N. 331 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 ottobre 2009

Ordinanza del 16 novembre 2009 emessa dalla Corte dei  conti  -  Sez.
giurisdizionale  per  la   Regione   Umbria   -   nel   giudizio   di
responsabilita' promosso dal Procuratore  regionale  presso  la  Sez.
giurisdizionale della Regione Umbria  contro  Bartolini  Gervasio  ed
altri. 
 
Responsabilita' amministrativa e contabile  -  Esercizio  dell'azione
  per danno all'immagine da parte della Procura della Corte dei conti
  limitato ai casi e modi previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001
  (rilevanza  penale   dell'illecito   amministrativo)   -   Prevista
  sospensione del termine di prescrizione fino alla  conclusione  del
  procedimento  penale  -  Prevista  nullita'   di   qualunque   atto
  istruttorio o processuale posto  in  essere,  in  violazione  delle
  predette disposizioni, subordinata all'azione di chiunque vi  abbia
  interesse - Lesione del principio di uguaglianza,  del  diritto  di
  azione e  del  principio  del  giusto  processo  -  Violazione  dei
  principi di copertura finanziaria, di buon andamento della pubblica
  amministrazione e di riserva alla Corte dei conti  delle  questioni
  relative alla responsabilita' contabile ed amministrativa. 
- D.l. 1° luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30-ter,  inserito  dalla
  legge 3 agosto 2009, n. 102, modificato dall'art. 1, comma 1, lett.
  c), n. 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito,  con
  modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141. 
- Costituzione, artt. 3, 24, primo comma, 81, comma quarto, 97, primo
  comma, 103, comma secondo, e 111, primo comma. 
(GU n.4 del 27-1-2010 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
 
    Ha emanato la seguente ordinanza nel giudizio per responsabilita'
amministrativa patrimoniale iscritto al  n.  11304  del  registro  di
segreteria,  promosso  dalla  Procura  regionale  nei  confronti  dei
signori: 
    Gervasio Bartolini, nato il 16 aprile 1949  a  Montefranco  (TR),
residente a Terni, piazza Bruno Buozzi, 8; 
    Giorgio Adeodato Norcia, nato il 5 maggio  1953  a  Modica  (RG),
residente a Terni, strada del Tavernolo, 33; 
    Gianluca Podda, nato il 9 agosto  1964  a  Orvieto,  residente  a
Roma, via della Villa di Lucina, 72; 
    Riccardo Ragugini, nato  il  19  aprile  1944  a  Gualdo  Tadino,
residente a Stroncone, vocabolo S. Antirrio, 19/E; 
    Giorgio Galli, nato il 20 agosto  1944  a  Orvieto,  residente  a
Terni, via D. Scarlatti, 6; 
    tutti elettivamente domiciliati a Perugia, piazza Piccinino,  13,
presso lo studio legale  Scassellati  Sforzolini,  patrocinati  dagli
avvocati Folco Trabalza e Dorita Fratini; 
    Uditi, nella Camera di consiglio del giorno 27 ottobre  2009,  il
relatore  consigliere  Roberto  Leoni,  l'avvocato  Trabalza,  per  i
convenuti, ed il rappresentante del pubblico ministero nella  persona
del vice Procuratore generale consigliere Fernanda Fraioli. 
 
                            Premesso che 
 
    Con  atto  di  citazione  emesso  in  data  28   novembre   2008,
introduttivo del giudizio  iscritto  al  n.  11304  del  registro  di
segreteria di questa Sezione giurisdizionale  regionale,  la  Procura
regionale ha convenuto i nominati, nella qualita' di  presidente  (il
Bartolini), consigliere di amministrazione (il Norcia, il  Podda,  il
Ragugini) e  direttore  generale  (il  Galli)  dell'Azienda  speciale
Farmacie Municipalizzate di Terni (AsFM) per  sentirli  condannare  -
ciascuno  nella  misura  che   in   seguito   sara'   rispettivamente
specificata - al risarcimento del danno complessivo di  € 273.165,77,
causato  alle  finanze  aziendali  con  condotta  gravemente  colposa
nell'attivazione del Centro Salute  «Hera»  (delibera  del  consiglio
d'amministrazione n. 33 del 9  febbraio  2000),  previsto  nel  Piano
programma per gli anni 2000 e  2001,  «prima  della  richiesta  delle
prescritte autorizzazioni». 
    Piu' in particolare la Procura ha assunto che alcuni dei sanitari
hanno iniziato ad operare nel Centro prima che  l'Azienda  formulasse
richiesta e venissero,  conseguentemente,  rilasciate  le  prescritte
autorizzazioni da parte della Regione,  mentre  altri  hanno  operato
senza che l'autorizzazione fosse mai assentita. 
    La gestione aziendale ha evidenziato, negli  anni  2002  e  2003,
costi superiori ai ricavi:  per  € 19.670,77  generati  dal  rapporto
convenzionale; per € 100.600,00 per canoni di locazione dal  2000  al
2003; per € 112.895,00 per l'acquisto di attrezzature e  arredi  (nel
complesso: € 233.165,77). 
    La Procura ha assunto che il  pregiudizio  patrimoniale  sofferto
dall'AsFM sia derivato dalla malaccorta gestione aziendale da  parete
degli amministratori, i  quali  hanno  adottato  -  con  il  conforto
tecnico del direttore generale  -  uno  schema  convenzionale  con  i
medici che poi  avrebbero  dovuto  operare  nel  Centro  ai  fini  di
promuovere la salute  dei  cittadini,  diversificando,  le  attivita'
tradizionalmente di competenza aziendale. 
    In convenzione, le parti si .erano impegnate  a  provvedere,  per
quanto di rispettiva competenza, ad  acquisire  .ogni  autorizzazione
sanitaria necessaria all'esercizio dell'attivita'. In concreto, pero'
l'Azienda  ha  consentito  ai  sanitari  convenzionati   di   avviare
l'esercizio  delle  attivita'  senza  che  la  Regione   avesse   mai
rilasciato, l'autorizzazione, intervenuta solamente  dopo  moltissimo
tempo  (in  alcuni  casi,  mai)  e  limitatamente  a   talune   delle
specialita' che gli amministratori di AsFM avevano pianificato. 
    Dunque - posta la necessita'  di  acquisizione  della  preventiva
autorizzazione - talune  convenzioni  stipulate  con  specialisti  di
attivita' non autorizzate sono state revocate,per  impossibilita'  di
prosecuzione, cosi' da  far  emergere  lo  sbilanciamento  tra  costi
sostenuti e ricavi acquisiti sia nell'anno 2002 che  nell'anno  2003,
nella misura gia' innanzi indicata. 
    Oltre a questa perdita, l'AsFM ha anche dovuto sostenere -  nella
tesi  attrice  -  costi  improduttivi  per  affitti  ed  acquisto  di
attrezzature, da imputare a danno dei convenuti, i quali avrebbero  -
sempre nella tesi della Procura - determinato all'Azienda della quale
erano, rispettivamente, presidente, consiglieri  d'amministrazione  e
direttore generale, un danno patrimoniale di  pari  misura,  nonche',
per la diffusione mediatica assunta dalla  vicenda,  anche  un  danno
d'immagine stimato in 40 mila euro. 
    All'esito dell'udienza pubblica del 5 maggio 2009 questa  Sezione
ha emesso un'ordinanza  istruttoria  che  e'  stata  riscontrata  dai
convenuti con deposito di note  illustrative  e  l'allegazione  della
convenzione stipulata tra l'ASL 4  dell'Umbria  e  il  Centro  salute
dell'AsFM, dalla quale si  caverebbe  l'insussistenza  del  lamentato
danno. Inoltre, hanno formulata, ai sensi dell'art. 17, comma 30-ter,
del  decreto-legge  1°  luglio   2009,   n.   78,   convertito,   con
modificazioni, nella legge 3 agosto 2009,  n.  102,  come  modificato
dall'art. 1, comma 3,  del  decreto-legge  3  agosto  2009,  n.  103,
convertito, con modificazioni; nella legge 3 ottobre  2009,  n.  141,
eccezione incidentale di  nullita'  sia  dell'istruttoria  che  della
domanda processuale di risarcimento di danno all'immagine. 
    La  Procura,  da  parte  sua,  ha  depositata  la  documentazione
indicata  in  ordinanza,  nonche'  controdeduzioni   alle   eccezioni
incidentali  proposte   dai   convenuti,   chiedendo   la   reiezione
dell'eccezione di nullita' degli atti istruttori,  per  insussistenza
dei presupposti, nonche' esprimendo motivati  dubbi  di  legittimita'
costituzionale delle sopravvenuti disposizioni limitative dell'azione
di risarcimento del danno all'immagine ed ha chiesto  alla  Corte  di
sollevare questione dinanzi alla Consulta, perche' i periodi  secondo
e terzo del menzionato articolo 17, comma  30-ter,  violerebbero  gli
articoli 2, 3, 24, primo comma, 97, 113, commi primo e secondo Cost. 
    All'odierna Camera di consiglio, fissata per la discussione delle
suddette eccezioni incidentali, l'avvocato Trabalza, per i convenuti,
ha illustrato dapprima l'eccezione di nullita' degli atti istruttori,
insistendo nuovamente sul carattere anonimo  della  denunzia  che  ha
dato origine a tali atti e sulla sua  conseguente  inutilizzabilita',
similmente a quanto previsto dalle norme  sul  processo  penale,  per
l'incertezza che la  caratterizza  e  in  ossequio  a  un  elementare
principio  di  civilta'  giuridica.  La   denunzia,   peraltro,   non
conterrebbe alcuna ipotesi di danno. Quanto, poi,  ai  «numerosissimi
articoli di stampa» ai quali e' fatto riferimento in citazione  quali
fonti di conoscenza dell'asserito danno, essi pertengono - invece - a
tutt'altra vicenda e non recano alcun elemento dal  quale  l'indagine
poteva essere avviata dalla Procura regionale. 
    In ordine, poi, all'eccezione di nullita' della domanda  relativa
al danno all'immagine, lo stesso avvocato ha sottolineato la  carenza
di alcun interesse, da parte dei suoi patrocinati, alla  proposizione
di  alcuna  eccezione  di  legittimita'  costituzionale   nel   senso
prospettato dall'attrice e per evitare un significativo prolungamento
dei tempi necessari per giungere alla definizione della controversia,
in violazione del principio della ragionevole durata del processo.  I
dubbi di costituzionalita' prospettati nella  memoria  della  Procura
sarebbero, peraltro, infondati, come si e'  riservato  di  dimostrare
ove il Collegio gli conceda un termine per dedurre sul punto. 
    La rappresentante  del  pubblico  ministero,  da  parte  sua,  ha
evidenziato che la denunzia pervenuta alla Procura il 4 gennaio 2005,
non fosse anonima, bensi' sottoscritta da due persone,  che  solo  in
prosieguo di tempo s'e' potuto stabilire che  nascondessero  nomi  di
fantasia. Inoltre, all'epoca dell'avvio dell'istruttoria non erano  -
evidentemente - vigenti  le  richiamate  disposizioni  limitative  in
materia di attivita' istruttoria, cosi' che  l'atto  pervenuto  aveva
tutte   le   caratteristiche   per    poter    stimolare    ulteriori
approfondimenti, anche per le chiare indicazioni fornite su possibili
ipotesi di danno erariale. Ha concluso, pertanto, confermando  quanto
nella memoria depositata per questa fase del giudizio. 
    Il Collegio, tenuto conto  delle  prospettazioni  delle  parti  -
ossia  quelle  della   Procura   circa   la   dubitata   legittimita'
costituzionale delle sopravvenute disposizioni in  tema  di  nullita'
della domanda processuale  di  risarcimento  del  danno  all'immagine
(secondo  e  terzo  periodo   dell'art.   17,   comma   30-ter,   del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall'art. 1, comma
3,  del  decreto-legge  3  agosto  2009,  n.  103,  convertito,   con
modificazioni, nella legge  3  ottobre  2009,  n.  141);  quelle  dei
convenuti  circa  l'esigenza  di  rispettare   il   principio   della
ragionevole durata del processo - all'esito  dell'odierna  Camera  di
consiglio - ha disposto: la separazione  delle  cause;  la  reiezione
dell'istanza incidentale di nullita'  degli  atti  del  procedimento,
sfociato nella citazione, rimettendo gli atti al  Presidente  per  il
proseguimento  del  giudizio  limitatamente  alla   voce   di   danno
patrimoniale; di dover dare seguito, con separata ordinanza,  per  la
voce di danno all'immagine, ai dubbi di  legittimita'  costituzionale
sollevati  dalla  Procura  nelle  controdeduzioni  depositate  il  21
ottobre 2009, per questa fase incidentale. 
 
                            Ritenuto che 
 
    1. - La riflessione sugli atti di causa, anche in  ragione  degli
argomenti della memoria. depositata dalla Procura, ha  insinuato  nel
Collegio dubbi di conformita' alla  Costituzione  della  disposizione
contenuta nei periodi secondo e terzo dell'art. 17, comma 30-ter, del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall'art. 1, comma
3,  del  decreto-legge  3  agosto  2009,  n.  103,  convertito,   con
modificazioni nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, in base alla quale; 
    «Le procure della Corte dei  conti  esercitano  l'azione  per  il
risarcimento del danno all'immagine nei soli  casi  e  modi  previsti
dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine,  il
decorso del termine di prescrizione di cui al  comma  2  dell'art.  1
della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla  conclusione
del procedimento penale». 
    Per un corretta introduzione della  tematica  occorre,  in  primo
luogo, definire correttamente l'oggetto  del  quale  si  controverte,
cioe' il danno, all'immagine della p.a. facendo  riferimento  -seppur
molto  sommariamente  -   alla   consolidata   linea   interpretativa
tracciata, innanzi tutto, dalla Corte di  cassazione,  in  una  ampia
giurisprudenza risalente di oltre dieci anni. 
    Dalle numerose sentenze e ordinanze nella materia, che le Sezioni
Unite hanno pronunciate con conclusioni costanti (21 marzo  1997,  n.
5668; 25 ottobre 1999, n. 744; 4 aprile  2000,  n.  98;  12  novembre
2003, n. 17078; 2 marzo 2006, n. 4582; 27 settembre 2006, n. 20886; 2
aprile 2007; n. 8098; 20  giugno  2007,  n.  14297),  emerge  che  la
Suprema Corte - in un'ottica generale  di  distinzione  di  due  sole
categorie di danno, patrimoniale in senso stretto e non patrimoniale,
rapportabili il primo alla  previsione  dell'art.  2043  c.c.  ed  il
secondo a  quella  dell'art.  2059  c.c.  -  ha  collocato  il  danno
all'immagine ed al prestigio della p.a.  nella  categoria  del  danno
patrimoniale,  quale  danno-evento  reso  concreto  dall'esigenza  di
sostenere la spesa derivata dalla lesione del  bene  giuridico  leso.
Con  la  precisazione  che  «esso   e'   dovuto   pure   in   assenza
dell'accertamento del reato, sempre che risultino accertate  condotte
gravemente trasgressive dei piu' elementari  doveri  di  fedelta'  di
ogni pubblico agente» (sent. n. 20866/2006 cit.).  Richiamando  cosi'
un indirizzo che proprio la Corte costituzionale aveva affermato,  in
materia di danno ambientale, nella sentenza  13  ottobre/30  dicembre
1987, n. 641 (ancora Cass., sent. n. 744/1999 cit.)  e  sottolineando
la «diversita'  ontologica»  del  danno  all'immagine  della  persona
giuridica (nel  caso:  pubblica)  rispetto  a  quello  arrecato  alla
persona fisica. 
    Le  affermazioni  della  Corte  di  cassazione  contenute   nella
giurisprudenza menzionata ed in quella elaborata  in  sede  contabile
risultano esaustivamente compendiate da una recente  pronuncia  della
Sezione III centrale della Corte dei conti, la  n.  141  in  data  18
marzo/9 aprile 2009, che ha  avuto  modo  di  ridelineare  pressoche'
tutti gli aspetti della costruzione giurisprudenziale  stratificatasi
nel tempo, affermando che il danno all'immagine: 
        e' danno  patrimoniale,  ancorche'  conseguente  all'avvenuta
lesione di beni immateriali quali sono  l'immagine  ed  il  prestigio
della p.a.; 
        si  fonda  sul  principio  di  immedesimazione  organica  tra
l'Amministrazione e  i  suoi  agenti,  attraverso  i  quali  essa  e'
identificata, «cosi' da ricondurre all'Amministrazione medesima tanto
gli sviluppi concreti dei valori di buon andamento ed  imparzialita',
intrinsecamente   connessi    all'agire    pubblico»,    quanto    «i
corrispondenti, opposti,  disvalori  legati  alle  forme  piu'  gravi
illecito  amministrativo-contabile,  con  evidente  discredito  delle
istituzioni pubbliche»; 
        investe «il diverso  e  piu'  ampio  rapporto  -  di  diritto
pubblico che lega la comunita' degli amministrati»,  complessivamente
intesa, «alle istituzioni per le  quali  il  dipendente  medesimo  ha
agito», incrinando nello Stato-Comunita' «quei naturali sentimenti di
affidamento e di "appartenenza" alle  istituzioni,  che  giustificala
stessa collocazione dello Stato-Apparato e degli altri-Enti» tra  «le
piu'  rilevanti  formazioni  sociali   nelle,quali   si   svolge   la
personalita'  dell'uomo»,  secondo  l'art.  2  della  Costituzione  e
imponendo un recupero della causata «diminuzione  patrimoniale»,  che
comporta un costo risarcibile alla danneggiata; 
        «interviene tra i medesimi "soggetti attivi e passivi" di  un
qualsivoglia altro tipo di danno  erariale,  ed  in  "violazione  dei
medesimi doveri funzionali" di servizio»; 
        non deriva solo «dalla violazione di doveri di servizio,  ben
potendo ipotizzarsi in astratto forme di lesioni che provengano anche
da estranei alla p.a. stessa, e quindi in regime  di  responsabilita'
extracontrattuale; ma ipotesi,  del  genere  non  riguardano,  quella
consistente parte delle lesioni che  proviene  da  personale  proprio
dell'Amministrazione e che comunque,  ai  fini  della  giurisdizione,
impegnano la Corte dei conti». 
    Quanto precede, dunque, integra un piu' che  ampio  complesso  di
elementi atti  a  delineare  l'istituto  giuridico  che  la  dubitata
disposizione ha inteso regolare. 
    2. - Ancora in termini generali il Collegio ritiene che,  proprio
dalla lettura della giurisprudenza menzionata, che ha  conformato  il
diritto vivente dell'istituto, si scorgano con piu'  che  sufficiente
chiarezza il fondamento costituzionale ed i principi sui  quali  essa
poggia. 
    A  questo  fine,  particolare  menzione  deve'essere  data   alle
previsioni dell'art. 54, secondo comma, che impone  ai  cittadini  ai
quali sono affidate funzioni pubbliche di adempierle  con  disciplina
ed onore; dell'art. 97, primo  comma,  che  impone  un'organizzazione
della pubblica amministrazione tale da assicurarne il buon  andamento
- canone che il diritto vivente ha  esplicato  «attribuendo  dignita'
normativa» ai criteri che, ne costituiscono il concreto contenuto (in
tale senso, con molta efficacia, il Consiglio di Stato, sez.  VI,  n.
847 del 2002)  e  l'imparzialita';  dell'art.  28,  che  sancisce  la
responsabilita' diretta dei funzionari e  dipendenti  dello  Stato  e
degli enti pubblici anche secondo le leggi «amministrative»  per  gli
atti compiuti in violazione di diritti; l'art.  103,  secondo  comma,
che affida alla Corte  dei  conti  la  giurisdizione  -  termine  che
include anche il dovere di perseguimento degl'illeciti produttivi  di
danno  erariale  da  parte  del  Procuratore  -  nelle   materie   di
contabilita'  pubblica,  eleggendolo  a  giudice  del  diritto  della
pubblica  amministrazione  ad   essere   risarcita   dei   pregiudizi
patrimoniali  sofferti  da  parte  di  soggetti  ad  essa  legati  da
rapporto' di servizio, in stretto collegamento con l'art.  24,  primo
comma, in tema di diritto - riconosciuto nei confronti  di  tutti  e,
dunque, della stessa «per la tutela dei propri  diritti  e  interessi
legittimi». 
    3. - Tanto premesso in termini generali il Collegio  osserva  che
nella fattispecie dedotta a giudizio, i  dubbi  di  costituzionalita'
dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n.  78,
convertito, con modificazioni, nella legge 3  agosto  2009,  n.  102,
come modificato dall'art. 1, comma  3,  del  decreto-legge  3  agosto
2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella  legge  3  ottobre
2009, n. 141, nei periodi secondo e terzo, affacciati  dalla  Procura
regionale e autonomamente rilevati dal Giudice, assumono rilevanza ai
fini della richiesta decisione, sulla base di almeno due ragioni: 
        la prima  costituita  dalla  natura  chiaramente  processuale
della disposizione dubitata, applicabile anche ai giudizi in corso  -
seppure nei limiti posti dallo  stesso  Legislatore  -  e,  pertanto,
anche a1 presente; 
        la seconda costituita dall'evidenza che  i  fatti  sui  quali
s'e' fondata la citazione  non  sono  interessati,  al  presente,  da
azione penale. 
    In sostanza - diversamente dalle fattispecie dedotte nei  giudizi
dinanzi alle altre Sezioni giurisdizionali  della  Corte  dei  conti,
nelle  quali  finora  la   sollevata,   questione   di   legittimita'
costituzionale delle disposizioni medesime riguarda ipotesi di  danno
all'immagine della p.a. conseguente  alla  commissione  di  reati  da
parte dei convenuti - la  vicenda  oggetto  del  giudizio  dinanzi  a
questa Sezione connette l'ipotesi danno all'immagine esclusivamente a
fatti per i quali non e' stata interessata, allo  stato  degli  atti,
l'Autorita' giudiziaria penale, limitandosi gli addebiti a contestare
un  fenomeno  di  incauta  e  illegittima   gestione   amministrativa
perpetrata nell'esercizio del munus publicum. 
    Percio',  in  base  ai  sopraggiunti  limiti  introdotti  con  la
disposizione  in  esame,  l'eccezione  di  nullita'   della   domanda
risarcitoria di danno all'immagine dovrebbe essere accolta. 
    Inoltre, tenuto  conto  dell'estraneita'  a  fatti  di  rilevanza
penale della fattispecie  ora  in  esame,  non  e'  qui  il  caso  di
addentrarsi anche su altri motivi  di  censura  della  norma  stessa,
ossia ai pur rilevantissimi profili attinenti alle ipotesi di rilievo
penale che; produttive anche di  danno  all'immagine,  si  concludano
nella sede giudiziaria con sentenze non di condanna. 
    4. - Quanto ora detto, oltre che  ad  affermare  sussistente  una
delle condizioni di promovibilita' del giudizio dinanzi alla Consulta
ai sensi dell'art. 23, comma secondo, della legge 11 marzo  1953,  n.
87, introduce ad una prima osservazione sulla natura e sul  contenuto
della disposizione dubitata di costituzionalita'. 
    Essa, pur  nell'evidente  incidenza  sul  processo,  finisce  per
assumere un valore sostanziale, poiche' pone non tanto un limite alla
legittimazione del pubblico ministero contabile, quanto piuttosto  un
limite alla stessa azione rivolta a perseguire  il  risarcimento  del
danno erariale causato dalla lesione dell'immagine  e  del  prestigio
della pubblica amministra che avvenga in conseguenza di  fenomeni  di
mala amministrazione privi di rilevanza penale  o  che  comunque  non
siano sfociati in una sentenza penale di condanna. 
    E'  comunque,  certo  che   la   formulazione   ellittica   della
disposizione in rassegna ha indotto il Collegio dapprima a ricercarne
una lettura «costituzionalmente orientata» e, all'esito, di  vedersi,
pervaso da dubbi di costituzionalita', quale che fosse  la  possibile
soluzione individuata. 
    Infatti, due sono risultate le  possibili  interpretazioni  della
norma in questione alle quali accedere: 
        una prima che, limitando l'azione  della  Procura  contabile,
essa abbia inteso stabilire il principio in base al quale  il  danno,
all'immagine ed al  prestigio  della  p.a.  non  possa,  in  generale
trovare tutela giurisdizionale, se  non  in  fattispecie  costituenti
«anche» reato accertato; 
        una seconda che, limitando l'azione della Procura  contabile,
essa abbia inteso stabilire il principio in base  al  quale  siffatta
tutela - comunque piena - debba essere perseguita in differenti  sedi
giurisdizionali: dinanzi alla Corte  dei  conti  per  le  fattispecie
costituenti «anche» reato; dinanzi ad  altro  giudice  in  tutti  gli
altri casi. 
    Entrambe le interpretazioni, pero', hanno insinuato nel  Collegio
dubbi coerenza alla  Carta  fondamentale,  la  fondatezza  dei  quali
appare meritevole di sottoposizione al vaglio della Consulta, proprio
sulla  base  di  quelle  considerazioni  «sistematiche»,  conseguenti
all'effettiva  lesione  dell'ordinamento  che  la  novella  normativa
appare realizzare. 
    4.1. - Sotto primo profilo il Collegio ha  considerato,  infatti,
che la disposizione dubitata  pare  atteggiarsi  ad  irrazionale  sul
piano sostanziale, perche' il limite all'azione che essa pone finisce
per riverberarsi sulla concreta tutela d'uno di  beni-valore  che  la
stessa Corte  costituzionale  ha  avuto  modo  di  individuare  quali
protetti, in primo luogo, proprio da norme costituzionali  (cosi'  la
sentenza dell'8 febbraio/2 maggio 2005, n. 172, nella quale la  Corte
ha  collegato  le  disposizioni  degli  articoli  97  e   54   Cost.,
individuando quale interesse pubblico la garanzia di «credibilita'» e
«fiducia di cui l'amministrazione deve godere  presso  i  cittadini»,
che risulta «leso dal discredito» derivante dalle illiceita' commesse
dai propri dipendenti; in immedesimazione organica con la datrice  di
lavoro).  Tanto  e'  vero  che  la   Corte   di   cassazione,   nella
giurisprudenza richiamata al punto 1 che precede, ha  avuto  modo  di
affermare    esplicitamente    che    la    lesione     dell'immagine
dell'Amministrazione, nel senso gia' definito, ben poteva derivare da
illiceita', commesse da amministratori  e  dipendenti,  che  avessero
mero rilievo. amministrativo e non penale, proprio perche' prevalente
e' l'esigenza del ripristino del bene giuridico leso al quale la p.a.
ha diritto e che e' dovuto  «pure  in  assenza  dell'accertamento  di
reato,   sempre   che   risultino   accertate   condotte   gravemente
trasgressive dei piu' elementari doveri di fedelta' di ogni  pubblico
agente» (SS.UU. n. 20886 del 2006, cit.): accertamento che  ben  puo'
avvenire in presenza di illiceita' anche non sanzionate penalmente. 
    D'altro  canto,  stessa  Corte  di  cassazione  ha  anche   avuto
occasione di affermare, in fattispecie di rilievo penale definite con
sentenza di cosiddetto «patteggiamento»  ex  art.  444.  c.p.p.,  che
l'elemento  perfezionativo   dell'illecito   amministrativo-contabile
comportante danno all'immagine ed al prestigio della p.a. deve essere
individuato nel clamor, ossia nella diffusione dell'illecito  «presso
l'opinione pubblica» (SS.UU. n. 14297/2007 cit.). 
    Dunque, limitare l'azione del Pubblico  ministero  contabile  nei
termini posti dalla disposizione  dell'art.  17,  comma  30-ter,  del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificate dall'art. 1, comma
3,  del  decreto-legge  3  agosto  2009,  n.  103,  convertito,   con
modificazioni, nella legge  3  ottobre  2009,  n.  141,  nei  periodi
secondo e terzo, ha insinuato nel  Collegio  il  dubbio  d'incoerenza
rispetto  quelle   previsioni   della   Costituzione   che   tutelano
l'Amministrazione  alla  stregua  di   tutti   gli   altri   soggetti
dell'ordinamento. 
    Sembra, infatti, del tutto irrazionale,che - limitando  i  poteri
di azione della Procura contabile  in  materia  di  risarcimento  del
danno all'immagine - il Legislatore abbia  inteso  porre  proprio  la
p.a. che  e'  la  principale  «formazione  sociale»  nella  quale  si
articola la societa'  repubblicana,  in  una  condizione  recessiva e
deprivata nell'espansione del diritto a tutelare la propria  immagine
e ad essere ristorata dei costi sostenuti per ripristinarla, sul solo
presupposto «sostanziale» (cioe' del  contenuto  del  bene  giuridico
leso) dell'immaterialita' dell'oggetto della lesione; sempre  che  in
cio' davvero risieda la ratio per la quale la  dubitata  disposizione
ha  subordinato  la  risarcibilita'  del  danno  all'immagine  ed  al
prestigio  della  p.a.  alla   concomitante,   se   non   preventiva,
valutazione penale  dell'illecito  che  ha  rilevanza  anche  per  la
responsabilita' amministrativo-contabile. 
    In  altre  parole,  ferma  la  natura  «patrimoniale»  del  danno
all'immagine nei termini in principio illustrati, la disposizione  in
questione attesta il discrimina alla perseguibilita' del risarcimento
sulla natura del bene giuridico leso,  se  materiale  (per  il  quale
l'azione  e'  integralmente  disponibile  e,  anzi,   doverosa);   se
immateriale (per il quale l'azione  e'  limitata  nei  termini  posti
dalla novella normativa). L'irrazionalita',  di  questa  impostazione
sembra  emergere  piu'  chiaramente  ove   si   confronti   l'assetto
realizzato dalla disposizione dubitata e l'icondizionata  tutela  che
l'ordinamento riconosce invece al diritti al  risarcimento  a  favore
delle imprese del danno arrecato dai propri dipendenti non  solamente
a beni materiali, ma anche a beni immateriali  a  indubbio  contenuto
patrimoniale  (quali,  ad  esempio,  l'avviamento,  o  il  cosiddetto
brand). 
    Dunque, la distinzione introdotta  dal  Legislatore  a  discapito
dell'azione che la Procura contabile  doverosamente  esplica  per  il
ristoro  patrimoniale,  poiche'  fondata  sulla  mera  «materialita'»
dell'oggetto  del  pregiudizio,  ma  non  certamente  sul   contenuto
patrimoniale che siffatto pregiudizio connota, non  sembra  sostenuta
da alcuna logica e razionale argomentazione,  avendo  il  Legislatore
stesso introdotta  una  effettiva  non  perseguibilita'  di  condotte
dannose che non siano quella gia' sanzionate nella sede penale da una
condotta  passata  giudicato  e  che,  purtuttavia,  sono  idonee   a
ingenerare nello «Stato/Comunita'» sfiducia nella p.a., comportandole
spese, anche generali e  di  riorganizzazione  del  sistema,  per  il
ripristino della sua immagine (SS.UU.8098/2007 cit.). 
    Accedendo,  in  sostanza,  a  questa  interpretazione   -   cioe'
all'avvenuta introduzione nell'ordinamento di un limite  alla  tutela
del bene patrimoniale costituito dall'immagine dal decoro della  p.a.
- il collegio ritiene che la disposizione dell'art. 17, comma  30-ter
del  decreto-legge  1°  luglio   2009,   n.   78,   convertito,   con
modificazioni, nella legge 3 agosto 2009,  n.  102,  come  modificato
dall'art.  1,  comma  3,  decreto-legge  3  agosto  2009,   n.   103,
convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre  2009,  n.  141,
nei periodi secondo e terzo, si ponga in contrasto con le  previsioni
degli articoli 3, 24, 54 e 97 della Costituzione, poiche': 
        a)    quanto    all'art.    3,    introduce    un'irrazionale
differenziazione di tutela e di «concreta» risarcibilita'  del  danno
ed al prestigio della  p.a.,  quale  danno  patrimoniale  consistente
«nella spesa necessaria  al  ripristino  del  bene  giuridico  leso»,
rispetto a  tutti  gli  altri  tipi  di  danno  sofferti  dalla  p.a.
medesima, aventi - anch'essi - rilievo patrimoniale, proprio come  il
danno all'immagine; 
        b) quanto all'art. 24, prevede che la Procura  erariale,  pur
potendo (dovendo) - in tesi - sempre agire  a  tutela  delle  ragioni
risarcitorie della p.a. per ogni ipotesi di danno,  relativamente  al
danno patrimoniale da «perdita  dell'immagine  pubblica»  (Corte  dei
conti, centrale, n. 141 del 2009) vede assoggettata siffatta concreta
possibilita' all'esercizio (preventivo) dell'azione penale; 
        e) quanto agli articoli  54  e  97,  toglie  alla  p.a.  quel
diritto  ad  una  piena  tutela  in  tutte  quelle  ipotesi   -   non
contraddistinte dal rilievo penale e non accertate definitivamente da
quel Giudice - nelle quale soggetti ad essa collegati da un  rapporto
di servizio e dunque con lei in immedesimazione organica, le  abbiano
causato il danno all'immagine ed al prestigio, esercitando le proprie
funzioni senza «disciplina»  e  «onore»  e  realizzando,  cosi',  una
lesione ai principi del  buon  andamento  e  dell'imparzialita',  che
hanno oramai assunto concreto contenuto quali vere e proprie ricadute
del  dovere   (di   servizio)   sui   terzi   destinatari   e   sullo
Stato/Comunita' nel complesso considerato. 
    Necessario corollario a quanto precede - che ulteriormente sembra
confermare l'irrazionalita della disposizione in esame nella premessa
interpretazione - e'  costituito  dall'osservazione  che,  in  palese
contrasto con l'art. 17, comma 30-ter, periodo secondo  e  terzo,  si
pongono, disposizioni pressoche' coeve recate  dalla  legge  4  marzo
2009, n. 15 (che, in quanto legge-delega, contiene principi e criteri
direttivi  in  base  ai  quali  il  Governo  emanera'  coerenti  atti
normativi sub primari), in base alle quali il lavoro alle  dipendenze
delle pubbliche amministrazioni sara' regolato da  un  «sistema  piu'
rigoroso di responsabilita' dei dipendenti pubblici» (art.  2,  comma
1,  lettera  f),  tale  da  prevedere  «a   carico   del   dipendente
responsabile, l'obbligo del risarcimento del danno patrimoniale, pari
al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei  periodi  per  i
quali  sia  accertata  la  mancata  prestazione,  nonche'  del  danno
all'immagine subito dall'amministrazione»,  dando  luogo,  cosi',  ad
ipotesi di risarcibilita' del danno all'immagine  non  vincolate  dal
preventivo accertamento definitivo della giurisdizione penale. 
    4.2 - Accedendo, invece, all'altra possibile  interpretazione  in
principio definita, in base alla quale, la tutela - comunque piena  -
della p.a. in ipotesi di sofferto danno all'immagine ed al  prestigio
debba essere perseguita in  differenti  sedi  giurisdizionali  (cioe'
dinanzi alla Corte dei conti per le fattispecie  costituenti  «anche»
reato; dinanzi ad altro Giudice in tutti gli altri casi) il  Collegio
ha individuato altri profili di censura. 
    La limitazione, della quale si  sta  trattando,  infatti,  sembra
irradiarsi al profilo consistente  nella  verifica  della  congruita'
dell'esercizio  del  potere   del   Legislatore   di   esplicare   la
interpositio   nel   dare   contenuto   corretto   alla    previsione
costituzionale dell'art. 103 Cost., che, al comma 2, attribuisce alla
Corte dei conti  la  «giurisdizione  nelle  materie  di  contabilita'
pubblica». 
    E' ormai ius receptum che, non solo per le «altre  materie»  alle
quali lo stesso art. 103 fa riferimento,  ma  anche  a  quella  della
«contabilita' pubblica»,  l'attribuzione  della  giurisdizione  debba
essere in concreto regolata dalla normazione primaria. 
    Ebbene, senza  alcun  intento  di  voler  indurre  la  Corte,  in
quest'occasione, ad  un  generale  ripensamento  sulla  necessarieta'
dell'interpositio, il  Collegio  ritiene  che,  dal  tenore  testuale
dell'art. 103, possa ricavarsi che, con riferimento alle «materie  di
contabilita' pubblica», l'attribuzione della giurisdizione alla Corte
dei conti debba considerarsi quantomeno, «tendenziale». 
    Ritiene il Collegio che questa distinzione, che la  norma  stessa
contiene proprio discernendo le «materie  di  contabilita'  pubblica»
dalle «altre» materie, pone le prime su di un piano  diverso  e  piu'
pregnante  rispetto  alle  seconde,  nel  senso   che   l'ambito   di
discrezionalita' legislativa nell'identificare il contenuto  concreto
di tutte le «materie» riguardate dall'art. 103, comma secondo, non e'
uniforme ed e' certamente piu' ampio  con  riferimento  alle  seconde
rispetto alle prime. 
    In altri termini, nel mentre e'  amplissima  la  discrezionalita'
esercitabile dal Legislatore  nel  regolare  la  giurisdizione  della
Corte dei conti in materie  estranee  a  quelle  della  «contabilita'
pubblica», quanto alle ultime questi incontra  maggiore  vincolo  nel
precetto costituzionale per sottrarre alla giurisdizione della. Corte
materie che sono, invece,  del  tutto  attinenti  alla  «contabilita'
pubblica»,  tra  le  quali  e'  certamente  compresa   quella   della
responsabilita' amministrativa patrimoniale per  danno  erariale  sia
pure - nel caso - per i soli profili attinenti. 
    Sotto questo profilo, dunque, la  disposizione  dubitata  finisce
per incidere irrazionalmente - sul mero discrimine,  del  quale  s'e'
gia'  detto,  della  natura  «materiale»  o  «immateriale»  del  bene
attraverso il  quale  i1  danno  erariale  s'e'  verificato  e  della
rilevanza penale, definitivamente accertata,  della  stessa  condotta
lesiva - su quel complessivo assetto che il riparto di  giurisdizione
ha fin qui realizzato. 
    In quest'ottica il Collegio ha ben considerato, infatti,  che  la
Corte costituzionale gia' chiaramente affermato quanto ampi  siano  i
limiti   d'espansione   della   discrezionalita'   del    legislatore
«nell'assetto delle giurisdizioni e nell'apprestamento dei  mezzi  di
tutela di beni che soddisfano pubblici interessi anche  di  carattere
primario»,  tale  da  rendere  quella  discrezionalita'   sindacabile
nel giudizio di costituzionalita' solo per  assoluta  irrazionalita',
(in termini l'ordinanza n. 1162 del 15/29 dicembre 1988,  in  materia
di giurisdizione sul danno ambientale). 
    La stessa Corte costituzionale, pero', piu'  di  recente  ha  ben
delineato l'armonia complessa di giurisdizione,  indicando  (sentenza
28 aprile/6 luglio  2004,  n.  204)  quali  siano  i  limiti  che  la
Costituzione ha inteso porre alla  discrezione  del  legislatore  nel
definire siffatto riparto, non vulnerandone l'equilibrio complessivo. 
    Tanto piu' ove si consideri che i limiti a ben  definite  ipotesi
l'azione della Procura contabile per il  risarcimento  del  danno  da
perdita dell'immagine  e  prestigio  da  parte  della  p.a.,  esclude
dall'ambito della giurisdizione della Corte dei conti una consistente
e - socialmente ed economicamente parlando - piu' che rilevante parte
della responsabilita' erariale, a scapito dell'assetto  etico  e  dei
valori della Costituzione repubblicana nel suo complesso, espressi  -
nel caso dall'intero Titolo II della Parte I,  in  rapporto  ai  gia'
citati articoli 28,  54  e  97,  nonche'  dalle  stesse  disposizioni
transitorie  e  finali  che  hanno  inteso  escludere  dal  riassetto
complessivo delle giurisdizioni anche la Corte dei  conti,  esistente
proprio in ragione della sua specializzazione. 
    Da quest'ultimo punto di vista; dunque,  non  e'  pensabile,  con
razionalita' conforme a Costituzione, che la materia cosi'  sottratta
alla giurisdizione specializzata  proprio  nella  tutela  dell'Erario
- poiche' l'impossibilita' di agire equivale ad una  vera  e  propria
sottrazione di giurisdizione -  possa  essere  conosciuta  da  «altro
Giudice», stante  l'intestazione  della  materia  della  contabilita'
pubblica alla Corte dei conti, materia nella  quale,  ovviamente,  e'
compresa anche l'analisi per il «ripristino del bene giuridico leso»,
costituito anche dall'immagine e dal prestigio della p.a. 
    Anche  perche',  sottraendo  all'azione  doverosa  della  Procura
contabile la tutela della stessa p.a. per il risarcimento  di  questa
tipologia  di  danno,  il  legislatore  espone  irragionevolmente  la
danneggiata alla discrezionalita' dell'esercizio da parte dei  propri
Organi, con il rischio non astratto che la  tutela  perda,  in  primo
luogo, l'effettivita' che l'azione  del  Procuratore  contabile  deve
tendere ad assicurare; nonche' con  quello  che  le  persone  che  in
siffatti  Organi  s'immedesimano  siano  esse  stesse  le  potenziali
danneggianti,  realizzandosi  in  capo  a  costoro   un'insostenibile
posizione   di   conflitto   di   interesse,   a   tutto    discapito
dell'effettivita'  dei  mezzi  di  ripristino  del  patrimonio  della
danneggiata. 
    Nella stessa ottica, ma per un diverso profilo, il  Collegio  non
puo'  esimersi,  poi,  dall'evidenziare  un   ulteriore   dubbio   di
legittimita' costituzionale della disposizione piu' volte menzionata,
per violazione del combinato degli articoli 3 e 103,  secondo  comma,
avuto  riguardo  proprio  alla  posizione   degli   stessi   presunti
responsabili. 
    La Corte  costituzionale,  con  la  sentenza  n.  371  dell'11/20
novembre 1998, ha avuto modo di dichiarare non fondata  la  questione
di legittimita' dell'art. 3, comma 1, del  decreto-legge  23  ottobre
1996, n. 543, convertito, con modificazioni, nella legge 20  dicembre
1996, n. 639, nella  parte  in  cui  limita  la  responsabilita'  dei
soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti ai fatti
ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave. 
    Tale disposizione e la sua applicazione in  giurisprudenza  hanno
finito per determinare quel che un'autorevole  dottrina  ha  definito
«statuto della  responsabilita'  amministrativa»,  con  cio'  volendo
identificare  l'insieme  delle  specificita'  proprie  del   giudizio
risarcitorio, nei termini  che  il  diritto  vivente  ha  finito  per
elaborare. 
    Orbene, da un'interpretazione della dubitata disposizione,  quale
sottrattiva alla  Corte  dei  conti  della  giurisdizione  su  talune
ipotesi di responsabilita' per  danno  erariale  all'immagine  ed  al
prestigio della p.a., deriva l'effetto che: 
        innanzi alla Corte, per le ipotesi  residue  sottoposte  alla
sua giurisdizione, operino quei limiti alla  rilevanza  dell'elemento
psicologico che il legislatore ha inteso porre, in quanto «arbitro di
stabilire non solo quali comportamenti possano costituire  titolo  di
responsabilita', ma anche quale grado di colpa  sia  richiesto  ed  a
quali soggetti la responsabilita' sia  ascrivibile,  senza  limiti  o
condizionamenti che non siano quelli della non irragionevolezza e non
arbitrarieta'» (sent. n. 371/1998 cit.); 
        innanzi ad «altro Giudice»,  competente  a  conoscere  quelle
ipotesi di danno all'immagine non conseguenti a fatti reato accertati
in via  definitiva,  siffatti  limiti  di  rilevanza  non  sarebbero,
invece, operanti, in quanto propri del processo contabile e  ad  esso
solamente applicabili, con la conseguenza, persino  paradossale,  che
ipotesi di violazione di doveri di servizio  di  piu'  lieve  entita'
comportanti danno all'immagine e al prestigio  della  p.a.  finiscano
per esser  perseguiti  in  base  ad  elementi  di  valutazione  della
condotta persino piu' rigorosi  e  senza  limiti  di  perseguibilita'
anche di fattispecie connotate da responsabilita' meramente formale. 
    5. - Il Collegio ritiene, altresi', che fondati dubbi  sulla  non
conformita'  a  Costituzione   della   disposizione   ridetta   siano
individuabili in  dipendenza  di  almeno  altre  due  considerazioni,
distinte ad autonome, rispetto a quelle sin qui esplicitate. 
    5.1-  Una  prima  considerazione  si  appunta  sulla   previsione
costituzionale dell'art. 81, quarto comma, in  base  al  quale  «ogni
altra legge che importi nuove e maggiori spese deve indicare i  mezzi
per farvi  fronte»,  ponendo  cosi',  al  Legislatore,  l'obbligo  di
prevedere  la  copertura  anche  delle  «maggiori  spese»   derivanti
dall'impossibilita'  di  conseguire   un'entrata   gia'   autorizzata
dall'ordinamento. 
    Ad avviso del Collegio  e'  meritevole  di  esser  sottoposto  al
vaglio della Corte costituzionale l'effetto prodotto  dalla  dubitata
disposizione in termini di limite introdotto al ristoro di  un  danno
sofferto. 
    In sostanza,  limitando  obbiettivamente  la  risarcibilita'  del
danno all'immagine della p.a. provocato dalla condotta illecita,  dei
propri amministratori e dipendenti ed escludendo, in  forza  di  tale
limite, la risarcibilita' del danno avverato fattispecie nelle  quali
la condotta non abbia avuto anche rilievo penale, il  Legislatore  ha
privato l'Amministrazione  della  possibilita'  di  conseguire,  quel
giusto  ristoro  patrimoniale  realizzabile  mediante   l'azione   di
responsabilita' amministrativa. Dunque, correlativamente  ha  imposto
alla medesima p.a. di sostenere con risorse proprie siffatto ristoro,
senza poter attingere, a tali fini, al patrimonio del danneggiante. 
    La  disposizione  dubitata,  pero',   non   reca   la   provvista
finanziaria necessaria a provvedere a siffatto ristoro, cosi' che  la
«maggiore spesa»  che  essa  reca  e'  priva  di  adeguata  copertura
finanziaria, tanto da far ritenere che, anche sotto  questo  profilo,
essa si ponga in contrasto con il precetto costituzionale indicato. 
    5.2  -  Una  seconda   considerazione   concerne   lo   strumento
processuale mediante  il  quale  chi  vi  abbia  interesse  puo'  far
dichiarare al Giudice la nullita' conseguente all'avvenuta violazione
dei limiti indicati nel primo e nel secondo periodo del comma. 
    Infatti: 
        l'art. 17, comma 30-ter,  ai  periodi  secondo  e  terzo,  ha
previsto limiti all'esercizio  dell'azione  da  parte  della  Procura
contabile. 
    Lo stesso articolo, al medesimo comma, ha introdotto,  al  quarto
periodo, la  previsione  di  un  procedimento  ad  istanza  di  parte
(autonomo o incidentale, a seconda della fase nella  quale  esso  sia
avviato), mediante  il  quale  «chiunque  vi  abbia  interesse»  puo'
chiedere  alla  Corte  l'accertamento  della  «nullita'»  degli  atti
istruttori o processuali posti in essere  in  violazione  dei  limiti
stessi. 
    Il Collegio, dal tenore letterale della disposizione, osserva che
il Legislatore ha introdotto ipotesi  di  nullita'  che  la  dottrina
processuale inquadra nella categoria di quelle cosiddette «relative»,
cioe' di quelle che il Giudice non puo' rilevare  d'ufficio,  ma  che
conosce esclusivamente in  conseguenza  dell'iniziativa  della  parte
interessata; analoga a quella prevista, dall'art. 157 c.p.c.  per  il
rito civile, al quale il processo per responsabilita'  amministrativa
patrimoniale dinanzi alla Corte dei conti prevalentemente si ispira. 
    Il contesto cosi' delineato ha indotto il  Collegio  a  porre  in
dubbio la coerenza della disposizione (le limitazioni  contenute,  in
combinato con lo strumento procedimentale per  la  loro  rilevazione,
stabilito dal quarto periodo) con il principio del «giusto  processo»
contenuto nell'articolo 111 Cost. 
    Infatti, la disposizione e' suscettibile di provocare  una  sorta
di «doppio binario» processuale, ad assetto variabile, in quanto  per
gli stessi fatti i limiti posti all'azione della Procura,  sanzionati
con la nullita', sono operanti esclusivamente se chi vi ha  interesse
dia o meno corso al giudizio  incidentale  per  l'accertamento  della
nullita' degli atti istruttori  o  processuali  sui  quali  si  fonda
l'addebito. 
    La distinzione non e' di scarso rilievo, poiche' e' evidente  che
da essa consegue che il risarcimento del  danno  all'immagine  ed  al
prestigio della  p.a.  non  e'  tutto  rimesso  all'accertamento  del
Giudice su iniziativa del pubblico  ministero, ma  - per  gli  stessi
fatti  presuntivamente  lesivi   -   e'   subordinato   all'esercizio
detrazione  di   nullita',   introducendo   cosi'   una   distinzione
processuale  priva  di  razionali   motivi   meritevoli   di   tutela
costituzionale. 
    Tutte  le  considerazioni  che  precedono  inducono,  cosi',   il
Collegio  a  investir  la  Corte  costituzionale  per  una  pronuncia
risolutrice dei dubbi di costituzionalita' insorti anche nel pubblico
ministero. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134 della Costituzione e  23,  commi  primo  e
terzo, della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Sospende la decisione nel merito della causa; 
    Solleva in quanto ritenuta rilevante ai fini del decidere  e  non
manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n.  78,
convertite, con modificazione, nella legge 3  agosto  2009,  n.  102,
come modificato dall'art. 1, comma  3,  del  decreto-legge  3  agosto
2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella  legge  3  ottobre
2009, n. 141 periodi secondo, terzo e  quarto  con  riferimento  agli
articoli 3; 24, primo comma; 97, primo comma; 103, secondo comma; 81,
quarto  comma;  periodi  secondo,  terzo  e  quarto  con  riferimento
all'art. 111, primo comma della Costituzione; 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale: 
        la  notifica  dell'ordinanza  ai   convenuti,   al   pubblico
ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri; 
        la comunicazione dell'ordinanza ai Presidenti  del  Senato  e
della Camera dei deputati. 
    Spese riservate al merito. 
    Cosi' disposto a Perugia, nella Camera di consiglio del giorno 27
ottobre 2009. 
 
                      Il Presidente: Principato