N. 312 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 ottobre 2009

Ordinanza del 16 ottobre 2009 emessa dal Giudice di pace di Cuneo nel
procedimento penale a carico di Kouchouri Mohammed. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione  della  fattispecie  come  reato  -  Disciplina  -
  Violazione  del  principio  di  ragionevolezza  -   Disparita'   di
  trattamento rispetto all'analoga ipotesi di reato di  cui  all'art.
  14, comma 5-ter, del d.lgs.  n.  286  del  1998  -  Violazione  del
  principio di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione,  a
  fronte della prevista applicazione da parte  del  giudice  di  pace
  dell'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva (art.  62-bis  del
  d.lgs. n. 274 del 2000) - Lesione del diritto di difesa,  a  fronte
  della   previsione   che   il   giudice,   acquisita   la   notizia
  dell'esecuzione o del respingimento ai sensi dell'art. 10, comma 2,
  del d.lgs. n. 286 del  1998,  pronunci  sentenza  di  non  luogo  a
  procedere - Violazione del principio di non colpevolezza sino  alla
  condanna definitiva. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.  10-bis,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94;
  decreto legislativo 28 agosto 2000, n.  274,  art.  16-bis  (recte:
  art. 62-bis), aggiunto dall'art. 1, comma 17, lett. a), della legge
  15 luglio 2009, n. 94, 
- Costituzione, artt. 3, 24, 27, secondo comma, e 97. 
(GU n.1 del 7-1-2010 )
 
                         IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nel procedimento penale con n. di R.G. g.d.p. 113/09 e con n.  di
r.g.n.r. 406/09. 
      
    A) La questione e' rilevante, atteso che il presente procedimento
penale e' stato radicato in quanto e' stato richiesto dichiararsi  la
penale responsabilita'  dell'imputato  per  la  violazione  dell'art.
10-bis del d.lgs. n. 286/1998 (introdotto con la legge  n.  94/2009),
per la quale disposizione di legge si ritiene di sollevare  d'ufficio
la questione di costituzionalita':  ne  consegue,  infatti,  che  una
eventuale pronunzia di incostituzionalita' della norma  comporterebbe
l'assoluzione del prevenuto. Il giudizio  non  puo'  pertanto  essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    B) Si ritiene sussistere la non  manifesta  infondatezza  per  le
ragioni che seguono. Se e' pur vero,  infatti,  che  in  altri  Paesi
membri dell'UE e' prevista una fattispecie di reato in  qualche  modo
paragonabile a quella di cui all'art. 10-bis T.U. immigrazione,  deve
tuttavia rilevarsi che negli ordinamenti interni di tali Paesi vigono
per l'ingresso norme differenti da quelle in vigore in  Italia,  ove,
invece,  sarebbe  del  tutto  avulso  dalla  realta'  negare  che  la
maggioranza  delle  domande  di  inserimento   nei   flussi   vengano
presentate non dal proprio paese d'origine, bensi' da irregolari  che
gia'  lavorano  in   nero   nel   territorio   nazionale.   E   cio',
indubbiamente, con serie perplessita' per quanto attiene l'attuazione
in concreto del  principio  generale  di  cui  all'art.  2  Cost.,  e
comunque con un danno all'immagine  di  legalita'  che  questo  Paese
offre in concreto ai molti stranieri che, in  un  futuro  non  troppo
lontano, aspirano a diventare cittadini italiani. 
    1) Per quanto attiene un primo profilo di contrasto con la nostra
Carta dei diritti, si ritiene  opportuno  richiamare  pedissequamente
alcuni passi tratti dalla richiesta  di  remissione  della  questione
alla Corte costituzionale, da parte della Procura  della  Repubblica,
in una  sede  di  Tribunale  di  questo  stesso  distretto  di  Corte
d'appello, in quanto si condividono  i  motivi  di  seguito  esposti.
«Tale norma appare anzitutto in contrasto con l'art. 3  Cost.,  sotto
il  profilo  dell'irragionevolezza  della   scelta   legislativa   di
criminalizzare l'ingresso e la  permanenza  clandestini  nello  Stato
italiano; infatti, pur riconoscendo che  compete  al  legislatore  un
generale  potere  "di  regolare  la  materia  dell'immigrazione,   in
correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai
gravi problemi connessi a flussi  migratori  incontrollati''  (v.  C.
cost.  sent.  n.  5/2004),  facendo   buon   uso   della   sfera   di
discrezionalita' sua propria, l'azione di tale organo  costituzionale
trova limiti insuperabili nell'osservanza dei  principi  fondamentali
del sistema penale stabiliti dalla Costituzione  e  nell'adozione  di
soluzioni orientate a canoni  di  ragionevolezza  e  di  razionalita'
finalistica; la irragionevolezza della nuova fattispecie criminosa e'
chiaramente evidenziata dalla carenza di  un  pur  minimo  fondamento
giustificativo:  la   penalizzazione   di   una   condotta   dovrebbe
intervenire, come extrema ratio, in tutti  i  casi  in  cui  non  sia
possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento  dello
scopo.  Ora,   l'obiettivo   perseguita   dalla   nuova   fattispecie
incriminatrice  e'  costituito  dall'allontanamento  dello  straniero
irregolare dal territorio dello Stato. Esso e' chiaramente desumibile
dalle    svariate    previsioni,    accessorie    alla    fattispecie
incriminatrice,  aventi  ad  oggetto   proprio   l'espulsione   dello
straniero:  tale  misura  e',   infatti,   prevista   come   sanzione
sostitutiva irrogabile» dopo l'introduzione della  legge  n.  94/2009
«dal giudice di  pace  ai  sensi  dell'art.  16  d.lgs  n.  286/1998,
appositamente modificato per  comprendervi,  tra  i  presupposti,  la
sentenza di condanna per  il  reato  di  cui  all'art.  10-bis  (cosi
alterando, anche con l'espressa  introduzione  dell'art.  62-bis)  il
sistema  sanzionatorio  disegnato  dal   d.lgs   n.   274/7000,   che
prescriveva, all'art. 62, dopo la descrizione delle sanzioni  tipiche
di cui agli artt. 52 e ss., l'espresso divieto di applicazione  delle
altre misure  sostitutive  di  pene  detentive  brevi);  inoltre,  la
effettiva  espulsione   dello   straniero   in   via   amministrativa
costituisce causa di non procedibilita' dell'azione  penale,  il  che
rende  plasticamente  evidente   quale   sia   l'interesse   primario
perseguito dal legislatore; infine, non e' richiesto alcun nulla osta
dell'Autorita' giudiziaria per l'esecuzione  dell'espulsione  in  via
amministrativa, al chiaro scopo di non creare intralci alla  predetta
operazione. Orbene,  l'evidente  finalita'  della  nuova  fattispecie
incriminatrice,  strumentale   all'allontanamento   dello   straniero
irregolare dal  territorio  dello  Stato,  ne  sottolinea  l'assoluta
inutilita' e, dunque,  la  mancanza  di  una  ratio  giustificatrice,
perche' lo stesso obiettivo  era  perfettamente  raggiungibile  prima
dell'introduzione della nuova figura di  reato,  mediante  l'adozione
dell'espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art. 13,
comma 4, d.lgs n. 286/1998. Ne' la nuova norma modifica in alcun modo
i presupposti necessari per l'espulsione,  perche'  anche  la  misura
sostitutiva eventualmente disposta dal giudice  di  pace,  eseguibile
con le modalita' di cui all'art. 13, comma 4,  puo'  essere  adottata
soltanto quando non ricorrano la cause  ostative  indicate  nell'art.
14,  comma  1,  e  le  difficolta'  di  carattere  amministrativo  ed
organizzativo che fino ad oggi hanno ostacolato la piena applicazione
dell'espulsione  manu  militari   non   verranno   certo   meno   con
l'introduzione della nuova,  figura  di  reato.  Dunque  l'ambito  di
applicazione  della  nuova  fattispecie  coincide  perfettamente  con
quello della preesistente misura amministrativa dell'espulsione,  sia
sotto il  profilo  dei  soggetti  destinatari  (stranieri  entrati  o
trattenuti irregolarmente nel  territorio  dello  Stato),  sia  sotto
quello della ratio giustificativa. Il che significa  che  c'era  gia'
nell'ordinamento  italiano   uno   strumento   ritenuto   idoneo   al
raggiungimento dello scopo (tanto che esso non e'  stato  oggetto  di
alcuna modifica normativa) e l'adozione dello strumento penale  resta
priva di ogni giustificazione» (cosi'  la  Procura  della  Repubblica
presso il Tribunale di Torino, con istanza del 15 settembre 2009 resa
pubblica tramite i mezzi di informazione). 
    2) L'art. 3 Cost. apparirebbe altresi' violato, sempre secondo la
Procura  della  Repubblica  di  Torino,  «sotto  un  altro  specifico
profilo, concernente la irragionevole disparita' di  trattamento  tra
la nuova fattispecie e quella di cui all'art. 14, comma  5-ter  d.lgs
n.   286/1998,   che   prevede   la   punibilita'   dello   straniero
inottemperante all'ordine di allontanamento del Questore solo  quando
lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato  oltre  il  termine
stabilito e "senza giustificato motivo''. Due condizioni che,  si  fa
notare, non si rinvengono nella nuova fattispecie astratta, cosicche'
sarebbe sufficiente, per es., il venir meno, per un  qualche  motivo,
del   permesso   di   soggiorno   perche'   sia   immediatamente    e
automaticamente integrata  una  ipotesi  di  trattenimento  illecito,
senza alcuna possibilita' per l'interessato, di addurre  una  qualche
giustificazione  o  di  usufruire   di   un   termine   per   potersi
allontanare». Se tali ultimi inconvenienti potrebbero essere superati
attraverso una  interpretazione  costituzionalmente  orientata  della
nuova fattispecie di reato, tuttavia questo remittente  osserva  che,
non  essendo  possibili  ne'   la   concessione   della   sospensione
condizionale (che nel  caso  di  specie  e'  stata  proprio  concessa
all'imputato proprio all'esito dell'unico altro  procedimento  penale
cui e'  mai  stato  sottoposto  in  Italia,  per  violazione  appunto
dell'art. 14, comma 5-ter T.U. Immigrazione),  ne'  la  riduzione  di
pena conseguente all'adozione di un rito alternativo  (vietate  dagli
artt. 2 e 60, d.lgs n.  274/2000),  ne',  si  rammenti,  l'oblazione,
espressamente  vietata  dalla  norma   qui   sottoposta   al   vaglio
dell'ecc.mo Giudice delle leggi, permane in modo  piuttosto  evidente
una disparita' di trattamento nelle due ipotesi  anche  nel  concreto
dell'esito processuale; si condivide pertanto  la  considerazione  di
una «irrazionale e ingiustificata disparita' di  trattamento  tra  le
due  fattispecie  criminose,  entrambe  tese  a  colpire  la   stessa
situazione  soggettiva  (lo   straniero   ab   origine   o   divenuto
clandestino)». Si condivide inoltre la constatazione che  «le  stesse
siano irrimediabilmente contrastanti tra loro, sia sul  piano  logico
che  su  quello  pragmatico:  tutti  i  presupposti   richiesti   per
l'emanazione del provvedimento del questore (decreto  prefettizio  di
espulsione, impossibilita' di dare esecuzione all'espulsione coattiva
impossibilita' di trattenere lo straniero negli  appositi  Centri  di
permanenza o inutile decorso del termine  massimo  di  permanenza  in
tali strutture), infatti, in tanto avevano  ragione  di  esistere  in
quanto  non  era  previsto  un  reato  di  immigrazione  o  soggiorno
clandestini e la sanzione penale era correlata alla  sola  violazione
dell'ordine questorile di allontanamento. Ora che e' stata introdotta
la nuova figura dell'ingresso e del soggiorno illegale, a prescindere
dall'esistenza   di   giustificati   motivi,   lo   straniero   viene
immediatamente  sanzionato  senza  il  ricorso  di  alcuno  di   quei
presupposti richiesti per l'integrazione del reato  di  cui  all'art.
14, comma 5-ter». Si condivide infine la considerazione per la  quale
potrebbe con una certa facilita' ipotizzarsi «il caso di un soggetto,
gia' condannato per il reato di ingresso o trattenimento  clandestino
che, non espulso manu militari, ma intimato di lasciare il territorio
dello Stato, possa ivi legittimamente trattenersi perche' sorretto da
un "giustificato motivo'' con un  evidente  ed  insanabile  contrasto
nella posizione di uno Stato che, da un lato,  punisce  lo  straniero
non solo ab origine, ma anche divenuto clandestino e, dall'altro,  lo
autorizza a trattenersi perche' munito di un giustificato motivo». Si
richiama, poi, «la sentenza della C cost. n. 5/2004, che  ha  salvato
la costituzionalita' dell'art. 14, comma  5-ter,  d.lgs  n.  286/1998
proprio grazie ad una  interpretazione  costituzionalmente  orientata
della clausola "senza giustificato motivo'', considerata, al pari  di
altre  simili   rinvenibili   nell'ordinamento,   una   "valvola   di
sicurezza'' del  meccanismo  repressivo,  atta  ad  evitare  "che  la
sanzione penale scatti allorche' - anche al di fuori  della  presenza
di vere  e  proprie  cause  di  giustificazione  -  l'osservanza  del
precetto appaia  concretamente  inesigibile''  per  i  piu'  svariati
motivi,  ma  comunque  riconducibili  "a   situazioni   ostative   di
particolare  pregnanza  che  incidano  sulla   stessa   possibilita',
soggettiva od oggettiva, di adempiere  all'intimazione,  escludendola
ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa'', come le situazioni  di
cui all'art. 14, comma 1, la  "condizione  di  assoluta  impossidenza
dello straniero'', il "mancato rilascio, da  parte  della  competente
autorita' diplomatica o  consolare,  dei  documenti  necessari,  pure
sollecitamente e diligentemente richiesti''». Dunque  la  fattispecie
astratta di cui all'art. 10-bis d.lgs n. 286/1998 non appare conforme
alla Costituzione, in  quanto  punisce  indiscriminatamente  tutti  i
soggetti irregolarmente presenti nel territorio  dello  Stato,  senza
tenere conto dell'eventuale esistenza di situazioni legittimanti tale
presenza, differentemente dall'altra ipotesi di reato di cui sopra. 
    3) Altri hanno gia' sollevato la questione  di  costituzionalita'
della norma in  questione,  anche  sotto  un  altro  aspetto  di  non
manifesta infondatezza, e cioe' per quanto attiene l'art.  97,  primo
comma della Costituzione.  Se  ne  condividono  le  ragioni,  con  le
considerazioni  ulteriori,  tuttavia,  che  seguono.  L'art.   16-bis
introdotto nel d.lgs. n. 274/2000, prevede che il  g.d.p.,  nei  casi
stabiliti  dalla  legge,  applichi  la  misura  sostitutiva  prevista
dall'art.16 del d.lgs. n. 286/1998, ossia l'espulsione  a  titolo  di
sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione.  Tralasciando  la
considerazione incidentale che il  g.d.p.  non  puo'  comminare  pene
detentive, deve rilevarsi che e'  stata  data  ampia  diffusione,  su
tutti gli organi di informazione, da parte dei promotori della legge,
al chiarimento che, di fatto, tale disposizione e' la chiave di volta
di tutto  il  nuovo  sistema  sanzionatorio,  atteso  che  lo  scopo,
conclamato,  si   ribadisce,   con   ampio   risalto,   della   norma
incriminatrice in questione, e' con evidenza quello  di  espellere  i
clandestini. Ma, come gia' accennato ai capi precedenti, l'espulsione
amministrativa dei clandestini era gia' statuita  dall'art.  13,  del
d.lgs. n. 286/1998, con la conseguenza che di fronte ad una  condotta
penalmente accertata di clandestinita', si  devono  oggi  aprire  due
distinti procedimenti aventi ad oggetto l'espulsione  della  medesima
persona. Ne' puo' ritenersi che  la  nuova  norma  in  oggetto  abbia
carattere eccezionale e/o di favore, in quanto incrimina  gli  stessi
soggetti che gia' erano destinatari  dell'espulsione  amministrativa,
il che comporta la conseguenza logica che tale duplicazione e'  priva
di   giustificazione,   e   percio'   irragionevole.   Tale    palese
irragionevolezza si  riscontra  nel  caso  di  specie  in  quanto  le
situazioni  poste   a   confronto   (clandestinita'   che   determina
l'espulsione   amministrativa   e   clandestinita-reato   che    puo'
determinare  l'espulsione  ex  art.  16  T.U.  Imm.),   non   possono
considerarsi  in  alcun  modo  disomogenee.  A  tale  conclusione  si
perviene  considerando  che,  anche  a  prescindere  dall'omogeneita'
esistente in generale  tra  la  fattispecie  prevista  dall'art.  13,
d.lgs. n. 286/1998 e quella prevista dal combinato disposto in esame,
non si rinvengono in alcun modo elementi di differenziazione  proprio
per il richiamo espresso, fatto dalla norma incriminatrice in  esame,
alla  violazione  delle  disposizioni  del  d.lgs.  n.  286/1998.  Se
pertanto non vi e' dubbio che il  legislatore,  nell'esercizio  della
propria discrezionalita'  legislativa,  possa  disporre,  nell'ambito
dell'uguaglianza formale, trattamenti differenti per  i  cittadini  e
per gli stranieri, ossia trattamenti diversi per situazioni  concrete
diverse, tuttavia e' altrettanto incontestabile che la previsione  di
siffatto assetto normativo, e dei conseguenti oneri economici per  il
contribuente,  debba  essere  compatibile   con   il   principio   di
ragionevolezza e proporzionalita', e che  le  relative  modalita'  di
attuazione  debbano  essere  adeguate  allo  scopo   perseguito   dal
legislatore, che  evidentemente  e'  il  contrasto  dell'immigrazione
clandestina nel territorio nazionale. Se infatti nel  nostro  sistema
non mancano ipotesi di  misure  amministrative  dello  stesso  genere
applicate sia dalla PA che opi  dal  giudice  in  sede  penale  quale
sanzione amministrativa accessoria in caso di condanna, queste  hanno
comunque dei momenti di applicazione e  degli  scopi  differenti.  Si
pensi, ad esempio,  alla  sospensione  della  patente  in  seguito  a
contestazione  del  reato  di  cui  all'art.  186  C.d.S  (d.lgs.  n.
