N. 17 SENTENZA 13 - 21 gennaio 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Procedimento  civile  -  Interruzione  automatica  del  processo  per
  fallimento di parte costituita -  Decorrenza  del  termine  per  la
  riassunzione del processo, ad opera  di  parte  diversa  da  quella
  dichiarata fallita, dalla data  dell'interruzione  per  intervenuta
  dichiarazione di apertura di fallimento,  anziche'  dalla  data  di
  effettiva conoscenza dell'evento interruttivo - Asserita disparita'
  di trattamento nonche' violazione  del  diritto  di  difesa  e  del
  principio di parita' delle parti processuali -  Esclusione,  attesa
  la possibilita' di pervenire  ad  una  interpretazione  conforme  a
  Costituzione  della  norma  denunciata  -  Non   fondatezza   della
  questione, nei sensi di cui in motivazione. 
- Cod. proc. pen., art. 305. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111, secondo comma. 
(GU n.4 del 27-1-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO,  Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 305 del  codice
di  procedura  civile  promosso  dal   Tribunale   di   Biella,   nel
procedimento vertente tra la Dimet s.a.s. di De Giovanni &  C.  e  la
Ge.Ber. s.n.c. di Aguiari Renata & C.,  con  ordinanza  del  6  marzo
2009, iscritta al n. 165 del registro  ordinanze  2009  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24,_1ª  serie  speciale,
dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 16 dicembre 2009  il  giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di Biella, con ordinanza depositata il 6  marzo
2009, ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della  Costituzione,  dell'art.
305 del codice di procedura civile, nella parte in cui  fa  decorrere
dalla interruzione del processo per  l'apertura  del  fallimento,  ai
sensi dell'art. 43, terzo comma, del regio decreto 16 marzo 1942,  n.
267  (Disciplina   del   fallimento,   del   concordato   preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa), introdotto dall'art. 41 del  decreto  legislativo  9
gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure
concorsuali a norma dell'art. 1, comma 5, della legge 14 maggio  2005
n. 80), e  non  dalla  data  di  «effettiva»  conoscenza  dell'evento
interruttivo, il termine per la riassunzione del processo  «ad  opera
di parte diversa da quella dichiarata  fallita  (ovvero  diversa  dai
soggetti che, comunque, hanno  partecipato  al  procedimento  per  la
dichiarazione di fallimento)». 
    2. - Il rimettente riferisce che, con citazione notificata il  24
giugno  2005,  la  Dimet  s.a.s.  di  De  Giovanni  &  C.   proponeva
opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Biella,  su
istanza della Ge.Ber. s.n.c. di Aguiari Renata & C., per il pagamento
della somma di euro 16.768,08, oltre interessi e spese, a  titolo  di
prezzo  per  merce  fornita,  che  l'opponente  contestava  di  avere
acquistato. 
    Con comparsa depositata  all'udienza  di  prima  comparizione  si
costituiva  in  giudizio  la  convenuta  e  contestava  in  toto   le
circostanze allegate da controparte. 
    All'udienza di prima trattazione, il giudice concedeva i  termini
per il deposito di memorie, ai sensi degli artt. 183 e 184 cod. proc.
civ. (secondo la disciplina previgente), ed all'udienza del 17 maggio
2007, fissata per l'ammissione delle prove, il difensore dell'opposta
dichiarava l'intervenuta pronunzia di fallimento della Ge.Ber. s.n.c.
e dei soci illimitatamente responsabili, avvenuta con sentenza emessa
dal Tribunale di Biella depositata il 17 gennaio 2007. 
    Alla stessa udienza del 17 maggio 2007 il processo era dichiarato
interrotto. 
    Con  ricorso  depositato  il  14  settembre   2007   l'opponente,
dichiarandosi interessata alla prosecuzione del giudizio, chiedeva la
fissazione di una nuova udienza; il 29 ottobre 2007 erano  notificati
il ricorso ed il pedissequo decreto ed all'udienza  del  12  febbraio
2008 il fallimento della Ge. Ber. s.n.c. di Aguiari Renata  &  C.  si
costituiva eccependo, in via preliminare, l'estinzione  del  processo
perche' l'opponente non avrebbe riassunto tempestivamente la causa. 
    In particolare, ai  sensi  dell'art.  305  cod.  proc.  civ.,  il
fallimento riteneva che il processo dovesse essere riassunto entro il
termine perentorio di sei mesi dall'interruzione e, tenuto conto  che
in virtu' dell'articolo 43, terzo comma,  della  legge  fallimentare,
come introdotto dall'art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006, l'interruzione
opera automaticamente a  seguito  dell'apertura  del  fallimento,  la
riassunzione era da considerare tardiva, atteso che il fallimento era
stato dichiarato in data 17 gennaio 2007 e la  riassunzione,  invece,
eseguita con ricorso depositato il 14 settembre 2007. 
    Nel merito, gradatamente, chiedeva il rigetto dell'opposizione. 
    Con ordinanza del 22 ottobre  2008,  il  rimettente  invitava  le
parti alla trattazione della questione di diritto posta in  evidenza;
i procuratori delle parti depositavano memorie autorizzate  ed  erano
sentiti all'udienza successiva, nella quale il giudice  si  riservava
di provvedere. 
    3. -  Il  rimettente  ritiene  la  questione  rilevante  per  una
pluralita' di motivi. 
    In primo luogo sottolinea che il  disposto  dell'art.  43,  terzo
comma, della legge fallimentare si applica alla fattispecie in esame,
in quanto la materia  del  contendere  ha  per  oggetto  rapporti  di
diritto patrimoniale dell'impresa  dichiarata  fallita  in  corso  di
causa; inoltre, il giudice a quo osserva che il disposto della  norma
e' applicabile anche ratione temporis perche', ai sensi dell'art. 153
del d.lgs. n. 5 del 2006, la norma citata si applica a partire dal 16
luglio 2006, con la conseguenza che era  vigente  alla  data  del  17
gennaio  2007,  nella  quale  e'  stato  dichiarato   il   fallimento
dell'opposta. 
    A quest'ultimo riguardo, il giudicante pone in evidenza  che  non
giova il richiamo, contenuto  nella  disciplina  transitoria  dettata
dall'art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006, in cui  e'  stabilito  che  i
ricorsi per la dichiarazione di fallimento e le domande di concordato
fallimentare, depositate prima dell'entrata in  vigore  del  medesimo
decreto,  nonche'  le  procedure  di  fallimento  e   di   concordato
fallimentare pendenti alla stessa  data,  sono  definite  secondo  la
legge anteriore; il giudice a quo, infatti, rileva che, nel  caso  di
specie, non si tratta di applicare le norme che regolano la procedura
concorsuale, comunque avviata successivamente al 16  luglio  2006  e,
quindi,  regolata  dalle  nuove  disposizioni,  quanto  piuttosto  di
applicare ai processi pendenti la nuova disciplina  processuale  gia'
in vigore all'epoca della dichiarazione di fallimento. 
    Ancora in  tema  di  rilevanza  della  questione,  il  rimettente
prosegue osservando che, ai sensi del novellato art. 43, terzo comma,
legge  fallimentare,  l'interruzione  del  processo,  a  seguito   di
fallimento di una delle parti, opera automaticamente,  a  prescindere
dalla dichiarazione in udienza o dalla  notifica  che  ne  faccia  il
procuratore di parte fallita, e deve essere rilevata anche d'ufficio.
Considerando, pertanto, come dies a quo per il computo del termine di
riassunzione, la data di  apertura  del  fallimento  avvenuta  il  17
gennaio 2007, la riassunzione nella specie operata  dall'attrice  e',
secondo il rimettente, tardiva, avendo questa depositato il  relativo
ricorso in data 14 settembre 2007, anziche' entro il 17 luglio 2007. 
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo,  l'automaticita'   dell'effetto
interruttivo conseguente all'apertura del fallimento  e'  espressione
della volonta' del legislatore, interessato ad accelerare i  processi
in cui  sono  coinvolti  soggetti  dichiarati  falliti,  mediante  la
previsione di un meccanismo che impone agli organi della procedura di
decidere subito che cosa fare in ordine al giudizio in corso. 
    Il giudicante, inoltre, fonda la rilevanza della questione  sulla
ulteriore considerazione che, nel giudizio  a  quo,  non  emerge  che
l'attrice abbia avuto conoscenza della  dichiarazione  di  fallimento
della convenuta prima della dichiarazione effettuata all'udienza  del
17 maggio 2007, non risultando che la  stessa  abbia  partecipato  al
procedimento per la dichiarazione di fallimento. 
    Neppure assume rilievo la circostanza che, ai sensi dell'art.  16
della legge in esame, gli effetti della sentenza  di  fallimento  nei
riguardi dei terzi si producono alla data di iscrizione di  essa  nel
registro   delle   imprese,   cosi'   richiamando,    implicitamente,
l'operativita' dell'art. 2193 del codice civile. Sotto tale  profilo,
il Tribunale riferisce che la convenuta non ha indicato se  e  quando
e'  stata  effettuata   tale   iscrizione,   e   che,   inoltre,   la
giurisprudenza di legittimita' e' consolidata  nel  ritenere  che  la
presunzione di conoscenza da parte dei terzi  dei  fatti  di  cui  la
legge prescrive l'iscrizione nel  registro  delle  imprese,  a  norma
dell'art. 2193 cod. civ., non opera in campo processuale, regolato da
norme speciali (Cass., nn. 15234 e 6948 del 2007, nn.  12387  e  8908
del 2004). 
    Secondo il rimettente, sebbene si tratti  di  una  giurisprudenza
sorta prima della modifica dell'art. 43,  terzo  comma,  della  legge
fallimentare, quando la dichiarazione di fallimento veniva ricondotta
alla  disciplina  prevista  dall'art.  300  cod.  proc.  civ.,   deve
escludersi che essa debba essere rivista, in quanto la  modifica  del
citato art. 43 conferma la specialita' della disciplina prevista  per
la sopravvenuta dichiarazione di fallimento nei rapporti  processuali
pendenti. 
    Il giudice a quo, infine, osserva che la questione  e'  rilevante
nel giudizio in corso, perche', trattandosi di opposizione a  decreto
ingiuntivo, l'eventuale accoglimento dell'eccezione di estinzione del
giudizio comporterebbe  l'acquisto,  da  parte  del  decreto  stesso,
dell'efficacia esecutiva prevista dall'art. 653 cod. proc. civ. 
    4. -  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
riferisce che l'art.  305  cod.  proc.  civ.,  se  applicato  sic  et
simpliciter all'ipotesi disciplinata dall'art. 43, terzo comma, legge
fallimentare, si pone in contrasto con l'art. 24 Cost.,  nella  parte
in cui stabilisce che la difesa e' un  diritto  inviolabile  in  ogni
stato e grado del procedimento; cio' in quanto la parte in causa, che
non abbia avuto notizia della dichiarazione di  fallimento,  rischia,
come nella specie e' in concreto avvenuto, di subire gli effetti  del
decorso del termine semestrale per la riassunzione  del  processo  e,
quindi, la sanzione dell'estinzione del giudizio  (nella  specie  con
l'acquisto dell'efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo  opposto),
senza che ad essa sia imputabile alcuna inerzia colpevole, non avendo
avuto notizia dell'evento interruttivo. 
