N. 327 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 settembre 2009
Ordinanza del 30 settembre 2009 emessa dal Tribunale di Taranto nel procedimento penale a carico di Iacca Mario. Processo penale - Giudizio direttissimo - Possibilita' per il giudice, constatata la non flagranza del reato, di restituire gli atti al pubblico ministero - Mancata previsione - Lesione del diritto di difesa dell'imputato - Violazione dei principi del giusto processo. - Codice di procedura penale, art. 449, comma 4. - Costituzione, artt. 24 e 111.(GU n.4 del 27-1-2010 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento innanzi numerato nei confronti di Iacca Mario, nato a Taranto il 4 ottobre 1985 detenuto per questa causa presso la casa circondariale di Taranto tratto a giudizio direttissimo in stato di detenzione; Sciogliendo la riserva di cui all'udienza del 23 settembre 2009 e ritenuto di dover sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 449, quarto comma c.p.p. nella parte in cui non consente al giudice del dibattimento, investito del giudizio direttissimo, di delibare la flagranza del reato, a seguito di arresto gia' convalidato, ai soli fini di valutare la legittima adozione del rito speciale; Rileva quanto segue: l'imputato e' stato tratto a giudizio direttissimo ai sensi dell'art. 449, quarto comma del c.p.p. - non gia' dell'art. 558 come indicato nella richiesta del p.m. - a seguito di arresto convalidato dal giudice per le indagini preliminari, ma a tal fine il tribunale, per quanto si argomentera', ritiene che la scelta del rito sia il frutto di una non corretta applicazione delle norme processuali che disciplinano il reato flagrante e, conseguentemente, la presentazione dell'arrestato dinanzi al giudice per essere giudicato col rito direttissimo, essendosi concretate nel caso di specie violazioni di diritti costituzionali ineludibili posti a garanzia dell'imputato, piu' specificamente il diritto della liberta' personale e di difesa (artt. 13 e 24 della Costituzione). A tale riguardo, occorre subito evidenziare i dati fattuali a monte della questione. Alle ore 23,15 del 10 settembre 2009 la centrale operativa del comando provinciale carabinieri di Taranto, ricevuta le segnalazione da parte della famiglia De Ponzio di un tentativo di rapina in danno di De Ponzio Salvatore, ordinava ad una pattuglia del NOR di portarsi in viale Liguria 57, abitazione dei predetti. Giunti sul posto i militari notavano al balcone del primo piano i genitori di costui e la stessa presunta vittima del delitto, i quali li invitavano ad entrare nel portone ove si trovava un giovane che, poco prima sostenevano aver tentato di rapinare il ragazzo. In effetti all'interno del portone rivenivano tale Iacca Mario, di anni 24 e, conseguentemente, invitavano i De Ponzio ad esporre i fatti che avevano determinato la richiesta di intervento. Dopo aver appreso oralmente quanto lamentato, alle ore 00,50 il De Ponzio Salvatore veniva assunto a sommarie informazioni presso il comando dei carabinieri esponendo che intorno alle ore 22,30, mentre camminava nella pubblica via, intento a rientrare in casa, era stato fermato da un giovane che, profferendo minacce gli aveva chiesto di dargli il proprio cellulare; l'individuo lo aveva poi seguito sino alla propria abitazione dove egli, salito in casa, aveva raccontato l'accaduto ai genitori, i quali avevano chiesto l'intervento dei militari che, interpellato il p.m. di turno, alle ore 23,25 traevano in arresto lo Iacca, peraltro sottoposto a perquisizione personale con esito negativo. Cosi' riassunte le emergenze del verbale di arresto, nessuno puo' dubitare che la denunziata tentata rapina sarebbe avvenuta in contesto spaziale e temporale del tutto estraneo alla diretta percezione dei carabinieri e, pertanto, non si comprende perche' fu effettuato l'arresto in flagranza di reato, rectius in quasi flagranza, atteso che lo Iacca non fu sorpreso con tracce del reato, e la sua mera presenza per interloquire con il denunziante e' dato che avrebbe dovuto costituire oggetto di indagini, esperibili - se del caso - dall'inquirente. All'esito dell'arresto, e previa conforme richiesta del p.m., il giudice per le indagini preliminari con modulo a stampa, e con evidente difetto di motivazione, ha convalidato l'arresto «poiche' eseguito in flagranza». Ha poi applicato allo Iacca la custodia in carcere. Cio' detto in fatto, il giudicante investito del giudizio direttissimo e privo di ogni supporto conoscitivo concernente le ragioni giuridiche della convalida dell'arresto, O s s e r v a La normativa processuale vigente concernente i procedimenti a carico di persone private della liberta' personale, in applicazione dei menzionati articoli