N. 24 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 novembre 2009
Ordinanza . Responsabilita' amministrativa e contabile - Esercizio dell'azione per danno all'immagine da parte della Procura della Corte dei conti limitato ai casi e modi previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001 (rilevanza penale dell'illecito amministrativo) - Prevista sospensione del termine di prescrizione fino alla conclusione del procedimento penale - Prevista nullita' di qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere, in violazione delle predette disposizioni, subordinata all'azione di chiunque vi abbia interesse - Lesione del principio di uguaglianza, del diritto di azione e del principio del giudice naturale - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione e di riserva alla Corte dei conti delle questioni relative alla responsabilita' contabile ed amministrativa. - Decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30-ter, inserito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, modificato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 2009, n. 141. - Costituzione, artt. 2, 3, 24, 25, 97 e 103.(GU n.7 del 17-2-2010 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 121/2009 nel giudizio di responsabilita', iscritto al n. 15577 del registro di Segreteria, promosso dalla Procura regionale della Corte dei conti nei confronti di: 1) Stroili Emanuela, nata il 23 giugno 1956 ad Udine e residente a Trieste, via S. Francesco D'Assisi n. 9, rappresentata e difesa dall'avv. Anselmo Torchia ed elettivamente domiciliata nel suo studio in Catanzaro alla via Crispi n. 37; 2) Filocamo Giovanni, nato il 18 settembre 1936 a Serra S. Bruno e residente in Roccella Jonica, c.da Mellisari, rappresentato e difeso dall'avv. Valerio Zimatore ed elettivamente domiciliato nel suo studio via Buccarelli n. 49; 3) Biamonte Peppino, nato il 18 marzo 1948 a San Pietro Apostolo ed ivi residente in C.so Vittorio Emanuele II, rappresentato e difeso dagli avv.ti Antonio Masi e Gianfranco Spinelli ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Amato, via F. Priolo n. 7; 4) Sgro' Andrea Luigi, nato a Lungo l'11 aprile 1938 e residente in Catanzaro alla via Nicola Misasi n. 40, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alfredo Gualtieri e Giuseppe Iannello, con i quali domicilia in Catanzaro alla via F. Crispi n. 18; Uditi, nella pubblica udienza del 22 ottobre 2009, il giudice relatore Ida Contino, il vice procuratore generale dott. Salvatore Librandi, l'avv. Alfredo Gualtieri, l'avv. Valerio Zimatore, l'avv. Anselmo Torchia e gli avv.ti Antonio Masi e Gianfranco Spinelli. Esaminati gli atti ed i documenti del fascicolo processuale. F a t t o Con atto introduttivo depositato il 13 luglio 2007, la Procura regionale presso questa sezione ha citato gli odierni convenuti per sentirli condannare a titolo di dolo o, in via subordinata a titolo di colpa grave, al risarcimento del danno nei confronti dell'Asl n. 9 di Locri. I fatti esposti nell'atto di citazione sono i seguenti: con provvedimento n. 482 del 6 dicembre 1999 ed allegata circolare, la Regione Calabria individuava le linee guida per la realizzazione delle campagne di screening per la diagnosi precoce dei tumori femminili in base all'art. 1, comma 34 e 34-bis della legge 23 dicembre 1996/662. In particolare stabiliva che ogni Azienda sanitaria, al fine di ottenere i finanziamenti relativi alla realizzazione del programma regionale di screening mammografico e citologico, doveva istituire un Centro di Riferimento Aziendale ed un Comitato tecnico al fine di elaborare i progetti aziendali da presentare all'Assessorato alla sanita'; il 30 dicembre 1999 il Direttore Generale dell'A.s. n. 9 istituiva il Centro di Riferimento ed il Comitato tecnico, e, in data 3 marzo 2000, con la deliberazione n. 317/2000, approvava i progetti di screening del cervicocarcinoma e del carcinoma mammario; con nota n. 6261 del 20 febbraio 2001, il Direttore generale Manuela Stroili chiedeva all'Assessorato regionale alla Sanita' di poter acquistare, con l'utilizzo di fondi regionali finalizzati, il sistema mammografico prono con stereotassi digitale denominato Mammotest plus/S Surgical system integrato da mammografo Athena HF-X e da sistema di biopsia della mammella Mammotome; in data 12 aprile 2001, con la nota n. 9086 recante ad oggetto «richiesta somma per screening prevenzione tumori femminili», l'Assessore alla Sanita' della Regione Calabria comunicava al Direttore Generale Stroili che «con decreto n. 31130 del 4 aprile 2001, su proposta dell'Assessore alla Sanita' e' stato dato mandato all'Ufficio di ragioneria di emettere ordinativo di pagamento per la somma di £. 1.280.000.000 per l'espletamento della procedura d'acquisto relativo alla vostra richiesta prot. n. 6261 del 2001». Con deliberazione n. 689 del 21 giugno 2001, il Direttore generale disponeva l'acquisto dell'apparecchiatura dando atto che alla spesa si sarebbe provveduto con i fondi finalizzati di cui al decreto n. 3130 del 4 aprile 2001 dell'Assessorato alla Sanita' «per come comunicazione acquisita al protocollo generale n. 014670 del 30 aprile 2004». Assume parte attrice che l'acquisto del Mammotest plus e dei relativi accessori, tra l'altro utilizzato solo 24 volte e senza alcuna connessione con l'attivita' di screening, avrebbe di fatto impedito la realizzazione dei programmi di screening poiche' le somme destinate a tale acquisto (pari ad € 647.822,88) sarebbero state sottratte alla realizzazione del progetto di prevenzione cui erano state originariamente destinate. Di cio' sarebbero responsabili l'Assessore alla Sanita' Fitocamo ed i dirigenti Biamonte e Sgro' i quali avevano sottoscritto la nota n. 9086. Tale documento «apparentemente» innocuo, a dire di parte attrice, aveva un contenuto ben diverso dal decreto richiamato poiche' gli stanziamenti ivi previsti riguardavano l'intera campagna di screening e non l'acquisto di un solo macchinario. Non solo; nella stessa giornata del 12 aprile 2001 i medesimi formulavano ben dieci missive, aventi lo stesso contenuto, ed indirizzate ai dirigenti di altre Aziende sanitarie ed ospedaliere. Ulteriore responsabilita' e' stata configurata dalla Procura nei confronti del Dirigente generale dell'Azienda n. 9 dott.ssa Stroili; quest'ultima, infatti, aveva nelle sue funzioni deliberato l'acquisto del mammotest plus con fondi a destinazione vincolata, sebbene il macchinario non fosse indispensabile per svolgere lo screening. Peraltro ai fini della valutazione della colpa, parte attrice evidenzia che la Stroili procedeva ad acquistare, a trattativa privata il Mammotest, senza espletare un'apposita gara in conformita' alle disposizioni regionali, alla normativa nazionale ed alle direttive comunitarie. Da tale condotta sarebbe derivato un danno patrimoniale pari ad € 661.064,83 corrispondente alla somma spesa per la strumentazione per la mancata realizzazione dello screening; € 661.064,83 a titolo di danno da disservizio ed € 50.000 per danno all'immagine. Con riferimento a tale ultima posta di danno, parte attrice rileva che la vicenda ha avuto un eco rilevantissimo nella stampa regionale e nazionale, nonche' addirittura nell'ambito del telegiornale RAI nazionale e di Mediaset - rete 4 la cui trasmissione «Tempi moderni» e' stata interamente dedicata al caso in questione per lo sperpero di risorse pubbliche e del grave disservizio arrecato alla collettivita'. All'odierna udienza, parte attrice, in via preliminare, solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter della legge n. 102/2009, come modificato dal decreto legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge n. 141/2009 limitatamente ai periodi: «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge n. 20/1994 e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale». La disposizione censurata, a suo dire, sarebbe in contrasto alle disposizioni costituzionali contenute negli art.li 2, comma 1, 3, comma 1, 24, comma 1, 25, comma 1, 81 comma 4, 97 comma 1, 103 comma 2 e 113 comma 1. Nel merito richiama l'atto induttivo chiedendone l'accoglimento. L'avv. Gualtieri, preliminarmente, chiede la nullita' dell'atto di citazione con esclusivo riferimento alla richiesta di risarcimento per il danno all'immagine e, in via subordinata, si associa alla sollevata questione di legittimita' costituzionale rilevando ulteriormente il contrasto della disposizione contenuta nell'art. 17 comma 30 ter con l'art. 3 della Cost. nella parte in cui richiama l'art. 7 della legge n. 97/2001; il combinato disposto dell'art. 17, comma 30-ter e dell'art. 7 della teste' richiamata legge, infatti, determinerebbe, una disparita' di trattamento tra i dipendenti pubblici, cui la legge n. 97/2001 e' destinata, e gli amministratori. Nel merito chiede la reiezione della domanda attorea. L'avv. Zimatore non si associa alla sollevata questione d'incostituzionalita' ritenendola non rilevante poiche' l'atto di citazione farebbe riferimento anche ad altre ipotesi di danno. Nel merito richiama i precedenti giurisprudenziali di questa Corte e chiede il rigetto della domanda attorea. L'avv. Torchia sulla questione d'incostituzionalita' nulla osserva. Eccepisce la nullita' degli atti dell'odierno procedimento per assenza di una specifica correlata notizia di danno erariale. Nel merito evidenzia che vi e' stato un decreto di archiviazione penale nei confronti della propria assistita per i fatti di cui all'atto di citazione per cui chiede la reiezione dell'atto di citazione nei confronti della convenuta Stroili. L'avv. Spinelli non si associa alla questione d'incostituzionalita' e nel merito richiama i precedenti giurisprudenziali della Sezione. Conclude chiedendo il rigetto della domanda. Parte attrice, in replica, produce la notizia di danno erariale trasmessa dalla Guardia di Finanza alla Procura regionale della Corte dei conti il 17 dicembre 2004. D i r i t t o 1) Seguendo l'ordine logico delle questioni sollevate all'odierna udienza, il Collegio ritiene di dover vagliare preliminarmente l'eccezione di nullita' dell'atto di citazione sollevata dal difensore della convenuta Stroili in virtu' dell'art. 17 comma 30-ter, 1° periodo della legge n. 102/2009 come modificata dal decreto legge n. 103/2009 convertito in legge n. 141/2009. Detta disposizione recita: «Le procure della Corte dei conti possono iniziare l'attivita' istruttoria ai fini dell'esercizio dell'azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge». Innanzi tutto deve premettersi che tale norma va ragionevolmente interpretata riconducendola al sistema generale che prevede il pubblico ministero contabile comunque titolare di poteri istruttori a fronte di una notizia di danno; cio' significa che i parametri della specificita' e della concretezza, voluti dal legislatore del 2009, non implicano che la notizia di danno debba essere esaustiva di tutti gli elementi della responsabilita' amministrativa, poiche' in tal caso sarebbe superflua la funzione del requirente. Cio' posto, il Collegio rileva che la Guardia di Finanza, Compagnia di Locri, in data 17 dicembre 2004 ha trasmesso alla Procura regionale della Calabria una segnalazione di danno erariale dalla quale emerge inequivocabilmente la notizia del danno per cui e' causa. A pag. 69 e ss. della relazione allegata, infatti, con specifico riferimento all'azienda sanitaria di Locri, e' data notizia dell'acquisto del Mammotest, della somma spesa per tale acquisto, del fatto che tale cifra e' stata sottratta alla realizzazione del progetto di screening mammografico e citologico cui erano state destinate originariamente le somme; viene altresi' rilevato che il progetto di screening non e' stato realizzato poiche' il finanziamento e' stato tutto impiegato per l'acquisto del macchinario, e che tale macchinario e' stato utilizzato pochissime volte. Cosi' come, con specifico riferimento al danno all'immagine, sempre la Guardia di Finanza, in data 4 gennaio 2006, ha trasmesso alla Procura regionale, una relazione nella quale si da' notizia che le vicende gia' descritte nella precedente relazione, avrebbero causato un danno all'immagine dell'azienda sanitaria poiche' molte testate giornalistiche, anche a tiratura nazionale, avrebbero divulgato le inefficienze, gli sperperi e le diseconomie cui fa riferimento la relazione trasmessa il 17 dicembre 2004. L'azione del danno erariale per cui e' causa, pertanto, e' stata intrapresa dalla Procura contabile a fronte di una specifica e concreta notizia di danno, cosicche' e' infondata l'eccezione di nullita' della citazione formulata dai procuratori avv. Alfredo Gualtieri ed avv. Anselmo Torchia. 2) Tanto e' deciso in questa sede anche al fine di affermare la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Pubblico ministero e dal difensore del convenuto Sgro'. Il Collegio, infatti, ritenendo di non dover pronunciare la nullita' dell'atto di citazione per indeterminatezza della notizia di danno, deve procedere all'esame della eccepita questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter, della legge n. 102/2009, di conversione del decreto legge n. 78/2009 per come modificata dall'art. 1 del decreto legge n. 103/2009, convertito nella legge n. 141/2009. 3) A tal riguardo deve dirsi che da una valutazione generale e complessiva della fattispecie (resa esplicita nelle premesse in fatto proprio al fine di consentire una verifica sulla sua ammissibilita'), la questione e' senz'altro rilevante poiche' la causa odierna non puo' essere definita se non applicando anche la disposizione gravata. Tale norma, infatti, recita: «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994 n. 20 e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale». Innanzi a tutto, deve essere vagliata l'applicazione della teste' richiamata disposizione al presente giudizio sotto il profilo della successione della legge nel tempo. In proposito lo stesso legislatore dispone che «qualsiasi atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata gia' pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e' nullo, e la relativa nullita' puo' essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta» (art. 17, comma 30-ter, 4° periodo). Ebbene il tenore letterale della norma e' nel senso che lo jus superveniens trova immediata applicazione in tutti i giudizi pendenti al momento della sua entrata in vigore tranne nell'ipotesi in cui sia stata gia' pronunciata una sentenza (anche non definitiva), sicche' anche nel presente giudizio. A cio' si aggiunga che con la norma censurata, il legislatore e' andato ad incidere direttamente sul potere d'agire del pubblico ministero contabile cosi' condizionando la stessa esistenza dell'azione. Ne discende la natura processuale dello jus superveniens e quindi la sua diretta efficacia nella presente causa, dovendo il giudice sempre applicare la norma processuale vigente al momento della pronuncia. 4) Ma la rilevanza deve essere scrutinata anche avendo a riguardo la prevedibile applicabilita' della norma impugnata al caso concreto. Ebbene la parte pubblica, nell'atto introduttivo, chiede, tra l'altro, il risarcimento del danno all'immagine pari ad € 50.000 per la condotta illecita posta in essere dall'Assessore alla Sanita' della Regione Calabria, da Dirigenti dell'Assessorato alla Sanita' e dal Dirigente generale dell'A.s. n. 9 di Locri in occasione della campagna di screening. Il Collegio, pertanto, ove non ritenga sussistenti i presupposti per la rimessione della questione alla Corte costituzionale, proprio in virtu' dell'art. 17, comma 30-ter, poiche' il caso all'esame non rientra tra quelli disciplinati dall'art. 7 della legge n. 97/2001, non potrebbe addivenire ad una pronuncia nel merito con riferimento al danno all'immagine. Tra l'altro quanto sopra e' stato eccepito preliminarmente dal difensore del convenuto Sgro' all'odierna udienza e chiesto nella memoria difensiva depositata agli atti il 13 ottobre 2009, per cui anche sotto tale profilo la questione e' rilevante. 5) Accertato dunque che esiste un rapporto di strumentalita' necessaria tra la risoluzione della questione e la decisione, il Collegio deve procedere a constatare che essa non sia manifestamente infondata avendo a riferimento le singole disposizioni costituzionali che si ritengono violate. 6) A questo punto s'impone una sintetica premessa sul danno all'immagine della p.a. In proposito il Collegio condivide quella parte della dottrina e della giurisprudenza che ricostruisce la figura dogmatica del danno all'immagine in termini esclusivamente pubblicistici sicche' il nucleo fondamentale dell'immagine pubblica non deve essere individuato nella tutela del «buon nome» o della «identita' personale» ma nella tutela del «prestigio» dell'Amministrazione stessa. Il prestigio pubblico deve essere inteso come cio' che genera e incrementa il sentimento di appartenenza dei consociati allo Stato e, in quanto tale, rappresenta un bene-valore essenziale che non e' fine a se stesso ma diretto ad ingenerare negli amministrati la convinzione che lo Stato rappresenti la piu' rilevante formazione sociale nella quale si svolge la personalita' dell'uomo ex art. 2 della Cost. (cfr. sez. Umbria sentenza n. 371/2004). Ne consegue che qualora lo Stato, o gli altri enti pubblici, a causa della condotta illecita di un proprio dipendente (o amministratore) perda di prestigio, si affievolisce nei cittadini il desiderio di partecipazione, il sentimento di appartenenza e di affidamento alle istituzioni. La p.a., pertanto, perde la sua connotazione peculiare di formazione sociale in cui l'individuo sviluppa la sua personalita' cosicche' ne viene minacciata l'esistenza stessa. Cio' chiarito e' indiscusso che la tutela dell'immagine pubblica e' un diritto che trova la sua matrice costituzionale nell'art. 2 della Costituzione. In proposito si evidenzia che la giurisprudenza della cassazione oramai riconosce incondizionatamente i diritti inviolabili anche alle persone giuridiche sulla considerazione che «sarebbe contraddittorio riconoscere la risarcibilita' del danno non patrimoniale per lesione di un diritto fondamentale al soggetto persona fisica quando agisce direttamente come tale e non riconoscerla alla formazione sociale la quale e' pur sempre espressione di uomini nati da ventre di donna» (Cass. 12929/2007). Orbene il danno all'immagine e' risarcibile proprio in virtu' dell'art. 2059 del c.c., allorquando consegua (danno-conseguenza) ad una apprezzabile lesione del bene-diritto costituzionalmente tutelato. Come evidente da quanto sin qui argomentato, il risarcimento del danno all'immagine della p.a., proprio per la sua struttura, non necessita di essere subordinato alla commissione di condotte penalmente rilevanti. Non v'e' dubbio, infatti, che la condotta gravemente colposa di un amministratore o di un dipendente pubblico possa ingenerare un grave detrimento dell'immagine e del prestigio dell'amministrazione quando agisce in spregio al principio di legalita', di correttezza e di imparzialita', ancorche' la sua condotta non abbia natura delittuosa. La violazione dell'immagine consegue, infatti, esclusivamente alla lesione del prestigio e del decoro della p.a., pregiudizio che puo' scaturire anche solo dalla inosservanza dei doveri contrattuali. Si consideri, in proposito, l'ipotesi del cosiddetto dolo contrattuale che si verifica in presenza di una cosciente violazione degli obblighi di servizio. 7) Cio' ritenuto, il primo ragionevole dubbio sulla legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter della legge n. 102/2009 per come modificata dal decreto legge n. 103/2009 sorge avendo a riguardo l'art. 2 e l'art. 24 della Costituzione. In proposito si osserva che la disposizione avversata laddove afferma «Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97» preclude, salva l'ipotesi di cui all'art. 7 della legge n. 97/2001, ogni tutela del diritto all'immagine pubblica. L'unico caso in cui tale diritto e' protetto dallo Stato e' quello in cui sia stata emessa sentenza irrevocabile di condanna nei delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro II del codice penale. In tutte le altre ipotesi il legislatore del 2009 ha inteso negare la possibilita' giuridica al p.m. contabile di agire in giudizio, cosi' svuotando di contenuto un diritto riconosciuto alla pubblica amministrazione proprio in virtu' dell'art. 2 della Costituzione. D'altronde non ha senso affermare l'esistenza di un diritto (all'immagine pubblica) se tale diritto, nell'ipotesi in cui venga leso, non puo' essere oggetto di protezione da parte dei soggetti destinati a tale funzione. La disposizione censurata, dunque, di fatto, tranne nei casi di cui all'art. 7 della legge n. 97/2001 ha prodotto l'effetto di rimuovere dall'ordinamento giuridico un diritto che la stessa Costituzione riconosce e garantisce all'art. 2. 8) Ne' e' consentita una interpretazione che configuri, rispetto al diritto all'immagine della p. a. per condotte illecite non delittuose, una tutela in altra sede giudiziaria. Una tale opzione ermeneutica, infatti, sarebbe in contrasto con gli artt. 25 e 103 della Costituzione. In proposito e' a dire che, pur volendo seguire l'insegnamento piu' restrittivo della Consulta, l'art. 103, 2° comma della Cost. attribuisce alla Corte dei conti una giurisdizione tendenzialmente generale nella materia della contabilita' pubblica nel senso che solo al di fuori delle ipotesi espressamente o istituzionalmente devolute all'organo contabile, la disposizione costituzionale e' priva di capacita' espansiva. Ebbene e' certo che la Corte dei conti, istituzionalmente, ha una giurisdizione esclusiva nelle controversie che riguardano soggetti legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di servizio per il danno erariale causato dalla loro condotta. Tra l'altro l'attribuzione «per materia» di detta giurisdizione trova una sua ragione nel fatto che la responsabilita' amministrativa presenta proprie peculiarita' (elemento psicologico, prescrizione, intrasmissibilita' agli eredi, potere riduttivo) che la diversificano dalla responsabilita' civile si' da giustificare l'esistenza di appositi giudici con specifica competenza cognitoria e decisoria. Il danno all'immagine, peraltro, cosi' come piu' volte chiarito dalle SS.UU. della Cassazione deve essere inteso come «la spesa necessaria al ripristino del prestigio» (Cass. SS.UU. sent. 5668/1997, n. 774/1999) sicche' e' certamente un danno a contenuto patrimoniale in quanto suscettibile di valutazione economica. Ebbene e' indubbio che il danno all'immagine si configuri come un danno erariale in senso proprio e che scaturisca dalla condotta gravemente illecita (violazione degli obblighi contrattuali) di soggetti legati alla pubblica amministrazione da rapporto di servizio; si colloca, pertanto, nella peculiare materia della responsabilita' amministrativa ed il suo risarcimento non puo' che essere rimesso alla cognizione del giudice contabile. Orbene, poiche' nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, non e' possibile configurare l'esercizio dell'azione per il risarcimento di tale danno innanzi ad altra autorita' giudiziaria. Cosicche' non e' problema di difetto di giurisdizione del giudice contabile a favore di altro giudice ma di carenza di qualsivoglia tutela di interessi o diritti giuridicamente a proteggersi in ragione di quanto sopra esposto. Di qui l'ulteriore profilo d'incostituzionalita' in ragione dell'art. 24 della Costituzione secondo il quale tutti possono agire in giudizio a tutela dei propri diretti ed interessi legittimi. Ebbene, la p.a., attraverso il p.m. contabile, unico titolare dell'azione risarcitoria per danno erariale, a causa della norma contenuta nel piu' volte citato art. 17, comma 30-ter, non puo' agire in giudizio a tutela del suo diritto all'immagine. 9) Altro profilo di incostituzionalita' si ravvisa in ragione dell'art. 3 della Cost. in considerazione di una paventata irragionevolezza della disposizione avversata. Sebbene il controllo di legittimita' della Corte costituzionale su una legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull'uso del potere discrezionale del Parlamento, detto potere, con particolare riferimento al principio di uguaglianza, trova comunque un limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la disparita' di trattamento tra i soggetti. Or, ad avviso del collegio la disposizione contenuta nell'art. 17, comma 30-ter, 2°e 3° periodo, determina una irragionevole ed illogica disparita' di trattamento nella tutela dell'immagine tra le persone giuridiche private e le persone giuridiche pubbliche laddove solo per queste ultime subordina la possibilita' giuridica di agire ad una sentenza penale irrevocabile di condanna (e solo per alcuni tipi di reato), lasciando impunite tutte le altre condotte. Ancorche' la tutela dell'immagine trovi per tutti (persone fisiche, persone giuridiche private e pubbliche) una fonte costituzionale nell'art. 2 e per tutti l'eventuale lesione determini, ai sensi dell'art. 2059 del c.c., il diritto al risarcimento di un danno non patrimoniale inteso tuttavia come danno-conseguenza (in questi termini e' ormai il diritto vivente), con una scelta del tutto «incoerente», la disposizione in esame ha drasticamente ridimensionato solo la tutela dell'immagine pubblica. Indubbiamente il legislatore e' libero di stabilire quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilita' senza limiti o condizionamenti che non siano quelli della non irragionevolezza e non arbitrarieta'; ed, invero, proprio nella materia della responsabilita' amministrativa, diversamente che nel settore della responsabilita' civile, ha dettato una disciplina che non e' caratterizzata dal ristoro patrimoniale integrale delle situazioni lese; si pensi per esempio alla limitazione della responsabilita' ai soli casi di colpa grave o alla riduzione dell'addebito. Tuttavia tale differenziazione legislativa era giustificata dall'intento di predisporre nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici un assetto normativo in cui il timore della responsabilita' non determinasse rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell'attivita' amministrativa. Non cosi' nel caso all'esame ove non e' dato comprendere quale sia stato l'interesse che il legislatore ha voluto perseguire precludendo la risarcibilita' del danno all'immagine; non solo, la incoerenza e la irragionevolezza appare indubbia ove si consideri la peculiare connotazione dell'immagine pubblica. Si e' gia' detto che il disdoro arrecato alle amministrazioni pubbliche dalla condotta illecita, illegale, imparziale, inopportuna, degli amministratori (dipendenti pubblici) rompe il sentimento di appartenenza e di partecipazione alla vita pubblica; ebbene, in presenza di condotte di tal genere lo Stato comunita' finisce per non identificarsi piu' nello Stato apparato con le conseguenze drammatiche che tutti conosciamo. La tutela del «prestigio pubblico», pertanto non e' fine a se stessa ma riguarda l'intera collettivita', sicche' l'immagine pubblica e' un valore - interesse collettivo - cui deve essere garantita, se non una protezione rafforzata, quanto meno la stessa riservata alle persone giuridiche private. 10) La disposizione in esame appare altresi' irragionevole perche' detta una disciplina differenziata tra alcune condotte delittuose, in presenza delle quali accorda la tutela del danno non patrimoniale, e le altre condotte illecite che, sebbene non delittuose, possono comunque causare il danno di cui si discute. Tale differenziazione legislativa appare incoerente soprattutto in ragione della nuova configurazione dottrinale e giurisprudenziale del danno all'immagine, quale danno-conseguenza. In seguito alla ricostruzione del danno non patrimoniale operata dalle SS.UU. della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 26972/2008, la risarcibilita' del danno all'immagine e' ammessa non gia' in presenza del solo pregiudizio costituzionale ma allorche' da tale pregiudizio ne sia conseguito effettivamente un danno. Nel danno-conseguenza il baricentro del diritto risarcitorio si sposta dalla ingiustizia della lesione al contenuto del danno di talche' la ragione della tutela risarcitoria risiede nel ristoro del danno medesimo. Ebbene, la disposizione contenuta nell'art. 17, comma 30-ter, invece, laddove consente la tutela del danno all'immagine solo nell'ipotesi prevista dall'art. 7 della legge n. 97/2001 e quindi solo nel caso in cui sia stata pronunciata sentenza irrevocabile per alcune (poche) condotte delittuose, pone una disciplina differenziata del danno all'immagine enfatizzando un elemento (la condotta) che rappresenta oramai solo un presupposto della risarcibilita'. In altri termini, il Collegio e' dell'idea che, in presenza di una lesione al prestigio della p.a., la risarcibilita' deve essere garantita a prescindere dalle modalita' della lesione poiche', in base al diritto vivente, cio' che rileva e' la conseguenza dannosa che scaturisce. In questi termini la disposizione appare anche contraddittoria al sistema. 11) Tra l'altro, la incoerenza e' ancora piu' evidente ove si consideri che detta disposizione subordina il diritto di azione del pubblico ministero contabile per la lesione del prestigio pubblico solo ai casi in cui sia stata emessa sentenza irrevocabile per le ipotesi di reato previste e punite nel capo I, titolo II, del secondo libro del codice penale, precludendo cosi' il risarcimento del danno all'immagine in tutte le altre ipotesi delittuose, tra le quali ve ne sono certamente di piu' gravi (si pensi al concorso esterno in delitti di mafia o i casi di truffa ai danni dello Stato ecc.). Tuttavia tale aspetto, sebbene interessante, non viene sviluppato in quanto irrilevante ai fini del presente giudizio poiche' nei confronti degli odierni convenuti non e' stata pronunciata alcuna sentenza penale irrevocabile sicche' una eventuale pronuncia della Corte costituzionale additiva in questi termini sarebbe inutiliter data. Per lo stesso motivo appare irrilevante la censura formulata all'odierna udienza in ordine alla disparita' di trattamento che si realizza tra i dipendenti pubblici e gli amministratori in ragione del combinato disposto dell'art. 17, comma 30-ter e l'art. 7 della legge n. 97/2001 cui la prima disposizione rimanda. E' indubbio che legge 97/2001 e' destinata solo ai pubblici dipendenti; si consideri in proposito l'intitolazione che reca «Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche». In effetti da una lettura congiunta delle disposizioni teste' richiamate potrebbe affermarsi che la tutela dell'immagine sia consentita esclusivamente nel caso di sentenze irrevocabili di condanna emesse nei confronti dei soli dipendenti pubblici, mentre, al contrario gli amministratori rimarrebbero sempre esenti da tale responsabilita'. Tuttavia anche questo profilo appare verosimilmente irrilevante poiche' nel caso in esame non e' stata pronunciata alcuna sentenza penale sicche' gli amministratori ed i dipendenti si trovano nella medesima situazione di impunita'. 12) Ancora il Collegio ritiene che l'art. 17, comma 30-ter sia intrinsecamente irragionevole poiche' gli obiettivi raggiunti con tale disposizione sono in contrasto con i principi costituzionali cui deve essere improntata l'azione amministrativa. L'art. 97 della Cost., infatti, nel dichiarare che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione, s'indirizza immediatamente e programmaticamente al legislatore dettando i principi fondamentali cui deve essere ispirata la legislazione e precettivamente alla pubblica amministrazione. La disposizione costituzionale in esame, dunque, da un lato individua quali sono gli obiettivi che il legislatore deve perseguire con la legge e dall'altra specifica il contenuto proprio del dovere di tutti i funzionari amministrativi, ed in genere di tutti gli agenti dell'amministrazione, di comportarsi correttamente. La disposizione costituzionale contenuta nell'art. 97, pertanto determina un vero e proprio diritto della p.a. ad agire, attraverso i propri funzionari, secondo i predetti parametri. Il buon andamento e l'imparzialita', sebbene non costituiscano il fondamento costituzionale della tutela dell'immagine pubblica, configurano senz'altro i criteri cui deve essere improntata l'azione amministrativa affinche' il prestigio pubblico non venga leso. E' evidente, pertanto, la stretta relazione tra l'immagine pubblica e l'agire corretto al punto che una ridotta tutela della prima inevitabilmente indebolisce il diritto sostanziale dell'amministrazione ad agire, attraverso i propri funzionari, in modo corretto, imparziale, efficace ed efficiente. Cio' considerato, il Collegio ritiene che la disposizione censurata persegue obiettivi in contrasto con il contenuto programmatico dell'art. 97 Cost. laddove, invece di introdurre strumenti a presidio del buon andamento della pubblica amministrazione, incoerentemente introduce una disciplina volta ad escludere la possibilita' giuridica del p.m. contabile di perseguire ipotesi di danno all'immagine causato da una condotta amministrativa scorretta; non solo, si pone anche in contrasto con il contenuto precettivo della disposizione costituzionale poiche' indebolisce il diritto della p.a. all'azione amministrativa corretta. 13) Le censure di incostituzionalita' formulate con riferimento all'art. 3 e 97 della Cost., tra l'altro, non sono superabili attraverso una diversa opzione ermeneutica poiche' la chiara ed in equivoca volonta' del legislatore non consente a questo giudice di procedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata. 14) La norma in esame, infine, contiene, a giudizio del Collegio, un ulteriore profilo di irragionevolezza intrinseca. Tale disposizione, infatti, e' stata introdotta in sede di conversione del c.d. decreto anticrisi, un intervento legislativo volto a razionalizzare e recuperare le risorse erariali per il rilancio dell'economia, e, nello specifico, e' inserita in un testo (l'art. 17 della legge n. 102/2009) come modificata dal decreto legge n. 103/2009) che ha tra gli scopi quello specifico di perseguire il contenimento della spesa pubblica. Cio' nonostante la sua applicazione provoca in concreto l'obiettivo contrario e cioe' quello di imporre alle amministrazioni pubbliche le spese effettivamente sostenute a ristoro del detrimento del proprio prestigio. Alla luce di quanto sin qui argomentato la questione di legittimita' costituzionale sollevata all'odierna udienza e' rilevante e non manifestamente infondata.
P. Q. M. Visto l'art. 134 della Costituzione e l'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Vice Procuratore Generale: Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter, secondo e terzo periodo della legge 3 agosto 2009, n. 102, di conversione del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, modificato dall'art. 1, comma 1, lettera c), del decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, per contrasto con gli articoli 2, 3, 24, 25, 97 e 103, della Costituzione nei termini di cui in motivazione nella parte in cui prevede che «Le Procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dell'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'art. 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla conclusione del procedimento penale»; Dispone la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la pronuncia sulla questione di legittimita'; Ordina alla segreteria di notificare la presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al Presidente della Camera dei Deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Data in Catanzaro, nella Camera di consiglio del 22 ottobre 2009. Il Presidente: Arganelli