N. 43 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 maggio 2009
Ordinanza del 13 maggio 2009 emessa dal Tribunale di Salerno nel procedimento civile promosso dal Commissario straordinario di Governo per l'emergenza rifiuti in Campania ed altra contro Comune di Serre ed altri. Giustizia amministrativa - Giurisdizione esclusiva - Devoluzione al giudice amministrativo delle controversie «comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti» - Misure cautelari precedentemente adottate (anche) dai giudici ordinari - Cessazione di ogni effetto ove non riconfermate dal TAR del Lazio (competente funzionalmente in primo grado) entro trenta giorni dall'entrata in vigore del d.l. n. 90 del 2008 - Violazione del principio dell'indipendenza funzionale dei giudici e dell'ambito costituzionalmente proprio della giurisdizione amministrativa, contrasto con la posizione di vertice della Corte di cassazione nel sistema giurisdizionale, lesione del diritto di difesa e dei principi di ragionevolezza, di uguaglianza e di parita' delle parti nel processo. - Decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2008, n. 123, art. 4, comma 2. - Costituzione, artt. 3, 24, 100, 101, 102, 103, 104, 111, secondo e settimo comma, e 113. Inquinamento - Gestione dei rifiuti - Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania - Autorizzazione della realizzazione di una discarica nel comune di Serre (SA), localita' «Valle della Masseria» - Violazione del diritto alla salute ed all'ambiente salubre, contrasto con specifiche norme comunitarie (direttiva 1999/31/CE), irrazionale impatto su una zona nella quale e' gia' in funzione un'altra discarica, contrasto con i principi di ragionevolezza, equita' ed eguaglianza sostanziale. - Decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2008, n. 123, art. 9, comma 1. - Costituzione, artt. 2, 3, 9, 32, 114, 117, primo comma, e 118.(GU n.9 del 3-3-2010 )
IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa iscritta a ruolo al n. 6393/07 vertente tra Commissario Straordinario di Governo per l'emergenza rifiuti in Campania e Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro tempore, attori, e Comune di Serre, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gennaro Borriello e Raffaele Falce, convenuto e Impresa Agricola Guariglia Pierpaolo, Impresa Agricola Romagnolo Gaetano, Casearia S.A.B. «La Bufalina» s.n.c., Caseificio «La Villanella» di D'Aniello Celestina, Caseificio «Monte Latte Alburni» coop a r.l., Caseificio Domenico Romagnolo, Caseficio «La Campagnola» di Del Corso Amelio, Paolino Antonio, Martino Anna, Caputo Giovanna, Cibelli Mario, Cibelli Luigi, Risi Rocco, Santorufo Rocchina, Santorufo Rosalia, Giugno Ignazio, Funicelli Pietro, Guariglia Pasqualina, Opromolla Benito, Luongo Bruno, Luongo Antonio, Opromolla Antonio, Coldiretti, in persona del legale rappresentante pro tempore, Consorzio di Bonifica Destra Sele, in persona del legale rappresentante pro tempore, Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, contumaci convenuti. Il giudicante, visti gli atti di causa; Ritenuto che ricorrano i presupposti per sollevare la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 9 del d.l. 23 maggio 2008 n. 90, convertito dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 165 del 16 luglio 2008, Considerato, invero, che il presente giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione di tale questione, per le ragioni espresse dalla difesa del convenuto Comune di Serre e per altre che si ritiene di dover individuare d'ufficio, ai sensi dell'art. 23, comma 2 della legge n. 87/1953; Visto l'art. 134 Cost., nonche' gli artt. 1, legge cost. n. 1/48 e 23 e seguenti legge n. 87/1953; Osserva: In fatto Con ricorso depositato il 5 febbraio 2007, il Comune di Serre esponeva che, con una serie di provvedimenti del Commissario delegato per l'emergenza rifiuti nella Regione Campania, ed in particolare con l'ordinanza commissariale n. 14 del 24 gennaio 2007, era stato individuato un sito nel territorio di detto Comune - e precisamente una cava dismessa in localita' «Valle della Masseria» - per la creazione di una «megadiscarica di rifiuti». Siffatta decisione del Commissario, seguita da ulteriori iniziative che avevano confermato l'individuazione del sito nella predetta localita', avrebbe avuto come conseguenza - a detta del ricorrente - un sicuro pregiudizio per il