    Sotto il profilo della  violazione  del  diritto  di  difesa,  il
rimettente, a fondamento delle proprie  argomentazioni,  richiama  le
sentenze  n.  159  del  1971  e  n.  139   del   1967   della   Corte
costituzionale,   le   quali   hanno   dichiarato    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 305 cod. proc. civ., proprio con riferimento
all'art. 24 Cost., nella  parte  in  cui  prevedeva  che  il  termine
semestrale per la riassunzione o prosecuzione del processo interrotto
decorresse dalla verificazione degli eventi contemplati  negli  artt.
299, 300, comma 3, e 301 cod. proc. civ., anziche' dalla data in  cui
le parti avessero avuto conoscenza di tali eventi. 
    La questione, inoltre, non e' manifestamente infondata anche  con
riferimento  all'art.  3  Cost.,  e  cio'  in  quanto,   secondo   il
rimettente,  vi  e'  una  evidente  disparita'  di  trattamento   tra
l'impresa fallita e gli eventuali creditori che  abbiano  partecipato
alla fase prefallimentare  e  la  parte  in  lite  nel  processo  poi
interrotto che, invece, a tale procedura non abbia partecipato. 
    Il rimettente, infine, riferisce che la norma impugnata  si  pone
in contrasto anche con l'art. 111, secondo comma, Cost., nella  parte
in cui stabilisce che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra
le parti in condizioni di parita'. 
    In particolare, non vi sarebbe parita' tra  la  parte  dichiarata
fallita, quelle che hanno partecipato  alla  fase  prefallimentare  e
l'altra parte in lite, che non  ha  partecipato  alla  procedura,  in
quanto, mentre la prima  non  puo'  non  essere  a  conoscenza  della
intervenuta dichiarazione di fallimento, che  determina  l'automatica
interruzione del processo e puo', quindi, attivarsi  nel  termine  di
sei mesi per riassumerlo, la  seconda,  invece,  puo'  non  essere  a
conoscenza  della  verificazione  del  fatto  interruttivo,  e  vede,
dunque, decorrere inutilmente detto termine. 
    Il rimettente, pertanto, sostiene che l'esigenza di accelerazione
del  processo,   espressione   del   principio   fondamentale   della
ragionevole durata dello stesso, «va di pari passo  con  il  rispetto
delle fondamentali garanzie di difesa e  del  diritto  dei  soggetti,
nella cui sfera giuridica l'atto finale e' destinato ad esplicare gli
effetti, alla partecipazione al processo in condizioni di parita'». 
    5. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato il 7 luglio 2009. 
    La difesa erariale sostiene  che  la  questione  di  legittimita'
costituzionale, sollevata dal Tribunale di  Biella,  dovrebbe  essere
ritenuta manifestamente  inammissibile,  perche'  il  rimettente  non
avrebbe   esperito   il   doveroso   tentativo   di   ricercare   una
interpretazione costituzionalmente orientata  della  norma  censurata
(al riguardo, richiama le sentenze della Corte costituzionale n.  191
del 2009 e n. 422 del 2008). 
    Nell'attuale  sistema  processuale,  infatti,  a  seguito   delle
sentenze della Corte costituzionale n. 159 del  1971  e  n.  139  del
1967, richiamate dal rimettente, e delle sentenze n. 36 del 1976 e n.
178 del 1970, e' principio consolidato che l'art. 305 cod. proc. civ.
vada interpretato nel senso che il termine per  la  riassunzione  del
processo interrotto  decorre  non  gia'  dal  giorno  in  cui  si  e'
verificato l'evento interruttivo, bensi' da quello in cui tale evento
sia venuto in forma legale a conoscenza della parte interessata  alla
riassunzione; in tal senso la difesa erariale indica quale  pronunzia
recente la  sentenza  n.  5348  dell'8  marzo  2007  della  Corte  di
cassazione. 
    Pertanto,  ad   avviso   della   difesa   erariale,   a   seguito
dell'introduzione di una nuova ipotesi di interruzione automatica del
giudizio, era doveroso per il giudice a quo valutare la  possibilita'
di interpretare l'art. 305 cod. proc. civ. nei termini esposti. 
    Nell'atto   d'intervento,   a    riprova    della    possibilita'
d'interpretare la norma impugnata in senso conforme  a  Costituzione,
l'Avvocatura generale richiama la sentenza n. 2976  del  10  febbraio
del 2009, emessa dal Tribunale di Roma, che, decidendo in  ordine  ad
una eccezione di estinzione del processo analoga a quella oggetto del
caso  qui  in  esame,  afferma  «che,   sebbene   le   pronunzie   di
incostituzionalita' abbiano riguardato gli articoli 299,  300  e  301
cod. proc. civ. e non anche  il  sopravvenuto  art.  43  della  legge
fallimentare  e',  pero',  vero  che  detta   norma   nulla   dispone
sull'aspetto della riassunzione,  ne'  contiene  alcun  elemento  dal
quale desumere che il legislatore abbia inteso porre  regole  diverse
da quelle accolte dall'art. 305 cod. proc.  civ.  nella  sua  lettura
costituzionalmente orientata». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  Il  Tribunale  di  Biella,  con  l'ordinanza  indicata  in
epigrafe, dubita della legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
agli articoli  3,  24  e  111,  secondo  comma,  della  Costituzione,
dell'articolo 305 del codice di procedura civile, nella parte in  cui
«fa  decorrere  dalla  data  dell'interruzione   del   processo   per
intervenuta dichiarazione di apertura di fallimento ex art. 43, terzo
comma, della legge fallimentare (comma introdotto  dall'art.  41  del
decreto legislativo n. 5 del 2006 - Riforma organica della disciplina
delle procedure concorsuali a norma dell'art. 1, comma 5, della legge
14 maggio 2005 n. 80) - e non  dalla  data  di  effettiva  conoscenza
dell'evento interruttivo, il termine per la riassunzione del processo
ad opera di  parte  diversa  da  quella  dichiarata  fallita  (ovvero
diversa dai soggetti che comunque hanno partecipato  al  procedimento
per la dichiarazione di fallimento)». 
    Il giudice a quo solleva la questione nell'ambito di un  giudizio
di opposizione a decreto ingiuntivo,  emesso  per  il  pagamento  del
corrispettivo di una fornitura di  merce,  che  l'opponente  nega  di
avere acquistato. Nel corso  dell'udienza  del  17  maggio  2007,  il
difensore dell'opposta ha dichiarato che, con sentenza del 17 gennaio
2007, il Tribunale di  Biella  ha  pronunziato  il  fallimento  della
societa' dal difensore medesimo assistita e dei soci  illimitatamente
responsabili; in quella  stessa  udienza  il  giudice  ha  dichiarato
interrotto il processo. 
    A  seguito  della  riassunzione  effettuata  dall'opponente   con
ricorso depositato il 14 settembre 2007,  e'  stata  fissata  per  il
prosieguo l'udienza del 12 febbraio 2008, nella quale  il  fallimento
si e' costituito  eccependo  l'estinzione  del  processo  perche'  il
giudizio non sarebbe stato riassunto entro il termine  perentorio  di
sei mesi dall'interruzione, avvenuta, per effetto dell'art. 43, terzo
comma, della legge fallimentare (regio decreto 16 marzo 1942, n.  267
-   Disciplina   del   fallimento,   del    concordato    preventivo,
dell'amministrazione  controllata   e   della   liquidazione   coatta
amministrativa, come modificato dal  decreto  legislativo  9  gennaio
2006, n. 5, e dal decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169),  il
17 gennaio 2007, data  della  sentenza  dichiarativa  del  fallimento
stesso. Pertanto, la riassunzione di cui al ricorso depositato il  14
settembre 2007 sarebbe tardiva. 
    In questo quadro,  il  rimettente  ritiene  necessario  sollevare
questione di legittimita' costituzionale, nei termini sopra  indicati
ed in riferimento ai parametri costituzionali  richiamati,  dell'art.
305 cod. proc. civ., in quanto, ai sensi del novellato art. 43, terzo
comma, della  legge  fallimentare,  l'interruzione  del  processo,  a
seguito del fallimento di una delle parti, opera  automaticamente,  a
prescindere dalla dichiarazione in udienza o dalla  notifica  che  ne
faccia il procuratore della parte fallita,  e  deve  essere  rilevata
d'ufficio, provocando  il  decorso  del  termine  semestrale  per  la
prosecuzione o riassunzione, in difetto delle quali  il  processo  si
estingue, ai sensi dell'art. 305 cod. proc. civ. 
    La  disposizione  impugnata,  dunque,  se   applicata   al   caso
contemplato dall'art. 43, terzo comma, della legge  fallimentare,  ad
avviso del rimettente si pone in contrasto con  l'art.  3  Cost.,  in
quanto introduce una disparita' di trattamento tra l'impresa  fallita
e  gli  eventuali  creditori  che  abbiano  partecipato   alla   fase
prefallimentare, da un  lato,  e  la  parte  in  causa  nel  processo
interrotto, che invece a tale fase non abbia partecipato, dall'altro;
inoltre, viola gli artt. 111, secondo comma, e 24  Cost.,  in  quanto
soltanto la parte dichiarata fallita  e  le  altre  parti  che  hanno
partecipato alla fase prefallimentare possono attivarsi  nel  termine
legale  per  riassumere  il  processo,  mentre  l'altra  parte  «vede
decorrere  questo  termine  senza  che   sia   a   conoscenza   della
verificazione del fatto interruttivo»; pertanto  soltanto  la  parte,
che non ha avuto notizia della dichiarazione di  fallimento,  subisce
gli effetti del decorso del termine per la riassunzione del  processo
e, quindi, la sanzione dell'estinzione del giudizio senza che le  sia
addebitabile alcuna colpevole inerzia. 
    2. - La questione non e' fondata, nei sensi di seguito indicati. 
    3. - Si deve premettere che la disciplina  dell'interruzione  del
processo, prevista dagli articoli 298 e seguenti,  cod.  proc.  civ.,
risponde   alla   necessita'   di   garantire   l'effettivita'    del
contraddittorio e, come ribadito da questa Corte con sentenza n.  109
del 2005, di consentire alla parte colpita  dall'evento  interruttivo
«di difendersi in giudizio usufruendo di tutti i  poteri  e  facolta'
che la legge le riconosce». 
    Il legislatore, infatti, ha previsto che la morte della  parte  o
del suo rappresentante legale, la perdita della capacita' di stare in
giudizio di  una  delle  parti  o  del  rappresentante  legale  e  la
cessazione di tale rappresentanza, la morte, radiazione o sospensione
del difensore costituiscono eventi che incidono in modo  determinante
sull'effettivita' del contraddittorio; al verificarsi di uno di  tali
fatti  la  parte  non  e'  piu'  nella  possibilita'  di   difendersi
adeguatamente, e dunque l'interruzione  del  processo  e'  necessaria
fino a quando non sia ristabilita la detta effettivita'. 
    Accanto  all'esigenza  primaria  di  tutelare  la  parte  colpita
dall'evento,   vi   e',   pero',   un'ulteriore   finalita'   sottesa
all'istituto dell'interruzione, consistente nel tutelare  il  diritto
di difesa  anche  della  parte  cui  il  fatto  interruttivo  non  si
riferisce; essa, quindi, deve essere in grado di conoscere se si  sia
o meno verificato l'evento interruttivo e,  in  caso  positivo,  deve
essere posta nelle condizioni di sapere da quale momento  decorre  il
termine semestrale per la riassunzione (ora trimestrale, per  effetto
dell'entrata  in  vigore  della  legge  18  giugno  2009,  n.  69   -
Disposizioni  per  lo  sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la
competitivita',  nonche'  in  materia  di  processo  civile   -   non
applicabile nella fattispecie qui in esame ratione temporis). 
    Muovendosi in tale prospettiva questa Corte, con sentenza n.  139
del 1967, dichiaro'  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  305
cod. proc. civ.  «per  la  parte  in  cui  fa  decorrere  dalla  data
dell'interruzione del processo il termine per la sua  prosecuzione  e
la sua riassunzione anche nei casi regolati dal precedente art. 301».
Quest'ultima norma stabilisce che, se la parte e' costituita a  mezzo
di procuratore, il processo e' interrotto  dal  giorno  della  morte,
radiazione o sospensione del procuratore stesso. 
    La  citata  sentenza,  dopo  aver  rilevato  che  l'automaticita'
dell'interruzione e' posta a tutela del diritto di difesa della parte
che resta priva di ius postulandi,  sicche'  far  risalire  l'effetto
interruttivo alla data dell'evento, come disposto nell'art. 301  cod.
proc. civ., risulta coerente col dettato dell'art. 24 Cost., osservo'
che, invece, non era conforme a tale  precetto  la  regola  stabilita
dall'art. 305 cod. proc. civ., nella parte in  cui  faceva  decorrere
dalla data dell'evento ivi previsto, anziche' dalla  dichiarazione  o
dalla  notificazione  del  medesimo,  il  termine  stabilito  per  la
prosecuzione o la riassunzione del processo. Infatti, il  diritto  di
difesa deve essere assicurato in  modo  effettivo  ed  adeguato,  nel
rispetto dell'esigenza di non rendere impossibile il contraddittorio,
che non si puo' svolgere senza  la  conoscenza  delle  situazioni  di
fatto oggettive  e  soggettive  cui  la  legge  collega  il  concreto
esercizio di quel diritto. 
    Ispirandosi al principio ora indicato, questa Corte, con sentenza
n. 34 del 1970, pronunziata in  tema  di  sospensione  del  processo,
dichiaro' l'illegittimita' costituzionale dell'art. 297, primo comma,
cod. proc. civ., «nella  parte  in  cui  dispone  la  decorrenza  del
termine utile per la richiesta  di  fissazione  della  nuova  udienza
dalla cessazione della causa di sospensione anziche' dalla conoscenza
che ne abbiano le parti del processo sospeso». 
    Con sentenza n. 159 del 1971,  seguendo  lo  stesso  iter  logico
delle   precedenti   decisioni,   fu   dichiarata    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 305 cod. proc. civ.,  «nella  parte  in  cui
dispone  che  il  termine  utile  per  la  prosecuzione  o   per   la
riassunzione del processo interrotto ai  sensi  dell'art.  299  dello
stesso codice decorre dall'interruzione anziche' dalla data in cui le
parti ne abbiano avuto conoscenza»; e, in applicazione  dell'art.  27
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento  della  Corte  costituzionale),  fu  anche   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale del detto art. 305, «nella  parte  in
cui dispone che il  termine  utile  per  la  prosecuzione  o  per  la
riassunzione del processo interrotto a sensi del precedente art. 300,
terzo comma, decorre dall'interruzione anziche' dalla data in cui  le
parti ne abbiano avuto conoscenza». 
    L'indirizzo  stabilito  nelle  pronunzie  menzionate   e'   stato
ribadito da questa Corte anche con la sentenza n.  36  del  1976,  la
quale, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  19,
primo comma, della legge 28 luglio 1971 n. 585 (Nuove provvidenze  in
materia di pensioni di guerra), nella parte in cui disponeva  che  il
termine per la riassunzione del processo interrotto, a seguito  della
morte del ricorrente, decorresse dalla  interruzione  anziche'  dalla
data in cui gli eredi del ricorrente ne avessero avuto conoscenza, ha
segnalato la necessita', gia' posta in evidenza  nella  pronunzia  n.
159 del 1971, che la tutela giurisdizionale ed il diritto  di  difesa
siano garantiti in ogni stato e grado del procedimento. 
    4.- In  base  ai  principii  affermati  da  questa  Corte  si  e'
consolidato  nella  giurisprudenza  di  legittimita'   l'orientamento
secondo cui «il termine per la riassunzione del  processo  interrotto
decorre non  gia'  dal  giorno  in  cui  si  e'  verificato  l'evento
interruttivo, bensi' da quello in cui tale evento sia venuto in forma
legale a conoscenza della parte interessata alla  riassunzione»,  con
la conseguenza che il relativo dies a quo «puo'  ben  essere  diverso
per una parte rispetto all'altra» (ex multis: Cass., sent. nn.  24857
e 20361 del 2008, n. 5348 del 2007, n.  974  del  2006,  n.16020  del
2004, n. 6654 del 2003 e n. 12706 del 2001). 
    Il richiamo del rimettente alla sentenza pronunziata dalla  Corte
di cassazione a Sezioni Unite n. 7443 del 2008 non appare pertinente,
perche' da essa risulta che il collegio ha soltanto posto in evidenza
che,  per  effetto  della   modifica   dell'art.   43   della   legge
fallimentare, la dichiarazione di fallimento determina l'interruzione
automatica del processo, senza riferirsi alla decorrenza del  termine
per la riassunzione, come, invece, sembra ritenere il giudice a quo. 
    5.- Da quanto  esposto  consegue  che,  nel  vigente  sistema  di
diritto processuale  civile,  e'  da  tempo  acquisito  il  principio
secondo cui, nei casi d'interruzione automatica del  processo  (artt.
299, 300, terzo comma, 301, primo comma, cod. proc. civ.), il termine
per la riassunzione decorre non  gia'  dal  giorno  in  cui  l'evento
interruttivo e' accaduto, bensi' dal giorno in cui esso e'  venuto  a
conoscenza della parte interessata alla riassunzione medesima. 
    Orbene, l'art. 43 del r.d. n. 267 del 1942, con  il  terzo  comma
(aggiunto dall'art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006),  ha  introdotto  un
nuovo  caso  d'interruzione  automatica  del  processo,   conseguente
all'apertura del fallimento, mentre in precedenza anche  nell'ipotesi
di fallimento della parte, l'interruzione del processo derivava dalla
dichiarazione  in  giudizio   o   dalla   notificazione   dell'evento
interruttivo ad opera del procuratore costituito della parte medesima
(ex multis: Cass., Sez. Un., n. 7443 del 2008,  e  giurisprudenza  in
essa  richiamata).  La  disposizione  menzionata,  pero',  nulla   ha
previsto per la riassunzione, sicche' al riguardo continua a  trovare
applicazione l'art. 305 cod.  proc.  civ.,  nel  testo  risultante  a
seguito delle ricordate pronunzie di questa Corte e del principio  di
diritto che sulla base di esse si e' consolidato. Infatti,  non  sono
ravvisabili ragioni idonee a giustificare, per la fattispecie qui  in
esame, una disciplina giuridica diversa rispetto alle  altre  ipotesi
d'interruzione automatica, attesa l'identita' di ratio e di posizione
processuale delle parti interessate, che le accomuna. 
    Per costante giurisprudenza di questa  Corte,  nessuna  norma  di
legge  puo'  essere  dichiarata  costituzionalmente  illegittima  sol
perche' e' suscettibile di essere interpretata in senso  contrastante
con i precetti costituzionali, ma deve esserlo  soltanto  quando  non
sia possibile attribuirle un significato  che  la  renda  conforme  a
Costituzione (ex plurimis: sentenze n. 276 del 2009, n. 165 del 2008,
n. 379 del 2007; ordinanze nn. 341, 268, 165 del  2008,  n.  115  del
2005). 
    Ne segue la non  fondatezza,  nei  sensi  sopra  indicati,  della
questione sollevata. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 305 del codice  di
procedura civile, sollevata, in riferimento agli  articoli  3,  24  e
111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di  Biella  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                       Il redattore: Criscuolo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 21 gennaio 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola