N. 331 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 ottobre 2009
Ordinanza del 16 novembre 2009 emessa dalla Corte dei conti - Sez. giurisdizionale per la Regione Umbria - nel giudizio di responsabilita' promosso dal Procuratore regionale presso la Sez. giurisdizionale della Regione Umbria contro Bartolini Gervasio ed altri. Responsabilita' amministrativa e contabile - Esercizio dell'azione per danno all'immagine da parte della Procura della Corte dei conti limitato ai casi e modi previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001 (rilevanza penale dell'illecito amministrativo) - Prevista sospensione del termine di prescrizione fino alla conclusione del procedimento penale - Prevista nullita' di qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere, in violazione delle predette disposizioni, subordinata all'azione di chiunque vi abbia interesse - Lesione del principio di uguaglianza, del diritto di azione e del principio del giusto processo - Violazione dei principi di copertura finanziaria, di buon andamento della pubblica amministrazione e di riserva alla Corte dei conti delle questioni relative alla responsabilita' contabile ed amministrativa. - D.l. 1° luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30-ter, inserito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141. - Costituzione, artt. 3, 24, primo comma, 81, comma quarto, 97, primo comma, 103, comma secondo, e 111, primo comma.(GU n.4 del 27-1-2010 )
LA CORTE DEI CONTI Ha emanato la seguente ordinanza nel giudizio per responsabilita' amministrativa patrimoniale iscritto al n. 11304 del registro di segreteria, promosso dalla Procura regionale nei confronti dei signori: Gervasio Bartolini, nato il 16 aprile 1949 a Montefranco (TR), residente a Terni, piazza Bruno Buozzi, 8; Giorgio Adeodato Norcia, nato il 5 maggio 1953 a Modica (RG), residente a Terni, strada del Tavernolo, 33; Gianluca Podda, nato il 9 agosto 1964 a Orvieto, residente a Roma, via della Villa di Lucina, 72; Riccardo Ragugini, nato il 19 aprile 1944 a Gualdo Tadino, residente a Stroncone, vocabolo S. Antirrio, 19/E; Giorgio Galli, nato il 20 agosto 1944 a Orvieto, residente a Terni, via D. Scarlatti, 6; tutti elettivamente domiciliati a Perugia, piazza Piccinino, 13, presso lo studio legale Scassellati Sforzolini, patrocinati dagli avvocati Folco Trabalza e Dorita Fratini; Uditi, nella Camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2009, il relatore consigliere Roberto Leoni, l'avvocato Trabalza, per i convenuti, ed il rappresentante del pubblico ministero nella persona del vice Procuratore generale consigliere Fernanda Fraioli. Premesso che Con atto di citazione emesso in data 28 novembre 2008, introduttivo del giudizio iscritto al n. 11304 del registro di segreteria di questa Sezione giurisdizionale regionale, la Procura regionale ha convenuto i nominati, nella qualita' di presidente (il Bartolini), consigliere di amministrazione (il Norcia, il Podda, il Ragugini) e direttore generale (il Galli) dell'Azienda speciale Farmacie Municipalizzate di Terni (AsFM) per sentirli condannare - ciascuno nella misura che in seguito sara' rispettivamente specificata - al risarcimento del danno complessivo di € 273.165,77, causato alle finanze aziendali con condotta gravemente colposa nell'attivazione del Centro Salute «Hera» (delibera del consiglio d'amministrazione n. 33 del 9 febbraio 2000), previsto nel Piano programma per gli anni 2000 e 2001, «prima della richiesta delle prescritte autorizzazioni». Piu' in particolare la Procura ha assunto che alcuni dei sanitari hanno iniziato ad operare nel Centro prima che l'Azienda formulasse richiesta e venissero, conseguentemente, rilasciate le prescritte autorizzazioni da parte della Regione, mentre altri hanno operato senza che l'autorizzazione fosse mai assentita. La gestione aziendale ha evidenziato, negli anni 2002 e 2003, costi superiori ai ricavi: per € 19.670,77 generati dal rapporto convenzionale; per € 100.600,00 per canoni di locazione dal 2000 al 2003; per € 112.895,00 per l'acquisto di attrezzature e arredi (nel complesso: € 233.165,77). La Procura ha assunto che il pregiudizio patrimoniale sofferto dall'AsFM sia derivato dalla malaccorta gestione aziendale da parete degli amministratori, i quali hanno adottato - con il conforto tecnico del direttore generale - uno schema convenzionale con i medici che poi avrebbero dovuto operare nel Centro ai fini di promuovere la salute dei cittadini, diversificando, le attivita' tradizionalmente di competenza aziendale. In convenzione, le parti si .erano impegnate a provvedere, per quanto di rispettiva competenza, ad acquisire .ogni autorizzazione sanitaria necessaria all'esercizio dell'attivita'. In concreto, pero' l'Azienda ha consentito ai sanitari convenzionati di avviare l'esercizio delle attivita' senza che la Regione avesse mai rilasciato, l'autorizzazione, intervenuta solamente dopo moltissimo tempo (in alcuni casi, mai) e limitatamente a talune delle specialita' che gli amministratori di AsFM avevano pianificato. Dunque - posta la necessita' di acquisizione della preventiva autorizzazione - talune convenzioni stipulate con specialisti di attivita' non autorizzate sono state revocate,per impossibilita' di prosecuzione, cosi' da far emergere lo sbilanciamento tra costi sostenuti e ricavi acquisiti sia nell'anno 2002 che nell'anno 2003, nella misura gia' innanzi indicata. Oltre a questa perdita, l'AsFM ha anche dovuto sostenere - nella tesi attrice - costi improduttivi per affitti ed acquisto di attrezzature, da imputare a danno dei convenuti, i quali avrebbero - sempre nella tesi della Procura - determinato all'Azienda della quale erano, rispettivamente, presidente, consiglieri d'amministrazione e direttore generale, un danno patrimoniale di pari misura, nonche', per la diffusione mediatica assunta dalla vicenda, anche un danno d'immagine stimato in 40 mila euro. All'esito dell'udienza pubblica del 5 maggio 2009 questa Sezione ha emesso un'ordinanza istruttoria che e' stata riscontrata dai convenuti con deposito di note illustrative e l'allegazione della convenzione stipulata tra l'ASL 4 dell'Umbria e il Centro salute dell'AsFM, dalla quale si caverebbe l'insussistenza del lamentato danno. Inoltre, hanno formulata, ai sensi dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall'art. 1, comma 3, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni; nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, eccezione incidentale di nullita' sia dell'istruttoria che della domanda processuale di risarcimento di danno all'immagine. La Procura, da parte sua, ha depositata la documentazione indicata in ordinanza, nonche' controdeduzioni alle eccezioni incidentali proposte dai convenuti, chiedendo la reiezione dell'eccezione di nullita' degli atti istruttori, per insussistenza dei presupposti, nonche' esprimendo motivati dubbi di legittimita' costituzionale delle sopravvenuti disposizioni limitative dell'azione di risarcimento del danno all'immagine ed ha chiesto alla Corte di sollevare questione dinanzi alla Consulta, perche' i periodi secondo e terzo del menzionato articolo 17, comma 30-ter, violerebbero gli articoli 2, 3, 24, primo comma, 97, 113, commi primo e secondo Cost. All'odierna Camera di consiglio, fissata per la discussione delle suddette eccezioni incidentali, l'avvocato Trabalza, per i convenuti, ha illustrato dapprima l'eccezione di nullita' degli atti istruttori, insistendo nuovamente sul carattere anonimo della denunzia che ha dato origine a tali atti e sulla sua conseguente inutilizzabilita', similmente a quanto previsto dalle norme sul processo penale, per l'incertezza che la caratterizza e in ossequio a un elementare principio di civilta' giuridica. La denunzia, peraltro, non conterrebbe alcuna ipotesi di danno. Quanto, poi, ai «numerosissimi articoli di stampa» ai quali e' fatto riferimento in citazione quali fonti di conoscenza dell'asserito danno, essi pertengono - invece - a tutt'altra vicenda e non recano alcun elemento dal quale l'indagine poteva essere avviata dalla Procura regionale. In ordine, poi, all'eccezione di nullita' della domanda relativa al danno all'immagine, lo stesso avvocato ha sottolineato la carenza di alcun interesse, da parte dei suoi patrocinati, alla proposizione di alcuna eccezione di legittimita' costituzionale nel senso prospettato dall'attrice e per evitare un significativo prolungamento dei tempi necessari per giungere alla definizione della controversia, in violazione del principio della ragionevole durata del processo. I dubbi di costituzionalita' prospettati nella memoria della Procura sarebbero, peraltro, infondati, come si e' riservato di dimostrare ove il Collegio gli conceda un termine per dedurre sul punto. La rappresentante del pubblico ministero, da parte sua, ha evidenziato che la denunzia pervenuta alla Procura il 4 gennaio 2005, non fosse anonima, bensi' sottoscritta da due persone, che solo in prosieguo di tempo s'e' potuto stabilire che nascondessero nomi di fantasia. Inoltre, all'epoca dell'avvio dell'istruttoria non erano - evidentemente - vigenti le richiamate disposizioni limitative in materia di attivita' istruttoria, cosi' che l'atto pervenuto aveva tutte le caratteristiche per poter stimolare ulteriori approfondimenti, anche per le chiare indicazioni fornite su possibili ipotesi di danno erariale. Ha concluso, pertanto, confermando quanto nella memoria depositata per questa fase del giudizio. Il Collegio, tenuto conto delle prospettazioni delle parti - ossia quelle della Procura circa la dubitata legittimita' costituzionale delle sopravvenute disposizioni in tema di nullita' della domanda processuale di risarcimento del danno all'immagine (secondo e terzo periodo dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall'art. 1, comma 3, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141); quelle dei convenuti circa l'esigenza di rispettare il principio della ragionevole durata del processo - all'esito dell'odierna Camera di consiglio - ha disposto: la separazione delle cause; la reiezione dell'istanza incidentale di nullita' degli atti del procedimento, sfociato nella citazione, rimettendo gli atti al Presidente per il proseguimento del giudizio limitatamente alla voce di danno patrimoniale; di dover dare seguito, con separata ordinanza, per la voce di danno all'immagine, ai dubbi di legittimita' costituzionale sollevati dalla Procura nelle controdeduzioni depositate il 21 ottobre 2009, per questa fase incidentale. Ritenuto che 1. - La riflessione sugli atti di causa, anche in ragione degli argomenti della memoria. depositata dalla Procura, ha insinuato nel Collegio dubbi di conformita' alla Costituzione della disposizione contenuta nei periodi secondo e terzo dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall'art. 1, comma 3, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, in base alla quale; «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale». Per un corretta introduzione della tematica occorre, in primo luogo, definire correttamente l'oggetto del quale si controverte, cioe' il danno, all'immagine della p.a. facendo riferimento -seppur molto sommariamente - alla consolidata linea interpretativa tracciata, innanzi tutto, dalla Corte di cassazione, in una ampia giurisprudenza risalente di oltre dieci anni. Dalle numerose sentenze e ordinanze nella materia, che le Sezioni Unite hanno pronunciate con conclusioni costanti (21 marzo 1997, n. 5668; 25 ottobre 1999, n. 744; 4 aprile 2000, n. 98; 12 novembre 2003, n. 17078; 2 marzo 2006, n. 4582; 27 settembre 2006, n. 20886; 2 aprile 2007; n. 8098; 20 giugno 2007, n. 14297), emerge che la Suprema Corte - in un'ottica generale di distinzione di due sole categorie di danno, patrimoniale in senso stretto e non patrimoniale, rapportabili il primo alla previsione dell'art. 2043 c.c. ed il secondo a quella dell'art. 2059 c.c. - ha collocato il danno all'immagine ed al prestigio della p.a. nella categoria del danno patrimoniale, quale danno-evento reso concreto dall'esigenza di sostenere la spesa derivata dalla lesione del bene giuridico leso. Con la precisazione che «esso e' dovuto pure in assenza dell'accertamento del reato, sempre che risultino accertate condotte gravemente trasgressive dei piu' elementari doveri di fedelta' di ogni pubblico agente» (sent. n. 20866/2006 cit.). Richiamando cosi' un indirizzo che proprio la Corte costituzionale aveva affermato, in materia di danno ambientale, nella sentenza 13 ottobre/30 dicembre 1987, n. 641 (ancora Cass., sent. n. 744/1999 cit.) e sottolineando la «diversita' ontologica» del danno all'immagine della persona giuridica (nel caso: pubblica) rispetto a quello arrecato alla persona fisica. Le affermazioni della Corte di cassazione contenute nella giurisprudenza menzionata ed in quella elaborata in sede contabile risultano esaustivamente compendiate da una recente pronuncia della Sezione III centrale della Corte dei conti, la n. 141 in data 18 marzo/9 aprile 2009, che ha avuto modo di ridelineare pressoche' tutti gli aspetti della costruzione giurisprudenziale stratificatasi nel tempo, affermando che il danno all'immagine: e' danno patrimoniale, ancorche' conseguente all'avvenuta lesione di beni immateriali quali sono l'immagine ed il prestigio della p.a.; si fonda sul principio di immedesimazione organica tra l'Amministrazione e i suoi agenti, attraverso i quali essa e' identificata, «cosi' da ricondurre all'Amministrazione medesima tanto gli sviluppi concreti dei valori di buon andamento ed imparzialita', intrinsecamente connessi all'agire pubblico», quanto «i corrispondenti, opposti, disvalori legati alle forme piu' gravi illecito amministrativo-contabile, con evidente discredito delle istituzioni pubbliche»; investe «il diverso e piu' ampio rapporto - di diritto pubblico che lega la comunita' degli amministrati», complessivamente intesa, «alle istituzioni per le quali il dipendente medesimo ha agito», incrinando nello Stato-Comunita' «quei naturali sentimenti di affidamento e di "appartenenza" alle istituzioni, che giustificala stessa collocazione dello Stato-Apparato e degli altri-Enti» tra «le piu' rilevanti formazioni sociali nelle,quali si svolge la personalita' dell'uomo», secondo l'art. 2 della Costituzione e imponendo un recupero della causata «diminuzione patrimoniale», che comporta un costo risarcibile alla danneggiata; «interviene tra i medesimi "soggetti attivi e passivi" di un qualsivoglia altro tipo di danno erariale, ed in "violazione dei medesimi doveri funzionali" di servizio»; non deriva solo «dalla violazione di doveri di servizio, ben potendo ipotizzarsi in astratto forme di lesioni che provengano anche da estranei alla p.a. stessa, e quindi in regime di responsabilita' extracontrattuale; ma ipotesi, del genere non riguardano, quella consistente parte delle lesioni che proviene da personale proprio dell'Amministrazione e che comunque, ai fini della giurisdizione, impegnano la Corte dei conti». Quanto precede, dunque, integra un piu' che ampio complesso di elementi atti a delineare l'istituto giuridico che la dubitata disposizione ha inteso regolare. 2. - Ancora in termini generali il Collegio ritiene che, proprio dalla lettura della giurisprudenza menzionata, che ha conformato il diritto vivente dell'istituto, si scorgano con piu' che sufficiente chiarezza il fondamento costituzionale ed i principi sui quali essa poggia. A questo fine, particolare menzione deve'essere data alle previsioni dell'art. 54, secondo comma, che impone ai cittadini ai quali sono affidate funzioni pubbliche di adempierle con disciplina ed onore; dell'art. 97, primo comma, che impone un'organizzazione della pubblica amministrazione tale da assicurarne il buon andamento - canone che il diritto vivente ha esplicato «attribuendo dignita' normativa» ai criteri che, ne costituiscono il concreto contenuto (in tale senso, con molta efficacia, il Consiglio di Stato, sez. VI, n. 847 del 2002) e l'imparzialita'; dell'art. 28, che sancisce la responsabilita' diretta dei funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici anche secondo le leggi «amministrative» per gli atti compiuti in violazione di diritti; l'art. 103, secondo comma, che affida alla Corte dei conti la giurisdizione - termine che include anche il dovere di perseguimento degl'illeciti produttivi di danno erariale da parte del Procuratore - nelle materie di contabilita' pubblica, eleggendolo a giudice del diritto della pubblica amministrazione ad essere risarcita dei pregiudizi patrimoniali sofferti da parte di soggetti ad essa legati da rapporto' di servizio, in stretto collegamento con l'art. 24, primo comma, in tema di diritto - riconosciuto nei confronti di tutti e, dunque, della stessa «per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi». 3. - Tanto premesso in termini generali il Collegio osserva che nella fattispecie dedotta a giudizio, i dubbi di costituzionalita' dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall'art. 1, comma 3, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, nei periodi secondo e terzo, affacciati dalla Procura regionale e autonomamente rilevati dal Giudice, assumono rilevanza ai fini della richiesta decisione, sulla base di almeno due ragioni: la prima costituita dalla natura chiaramente processuale della disposizione dubitata, applicabile anche ai giudizi in corso - seppure nei limiti posti dallo stesso Legislatore - e, pertanto, anche a1 presente; la seconda costituita dall'evidenza che i fatti sui quali s'e' fondata la citazione non sono interessati, al presente, da azione penale. In sostanza - diversamente dalle fattispecie dedotte nei giudizi dinanzi alle altre Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, nelle quali finora la sollevata, questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni medesime riguarda ipotesi di danno all'immagine della p.a. conseguente alla commissione di reati da parte dei convenuti - la vicenda oggetto del giudizio dinanzi a questa Sezione connette l'ipotesi danno all'immagine esclusivamente a fatti per i quali non e' stata interessata, allo stato degli atti, l'Autorita' giudiziaria penale, limitandosi gli addebiti a contestare un fenomeno di incauta e illegittima gestione amministrativa perpetrata nell'esercizio del munus publicum. Percio', in base ai sopraggiunti limiti introdotti con la disposizione in esame, l'eccezione di nullita' della domanda risarcitoria di danno all'immagine dovrebbe essere accolta. Inoltre, tenuto conto dell'estraneita' a fatti di rilevanza penale della fattispecie ora in esame, non e' qui il caso di addentrarsi anche su altri motivi di censura della norma stessa, ossia ai pur rilevantissimi profili attinenti alle ipotesi di rilievo penale che; produttive anche di danno all'immagine, si concludano nella sede giudiziaria con sentenze non di condanna. 4. - Quanto ora detto, oltre che ad affermare sussistente una delle condizioni di promovibilita' del giudizio dinanzi alla Consulta ai sensi dell'art. 23, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, introduce ad una prima osservazione sulla natura e sul contenuto della disposizione dubitata di costituzionalita'. Essa, pur nell'evidente incidenza sul processo, finisce per assumere un valore sostanziale, poiche' pone non tanto un limite alla legittimazione del pubblico ministero contabile, quanto piuttosto un limite alla stessa azione rivolta a perseguire il risarcimento del danno erariale causato dalla lesione dell'immagine e del prestigio della pubblica amministra che avvenga in conseguenza di fenomeni di mala amministrazione privi di rilevanza penale o che comunque non siano sfociati in una sentenza penale di condanna. E' comunque, certo che la formulazione ellittica della disposizione in rassegna ha indotto il Collegio dapprima a ricercarne una lettura «costituzionalmente orientata» e, all'esito, di vedersi, pervaso da dubbi di costituzionalita', quale che fosse la possibile soluzione individuata. Infatti, due sono risultate le possibili interpretazioni della norma in questione alle quali accedere: una prima che, limitando l'azione della Procura contabile, essa abbia inteso stabilire il principio in base al quale il danno, all'immagine ed al prestigio della p.a. non possa, in generale trovare tutela giurisdizionale, se non in fattispecie costituenti «anche» reato accertato; una seconda che, limitando l'azione della Procura contabile, essa abbia inteso stabilire il principio in base al quale siffatta tutela - comunque piena - debba essere perseguita in differenti sedi giurisdizionali: dinanzi alla Corte dei conti per le fattispecie costituenti «anche» reato; dinanzi ad altro giudice in tutti gli altri casi. Entrambe le interpretazioni, pero', hanno insinuato nel Collegio dubbi coerenza alla Carta fondamentale, la fondatezza dei quali appare meritevole di sottoposizione al vaglio della Consulta, proprio sulla base di quelle considerazioni «sistematiche», conseguenti all'effettiva lesione dell'ordinamento che la novella normativa appare realizzare. 4.1. - Sotto primo profilo il Collegio ha considerato, infatti, che la disposizione dubitata pare atteggiarsi ad irrazionale sul piano sostanziale, perche' il limite all'azione che essa pone finisce per riverberarsi sulla concreta tutela d'uno di beni-valore che la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di individuare quali protetti, in primo luogo, proprio da norme costituzionali (cosi' la sentenza dell'8 febbraio/2 maggio 2005, n. 172, nella quale la Corte ha collegato le disposizioni degli articoli 97 e 54 Cost., individuando quale interesse pubblico la garanzia di «credibilita'» e «fiducia di cui l'amministrazione deve godere presso i cittadini», che risulta «leso dal discredito» derivante dalle illiceita' commesse dai propri dipendenti; in immedesimazione organica con la datrice di lavoro). Tanto e' vero che la Corte di cassazione, nella giurisprudenza richiamata al punto 1 che precede, ha avuto modo di affermare esplicitamente che la lesione dell'immagine dell'Amministrazione, nel senso gia' definito, ben poteva derivare da illiceita', commesse da amministratori e dipendenti, che avessero mero rilievo. amministrativo e non penale, proprio perche' prevalente e' l'esigenza del ripristino del bene giuridico leso al quale la p.a. ha diritto e che e' dovuto «pure in assenza dell'accertamento di reato, sempre che risultino accertate condotte gravemente trasgressive dei piu' elementari doveri di fedelta' di ogni pubblico agente» (SS.UU. n. 20886 del 2006, cit.): accertamento che ben puo' avvenire in presenza di illiceita' anche non sanzionate penalmente. D'altro canto, stessa Corte di cassazione ha anche avuto occasione di affermare, in fattispecie di rilievo penale definite con sentenza di cosiddetto «patteggiamento» ex art. 444. c.p.p., che l'elemento perfezionativo dell'illecito amministrativo-contabile comportante danno all'immagine ed al prestigio della p.a. deve essere individuato nel clamor, ossia nella diffusione dell'illecito «presso l'opinione pubblica» (SS.UU. n. 14297/2007 cit.). Dunque, limitare l'azione del Pubblico ministero contabile nei termini posti dalla disposizione dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificate dall'art. 1, comma 3, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, nei periodi secondo e terzo, ha insinuato nel Collegio il dubbio d'incoerenza rispetto quelle previsioni della Costituzione che tutelano l'Amministrazione alla stregua di tutti gli altri soggetti dell'ordinamento. Sembra, infatti, del tutto irrazionale,che - limitando i poteri di azione della Procura contabile in materia di risarcimento del danno all'immagine - il Legislatore abbia inteso porre proprio la p.a. che e' la principale «formazione sociale» nella quale si articola la societa' repubblicana, in una condizione recessiva e deprivata nell'espansione del diritto a tutelare la propria immagine e ad essere ristorata dei costi sostenuti per ripristinarla, sul solo presupposto «sostanziale» (cioe' del contenuto del bene giuridico leso) dell'immaterialita' dell'oggetto della lesione; sempre che in cio' davvero risieda la ratio per la quale la dubitata disposizione ha subordinato la risarcibilita' del danno all'immagine ed al prestigio della p.a. alla concomitante, se non preventiva, valutazione penale dell'illecito che ha rilevanza anche per la responsabilita' amministrativo-contabile. In altre parole, ferma la natura «patrimoniale» del danno all'immagine nei termini in principio illustrati, la disposizione in questione attesta il discrimina alla perseguibilita' del risarcimento sulla natura del bene giuridico leso, se materiale (per il quale l'azione e' integralmente disponibile e, anzi, doverosa); se immateriale (per il quale l'azione e' limitata nei termini posti dalla novella normativa). L'irrazionalita', di questa impostazione sembra emergere piu' chiaramente ove si confronti l'assetto realizzato dalla disposizione dubitata e l'icondizionata tutela che l'ordinamento riconosce invece al diritti al risarcimento a favore delle imprese del danno arrecato dai propri dipendenti non solamente a beni materiali, ma anche a beni immateriali a indubbio contenuto patrimoniale (quali, ad esempio, l'avviamento, o il cosiddetto brand). Dunque, la distinzione introdotta dal Legislatore a discapito dell'azione che la Procura contabile doverosamente esplica per il ristoro patrimoniale, poiche' fondata sulla mera «materialita'» dell'oggetto del pregiudizio, ma non certamente sul contenuto patrimoniale che siffatto pregiudizio connota, non sembra sostenuta da alcuna logica e razionale argomentazione, avendo il Legislatore stesso introdotta una effettiva non perseguibilita' di condotte dannose che non siano quella gia' sanzionate nella sede penale da una condotta passata giudicato e che, purtuttavia, sono idonee a ingenerare nello «Stato/Comunita'» sfiducia nella p.a., comportandole spese, anche generali e di riorganizzazione del sistema, per il ripristino della sua immagine (SS.UU.8098/2007 cit.). Accedendo, in sostanza, a questa interpretazione - cioe' all'avvenuta introduzione nell'ordinamento di un limite alla tutela del bene patrimoniale costituito dall'immagine dal decoro della p.a. - il collegio ritiene che la disposizione dell'art. 17, comma 30-ter del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall'art. 1, comma 3, decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, nei periodi secondo e terzo, si ponga in contrasto con le previsioni degli articoli 3, 24, 54 e 97 della Costituzione, poiche': a) quanto all'art. 3, introduce un'irrazionale differenziazione di tutela e di «concreta» risarcibilita' del danno ed al prestigio della p.a., quale danno patrimoniale consistente «nella spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso», rispetto a tutti gli altri tipi di danno sofferti dalla p.a. medesima, aventi - anch'essi - rilievo patrimoniale, proprio come il danno all'immagine; b) quanto all'art. 24, prevede che la Procura erariale, pur potendo (dovendo) - in tesi - sempre agire a tutela delle ragioni risarcitorie della p.a. per ogni ipotesi di danno, relativamente al danno patrimoniale da «perdita dell'immagine pubblica» (Corte dei conti, centrale, n. 141 del 2009) vede assoggettata siffatta concreta possibilita' all'esercizio (preventivo) dell'azione penale; e) quanto agli articoli 54 e 97, toglie alla p.a. quel diritto ad una piena tutela in tutte quelle ipotesi - non contraddistinte dal rilievo penale e non accertate definitivamente da quel Giudice - nelle quale soggetti ad essa collegati da un rapporto di servizio e dunque con lei in immedesimazione organica, le abbiano causato il danno all'immagine ed al prestigio, esercitando le proprie funzioni senza «disciplina» e «onore» e realizzando, cosi', una lesione ai principi del buon andamento e dell'imparzialita', che hanno oramai assunto concreto contenuto quali vere e proprie ricadute del dovere (di servizio) sui terzi destinatari e sullo Stato/Comunita' nel complesso considerato. Necessario corollario a quanto precede - che ulteriormente sembra confermare l'irrazionalita della disposizione in esame nella premessa interpretazione - e' costituito dall'osservazione che, in palese contrasto con l'art. 17, comma 30-ter, periodo secondo e terzo, si pongono, disposizioni pressoche' coeve recate dalla legge 4 marzo 2009, n. 15 (che, in quanto legge-delega, contiene principi e criteri direttivi in base ai quali il Governo emanera' coerenti atti normativi sub primari), in base alle quali il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni sara' regolato da un «sistema piu' rigoroso di responsabilita' dei dipendenti pubblici» (art. 2, comma 1, lettera f), tale da prevedere «a carico del dipendente responsabile, l'obbligo del risarcimento del danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonche' del danno all'immagine subito dall'amministrazione», dando luogo, cosi', ad ipotesi di risarcibilita' del danno all'immagine non vincolate dal preventivo accertamento definitivo della giurisdizione penale. 4.2 - Accedendo, invece, all'altra possibile interpretazione in principio definita, in base alla quale, la tutela - comunque piena - della p.a. in ipotesi di sofferto danno all'immagine ed al prestigio debba essere perseguita in differenti sedi giurisdizionali (cioe' dinanzi alla Corte dei conti per le fattispecie costituenti «anche» reato; dinanzi ad altro Giudice in tutti gli altri casi) il Collegio ha individuato altri profili di censura. La limitazione, della quale si sta trattando, infatti, sembra irradiarsi al profilo consistente nella verifica della congruita' dell'esercizio del potere del Legislatore di esplicare la interpositio nel dare contenuto corretto alla previsione costituzionale dell'art. 103 Cost., che, al comma 2, attribuisce alla Corte dei conti la «giurisdizione nelle materie di contabilita' pubblica». E' ormai ius receptum che, non solo per le «altre materie» alle quali lo stesso art. 103 fa riferimento, ma anche a quella della «contabilita' pubblica», l'attribuzione della giurisdizione debba essere in concreto regolata dalla normazione primaria. Ebbene, senza alcun intento di voler indurre la Corte, in quest'occasione, ad un generale ripensamento sulla necessarieta' dell'interpositio, il Collegio ritiene che, dal tenore testuale dell'art. 103, possa ricavarsi che, con riferimento alle «materie di contabilita' pubblica», l'attribuzione della giurisdizione alla Corte dei conti debba considerarsi quantomeno, «tendenziale». Ritiene il Collegio che questa distinzione, che la norma stessa contiene proprio discernendo le «materie di contabilita' pubblica» dalle «altre» materie, pone le prime su di un piano diverso e piu' pregnante rispetto alle seconde, nel senso che l'ambito di discrezionalita' legislativa nell'identificare il contenuto concreto di tutte le «materie» riguardate dall'art. 103, comma secondo, non e' uniforme ed e' certamente piu' ampio con riferimento alle seconde rispetto alle prime. In altri termini, nel mentre e' amplissima la discrezionalita' esercitabile dal Legislatore nel regolare la giurisdizione della Corte dei conti in materie estranee a quelle della «contabilita' pubblica», quanto alle ultime questi incontra maggiore vincolo nel precetto costituzionale per sottrarre alla giurisdizione della. Corte materie che sono, invece, del tutto attinenti alla «contabilita' pubblica», tra le quali e' certamente compresa quella della responsabilita' amministrativa patrimoniale per danno erariale sia pure - nel caso - per i soli profili attinenti. Sotto questo profilo, dunque, la disposizione dubitata finisce per incidere irrazionalmente - sul mero discrimine, del quale s'e' gia' detto, della natura «materiale» o «immateriale» del bene attraverso il quale i1 danno erariale s'e' verificato e della rilevanza penale, definitivamente accertata, della stessa condotta lesiva - su quel complessivo assetto che il riparto di giurisdizione ha fin qui realizzato. In quest'ottica il Collegio ha ben considerato, infatti, che la Corte costituzionale gia' chiaramente affermato quanto ampi siano i limiti d'espansione della discrezionalita' del legislatore «nell'assetto delle giurisdizioni e nell'apprestamento dei mezzi di tutela di beni che soddisfano pubblici interessi anche di carattere primario», tale da rendere quella discrezionalita' sindacabile nel giudizio di costituzionalita' solo per assoluta irrazionalita', (in termini l'ordinanza n. 1162 del 15/29 dicembre 1988, in materia di giurisdizione sul danno ambientale). La stessa Corte costituzionale, pero', piu' di recente ha ben delineato l'armonia complessa di giurisdizione, indicando (sentenza 28 aprile/6 luglio 2004, n. 204) quali siano i limiti che la Costituzione ha inteso porre alla discrezione del legislatore nel definire siffatto riparto, non vulnerandone l'equilibrio complessivo. Tanto piu' ove si consideri che i limiti a ben definite ipotesi l'azione della Procura contabile per il risarcimento del danno da perdita dell'immagine e prestigio da parte della p.a., esclude dall'ambito della giurisdizione della Corte dei conti una consistente e - socialmente ed economicamente parlando - piu' che rilevante parte della responsabilita' erariale, a scapito dell'assetto etico e dei valori della Costituzione repubblicana nel suo complesso, espressi - nel caso dall'intero Titolo II della Parte I, in rapporto ai gia' citati articoli 28, 54 e 97, nonche' dalle stesse disposizioni transitorie e finali che hanno inteso escludere dal riassetto complessivo delle giurisdizioni anche la Corte dei conti, esistente proprio in ragione della sua specializzazione. Da quest'ultimo punto di vista; dunque, non e' pensabile, con razionalita' conforme a Costituzione, che la materia cosi' sottratta alla giurisdizione specializzata proprio nella tutela dell'Erario - poiche' l'impossibilita' di agire equivale ad una vera e propria sottrazione di giurisdizione - possa essere conosciuta da «altro Giudice», stante l'intestazione della materia della contabilita' pubblica alla Corte dei conti, materia nella quale, ovviamente, e' compresa anche l'analisi per il «ripristino del bene giuridico leso», costituito anche dall'immagine e dal prestigio della p.a. Anche perche', sottraendo all'azione doverosa della Procura contabile la tutela della stessa p.a. per il risarcimento di questa tipologia di danno, il legislatore espone irragionevolmente la danneggiata alla discrezionalita' dell'esercizio da parte dei propri Organi, con il rischio non astratto che la tutela perda, in primo luogo, l'effettivita' che l'azione del Procuratore contabile deve tendere ad assicurare; nonche' con quello che le persone che in siffatti Organi s'immedesimano siano esse stesse le potenziali danneggianti, realizzandosi in capo a costoro un'insostenibile posizione di conflitto di interesse, a tutto discapito dell'effettivita' dei mezzi di ripristino del patrimonio della danneggiata. Nella stessa ottica, ma per un diverso profilo, il Collegio non puo' esimersi, poi, dall'evidenziare un ulteriore dubbio di legittimita' costituzionale della disposizione piu' volte menzionata, per violazione del combinato degli articoli 3 e 103, secondo comma, avuto riguardo proprio alla posizione degli stessi presunti responsabili. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 371 dell'11/20 novembre 1998, ha avuto modo di dichiarare non fondata la questione di legittimita' dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, nella parte in cui limita la responsabilita' dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave. Tale disposizione e la sua applicazione in giurisprudenza hanno finito per determinare quel che un'autorevole dottrina ha definito «statuto della responsabilita' amministrativa», con cio' volendo identificare l'insieme delle specificita' proprie del giudizio risarcitorio, nei termini che il diritto vivente ha finito per elaborare. Orbene, da un'interpretazione della dubitata disposizione, quale sottrattiva alla Corte dei conti della giurisdizione su talune ipotesi di responsabilita' per danno erariale all'immagine ed al prestigio della p.a., deriva l'effetto che: innanzi alla Corte, per le ipotesi residue sottoposte alla sua giurisdizione, operino quei limiti alla rilevanza dell'elemento psicologico che il legislatore ha inteso porre, in quanto «arbitro di stabilire non solo quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilita', ma anche quale grado di colpa sia richiesto ed a quali soggetti la responsabilita' sia ascrivibile, senza limiti o condizionamenti che non siano quelli della non irragionevolezza e non arbitrarieta'» (sent. n. 371/1998 cit.); innanzi ad «altro Giudice», competente a conoscere quelle ipotesi di danno all'immagine non conseguenti a fatti reato accertati in via definitiva, siffatti limiti di rilevanza non sarebbero, invece, operanti, in quanto propri del processo contabile e ad esso solamente applicabili, con la conseguenza, persino paradossale, che ipotesi di violazione di doveri di servizio di piu' lieve entita' comportanti danno all'immagine e al prestigio della p.a. finiscano per esser perseguiti in base ad elementi di valutazione della condotta persino piu' rigorosi e senza limiti di perseguibilita' anche di fattispecie connotate da responsabilita' meramente formale. 5. - Il Collegio ritiene, altresi', che fondati dubbi sulla non conformita' a Costituzione della disposizione ridetta siano individuabili in dipendenza di almeno altre due considerazioni, distinte ad autonome, rispetto a quelle sin qui esplicitate. 5.1- Una prima considerazione si appunta sulla previsione costituzionale dell'art. 81, quarto comma, in base al quale «ogni altra legge che importi nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte», ponendo cosi', al Legislatore, l'obbligo di prevedere la copertura anche delle «maggiori spese» derivanti dall'impossibilita' di conseguire un'entrata gia' autorizzata dall'ordinamento. Ad avviso del Collegio e' meritevole di esser sottoposto al vaglio della Corte costituzionale l'effetto prodotto dalla dubitata disposizione in termini di limite introdotto al ristoro di un danno sofferto. In sostanza, limitando obbiettivamente la risarcibilita' del danno all'immagine della p.a. provocato dalla condotta illecita, dei propri amministratori e dipendenti ed escludendo, in forza di tale limite, la risarcibilita' del danno avverato fattispecie nelle quali la condotta non abbia avuto anche rilievo penale, il Legislatore ha privato l'Amministrazione della possibilita' di conseguire, quel giusto ristoro patrimoniale realizzabile mediante l'azione di responsabilita' amministrativa. Dunque, correlativamente ha imposto alla medesima p.a. di sostenere con risorse proprie siffatto ristoro, senza poter attingere, a tali fini, al patrimonio del danneggiante. La disposizione dubitata, pero', non reca la provvista finanziaria necessaria a provvedere a siffatto ristoro, cosi' che la «maggiore spesa» che essa reca e' priva di adeguata copertura finanziaria, tanto da far ritenere che, anche sotto questo profilo, essa si ponga in contrasto con il precetto costituzionale indicato. 5.2 - Una seconda considerazione concerne lo strumento processuale mediante il quale chi vi abbia interesse puo' far dichiarare al Giudice la nullita' conseguente all'avvenuta violazione dei limiti indicati nel primo e nel secondo periodo del comma. Infatti: l'art. 17, comma 30-ter, ai periodi secondo e terzo, ha previsto limiti all'esercizio dell'azione da parte della Procura contabile. Lo stesso articolo, al medesimo comma, ha introdotto, al quarto periodo, la previsione di un procedimento ad istanza di parte (autonomo o incidentale, a seconda della fase nella quale esso sia avviato), mediante il quale «chiunque vi abbia interesse» puo' chiedere alla Corte l'accertamento della «nullita'» degli atti istruttori o processuali posti in essere in violazione dei limiti stessi. Il Collegio, dal tenore letterale della disposizione, osserva che il Legislatore ha introdotto ipotesi di nullita' che la dottrina processuale inquadra nella categoria di quelle cosiddette «relative», cioe' di quelle che il Giudice non puo' rilevare d'ufficio, ma che conosce esclusivamente in conseguenza dell'iniziativa della parte interessata; analoga a quella prevista, dall'art. 157 c.p.c. per il rito civile, al quale il processo per responsabilita' amministrativa patrimoniale dinanzi alla Corte dei conti prevalentemente si ispira. Il contesto cosi' delineato ha indotto il Collegio a porre in dubbio la coerenza della disposizione (le limitazioni contenute, in combinato con lo strumento procedimentale per la loro rilevazione, stabilito dal quarto periodo) con il principio del «giusto processo» contenuto nell'articolo 111 Cost. Infatti, la disposizione e' suscettibile di provocare una sorta di «doppio binario» processuale, ad assetto variabile, in quanto per gli stessi fatti i limiti posti all'azione della Procura, sanzionati con la nullita', sono operanti esclusivamente se chi vi ha interesse dia o meno corso al giudizio incidentale per l'accertamento della nullita' degli atti istruttori o processuali sui quali si fonda l'addebito. La distinzione non e' di scarso rilievo, poiche' e' evidente che da essa consegue che il risarcimento del danno all'immagine ed al prestigio della p.a. non e' tutto rimesso all'accertamento del Giudice su iniziativa del pubblico ministero, ma - per gli stessi fatti presuntivamente lesivi - e' subordinato all'esercizio detrazione di nullita', introducendo cosi' una distinzione processuale priva di razionali motivi meritevoli di tutela costituzionale. Tutte le considerazioni che precedono inducono, cosi', il Collegio a investir la Corte costituzionale per una pronuncia risolutrice dei dubbi di costituzionalita' insorti anche nel pubblico ministero.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione e 23, commi primo e terzo, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Sospende la decisione nel merito della causa; Solleva in quanto ritenuta rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertite, con modificazione, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall'art. 1, comma 3, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141 periodi secondo, terzo e quarto con riferimento agli articoli 3; 24, primo comma; 97, primo comma; 103, secondo comma; 81, quarto comma; periodi secondo, terzo e quarto con riferimento all'art. 111, primo comma della Costituzione; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale: la notifica dell'ordinanza ai convenuti, al pubblico ministero e al Presidente del Consiglio dei ministri; la comunicazione dell'ordinanza ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Spese riservate al merito. Cosi' disposto a Perugia, nella Camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2009. Il Presidente: Principato