte in cui: 
          a) l'art. 1 dispone che e' consentita l'apposizione  di  un
termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a  fronte  di
ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo
anche se riferibili alla ordinaria attivita' del datore di lavoro, ma
non e' richiesta l'indicazione del nome del lavoratore  sostituito  e
della causa della sostituzione, come era invece previsto dall'art. 1,
comma 2, lettera b), della legge 18 aprile 1962, n. 230; 
          b) l'art. 11 abroga quest'ultima legge; 
          c) l'art. 4-bis dispone che per i  giudizi  in  corso  alla
data di entrata in vigore della legge n. 368 del  2001,  in  caso  di
violazione delle disposizioni di cui  agli  artt.  1,  2  e  4  della
medesima  legge  il  datore  di  lavoro  e'  tenuto   unicamente   ad
indennizzare il prestatore di lavoro secondo  predeterminati  criteri
di calcolo dell'indennita' (r.o. n. 60 del 2009); 
        che,  ad  avviso  del  rimettente,  i  vizi  di  legittimita'
costituzionale  sussistono,  quanto  agli  artt.   1   e   11   cit.,
nell'arretramento della tutela del lavoratore almeno per le  esigenze
sostitutive, poiche', rispetto alla disciplina previgente,  l'art.  1
non impone al datore di lavoro di indicare  il  nome  del  lavoratore
sostituito ne' della causa della sostituzione; 
        che, quanto all'art. 4-bis il vizio  sussisterebbe  nell'aver
sostituito  alla  tutela  risarcitoria  reale  una  tutela  di  rango
inferiore per i soli giudizi in corso; 
        che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei  ministri,
assistito e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale  ha
eccepito l'inammissibilita' delle questioni in quanto, riguardo  agli
artt. 1, comma 1, e  11  del  d.lgs  n.  368  del  2001,  il  giudice
rimettente non avrebbe  adeguatamente  motivato  la  rilevanza  della
questione, avendo sollevato la questione senza  aver  preventivamente
valutato compiutamente la fondatezza in fatto della  domanda  proprio
sotto il profilo decisivo della questione sottopostagli; 
        che per la difesa erariale ulteriore motivo di irrilevanza si
coglie  in  relazione  all'affermazione  che  nella  fattispecie   si
verterebbe in un caso in cui, accertata l'illegittimita' del termine,
si dovrebbe pronunciare la conversione in rapporto di lavoro a  tempo
indeterminato; 
        che tuttavia uno dei presupposti di tale conversione  risiede
nella circostanza che le parti non  abbiano,  nemmeno  implicitamente
manifestato  un  mutuo  consenso  a  favore  della  risoluzione   del
rapporto, ipotesi questa, sostenibile nel caso in esame atteso che il
lavoro venne prestato per poco piu' di tre mesi (dal 1° ottobre  2004
al 15 gennaio 2005) mentre la domanda venne proposta  piu'  di  dieci
mesi dopo; 
        che secondo la difesa erariale non  e'  configurabile  alcuna
difformita' degli artt. 1 e 11 dai criteri di delega che la legge  n.
422 del 2000 ha tratto direttamente dalla citata direttiva; 
        che infondata e' altresi' - a giudizio  dell'interveniente  -
la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  4-bis  per  i
motivi gia' esposti nell'atto di intervento nel giudizio promosso con
l'ordinanza r.o. n. 59 del 2009; 
        ritenuto altresi' che l'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001
e' stato censurato anche dal Tribunale di Rossano, con  ordinanza  n.
76 del 2009, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 4,  24,  35,
41, 43, 53, 101, 102, 104 e 111, primo comma, Cost., per  gli  stessi
motivi gia' esposti dalle ordinanze nn. 59 e 60 del 2009); 
        che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri -
assistito e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato - il quale ha
eccepito  l'inammissibilita'  delle  questioni  sotto  vari  aspetti,
coincidenti  con  quelli  illustrati  nell'atto  di  intervento   nel
giudizio promosso con l'ordinanza r.o. n. 60 del 2009; 
        che con cinque ordinanze (r.o. nn. 82, 83, 99, 127 e 145  del
2009) di  identico  contenuto,  pronunziate  in  altrettanti  giudizi
promossi contro la  RAI-Radiotelevisione  italiana  s.p.a.,  la  soc.
Mercurio Tech s.r.l. e la Poste Italiane s.p.a., aventi ad oggetto la
legittimita' dell'apposizione del  termine  ai  contratti  di  lavoro
stipulati dai ricorrenti,  i  Tribunali  di  Roma,  Pistoia,  Pesaro,
Tivoli e la Corte di appello di Milano hanno sollevato  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis piu'  volte  citato,  per
contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, 11  e  117  cost.,  negli
stessi termini gia' esposti dalla Corte di  appello  di  Milano,  con
ordinanza n. 59 del 2009; 
        che nel giudizio di cui alle ordinanze nn. 82, 83  e  99  del
2009, si sono costituite,  rispettivamente,  la  RAI-Radiotelevisione
italiana s.p.a., la societa' Mercurio Tech s.r.l. e la societa' Poste
Italiane s.p.a., contestando le pretese del  ricorrente  e  chiedendo
che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata; 
        che secondo  le  societa'  convenute  dall'intero  testo  del
d.lgs. n. 368 del 2001 emergerebbe che il legislatore  nazionale,  ha
compiutamente realizzato le finalita' della direttiva 1999/70/CE; 
        che  nel  giudizio  promosso  dal  Tribunale  di  Tivoli  con
ordinanza r.o. n. 127 del 2009, si e' costituito il ricorrente-attore
nel giudizio principale, rilevando che l'art. 4-bis sarebbe fonte  di
discriminazioni fra i lavoratori, a seconda che i  datori  di  lavoro
siano o meno gia' costituiti nelle cause pendenti; infatti, solamente
in caso di  contumacia  della  controparte  i  lavoratori  potrebbero
rinunziare agli atti  del  giudizio  -  non  abbisognando,  ai  sensi
dell'art. 306 del codice di procedura civile,  dell'accettazione  del
datore di lavoro  convenuto -  e  ripresentare  la  medesima  domanda
giudiziale,   sottraendosi   cosi'   alla   disciplina   penalizzante
introdotta dall'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001; 
        che   tali    discriminazioni    non    potrebbero    trovare
giustificazione nell'esigenza di regolare una situazione di «assoluta
necessita'» quale quella positivamente apprezzata dalla  sentenza  n.
419 del 2000 di questa Corte; 
        che in tutti e cinque i giudizi e' intervenuto, il Presidente
del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura  Generale,
contestando l'ammissibilita', nonche' la fondatezza della  questione,
riproponendo le motivazioni gia' esposte negli altri giudizi indicati
(cfr. r.o. nn. 60 del 2009, 76 del 2009, 82 e 83 del 2009). 
    Considerato che con separate ordinanze (r.o. nn. 59, 60, 76,  82,
83, 99, 127 e 145 del 2009), la Corte di  appello  di  Milano,  ed  i
Tribunali di Roma, Rossano, Pistoia, Pesaro e Tivoli hanno sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 35, 41, 43, 53, 76, 77,  101,
102, 104, 111, primo comma, e 117, primo comma,  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis del  decreto
legislativo 6 settembre 2001,  n.  368  (Attuazione  della  direttiva
1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato
concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES),  introdotto  dall'art.  21,
comma 1-bis della legge 6 agosto 2008, n. 133  (Disposizioni  urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria); 
        che la  sostanziale  identita'  delle  questioni  proposte  e
l'appartenenza  di  tutte  le  norme  censurate  allo  stesso   testo
normativo rendono opportuna la riunione dei  giudizi  al  fine  della
loro decisione unitaria; 
        che il Tribunale di Roma (r.o. n. 60 del 2009) dubita, anche,
della legittimita' degli artt. 1, comma 1, e 11 del d.lgs. n. 368 del
2001, per contrasto con gli artt. 76, 77 e 117, primo comma, Cost.; 
        che la prima delle predette norme - come modificata dall'art.
21, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito dalla legge 6
agosto 2008, n. 133 - stabilisce che «E' consentita l'apposizione  di
un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato  a  fronte
di  ragioni  di  carattere  tecnico,  produttivo,   organizzativo   o
sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attivita' del  datore
di lavoro»; 
        che l'art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001, invece, dispone, al
comma 1, l'abrogazione dell'intera  legge  18  aprile  1962,  n.  230
(Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato),  la  quale,
all'art. 1, secondo comma, lettera b), consentiva  l'apposizione  del
termine al contratto di lavoro subordinato «quando l'assunzione abbia
luogo per sostituire lavoratori assenti e per  i  quali  sussiste  il
diritto alla conservazione del posto,  sempreche'  nel  contratto  di
lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e  la
causa della sua sostituzione»; 
        che ad avviso del rimettente,  il  combinato  disposto  delle
norme censurate, nell'abolire l'onere dell'indicazione del nominativo
del   lavoratore   sostituito   quale    condizione    di    liceita'
dell'assunzione a tempo determinato di  altro  dipendente,  contenuto
nella legge n. 230 del 1962, violerebbe gli  artt.  76  e  77  Cost.,
poiche' la legge di delega 29 dicembre 2000, n. 422 (Disposizioni per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' Europee - Legge comunitaria 2000), in esecuzione della
quale e' stato emanato il d.lgs.  n.  368  del  2001,  attribuiva  al
Governo esclusivamente il potere di attuare la direttiva  1999/70/CE,
la quale non conteneva alcuna disposizione in tema di presupposti per
l'apposizione della clausola del termine; 
        che, in particolare, sussisterebbe contrasto  con  l'art.  76
Cost., poiche' la menzionata legge n.  422  del  2000  non  prevedeva
principi direttivi ulteriori rispetto all'attuazione della  direttiva
1999/70/CE la quale, alla clausola 8, punto 3, dell'accordo quadro da
essa recepito,  dispone  che  l'applicazione  dell'accordo  non  puo'
costituire un motivo  per  ridurre  il  livello  generale  di  tutela
offerto ai  lavoratori  nell'  ambito  coperto  dall'accordo  stesso,
mentre  le   disposizioni   censurate,   eliminando   la   necessita'
dell'indicazione   del   nominativo   del   lavoratore    sostituito,
determinerebbero un arretramento della tutela garantita ai lavoratori
dal precedente regime; 
        che, ad avviso del Tribunale  di  Roma,  sarebbe  leso  anche
l'art. 117, primo comma, Cost., per violazione dei vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario; 
        che la questione e' gia stata ritenuta  infondata  da  questa
Corte con la sentenza n 214 del 2009, dalla cui motivazione non  v'e'
ragione di discostarsi; 
        che, infatti, l'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, dopo  aver
stabilito, al comma 1, che l'apposizione del termine al contratto  di
lavoro e' consentita a fronte di  ragioni  di  carattere  (oltre  che
tecnico, produttivo e organizzativo, anche) sostitutivo, aggiunge, al
comma 2, che «L'apposizione del termine e' priva di  effetto  se  non
risulta, direttamente o indirettamente, da  atto  scritto  nel  quale
sono specificate le ragioni di cui al comma 1»; 
        che  l'onere  di  specificazione  previsto  da   quest'ultima
disposizione impone che, tutte le volte in cui l'assunzione  a  tempo
determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere  sostitutivo,
siano  indicate  le  ragioni  della  sostituzione  di  uno   o   piu'
lavoratori, il che implica necessariamente  anche  l'indicazione  del
lavoratore o dei lavoratori da sostituire; 
        che soltanto in questa maniera, e' assicurata la  trasparenza
e  la  veridicita'  della  causa  dell'apposizione  del   termine   e
l'immodificabilita' della stessa nel corso del rapporto; 
        che non avendo gli impugnati artt.  1,  comma  1,  e  11  del
d.lgs. n. 368 del 2001 innovato, sotto questo profilo, rispetto  alla
disciplina contenuta nella legge n. 230 del  1962,  non  sussiste  la
denunciata violazione dell'art. 77 della Costituzione; 
        che l'art. 2, comma 1, lettera b), della legge di  delega  n.
422  del  2000  consentiva  al  Governo  di  apportare  modifiche   o
integrazioni alle discipline vigenti nei singoli settori  interessati
dalla normativa da attuare e cio' al fine di evitare  disarmonie  tra
le norme introdotte in sede di attuazione delle direttive comunitarie
e, appunto, quelle gia' vigenti; 
        che in base  a  tale  principio  direttivo,  il  Governo  era
autorizzato a riprodurre, nel decreto legislativo di attuazione della
direttiva  1999/70/CE,  precetti  gia'  contenuti  nella   previgente
disciplina  del  settore   interessato   dalla   direttiva   medesima
(contratto di lavoro a tempo determinato). Infatti, inserendo  in  un
unico testo normativo  sia  le  innovazioni  introdotte  al  fine  di
attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che,
attenendo alla medesima fattispecie contrattuale,  erano  alle  prime
intimamente connesse, si sarebbe garantita la  piena  coerenza  della
nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico,  in  conformita'
con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1,  lettera  b),  della
legge di delega; 
        che non sussiste neppure la denunciata lesione  dell'art.  76
Cost., poiche'  le  norme  censurate,  limitandosi  a  riprodurre  la
disciplina  previgente,  non  determinano  alcuna  diminuzione  della
tutela  gia'  garantita  ai  lavoratori  dal  precedente  regime   e,
pertanto, non si pongono neanche in contrasto con la clausola n.  8.3
dell'Accordo-quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE,  secondo  la
quale l'applicazione dell'accordo non avrebbe  potuto  costituire  un
motivo per ridurre il livello generale  di  tutela  gia'  goduto  dai
lavoratori; 
        che  l'insussistenza,  sotto  il  profilo  in  esame,  di  un
contrasto con la normativa comunitaria, comporta l'infondatezza della
censura formulata in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., il
quale  impone  al  legislatore  di  rispettare  i  vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; 
        che con otto distinte  ordinanze,  la  Corte  di  appello  di
Milano (r.o. nn. 59 e 145 del 2009) ed i Tribunali di Roma (r.o.  nn.
60 e 82 del 2009), Rossano (r.o. n. 76 del 2009), Pistoia (r.o. n. 83
del 2009), Pesaro (r.o. n. 99 del 2009), e Tivoli (r.o.  n.  127  del
2009)  hanno  sollevato  questioni  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001, introdotto dall'art.  21,
comma 1-bis, del d.l. n. 112 del 2008; 
        che secondo la  norma  censurata  «Con  riferimento  ai  soli
giudizi in corso alla  data  di  entrata  in  vigore  della  presente
disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso
di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2  e  4,  il
datore di lavoro e' tenuto unicamente ad indennizzare  il  prestatore
di lavoro con un'indennita' di importo compreso tra un minimo di  2,5
ed un massimo di sei mensilita' dell'ultima retribuzione  globale  di
fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge
15 luglio 1966, n.  604  (Norme  sui  licenziamenti  individuali),  e
successive modificazioni»; 
        che  l'art.  4-bis  e'  stato  gia'   giudicato   illegittimo
costituzionalmente da questa Corte con  sentenza  n.  214  del  2009,
sicche' va dichiarata  la  manifesta  inammissibilita'  di  tutte  le
questioni sopra indicate. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Riuniti i giudizi, 
        1)  dichiara  manifestamente  infondate   le   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 11 del d.lgs. 6
settembre  2001,  n.  368  (Attuazione  della  direttiva   1999/70/CE
relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo  determinato  concluso
dall' UNICE, dal CEEP e dal  CES),  sollevate,  in  riferimento  agli
artt. 76, 77, e 117, primo comma, della Costituzione,  dal  Tribunale
di Roma con l'ordinanza r.o. n. 60 del 2009 indicata in epigrafe; 
        2) dichiara  manifestamente  inammissibili  le  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis del  medesimo  d.lgs.  n.
368 del 2001, introdotto dall'art. 21, comma 1-bis del  decreto-legge
25  giugno  2008,  n.  112  (Disposizioni  urgenti  per  lo  sviluppo
economico, la semplificazione, la competitivita', la  stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, dalla legge  6  agosto  2008,  n.  133  sollevate,  in
riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 35, 41, 43, 53, 101,  102,  104,
111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte
di appello di Milano e  dai  Tribunali  di  Roma,  Rossano,  Pistoia,
Pesaro e Tivoli, con le ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2009. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                       Il redattore: Mazzella 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 4 dicembre 2009. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola