N. 5 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 7 aprile 2009
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito) depositato in cancelleria il 7 dicembre 2009. Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento penale nei confronti del senatore Raffaele Iannuzzi imputato del reato di cui all'art. 595, commi 1, 2 e 3, cod. pen. (diffamazione aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato e dell'avere recato offesa col mezzo della stampa) nei confronti dei magistrati Giancarlo Caselli, Gioacchino Natoli, Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte - Deliberazione del Senato della Repubblica in data 19 febbraio 2009 di insindacabilita' - Ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Tribunale di Milano - Denunciata mancanza di nesso fra la condotta addebitata al deputato e l'esercizio delle funzioni parlamentari. - Deliberazione del Senato della Repubblica 19 febbraio 2009. - Costituzione, art. 68, primo comma.(GU n.4 del 27-1-2010 )
Letti gli atti del procedimento penale a carico del senatore Raffaele Iannuzzi, nato a Grottolella (Avellino) il 20 febbraio 1928, imputato per i seguenti reati: A) del reato di cui agli articoli 595, commi 1 - 2 - 3 c.p., art. 13, legge 8 febbraio 1948, n. 47 perche' nella sua qualita' di autore dell'articolo dal titolo «Genesi di una persecuzione - Buscetta rinnego' il verbale che apri' il caso Pecorelli» pubblicato sul quotidiano «Il Giornale» del 2 novembre 2003 offendeva la reputazione di Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte sia utilizzando toni ed espressioni gravemente denigratori, proposti con insinuazioni, allusioni, sottintesi tali da condizionare l'intero tenore dell'articolo in senso diffamatorio, sia mediante false affermazioni in ordine alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta (contenute nell'articolo e che qui si danno integralmente trascritte) sulla vicenda Pecorelli tali da legittimare nel lettore la convinzione che i magistrati della Procura di Palermo avessero falsificato e stravolto le dichiarazioni del pentito per finalita' estranee ai loro doveri professionali. Reato aggravato dall'attribuzione di fatti determinati. Reato commesso in Milano il 2 novembre 2003. B) del reato di cui agli articoli 595 commi 1 - 2 - 3 c.p., art. 13, legge 8 febbraio 1948, n. 47, perche' nella sua qualita' di autore dell'articolo dal titolo «Gli intoccabili in toga» pubblicato sul quotidiano «Il Giornale» del 19 settembre 2004 offendeva la reputazione di Giancarlo Caselli, Gioacchino Natoli, Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte in relazione all'intero contenuto dell'articolo che qui si da' integralmente trascritto tramite una rappresentazione denigratoria dell'attivita' dei magistrati presso la Procura di Palermo attuata con false attestazioni in ordine ad alcune vicende del processo Andreotti. In particolare, tra le numerose affermazioni ambigue e cariche di sottintesi, si esplicita: che le parti lese hanno cercato di interferire nel dibattito parlamentare conseguente all'esito del processo Andreotti, che vi siano dei «misteri» nel processo Andreotti relativi alle dichiarazioni del pentito di mafia Buscetta, al suicidio dei Maresciallo Lombardo e alla vicenda del pentito Balduccio Di Maggio. Reato commesso in Milano il 19 settembre 2004. In cui sono parti offese i signori: Caselli Gian Carlo, nato il 9 maggio 1939 ad Alessandria ed elettivamente domiciliato a Milano in via Santa Sofia n. 27 presso lo studio del difensore; assistito dall'avv.to Carlo Smuraglia con studio in Milano in via Santa Sofia n. 27; Lo Forte Guido, nato il 29 novembre 1948 a Palermo ed elettivamente domiciliato a Milano in via Santa Sofia n. 27 presso lo studio del difensore; assistito dall'avv.to Ettore Zanoni con studio in Milano via Santa Sofia n. 27; Natoli Gioacchino, nato il 20 maggio 1947 a Patti (Messina) ed elettivamente domiciliato a Milano in via Santa Sofia n. 27 presso lo studio del difensore; assistito dall'avv.to Ettore Zanoni con studio in Milano via Santa Sofia n. 27; Scarpinato Roberto, nato il 14 gennaio 1952 a Caltanissetta ed elettivamente domiciliato a Milano in via Santa Sofia n. 27 presso lo studio del difensore; assistito dall'avv.to Ettore Zanoni con studio in Milano via Santa Sofia n. 27. Rilevato che i magistrati Giancarlo Caselli, Lo Forte Guido, Gioacchino Natoli e Roberto Scarpinato hanno proposto querela nei confronti del senatore Raffaele Iannuzzi (nonche' del direttore pro tempore del quotidiano «Il Giornale», la cui posizione e' stata altrimenti definita) ritenendo diffamatorie le affermazioni sopra meglio riportate poiche' negli articoli sopra indicati si era propalata la tesi secondo cui, sostanzialmente, il processo al senatore Giulio Andreotti era stato instaurato per finalita' politiche o comunque estranee ai loro doveri professionali; che i querelanti avrebbero strumentalizzato le dichiarazioni del pentito Buscetta per perseguire le finalita' sopra citate; che i querelanti avrebbero posto in essere una serie di atti che avrebbero determinato il suicidio del Maresciallo Lombardo; che i querelanti avrebbero in sostanza abusato delle rispettive posizioni per impedire che fossero scoperte le tracce del loro operato anche attraverso un'indebita interferenza nel dibattito parlamentare conseguente l'esito del processo Andreotti e finanche ponendo in atto vere e proprie persecuzioni nei confronti di soggetti che potessero «scoprirli»; Rilevato: che - su istanza del sen. Iannuzzi a mezzo dei propri difensori - con ordinanza in data 14 luglio 2007 il g.i.p. presso il Tribunale di Milano ha sottoposto al Senato della Repubblica la questione dell'applicabilita' dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, in relazione al procedimento penale n. 48698/04 R.G.N. R., pendente nei suoi confronti a seguito della presentazione delle querele sopra richiamate; che il Senato della Repubblica, nel corso della seduta del 19 febbraio 2009 in accoglimento di conforme proposta della Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari, ha riconosciuto ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione, l'insindacabilita' delle opinioni espresse dal senatore Raffaele Iannuzzi nell'ambito degli articoli di stampa oggetto del presente procedimento in quanto espresse nell'esercizio della funzione parlamentare; Considerato: che la vicenda che occupa attiene a due articoli aventi ad oggetto la medesima questione relativa ai retroscena che hanno caratterizzato il processo Andreotti, alle dichiarazioni dei pentiti, a dire dell'articolista strumentalizzate dai magistrati, e che avrebbero determinato al suicidio un componente dell'arma dei Carabinieri nonche' ad adombrati abusi di magistrati per indirizzare un processo; che - allo stato degli atti - non risulta provata la verita' oggettiva dei fatti riferiti ne' appare potersi registrare un effettivo rigore nel modo di riportare i fatti per come appaiono emergere dalle fonti; che in ragione di tali aspetti e dell'ulteriore contenuto degli atti di causa appare sussistere una fattispecie a soluzioni aperte meritevole di approfondimento dibattimentale e cio' anche al fine di accertare l'effettiva verita' dei fatti esposti; che - dopo aver evidenziato alcuni giudizi espressi dai querelanti nei confronti del senatore Iannuzzi, la giunta e l'Assemblea (che ha fatto proprie le considerazioni della Giunta) hanno ritenuto che «la giurisprudenza costituzionale in tema di insindacabilita' prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione, a partire dalle sentenze n. 10 e 11 del 2000, si e' orientata nel senso di ritenere che la prerogativa in questione trova pacificamente applicazione nel caso di opinioni espresse dal parlamentare nel corso dei lavori della camera di appartenenza e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla camera medesima, o ancora in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea e che, peraltro, l'ambito di applicazione della prerogativa medesima si estende anche alle dichiarazioni extra moenia che possono essere qualificate come divulgative all'esterno di attivita' parlamentari ove sussista una sostanziale corrispondenza di significato con opinioni gia' espresse, o contestualmente espresse, nell'esercizio di funzioni parlamentari tipiche. Eppure, in altre controversie aventi ad oggetto l'insindacabilita' delle opinioni espresse extra moenia nell'esercizio delle funzioni parlamentari, la difesa del Senato ha sottolineato l'importanza di rifuggire da "una definizione stringente del concetto di nesso funzionale, preferendo verificarne la ricorrenza caso per caso", "poiche' e' caratteristica tipica dell'attivita' di bilanciamento...l'intrinseca dinamicita', ovvero la capacita' di adattare i termini della ponderazione alle modificazioni sociali, culturali e politiche eventualmente implicate". La difesa del Senato ha auspicato un "salto interpretativo" della giurisprudenza costituzionale, volto a ritenere sussistente il nesso funzionale "in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il cittadino, illustrando la propria posizione". Cio' "alla luce dell'evoluzione che ha subito la figura del politico-giornalista, e piu' in generale l'attivita' politica tout court", per la quale l'attivita' di giornalista andrebbe stimata "come parte della piu' ampia attivita'... di politico ed espressione, per quanto atipica, del relativo ruolo istituzionale". In questo senso, deporrebbe anche l'art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), che, nel dichiarare applicabile l'art. 68 della Costituzione ad ogni attivita' di denuncia politica connessa alla funzione di parlamentare, avrebbe recepito l'esigenza di adeguare la garanzia dell'insindacabilita' "alle nuove caratteristiche assunte dallo svolgimento di attivita' politica" (cfr. Corte costituzionale n. 151 del 2007) ed ha, quindi, concluso, che "le dichiarazioni rese dal signor Iannuzzi debbano ritenersi insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione" in quanto "costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni e ricadono pertanto nell'ipotesi di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione"». che la conclusione adottata appare in contrasto con la costante giurisprudenza costituzionale: a titolo esemplificativo puo' essere evidenziato quanto affermato nelle sentenze numeri 10 e 11 dell'11 gennaio 2000 citate nella relazione della Giunta (alle quali si sono richiamate, tra le altre, le successive sentenze n. 52 del 27 febbraio 2002; n. 207 del 20 maggio 2002; n. 294 del 19 giugno 2002): «... E' pacifico che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea; che l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce l'art. 68, primo comma, della Costituzione; che nel normale svolgimento della vita democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle attivita' proprie delle assemblee rappresentano piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune a tutti i consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una immunita' che la Costituzione ha voluto, in deroga al generale principio di legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, riservare alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni; che la linea di confine fra la tutela dell'autonomia e della liberta' delle Camere, e, a tal fine, della liberta' di espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela dei diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dall'espressione di opinioni, dall'altro lato, e' fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa. Senza questa delimitazione, l'applicazione della prerogativa la trasformerebbe in un privilegio personale (cfr. sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari una sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito e ai limiti della loro liberta' di manifestazione del pensiero: con possibili distorsioni anche del principio di eguaglianza e di parita' di opportunita' fra cittadini nella dialettica politica; che discende da quanto osservato che la semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse dal deputato o dal senatore in sede parlamentare non puo' bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunita' che copre le seconde; che tanto meno puo' bastare a tal fine la ricorrenza di un contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca. Siffatto tipo di collegamenti non puo' valere di per se' a conferire carattere di attivita' parlamentare a manifestazioni di opinioni che siano oggettivamente ad essa estranee. Sarebbe, oltre tutto, contraddittorio da un lato negare - come e' inevitabile negare - che di per se' l'espressione di opinioni nelle piu' diverse sedi pubbliche costituisca esercizio di funzione parlamentare, e dall'altro lato ammettere che essa invece acquisti tale carattere e valore in forza di generici collegamenti contenutistici con attivita' parlamentari svolte dallo stesso membro delle Camere; che in questo senso va precisato il significato del "nesso funzionale" che deve riscontrarsi, per poter ritenere l'insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita' parlamentare; non come semplice collegamento di argomento o di contesto fra attivita' parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare; che nel caso di riproduzione all'esterno della sede parlamentare, e'necessario, per ritenere che sussista l'insindacabilita', che si riscontri la identita' sostanziale di contenuto fra l'opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata nella sede esterna; che cio' che si richiede, ovviamente, non e' una puntuale coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti; che nei casi in cui non e' riscontrabile esercizio di funzioni parlamentari, il valore della legalita-giurisdizione non collide certo con quello dell'autonomia delle Camere e cosi' si spiega che la giurisprudenza costituzionale abbia appunto stabilito che l'immunita' non vale per tutte quelle opinioni che "il parlamentare manifesta nel piu' esteso ambito della politica"; che alla luce di tale interpretazione si debbono pertanto ritenere, in linea di principio, sindacabili tutte quelle dichiarazioni, che fuoriescono dal campo applicativo del "diritto parlamentare" e che non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari, anche se siano caratterizzate da un asserito "contesto politico" o ritenute, per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in cui sono state rese, manifestazione di sindacato ispettivo; che questa forma di controllo politico rimessa al singolo parlamentare puo' infatti aver rilievo, nei giudizi in oggetto, soltanto se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti e procedure specificamente previsti dai regolamenti parlamentari; se dunque l'immunita' copre il membro del Parlamento per il contenuto delle proprie dichiarazioni soltanto se concorre il contesto funzionale, il problema specifico, che non appare irrilevante in questo conflitto, della riproduzione all'esterno degli organi parlamentari di dichiarazioni gia' rese nell'esercizio di funzioni parlamentari si puo' risolvere nel senso dell'insindacabilita' solo ove sia riscontrabile corrispondenza sostanziale di contenuti con l'atto parlamentare, non essendo sufficiente a questo riguardo una mera comunanza di tematiche». che il conforme orientamento della Corte costituzionale e' stato ribadito con la sentenza n. 120 del 16 aprile 2004; nel dichiarare infondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevate con riferimento all'art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140, si e' affermato che: «... Nonostante le evoluzioni subite, nel tempo, nella giurisprudenza di questa Corte, e' enucleabile un principio, che e' possibile oggi individuare come limite estremo della prerogativa dell'insindacabilita', e con cio' stesso delle virtualita' interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68: questa non puo' mai trasformarsi in un privilegio personale, quale sarebbe una immunita' dalla giurisdizione conseguente alla mera "qualita'" di parlamentare. Per tale ragione l'itinerario della giurisprudenza della Corte si e' sviluppato attorno alla nozione del cd. "nesso funzionale", che solo consente di discernere le opinioni del parlamentare riconducibili alla libera manifestazione del pensiero, garantita ad ogni cittadino nei limiti generali della liberta' di espressione, da quelle che riguardano l'esercizio della funzione parlamentare. Certamente rientrano nella sfera dell'insindacabilita' tutte le opinioni manifestate con atti tipici nell'ambito dei lavori parlamentari, mentre per quanto attiene alle attivita' non tipizzate esse si debbono tuttavia considerare "coperte" dalla garanzia di cui all'art. 68, nei casi in cui si esplicano mediante strumenti, atti e procedure, anche "innominati", ma comunque rientranti nel campo di applicazione del diritto parlamentare, che il membro del Parlamento e' in grado di porre in essere e di utilizzare proprio solo e in quanto riveste tale carica (cfr. sentenze n. 56 del 2000, n. 509 del 2002 e n. 219 del 2003). Cio' che rileva, ai fini dell'insindacabilita', e' dunque il collegamento necessario con le "funzioni" del Parlamento, cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto si iscrive, a prescindere dal suo contenuto comunicativo, che puo' essere il piu' vario, ma che in ogni caso deve essere tale da rappresentare esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle Camere, anche se attuato in forma "innominata" sul piano regolamentare. Sotto questo profilo non c'e' percio' una sorta di automatica equivalenza tra l'atto non previsto dai regolamenti parlamentari e l'atto estraneo alla funzione parlamentare, giacche', come gia' detto, deve essere accertato in concreto se esista un nesso che permetta di identificare l'atto in questione come "espressione di attivita' parlamentare" (cfr. sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, n. 379 e n. 219 del 2003). E' in questa prospettiva che va effettuato lo scrutinio della disposizione denunciata. Le attivita' di "ispezione di divulgazione, di critica e di denuncia politica" che appunto il censurato art. 3, comma 1, riferisce all'ambito di applicazione dell'art. 68, primo comma, non rappresentano, di per se', un'ipotesi di indebito allargamento della garanzia dell'insindacabilita' apprestata dalla norma costituzionale, proprio perche' esse, anche se non manifestate in atti "tipizzati", debbono comunque, secondo la previsione legislativa e in conformita' con il dettato costituzionale, risultare in connessione con l'esercizio di funzioni parlamentari. E' appunto questo "nesso" il presidio delle prerogative parlamentari e, insieme, del principio di eguaglianza e dei diritti fondamentali dei terzi lesi. Occorre, altresi', evidenziare che la legge n. 140/2003 non ha natura di legge costituzionale e, pertanto, non e' idonea a stravolgere i limiti delineati dalla Corte in relazione all'applicabilita' dell'art. 68, primo comma della Costituzione. Pertanto, si ritiene che anche il riferimento alle attivita' di "ispezione divulgazione, critica e denuncia politica", espletate fuori dal Parlamento che devono essere connesse alla "funzione di parlamentare" non possa prescindere dall'applicazione dei criteri delineati dalla Corte costituzionale sopra richiamati. La diversa interpretazione, diretta a ricomprendere nella sfera dell'insindacabilita' qualsiasi attivita' politica posta in essere da parlamentare al di fuori dal Parlamento, oltre che porsi in contrasto con lo stesso art. 68 della Costituzione, determinerebbe, di fatto, la compromissione dei diritti all'onore ed alla reputazione, anch'essi costituzionalmente tutelati.». E ancora nella pronuncia n. 151 del 2007, parimenti citata nel corpo della relazione della Giunta trasmessa all'Assemblea, laddove si legge: «al fine di verificare la sussistenza del cosiddetto "nesso funzionale", alla quale e' subordinata la prerogativa dell'insindacabilita' prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione... questa Corte, al contrario, ribadisce la piena sindacabilita' di dichiarazioni che non costituiscono la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell'esercizio delle proprie attribuzioni e, quindi, il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto, a garanzia delle prerogative delle Camere, dall'insindacabilita'), ma che rappresentano una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell'esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dalla Costituzione (sentenze n. 96 del 2007 e n. 260 del 2006). L'operativita' di tale principio non e' suscettibile di essere condizionata in relazione alla attivita' giornalistica, ove i limiti costituzionalmente ammissibili all'esercizio del diritto di cronaca e del diritto di critica debbono essere oggettivamente definiti e non possono invece dipendere dallo status di colui che li esercita. Ne' possono essere tratti argomenti contrari, dall'art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 110 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), poiche' gia' con la sentenza n. 120 del 2004 questa Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale di tale norma, sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, 68, primo comma, e 177 della Costituzione, escludendo che essa abbia ampliato l'ambito dell'immunita' garantita ai parlamentari dall'art. 68, primo comma, della Costituzione, quale risultava dalla propria giurisprudenza (si veda anche la sentenza n. 347 del 2004).». che la deliberazione adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 19 febbraio 2009 appare in contrasto con i richiamati canoni interpretativi atteso che non contiene alcun elemento concreto da cui poter desumere la sussistenza di una corrispondenza sostanziale tra i contenuti degli articoli oggetto delle querele e le opinioni gia' espresse dal senatore in specifici atti parlamentari, non essendo sufficiente una mera comunanza di tematiche e un generico riferimento alla rilevanza dei fatti pubblici; che tale correlazione funzionale - nel senso rigoroso indicato dalla Corte costituzionale - non puo' certo derivare dall'interesse costantemente manifestato dallo Iannuzzi, nello svolgimento della sua attivita' politica, per le tematiche della politica giudiziaria in ambito di contrasto all'attivita' mafiosa; che l'interpretazione prospettata dalla decisione di cui trattasi comporta, di fatto, che l'istituto previsto dalla norma costituzionale si trasformi da «esenzione di responsabilita' legata alla funzione in privilegio personale» (cfr. sent. n. 11/00, gia' citata) con la conseguenza che le opinioni e le dichiarazioni manifestate da un parlamentare sarebbero sempre e comunque sottratte alla verifica giurisdizionale; che deve, pertanto, ritenersi che la condotta addebitabile al senatore Iannuzzi, astrattamente idonea, nella sua specificita' e gravita' ad integrare un illecito, esula dall'esercizio delle funzioni parlamentari e non presenta oggettivamente alcun legame con atti parlamentari neppure nell'accezione piu' ampia e come tale dovrebbe rientrare nella cognizione riservata al sindacato giurisdizionale; che le opinioni manifestate dal senatore Iannuzzi non possono, per carenza del nesso funzionale, ritenersi rese nell'esercizio delle funzioni parlamentari e quindi per esse non e' invocabile l'immunita', ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione; che, nel caso di specie, appare di conseguenza necessario sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, conflitto ammissibile sia sotto il profilo soggettivo (questo giudice e' l'organo competente a decidere, nell'ambito delle funzioni giurisdizionali attribuite, sulla asserita illiceita' della condotta ascritta all'indagato e quindi «a dichiarare la volonta' del potere cui appartiene, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione»: cfr. fra le altre, ordinanze Corte cost. n. 60 del 1999; nn. 469, 407, 261, 254 del 1998), sia sotto quello oggettivo, trattandosi della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 68, primo comma della Costituzione e della lesione della propria sfera di attribuzioni giurisdizionali, costituzionalmente garantita, giacche' illegittimamente menomata dalla suindicata deliberazione del Senato della Repubblica.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost. e 37 legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone la sospensione del giudizio in corso a carico di Iannuzzi Raffaele e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sollevando conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato e chiede che la Corte: dichiari ammissibile il presente conflitto, adottando ogni conseguente provvedimento ai sensi degli artt. 37 e ss. legge n. 87/1953 ed ogni altra norma applicabile; dichiari che non spettava al Senato della Repubblica la valutazione della condotta addebitabile al senatore Iannuzzi Raffaele, in quanto estranea alla previsione di cui all'art. 68, primo comma, Cost.; annulli la relativa delibera del Senato della Repubblica in data 19 febbraio 2009 (delibera IV-ter, n. 6). Manda alla cancelleria per quanto di competenza. Cosi' deciso in Milano, addi' 7 aprile 2009 Il giudice: Pendino Avvertenza L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa con ordinanza n. 288/2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, lª s.s., n. 45 dell'11 novembre 2009.