diritto alla salute dei cittadini del Comune di Serre ed alla stessa salubrita' dell'ambiente. L'ingente quantita' di rifiuti, provenienti da tutta la Regione, e calcolati in circa 7.500 tonnellate al giorno, avrebbe, invero, cagionato continue e massive immissioni di polveri, fumo ed esalazioni maleodoranti con evidente e grave pregiudizio, oltre che alla salute degli abitanti della zona, al complesso e delicato ecosistema venuto a crearsi nel territorio del Comune di Serre. A tal riguardo, l'ente ricorrente deduceva - producendo altresi' specifica documentazione a sostegno di tali allegazioni - che fin dal 1976 era stata istituita nel suo territorio un'Oasi di protezione della fauna, in localita' Persano, successivamente (e precisamente nel 2003) dichiarata «zona umida di importanza internazionale», ai sensi e per gli effetti della Convenzione di Ramsar, ratificata dall'Italia con d.P.R. n. 448 del 13 marzo 1976. Sicche', sarebbe stato del tutto intuibile - secondo il ricorrente - il degrado che a tale situazione ambientale avrebbe comportato la presenza di una siffatta discarica, con conseguente gravissimo ed irreversibile pregiudizio alla flora ed alla fauna esistenti nel predetto ecosistema. Di qui la richiesta, avanzata dall'ente territoriale, di emissione di un provvedimento ex art. 700 c.p.c., che inibisse al Commissario delegato per l'emergenza rifiuti la costruzione e messa in opera della discarica nel sito suindicato. Alla pretesa cautelare resisteva il Commissario, eccependo: a) in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice adito, nonche' l'improponibilita' dell'azione per inammissibilita' della futura domanda di merito; b) in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva del Comune di Serre; c) nel merito, l'insussistenza dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, necessari per raccoglimento della pretesa cautelare avanzata dal ricorrente. Nel procedimento intervenivano, invocando, a loro volta, la tutela del diritto alla salute ed all'ambiente salubre: 1) n. 5 Caseifici, produttori di mozzarella di bufala e derivati del latte, con riconoscimento del marchio D.O.P.; 2) n. 2 Aziende Agricole, gestrici di allevamenti bufalini ed attivita' di agriturismo; 3) il Consorzio di Bonifica Destra Sele; 4) la Coldiretti; 5) n. 15 cittadini del Comune di Serre, proprietari di abitazioni poste nella immediate vicinanze del sito individuato per l'ubicazione della programmata discarica. Quindi - prodotta documentazione, sentite le parti all'udienza di comparizione del 23 marzo 2007, e depositate dalle stesse note difensive autorizzate - il giudice designato, con ordinanza in data 28 aprile 2007, accoglieva il ricorso, ordinando al Commissario Straordinario di Governo per l'emergenza rifiuti in Campania «di astenersi dall'installare e dal porre in esercizio l'impianto di discarica dei rifiuti nel Comune di Serre, in localita' Valle della Masseria». Avverso il suddetto provvedimento proponeva reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. il Commissario Straordinario di Governo per l'emergenza rifiuti, riproponendo - in buona sostanza - le questioni, anche di natura pregiudiziale e preliminare, gia' dedotte nel primo grado del giudizio cautelare. Tale gravame veniva, peraltro, disatteso dal tribunale, in composizione collegiale, con ordinanza del 1° giugno 2007. Quest'ultimo provvedimento veniva, quindi, impugnato con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., con il quale l'amministrazione ricorrente proponeva altresi' istanza di regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell'art. 41 c.p.c., chiedendo che la Corte adita risolvesse, con effetto definitivo e preclusivo sul punto, la questione della giurisdizione del giudice adito con il ricorso cautelare. La Suprema Corte, con sentenza n. 27187 del 28 dicembre 2007, dichiarava anzitutto improponibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., stante la natura interinale dei provvedimenti cautelari ex art. 700 c.p.c., ivi compreso quello emesso in sede di reclamo. Tali provvedimenti sono, invero, inidonei al giudicato anche nel sistema processuale delineatosi a seguito della novella di cui alla legge n. 80/2005, che ha reso facoltativo il giudizio di merito per i provvedimenti cautelari a carattere anticipatorio, come appunto il provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. Con la medesima pronuncia, poi, la Corte dichiarava inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c., ritenendo non provata l'instaurazione del giudizio di merito, a seguito del quale soltanto sorge l'interesse concreto ed attuale della parte a conoscere il giudice fornito di giurisdizione in ordine al procedimento de quo. La Corte riteneva, infine, di enunciare in materia un principio di diritto nell'interesse della legge, ai sensi dell'art. 363, terzo comma, c.p.c., affermando che «anche in materia di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, quali il diritto alla salute (art. 32 Cost.) - allorche' la loro lesione sia dedotta come conseguente ad atti della P.A., di cui sia denunciata l'illegittimita', in materie riservate alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, come quella della gestione del territorio - compete a detti giudici la cognizione esclusiva delle relative controversie in ordine alla sussistenza in concreto dei diritti vantati, al contemperamento o alla limitazione di tali diritti in rapporto all'interesse generale pubblico all'ambiente salubre, nonche' all'emissione dei relativi provvedimenti cautelari», prodromici alla decisione finale. Intanto, con atto di citazione notificato l'8 giugno 2007, il Commissario Straordinario di Governo per l'emergenza rifiuti in Campania e la Presidenza del Consiglio dei ministri instauravano, dinanzi al Tribunale di Salerno, il giudizio di merito ai sensi dell'art. 669-octies c.p.c., nel quale chiedevano accertarsi l'insussistenza del diritto del Comune di Serre ad ottenere l'inibitoria dell'installazione di una discarica di rifiuti solidi urbani nella localita' «Valle della Masseria» nel Comune di Serre, con conseguente «caducazione dei provvedimenti cautelari adottati ante causam (ordinanze del 28 aprile 2007 e del 1° giugno 2007)». Alla domanda resisteva il Comune di Serre, chiedendo, per converso, «la definitiva conferma del provvedimento cautelare», e dunque inibirsi l'allestimento della discarica in localita' Valle della Masseria del Comune di Serre stante il pericolo per la salute dei cittadini e per la tutela del loro diritto a preservare l'ambiente salubre in cui vivono e operano. Nelle more del giudizio di merito, e' stato, peraltro, emanato il d.lgs. 23 maggio 2008, n. 90, convertito in legge 14 luglio 2008, n. 123, il cui art. 4, comma 1, ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie - ivi comprese quelle relative a diritti costituzionalmente tutelati ed anche in ordine alla fase cautelare - «comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti», comunque posta in essere dalla pubblica amministrazione. Al comma 2, l'art. 4 del d.lgs. n. 90/2008 ha, di poi, previsto che «le misure cautelari, adottate da un'autorita' giudiziaria diversa quella di cui al comma 1, cessano di avere effetto ove non riconfermate entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto dall'autorita' giudiziaria competente ai sensi del presente articolo». L'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 90/2008 ha, quindi, provveduto all'individuazione di una serie di siti da destinare a discarica, al fine di consentire lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nella regione Campania, autorizzandone espressamente la «realizzazione», col solo limite del «rispetto della normativa comunitaria tecnica di settore». E tra questi siti e' ricompreso anche quello ubicato nel Comune di Serre, localita' «Valle della Masseria», costituente oggetto del provvedimento cautelare del 28 aprile 2007, in discussione nel presente giudizio. Con ordinanza del 2 luglio 2008 del TAR del Lazio, confermata dal Consiglio di Stato con ordinanza del 13 gennaio 2009, il provvedimento cautelare reso da questo giudicante in data 28 aprile 2007 non veniva, quindi, confermato, ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. n. 90/2008. Orbene, le suindicate disposizioni degli artt. 4, comma 2 e 9, comma 1, nella parte in cui individua come sito da destinare a discarica quello ubicato nel Comune di Serre, localita' «Valle della Masseria», presentano - ad avviso del giudicante - diversi, non infondati, profili di incostituzionalita', che si passa ad esporre analiticamente, non prima di avere evidenziato compiutamente la rilevanza della questione che si intende sollevare per il giudizio in corso, ai sensi dell'art. 1 della legge cost. n. 1/1948 e 23 della legge n. 87/1953. In diritto Ai fini della corretta individuazione della rilevanza della questione di costituzionalita', per il giudizio in corso, appare, peraltro, necessario soffermarsi preliminarmente sulle questioni pregiudiziali e preliminari proposte dall'Avvocatura dello Stato, nell'interesse delle amministrazioni attrici nel presente giudizio di merito. Invero, questo giudicante non ignora l'indirizzo, ormai consolidato della Corte adita con il rilievo di incostituzionalita', secondo cui in presenza di contestazioni su determinati presupposti processuali (giurisdizione, competenza, ecc.), o in presenza di questioni preliminari di merito, il rimettente deve evidenziare di non essere, almeno ictu oculi, sfornito di giurisdizione e/o di competenza, e di essere in grado di superare, senza particolari problemi, le questioni preliminari rispetto alla questione di legittimita' costituzionale (ex plurimis, Corte cost. 22 marzo 2005, n. 196, che ha censurato, con la declaratoria di irrilevanza della questione, l'apodittica affermazione della propria giurisdizione da parte del giudice remittente, Corte cost. 25 maggio 2004, n. 214, con riferimento all'evidente mancanza di giurisdizione del remittente, Corte cost. 25 gennaio 2005, n. 82 e Corte cost. 14 dicembre 2005, n. 26, con riferimento alla palese incompetenza del remittente). Orbene, nel caso di specie - come dianzi evidenziato - l'Avvocatura dello Stato, nell'interesse delle amministrazioni attrici, ha eccepito: a) in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice adito, nonche' l'improponibilita' dell'azione per inammissibilita' della domanda di merito; b) in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva del Comune di Serre. Si passa, pertanto, ad esaminare specificamente ed analiticamente le questioni suindicate, al fine di evidenziare - una volta superate le stesse - l'indispensabilita' della questione di costituzionalita' per la definizione del presente giudizio. Le questioni pregiudiziali e preliminari. 1. - La questione di giurisdizione. Per quanto concerne la giurisdizione del giudice ordinario, va anzitutto rilevato che sulla questione di giurisdizione non puo' in alcun modo influire l'art. 4, comma l della legge n. 123/2008 (di conversione del d.lgs. n. 90/2008), laddove devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative alla complessiva azione di gestione dei rifiuti. Per vero, trattandosi di legge entrata in vigore dopo l'instaurazione del presente giudizio, essa e' del tutto irrilevante ai fini del riparto di giurisdizione, stante il disposto dell'art. 5 c.p.c. Ma neppure puo' dispiegare efficacia vincolante alcuna la sentenza delle Sezioni Unite n. 27187/07, trattandosi di pronuncia emessa ai sensi dell'art. 363, terzo comma, c.p.c. che, in quanto tale, - ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 363 c.p.c. - non incide sul provvedimento del giudice del merito e, di conseguenza, non produce effetti nei confronti del rapporto giuridico controverso. Siffatta pronuncia, invero, non puo' rivestire che il valore di un precedente, certamente autorevole e tale, dunque, da dover essere tenuto in debita considerazione, ma al contempo suscettibile, proprio per la sua efficacia non vincolante, di essere posto a confronto con gli altri precedenti - tutti di segno contrario, come di qui a poco si vedra' - provenienti dalla medesima Corte regolatrice della giurisdizione. E, d'altro canto, una diversa lettura della norma dell'art. 363 c.p.c., che intendesse, cioe', esaltando la funzione nomofilattica della Suprema Corte, affermarne - come sembra adombrare l'Avvocatura dello Stato - una sua efficacia pressoche' vincolante per il giudice di merito, si presterebbe a palesi censure di incostituzionalita'. Il principio di indipendenza funzionale interna del giudice, espresso dall'art. 101 Cost., esclude, infatti, che un giudice possa essere vincolato da un precedente di altri giudici, al di fuori della sola ipotesi del principio di diritto enunciato dalla Cassazione in caso di annullamento di una sentenza di merito con rinvio (artt. 384 c.p.c. e 627 c.p.p.), che si inquadra, peraltro, nella logica dei diversi gradi di giudizio all'interno dello stesso processo, posta a fondamento di ogni sistema processuale e preordinata ai fini di giustizia e all'esigenza dell'esattezza delle decisioni (Corte cost. 16 giugno 1971, n. 