della Carta costituzionale e' strutturata secondo il seguente, non contestabile paradigma processuale: il cittadino puo' essere tratto in arresto dall'autorita' di pubblica sicurezza soltanto nello stato di flagranza (art. 382 c.p.p.) «allorche' viene colto nell'atto di commettere il reato ovvero, se subito dopo il reato e' inseguito dalla polizia giudiziaria, ovvero e' sorpreso con cose e tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima». La nozione della flagranza e della quasi flagranza e' semplice e non ammette opinabili interpretazioni, atteso che in entrambi i casi il presupposto della privazione della liberta' da parte del soggetto da parte della polizia fonda sul fatto che la commissione del reato sia caduta sotto la diretta percezione della polizia operante al di fuori dei casi di flagranza, e nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge, la polizia puo' operare il fermo di chi sia ritenuto autore del reato in entrambe le ipotesi, il pubblico ministero, dapprima, e poi il giudice per le indagini preliminari in sede di udienza di convalida dispongono la immediata liberazione del soggetto, ai sensi degli artt. 389 e 391 del c.p.p., se accertano che l'arresto o il fermo non sono stati legittimamente eseguiti l'ultima ipotesi di privazione della liberta' personale e' quella in cui l'autore del reato sia sottoposto a misura cautelare coercitiva adottata dal giudice che procede (gip nel corso delle indagini preliminari). La regolamentazione dell'iter processuale che segue, per i soggetti in stato di detenzione a seguito dei casi di privazione della liberta' innanzi evidenziati, in ossequio al diritto di difesa sancito dall'art.24 della Costituzione e dalle norme di rito attuative dello stesso consiste: per il fermato e colui che e' sottoposto a misura cautelare nello svolgimento di indagini preliminari e dell'avviso di conclusioni delle stesse, all'esito delle quali, a seconda della tipologia dei reati, la responsabilita' dell'imputato va sottoposta anche al vaglio del giudice dell'udienza preliminare; soltanto l'accertamento flagrante del fatto reato, vale a dire di una situazione fattuale non opinabile ne' controvertibile, priva l'imputato della fase delle indagini preliminari, consentendo che lo stesso sia tratto a giudizio con le forme del rito direttissimo che, in diretta correlazione con la certezza dell'accertamento del fatto, costituisce procedura dibattimentale agile e di rapida definizione. Peraltro, il rito direttissimo con imputati in stato di detenzione e' disciplinato dal codice con duplice fattispecie processuale, entrambe previste dall'art. 449: quella in cui la convalida e' demandata allo stesso giudice del dibattimento e quella, come nel caso di specie, prevista dal quarto comma in cui, allorche' il giudice per le indagini preliminari ha convalidato l'arresto, il pubblico ministero presenta l'imputato al giudice perche' proceda a giudizio direttissimo. Cosi' riassunta la normativa processuale che interessa il presente procedimento va rilevata una evidente anomalia insita nella disciplina dell'art. 439 laddove, mentre se il giudice del dibattimento non convalida l'arresto in flagranza di reato restituisce gli atti al pubblico ministero perche', in ossequio allo schema processuale innanzi tratteggiato e nel rispetto e a tutela delle garanzie difensive dell'imputato, proceda con le forme ordinarie, quando l'arresto e' stato convalidato da altro giudice (G.i.p.) la dizione della norma parrebbe imporre la celebrazione, comunque, del giudizio direttissimo. Il che gia' di per se' appare una contraddizione logica non sostenibile perche' la norma viola i diritti della difesa nella parte in cui, se la flagranza e' inesistente, priva l'imputato del diritto di vedere accertata la propria responsabilita' con regolari indagini preliminari e, occorrendo, col vaglio dell'udienza preliminare che, quindi, gli sarebbe, arbitrariamente sottratta. Per altro verso la giurisdizione dibattimentale, per effetto di apparente e fallace rappresentazione della flagranza di reato, risulta incomprensibilmente espropriata della funzione di accertare con la rapidita', connaturata al rito direttissimo, fatti che, in realta', possono comportare defatiganti istruzioni dibattimentali. E' appena il caso di ribadire, al riguardo, che il rito direttissimo e' caratterizzato dalla rapida ed incontrovertibile delibazione dei fatti nella sede dibattimentale e la recente innovazione legislativa (cosiddetto decreto sicurezza d.l. 23 maggio 2008, n. 92), che ha reso obbligatoria tale forma di giudizio, con le ricadute che cio' comporta in termini di carico di lavoro, non pare possa relegare il tribunale a spettatore inerte di flagranze di reato inesistenti, soprattutto se non convenientemente motivate in sede di controllo da parte dei magistrati a cio' deputati. Ora, e' pur vero che il controllo rituale della convalida dell'arresto e' demandato alla Corte di Cassazione, ma il fatto che un arrestato non abbia esperito il relativo ricorso avverso l'ordinanza di convalida del suo arresto (per le piu' svariate motivazioni di scelte processuali) non equivale a dare allo stesso il suggello della sua legalita', a meno che non si vogliano rispolverare vetusti concetti alla stregua dei quali il provvedimento giurisdizionale facit de albo nigrum e simili. Orbene, le considerazioni innanzi svolte non vengono esposte dal giudicante per mera astrazione, in quanto l'esperienza storica della propria attivita' giurisdizionale in loco ha rilevato, con estrema frequenza, le anomale situazioni di fatto innanzi illustrate e in un caso, delibata la clamorosa inesistenza della flagranza di reato gia' oggetto di intervenuta convalida, gli atti sono stati restituiti all'ufficio del pubblico ministero perche' procedesse con il rito ordinario, motivando che la dizione dell'art. 449, quarto comma c.p.p. «allorche' l'arresto in flagranza di reato sia stato gia' convalidato» consiste in una endiadi che costituisce un presupposto complesso della fattispecie oggetto della valutazione per l'esperibilita' del rito, non riferita al mero dato formale di una intervenuta convalida, ma estesa anche al presupposto fondamentale della esistenza di una flagranza di reato. Purtuttavia, la conseguente impugnazione (da parte dell'organo inquirente) ha fatto statuire ad una sezione della Suprema Corte che «la dizione letterale della norma impone, comunque, la celebrazione del rito direttissimo». Sicche', alla luce di cio' e attesa ogni considerazione innanzi svolta che possa coinvolgere la inequivoca compromissione del diritto di difesa dell'imputato e la celebrazione di un processo «equo», non resta giudicante che dubitare della legittimita' costituzionale della norma processuale in questione, nella parte in cui non consente al giudice di dibattimento di sindacare incidenter tantum la convalida gia' effettuata dal G.i.p., al solo fine stabilire se il giudizio direttissimo sia da ritenere ritualmente e correttamente instaurato e debba, ciononostante, essere celebrato. Cio' detto in ordine alla non manifesta infondatezza della questione che si solleva d'ufficio, occorre valutare se la soluzione del quesito da parte della Corte costituzionale sia ammissibile, vale a dire se risponda all'ulteriore requisito della indispensabilita' con la definizione del giudizio in corso. Recita, infatti, il comma secondo dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 che la questione di legittimita' costituzionale di una norma di legge va demandata alla delibazione della Corte «qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione». Ebbene, a tale ulteriore quesito il giudicante ritiene di dover dare risposta affermativa in quanto, a fronte di una sostanziale lesione del diritto di difesa patita dall'imputato, perche' dovendosi procedere con le forme del rito ordinario, egli e' stato privato della fase delle indagini preliminari, sede naturale per l'esperimento della propria difesa, culminante nell'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p., non e' possibile dichiarare la nullita' della citazione per direttissima, blindata da una formale intervenuta convalida, ancorche' non motivata, dell'arresto in flagranza di reato. Quindi, secondo l'orientamento della Corte di legittimita', il giudizio deve proseguire, nonostante il tribunale ravvisi tale vulnus difensivo. Ne deriva, da cio', una fase di stallo decisionale per il tribunale, inibito alla celebrazione del giudizio nel rispetto delle norme processuali innanzi richiamate e, pertanto, la soluzione dell'eccezione prospettata si appalesa come indispensabile per la definizione del giudizio nell'alveo anche del «giusto processo» imposto dall'art. 111 della Costituzione.
P. Q. M. Letto e applicato l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 449, quarto comma del codice di procedura penale, per violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice investito del giudizio direttissimo, constatata la non flagranza del reato, possa restituire gli atti al pubblico ministero. Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria alle parti (p.m., imputato e difensore), al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato. Manda alla cancelleria per la trasmissione dell'ordinanza alla Corte, corredata di copia degli atti processuali e della prova della notificazione e delle comunicazioni anzidette. Taranto, addi' 30 settembre 2009 Il giudice: La Marca