N. 5 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 7 aprile 2009

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato in cancelleria il 7 dicembre 2009. 
 
Parlamento  -  Immunita'  parlamentari  -  Procedimento  penale   nei
  confronti del senatore Raffaele Iannuzzi imputato del reato di  cui
  all'art. 595, commi 1, 2 e 3,  cod.  pen.  (diffamazione  aggravata
  dall'attribuzione di  un  fatto  determinato  e  dell'avere  recato
  offesa  col  mezzo  della  stampa)  nei  confronti  dei  magistrati
  Giancarlo Caselli, Gioacchino Natoli, Roberto Scarpinato e Guido Lo
  Forte - Deliberazione  del  Senato  della  Repubblica  in  data  19
  febbraio 2009  di  insindacabilita'  -  Ricorso  per  conflitto  di
  attribuzione proposto dal Tribunale di Milano - Denunciata mancanza
  di nesso fra la condotta addebitata al deputato e l'esercizio delle
  funzioni parlamentari. 
- Deliberazione del Senato della Repubblica 19 febbraio 2009. 
- Costituzione, art. 68, primo comma. 
(GU n.4 del 27-1-2010 )
    Letti gli atti del procedimento  penale  a  carico  del  senatore
Raffaele Iannuzzi, nato a Grottolella (Avellino) il 20 febbraio 1928,
imputato per i seguenti reati: 
        A) del reato di cui agli articoli 595, commi 1 - 2 - 3  c.p.,
art. 13, legge 8 febbraio 1948, n. 47 perche' nella sua  qualita'  di
autore  dell'articolo  dal  titolo  «Genesi  di  una  persecuzione  -
Buscetta rinnego' il verbale che apri' il caso Pecorelli»  pubblicato
sul quotidiano  «Il  Giornale»  del  2  novembre  2003  offendeva  la
reputazione di Giancarlo Caselli e Guido  Lo  Forte  sia  utilizzando
toni   ed   espressioni   gravemente   denigratori,   proposti    con
insinuazioni, allusioni, sottintesi  tali  da  condizionare  l'intero
tenore  dell'articolo  in  senso  diffamatorio,  sia  mediante  false
affermazioni  in  ordine  alle  dichiarazioni  di  Tommaso   Buscetta
(contenute nell'articolo e che qui si danno integralmente trascritte)
sulla  vicenda  Pecorelli  tali  da  legittimare   nel   lettore   la
convinzione che  i  magistrati  della  Procura  di  Palermo  avessero
falsificato e stravolto le dichiarazioni del  pentito  per  finalita'
estranee   ai   loro   doveri    professionali.    Reato    aggravato
dall'attribuzione di fatti determinati. Reato commesso in Milano il 2
novembre 2003. 
        B) del reato di cui agli articoli 595 commi 1 - 2 -  3  c.p.,
art. 13, legge 8 febbraio 1948, n. 47, perche' nella sua qualita'  di
autore dell'articolo dal titolo «Gli intoccabili in toga»  pubblicato
sul quotidiano «Il Giornale»  del  19  settembre  2004  offendeva  la
reputazione  di  Giancarlo  Caselli,   Gioacchino   Natoli,   Roberto
Scarpinato  e  Guido  Lo  Forte  in  relazione  all'intero  contenuto
dell'articolo che qui si da'  integralmente  trascritto  tramite  una
rappresentazione denigratoria dell'attivita' dei magistrati presso la
Procura di Palermo attuata con false attestazioni in ordine ad alcune
vicende del processo  Andreotti.  In  particolare,  tra  le  numerose
affermazioni ambigue e cariche di sottintesi, si  esplicita:  che  le
parti lese hanno cercato di interferire  nel  dibattito  parlamentare
conseguente all'esito  del  processo  Andreotti,  che  vi  siano  dei
«misteri» nel processo  Andreotti  relativi  alle  dichiarazioni  del
pentito di mafia Buscetta, al suicidio  dei  Maresciallo  Lombardo  e
alla vicenda del pentito  Balduccio  Di  Maggio.  Reato  commesso  in
Milano il 19 settembre 2004. 
In cui sono parti offese i signori: 
    Caselli Gian Carlo, nato il  9  maggio  1939  ad  Alessandria  ed
elettivamente domiciliato a Milano in via Santa Sofia n. 27 presso lo
studio del  difensore;  assistito  dall'avv.to  Carlo  Smuraglia  con
studio in Milano in via Santa Sofia n. 27; 
    Lo  Forte  Guido,  nato  il  29  novembre  1948  a   Palermo   ed
elettivamente domiciliato a Milano in via Santa Sofia n. 27 presso lo
studio del difensore; assistito dall'avv.to Ettore Zanoni con  studio
in Milano via Santa Sofia n. 27; 
    Natoli Gioacchino, nato il 20 maggio 1947 a  Patti  (Messina)  ed
elettivamente domiciliato a Milano in via Santa Sofia n. 27 presso lo
studio del difensore; assistito dall'avv.to Ettore Zanoni con  studio
in Milano via Santa Sofia n. 27; 
    Scarpinato Roberto, nato il 14 gennaio 1952  a  Caltanissetta  ed
elettivamente domiciliato a Milano in via Santa Sofia n. 27 presso lo
studio del difensore; assistito dall'avv.to Ettore Zanoni con  studio
in Milano via Santa Sofia n. 27. 
    Rilevato che i magistrati  Giancarlo  Caselli,  Lo  Forte  Guido,
Gioacchino Natoli e Roberto Scarpinato  hanno  proposto  querela  nei
confronti del senatore Raffaele Iannuzzi (nonche' del  direttore  pro
tempore del quotidiano «Il  Giornale»,  la  cui  posizione  e'  stata
altrimenti definita) ritenendo  diffamatorie  le  affermazioni  sopra
meglio  riportate  poiche'  negli  articoli  sopra  indicati  si  era
propalata la  tesi  secondo  cui,  sostanzialmente,  il  processo  al
senatore  Giulio  Andreotti  era  stato  instaurato   per   finalita'
politiche o comunque estranee ai loro  doveri  professionali;  che  i
querelanti avrebbero strumentalizzato le  dichiarazioni  del  pentito
Buscetta per perseguire le finalita' sopra citate; che  i  querelanti
avrebbero posto in essere una serie di atti che avrebbero determinato
il suicidio del Maresciallo Lombardo; che i querelanti  avrebbero  in
sostanza abusato delle rispettive posizioni per impedire che  fossero
scoperte le tracce del  loro  operato  anche  attraverso  un'indebita
interferenza  nel  dibattito  parlamentare  conseguente  l'esito  del
processo  Andreotti  e  finanche  ponendo  in  atto  vere  e  proprie
persecuzioni nei confronti di soggetti che potessero «scoprirli»; 
    Rilevato: 
        che - su  istanza  del  sen.  Iannuzzi  a  mezzo  dei  propri
difensori - con ordinanza in data 14 luglio 2007 il g.i.p. presso  il
Tribunale di Milano ha  sottoposto  al  Senato  della  Repubblica  la
questione  dell'applicabilita'  dell'art.  68,  primo  comma,   della
Costituzione, in relazione al procedimento penale n. 48698/04  R.G.N.
R., pendente nei suoi confronti a seguito della  presentazione  delle
querele sopra richiamate; 
        che il Senato della Repubblica, nel corso della seduta del 19
febbraio 2009 in accoglimento di conforme proposta della Giunta delle
elezioni e delle immunita' parlamentari,  ha  riconosciuto  ai  sensi
dell'art. 68,  primo  comma  della  Costituzione,  l'insindacabilita'
delle opinioni espresse dal senatore  Raffaele  Iannuzzi  nell'ambito
degli articoli di stampa oggetto del presente procedimento in  quanto
espresse nell'esercizio della funzione parlamentare; 
    Considerato: 
        che la vicenda che occupa attiene a due  articoli  aventi  ad
oggetto la  medesima  questione  relativa  ai  retroscena  che  hanno
caratterizzato il processo Andreotti, alle dichiarazioni dei pentiti,
a  dire  dell'articolista  strumentalizzate  dai  magistrati,  e  che
avrebbero  determinato  al  suicidio  un  componente  dell'arma   dei
Carabinieri nonche' ad adombrati abusi di magistrati per  indirizzare
un processo; 
        che - allo stato degli atti - non risulta provata la  verita'
oggettiva  dei  fatti  riferiti  ne'  appare  potersi  registrare  un
effettivo rigore nel modo di riportare  i  fatti  per  come  appaiono
emergere dalle fonti; 
        che in ragione di tali  aspetti  e  dell'ulteriore  contenuto
degli atti di causa appare sussistere  una  fattispecie  a  soluzioni
aperte meritevole di approfondimento dibattimentale e cio'  anche  al
fine di accertare l'effettiva verita' dei fatti esposti; 
        che - dopo  aver  evidenziato  alcuni  giudizi  espressi  dai
querelanti  nei  confronti  del  senatore  Iannuzzi,  la   giunta   e
l'Assemblea (che ha fatto proprie  le  considerazioni  della  Giunta)
hanno ritenuto che  «la  giurisprudenza  costituzionale  in  tema  di
insindacabilita'  prevista   dall'art.   68,   primo   comma,   della
Costituzione, a partire dalle sentenze n. 10 e 11  del  2000,  si  e'
orientata nel senso di ritenere che la prerogativa in questione trova
pacificamente  applicazione  nel  caso  di  opinioni   espresse   dal
parlamentare nel corso dei lavori della camera di appartenenza e  dei
suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra
le funzioni svolte dalla camera medesima, o  ancora  in  atti,  anche
individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta'  proprie  del
parlamentare  in  quanto  membro  dell'assemblea  e  che,   peraltro,
l'ambito di applicazione della prerogativa medesima si estende  anche
alle dichiarazioni extra moenia che possono essere  qualificate  come
divulgative all'esterno di attivita' parlamentari  ove  sussista  una
sostanziale corrispondenza di significato con opinioni gia' espresse,
o contestualmente espresse, nell'esercizio di  funzioni  parlamentari
tipiche.  Eppure,   in   altre   controversie   aventi   ad   oggetto
l'insindacabilita'   delle    opinioni    espresse    extra    moenia
nell'esercizio delle funzioni parlamentari, la difesa del  Senato  ha
sottolineato l'importanza di rifuggire da "una definizione stringente
del  concetto  di  nesso  funzionale,   preferendo   verificarne   la
ricorrenza  caso  per  caso",  "poiche'  e'   caratteristica   tipica
dell'attivita' di bilanciamento...l'intrinseca dinamicita', ovvero la
capacita' di adattare i termini della ponderazione alle modificazioni
sociali, culturali e politiche eventualmente  implicate".  La  difesa
del   Senato   ha   auspicato   un   "salto   interpretativo"   della
giurisprudenza costituzionale, volto a ritenere sussistente il  nesso
funzionale "in tutte le occasioni in cui il parlamentare raggiunga il
cittadino,  illustrando  la  propria  posizione".  Cio'  "alla   luce
dell'evoluzione che ha subito la figura del  politico-giornalista,  e
piu' in generale l'attivita'  politica  tout  court",  per  la  quale
l'attivita' di giornalista andrebbe stimata "come  parte  della  piu'
ampia attivita'... di politico ed espressione,  per  quanto  atipica,
del relativo ruolo istituzionale". In questo senso, deporrebbe  anche
l'art. 3 della  legge  20  giugno  2003,  n.  140  (Disposizioni  per
l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche'  in  materia  di
processi penali nei confronti delle alte cariche dello  Stato),  che,
nel dichiarare applicabile  l'art.  68  della  Costituzione  ad  ogni
attivita'  di   denuncia   politica   connessa   alla   funzione   di
parlamentare, avrebbe recepito l'esigenza  di  adeguare  la  garanzia
dell'insindacabilita'  "alle  nuove  caratteristiche  assunte   dallo
svolgimento di attivita' politica" (cfr. Corte costituzionale n.  151
del 2007) ed ha, quindi, concluso, che  "le  dichiarazioni  rese  dal
signor Iannuzzi debbano ritenersi insindacabili  ai  sensi  dell'art.
68,  primo  comma,  della  Costituzione"  in  quanto   "costituiscono
opinioni espresse da un membro del  Parlamento  nell'esercizio  delle
sue funzioni e ricadono pertanto nell'ipotesi  di  cui  all'art.  68,
primo comma, della Costituzione"». 
        che la  conclusione  adottata  appare  in  contrasto  con  la
costante giurisprudenza costituzionale: a titolo esemplificativo puo'
essere evidenziato quanto affermato nelle  sentenze  numeri  10  e 11
dell'11 gennaio 2000 citate nella relazione della Giunta (alle  quali
si sono richiamate, tra le altre, le successive sentenze n. 52 del 27
febbraio 2002; n. 207 del 20 maggio 2002; n. 294 del 19 giugno 2002): 
          «...  E'  pacifico  che  costituiscono  opinioni   espresse
nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori
della Camera e dei suoi vari organi, in occasione  dello  svolgimento
di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero
manifestate in atti, anche individuali,  costituenti  estrinsecazione
delle  facolta'   proprie   del   parlamentare   in   quanto   membro
dell'assemblea; 
          che l'attivita' politica  svolta  dal  parlamentare  al  di
fuori di questo ambito non puo' dirsi di per se'  esplicazione  della
funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce  l'art.  68,
primo comma, della Costituzione; 
          che nel normale svolgimento della vita  democratica  e  del
dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai
compiti e  dalle  attivita'  proprie  delle  assemblee  rappresentano
piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune  a  tutti  i
consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una
immunita' che la  Costituzione  ha  voluto,  in  deroga  al  generale
principio di legalita' e di giustiziabilita' dei  diritti,  riservare
alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni; 
          che la linea di confine  fra  la  tutela  dell'autonomia  e
della liberta' delle  Camere,  e,  a  tal  fine,  della  liberta'  di
espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela  dei  diritti  e
degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di  essere
lesi dall'espressione di opinioni, dall'altro lato, e' fissata  dalla
Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della
prerogativa.  Senza  questa   delimitazione,   l'applicazione   della
prerogativa  la  trasformerebbe  in  un  privilegio  personale  (cfr.
sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari  una
sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito  e  ai  limiti
della loro liberta' di manifestazione  del  pensiero:  con  possibili
distorsioni anche del  principio  di  eguaglianza  e  di  parita'  di
opportunita' fra cittadini nella dialettica politica; 
          che discende da quanto osservato che la semplice  comunanza
di argomento fra  la  dichiarazione  che  si  pretende  lesiva  e  le
opinioni espresse dal deputato o dal senatore  in  sede  parlamentare
non puo' bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunita' che
copre le seconde; 
          che tanto meno puo' bastare a tal fine la ricorrenza di  un
contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca.
Siffatto tipo di collegamenti non puo' valere di per se' a  conferire
carattere di attivita' parlamentare a manifestazioni di opinioni  che
siano  oggettivamente  ad  essa  estranee.  Sarebbe,   oltre   tutto,
contraddittorio da un lato negare - come e' inevitabile negare -  che
di  per  se'  l'espressione  di  opinioni  nelle  piu'  diverse  sedi
pubbliche  costituisca  esercizio   di   funzione   parlamentare,   e
dall'altro lato ammettere che essa invece acquisti tale  carattere  e
valore in forza di generici collegamenti contenutistici con attivita'
parlamentari svolte dallo stesso membro delle Camere; 
          che in questo senso va precisato il significato del  "nesso
funzionale"   che   deve    riscontrarsi,    per    poter    ritenere
l'insindacabilita', tra la dichiarazione e l'attivita'  parlamentare;
non come  semplice  collegamento  di  argomento  o  di  contesto  fra
attivita' parlamentare e  dichiarazione,  ma  come  identificabilita'
della   dichiarazione   stessa   quale   espressione   di   attivita'
parlamentare; 
          che  nel  caso  di  riproduzione  all'esterno  della   sede
parlamentare,    e'necessario,    per    ritenere    che     sussista
l'insindacabilita', che si  riscontri  la  identita'  sostanziale  di
contenuto fra l'opinione  espressa  in  sede  parlamentare  e  quella
manifestata nella sede esterna; 
          che cio' che si richiede, ovviamente, non e'  una  puntuale
coincidenza testuale, ma una sostanziale corrispondenza di contenuti; 
          che nei casi in  cui  non  e'  riscontrabile  esercizio  di
funzioni parlamentari, il  valore  della  legalita-giurisdizione  non
collide certo con quello  dell'autonomia  delle  Camere  e  cosi'  si
spiega che la giurisprudenza costituzionale abbia  appunto  stabilito
che  l'immunita'  non  vale  per  tutte  quelle  opinioni   che   "il
parlamentare manifesta nel piu' esteso ambito della politica"; 
          che alla luce di tale interpretazione si  debbono  pertanto
ritenere,  in  linea   di   principio,   sindacabili   tutte   quelle
dichiarazioni, che fuoriescono dal  campo  applicativo  del  "diritto
parlamentare"  e  che  non  siano  immediatamente   collegabili   con
specifiche forme di esercizio  di  funzioni  parlamentari,  anche  se
siano caratterizzate da un asserito "contesto politico"  o  ritenute,
per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in
cui sono state rese, manifestazione di sindacato ispettivo; 
          che questa forma di controllo politico rimessa  al  singolo
parlamentare puo' infatti  aver  rilievo,  nei  giudizi  in  oggetto,
soltanto se si esplica come funzione parlamentare, attraverso atti  e
procedure specificamente previsti dai  regolamenti  parlamentari;  se
dunque l'immunita' copre il membro del Parlamento  per  il  contenuto
delle  proprie  dichiarazioni  soltanto  se  concorre   il   contesto
funzionale, il problema specifico,  che  non  appare  irrilevante  in
questo  conflitto,  della  riproduzione  all'esterno   degli   organi
parlamentari di dichiarazioni gia' rese  nell'esercizio  di  funzioni
parlamentari si puo' risolvere nel senso  dell'insindacabilita'  solo
ove sia riscontrabile corrispondenza  sostanziale  di  contenuti  con
l'atto parlamentare, non essendo sufficiente a  questo  riguardo  una
mera comunanza di tematiche». 
        che il conforme orientamento della  Corte  costituzionale  e'
stato ribadito con la  sentenza  n.  120  del  16  aprile  2004;  nel
dichiarare infondate  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate con riferimento all'art. 3, comma 1, della legge 20  giugno
2003, n. 140, si e' affermato che: 
          «... Nonostante le  evoluzioni  subite,  nel  tempo,  nella
giurisprudenza di questa Corte, e' enucleabile un principio,  che  e'
possibile oggi individuare  come  limite  estremo  della  prerogativa
dell'insindacabilita',  e   con   cio'   stesso   delle   virtualita'
interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68: questa non puo'
mai trasformarsi  in  un  privilegio  personale,  quale  sarebbe  una
immunita' dalla giurisdizione conseguente  alla  mera  "qualita'"  di
parlamentare. Per  tale  ragione  l'itinerario  della  giurisprudenza
della Corte si e' sviluppato attorno  alla  nozione  del  cd.  "nesso
funzionale",  che  solo  consente  di  discernere  le  opinioni   del
parlamentare riconducibili alla libera manifestazione  del  pensiero,
garantita ad ogni cittadino nei limiti  generali  della  liberta'  di
espressione, da quelle  che  riguardano  l'esercizio  della  funzione
parlamentare. Certamente rientrano nella sfera  dell'insindacabilita'
tutte le opinioni manifestate con atti tipici nell'ambito dei  lavori
parlamentari, mentre per quanto attiene alle attivita' non  tipizzate
esse si debbono tuttavia considerare "coperte" dalla garanzia di  cui
all'art. 68, nei casi in cui si esplicano mediante strumenti, atti  e
procedure, anche "innominati", ma comunque rientranti  nel  campo  di
applicazione del diritto parlamentare, che il membro  del  Parlamento
e' in grado di porre in essere e di  utilizzare  proprio  solo  e  in
quanto riveste tale carica (cfr. sentenze n. 56 del 2000, n. 509  del
2002   e   n.   219   del   2003).   Cio'   che   rileva,   ai   fini
dell'insindacabilita', e' dunque il collegamento  necessario  con  le
"funzioni" del Parlamento, cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto
si iscrive, a prescindere dal suo contenuto  comunicativo,  che  puo'
essere il piu' vario, ma  che  in  ogni  caso  deve  essere  tale  da
rappresentare esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri
delle Camere, anche  se  attuato  in  forma  "innominata"  sul  piano
regolamentare. Sotto questo profilo non c'e'  percio'  una  sorta  di
automatica  equivalenza  tra  l'atto  non  previsto  dai  regolamenti
parlamentari e l'atto estraneo alla funzione parlamentare,  giacche',
come gia' detto, deve essere accertato in concreto se esista un nesso
che permetta di identificare l'atto in questione come "espressione di
attivita' parlamentare" (cfr. sentenze n. 10 e n. 11 del 2000, n. 379
e n. 219 del 2003). E' in questa prospettiva  che  va  effettuato  lo
scrutinio della disposizione denunciata. Le attivita'  di  "ispezione
di divulgazione, di critica e di denuncia politica"  che  appunto  il
censurato art. 3,  comma  1,  riferisce  all'ambito  di  applicazione
dell'art. 68, primo comma, non rappresentano, di per se',  un'ipotesi
di  indebito  allargamento   della   garanzia   dell'insindacabilita'
apprestata dalla norma costituzionale, proprio perche' esse, anche se
non manifestate in atti "tipizzati",  debbono  comunque,  secondo  la
previsione   legislativa   e   in   conformita'   con   il    dettato
costituzionale, risultare in connessione con l'esercizio di  funzioni
parlamentari. E' appunto questo "nesso" il presidio delle prerogative
parlamentari e, insieme, del principio di eguaglianza e  dei  diritti
fondamentali dei terzi lesi. Occorre, altresi',  evidenziare  che  la
legge n. 140/2003 non ha natura di legge costituzionale e,  pertanto,
non e' idonea  a  stravolgere  i  limiti  delineati  dalla  Corte  in
relazione  all'applicabilita'  dell'art.  68,   primo   comma   della
Costituzione. Pertanto, si ritiene  che  anche  il  riferimento  alle
attivita' di "ispezione divulgazione, critica e  denuncia  politica",
espletate fuori  dal  Parlamento  che  devono  essere  connesse  alla
"funzione di parlamentare" non  possa  prescindere  dall'applicazione
dei criteri delineati dalla Corte costituzionale sopra richiamati. La
diversa  interpretazione,  diretta  a   ricomprendere   nella   sfera
dell'insindacabilita' qualsiasi attivita' politica posta in essere da
parlamentare al di fuori dal Parlamento, oltre che porsi in contrasto
con lo stesso art. 68 della Costituzione, determinerebbe,  di  fatto,
la  compromissione  dei  diritti  all'onore  ed   alla   reputazione,
anch'essi costituzionalmente tutelati.». 
        E ancora nella pronuncia n. 151 del  2007,  parimenti  citata
nel  corpo  della  relazione della  Giunta  trasmessa  all'Assemblea,
laddove si legge: 
          «al fine di verificare la sussistenza del cosiddetto "nesso
funzionale",   alla   quale    e'    subordinata    la    prerogativa
dell'insindacabilita'  prevista  dall'art.  68,  primo  comma,  della
Costituzione...  questa  Corte,  al  contrario,  ribadisce  la  piena
sindacabilita' di dichiarazioni che non costituiscono la  sostanziale
riproduzione delle specifiche opinioni manifestate  dal  parlamentare
nell'esercizio delle proprie attribuzioni e, quindi, il riflesso  del
peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore  apporta
alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i  propri  voti
(come tale  coperto,  a  garanzia  delle  prerogative  delle  Camere,
dall'insindacabilita'), ma che rappresentano una ulteriore e  diversa
articolazione di  siffatto  contributo,  elaborata  ed  offerta  alla
pubblica opinione  nell'esercizio  della  libera  manifestazione  del
pensiero assicurata a tutti dalla Costituzione (sentenze  n.  96  del
2007 e n. 260 del 2006). L'operativita'  di  tale  principio  non  e'
suscettibile di  essere  condizionata  in  relazione  alla  attivita'
giornalistica,   ove   i   limiti   costituzionalmente    ammissibili
all'esercizio del diritto di cronaca e del diritto di critica debbono
essere oggettivamente definiti e non possono invece  dipendere  dallo
status di colui che li esercita. Ne' possono essere tratti  argomenti
contrari,  dall'art.  3  della  legge  20   giugno   2003,   n.   110
(Disposizioni  per  l'attuazione  dell'art.  68  della   Costituzione
nonche' in materia  di  processi  penali  nei  confronti  delle  alte
cariche dello Stato), poiche' gia' con la sentenza n.  120  del  2004
questa Corte ha dichiarato non fondata la questione  di  legittimita'
costituzionale di tale norma, sollevata con riferimento agli artt. 3,
24, 68, primo comma, e 177 della Costituzione,  escludendo  che  essa
abbia ampliato  l'ambito  dell'immunita'  garantita  ai  parlamentari
dall'art. 68, primo comma, della Costituzione, quale risultava  dalla
propria giurisprudenza (si veda anche la sentenza n. 347 del 2004).». 
        che la deliberazione adottata  dal  Senato  della  Repubblica
nella  seduta  del  19  febbraio  2009  appare  in  contrasto  con  i
richiamati  canoni  interpretativi  atteso  che  non  contiene  alcun
elemento concreto  da  cui  poter  desumere  la  sussistenza  di  una
corrispondenza sostanziale tra i  contenuti  degli  articoli  oggetto
delle querele e le opinioni gia' espresse dal senatore  in  specifici
atti parlamentari, non essendo  sufficiente  una  mera  comunanza  di
tematiche  e  un  generico  riferimento  alla  rilevanza  dei   fatti
pubblici; 
        che  tale  correlazione  funzionale  -  nel  senso   rigoroso
indicato  dalla  Corte  costituzionale  -  non  puo'  certo  derivare
dall'interesse  costantemente  manifestato  dallo   Iannuzzi,   nello
svolgimento della sua attivita'  politica,  per  le  tematiche  della
politica giudiziaria in ambito di contrasto all'attivita' mafiosa; 
        che l'interpretazione  prospettata  dalla  decisione  di  cui
trattasi comporta, di fatto,  che  l'istituto  previsto  dalla  norma
costituzionale si trasformi da «esenzione di  responsabilita'  legata
alla funzione in privilegio personale» (cfr.  sent.  n.  11/00,  gia'
citata) con  la  conseguenza  che  le  opinioni  e  le  dichiarazioni
manifestate da un parlamentare sarebbero sempre e comunque  sottratte
alla verifica giurisdizionale; 
        che deve, pertanto, ritenersi che la condotta addebitabile al
senatore Iannuzzi, astrattamente idonea,  nella  sua  specificita'  e
gravita'  ad  integrare  un  illecito,  esula  dall'esercizio   delle
funzioni parlamentari e non presenta oggettivamente alcun legame  con
atti parlamentari neppure  nell'accezione  piu'  ampia  e  come  tale
dovrebbe  rientrare   nella   cognizione   riservata   al   sindacato
giurisdizionale; 
        che  le  opinioni  manifestate  dal  senatore  Iannuzzi   non
possono,  per  carenza   del   nesso   funzionale,   ritenersi   rese
nell'esercizio delle funzioni parlamentari e quindi per esse  non  e'
invocabile l'immunita', ai sensi  dell'art.  68,  primo  comma  della
Costituzione; 
        che, nel caso di specie,  appare  di  conseguenza  necessario
sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, conflitto
ammissibile sia  sotto  il  profilo  soggettivo  (questo  giudice  e'
l'organo  competente   a   decidere,   nell'ambito   delle   funzioni
giurisdizionali attribuite, sulla asserita illiceita' della  condotta
ascritta all'indagato e quindi «a dichiarare la volonta'  del  potere
cui appartiene, in posizione di piena  indipendenza  garantita  dalla
Costituzione»: cfr. fra le altre, ordinanze Corte  cost.  n.  60  del
1999; nn. 469, 407, 261, 254 del 1998), sia sotto  quello  oggettivo,
trattandosi della  sussistenza  dei  presupposti  per  l'applicazione
dell'art. 68, primo comma della Costituzione e  della  lesione  della
propria sfera  di  attribuzioni  giurisdizionali,  costituzionalmente
garantita,  giacche'  illegittimamente  menomata   dalla   suindicata
deliberazione del Senato della Repubblica. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 134 Cost. e 37 legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dispone la sospensione del giudizio in corso a carico di Iannuzzi
Raffaele  e  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, sollevando conflitto di attribuzioni tra poteri dello
Stato e chiede che la Corte: 
        dichiari ammissibile il presente  conflitto,  adottando  ogni
conseguente provvedimento ai sensi degli artt.  37  e  ss.  legge  n.
87/1953 ed ogni altra norma applicabile; 
        dichiari che non  spettava  al  Senato  della  Repubblica  la
valutazione  della  condotta  addebitabile   al   senatore   Iannuzzi
Raffaele, in quanto estranea alla  previsione  di  cui  all'art.  68,
primo comma, Cost.; 
        annulli la relativa delibera del Senato della  Repubblica  in
data 19 febbraio 2009 (delibera IV-ter, n. 6). 
    Manda alla cancelleria per quanto di competenza. 
    Cosi' deciso in Milano, addi' 7 aprile 2009 
 
                         Il giudice: Pendino 
 
Avvertenza 
    L'ammissibilita' del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza n. 288/2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, lª s.s.,
n. 45 dell'11 novembre 2009.