285/1992),  che  viene  irrogata  prima  in  via  amministrativa  dal
Prefetto in via interinale ed allo scopo  di  tutelare  la  sicurezza
sulla strada, e solo in un secondo (eventuale)  momento  dal  giudice
penale in caso di sentenza di condanna, all'interno  della  quale  la
seconda sospensione costituisce invece, una  sanzione  amministrativa
accessoria della pena. 
    4)  Ne'  puo'  valere  a  superare  le  considerazioni  del  capo
precedente,  infine,  ma  anzi  puo'   valere   a   rafforzare   tale
convincimento, la disposizione  di  cui  all'art.  10-bis,  comma  5,
d.lgs. n.  286/1998,  che  impone  la  declaratoria  di  non  doversi
procedere  qualora  l'espulsione   sia   gia'   stata   materialmente
effettuata (evidentemente  in  via  amministrativa).  La  previsione,
infatti, che alla  conclusione  del  procedimento  amministrativo  di
espulsione consegua  l'estinzione  del  procedimento  penale  non  fa
venire meno la sovrapposizione di cui al capo precedente, atteso  che
l'art. 10-bis, comma 5, risulta per lo meno in contrasto con il  piu'
elementare diritto di difesa ed in particolare con  l'art.  24  Cost:
risulta infatti per lo meno illogico, che sia statuito che il giudice
debba pronunziare sentenza di non doversi procedere, escludendo  ogni
altro esame, solamente in quanto e' gia' stata data  esecuzione  alla
misura dell'espulsione, quando l'imputato ben avrebbe  potuto  essere
portatore  dell'interesse  alla  prosecuzione  del  procedimento  per
vedere dichiarata giudizialmente la propria innocenza in sede  penale
per questioni, ad esempio, di merito. Di fatto, una pronunzia di tale
genere, si  risolverebbe  in  un  avallo  giurisdizionale  del  tutto
automatico  e   vincolato   da   parte   dell'autorita'   giudiziaria
dell'operato della PA, senza alcuna possibilita'  di  esame  (seppure
incidentale) della legittimita' del medesimo ai fini penali.  Il  che
confermerebbe, in concreto una discrezionalita'  legislativa  che  si
e', nel suo complesso, orientata ad un principio  di  presunzione  di
colpevolezza, in netto contrasto con l'art. 27, secondo  comma  della
Costituzione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23, legge n. 87/1953; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata  per  contrasto
con gli artt. 3, 24, 27 secondo comma e  97  Cost.  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis, d.lgs. n.  286/1998  in
combinato  disposto  con  l'art.  16-bis  del  d.lgs.  n.   274/2000,
introdotti entrambi dalla legge n. 94/2009; 
    Sospende ai sensi dell'art. 23, legge n. 87/1953 il processo,  ed
ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
    Dispone che l'ordinanza, di cui  e'  data  lettura  nel  pubblico
dibattimento, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri
e  comunicata  ai  Presidenti  della  Camera  e  del   Senato   della
Repubblica. 
        Cuneo, addi' 16 ottobre 2009 
 
                   Il giudice di pace: Franceschi