142). Esclusa, pertanto, qualsiasi efficacia vincolante, in punto giurisdizione, sia dello ius superveniens, sia della decisione della Cass. n. 27187/07, va osservato che - secondo un principio del tutto pacifico in giurisprudenza - il criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo si individua nel cd. petitum sostanziale, che si risolve nell'irrilevanza delle formule giuridiche utilizzate dall'attore e delle richieste rivolte al giudice adito, ed in una valorizzazione della causa petendi, cioe' della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e della quali si chieda tutela. Sicche', nelle ipotesi in cui l'attore deduca in giudizio una posizione giuridica avente il rango di diritto soggettivo assoluto, la giurisdizione non puo' che spettare al giudice ordinario, restando del tutto privi di rilevanza, poiche' disapplicabili dal giudice ordinario, eventuali provvedimenti illegittimi posti in essere dell'autorita' amministrativa (Cass., 8 maggio 2007, n. 10375; Cass., 16 maggio 2008, n. 12378; Cass., 28 novembre 2008, n. 28346). In tale prospettiva, si e' ritenuto invero che, laddove vengano fatti valere in giudizio diritti assoluti di liberta' garantiti dalla Costituzione ai cittadini nessun potere discrezionale della p.a. possa configurarsi, non essendo gli stessi in alcun modo comprimibili o degradabili ad interessi legittimi ad opera dei pubblici poteri, neppure per ragioni di interesse pubblico (disponibilita' finanziarie, gestione delle risorse, bilanciamento con altri interessi di rilevanza pubblicistica). L'inevitabile corollario di tali affermazioni e' che, in ordine alla lesione di siffatti diritti assoluti, proprio in quanto non e' configurabile un potere restrittivo o compressivo della p.a., non puo' che sussistere la giurisdizione del giudice ordinario (cfr., in tal senso, - ex plurimis - Cass. S.U., 24 giugno 2005, n. 13548, relativa al diritto alla salute, sotto il profilo del trattamento sanitario indispensabile a preservarne «il nucleo irriducibile»; Cass. S.U., 18 novembre 1997, n. 11432, relativa al diritto di liberta' religiosa; Cass. S.U., 10 maggio 2001, n. 192, relativa al diritto di liberta' sindacale, secondo cui la giurisdizione del g.o. sussiste finanche nel caso in cui il petitum consista nell'annullamento del provvedimento impugnato; Corte cost., 3 giugno 1987, n. 215, con riferimento al diritto all'istruzione per i soggetti portatori di handicap). Orbene, e' del tutto evidente che un posto di primo piano, nell'ambito dei diritti incomprimibili da parte della p.a., non puo' non essere occupato dal diritto alla salute (e dal correlato diritto all'ambiente salubre), garantito - quale bene essenziale dell'individuo - dall'art. 32 Cost., a fronte del quale, dunque, la p.a. e' del tutto priva del potere di affievolimento della relativa posizione soggettiva, ancorche' agisca per motivi di interesse pubblico. Con la conseguenza che la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti della p.a., e l'eventuale pretesa cautelare ad essa connessa, sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, vertendosi in materia di diritti soggettivi costituzionalmente garantiti, che non tollerano interferenze esterne (v., ex plurimis, Cass. S.U., 19 aprile 2007, n. 9322; Cass. S.U., 8 novembre 2006, n. 23735; Cass. S.U., 13 giugno 2006, n. 13659; Cass. S.U., 21 marzo 2006, n. 6218; Cass. S.U., 8 marzo 2006, n. 4908; Cass., 27 luglio 2000, n. 9893; Cass. S.U., 17 novembre 1992, n. 12307; Cass. S.U., 21 dicembre 1090, n. 12133). Appare, pertanto, contraddetto da tale - piu' che consolidato - indirizzo, l'assunto delle Sezioni Unite n. 27187/07, secondo cui la giurisdizione del giudice amministrativo sussisterebbe «anche in materia di diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, quali il diritto alla salute (art. 32 Cost.) - allorche' la loro lesione sia dedotta come effetto di un comportamento materiale espressione di poteri autoritativi». Basti por mente, invero, a quanto le stesse Sezioni Unite rilevano testualmente nella menzionata sentenza n. 23735/06: «il carattere di assolutezza del diritto alla salute e la sua elaborazione sul versante dei rapporti intersoggettivi ha trovato riscontro sia nell'affermazione che esso e' sovrastante all'amministrazione di guisa che questa non ha nessun potere, neppure per motivi di interesse pubblico specialmente rilevante, non solo di affievolirlo, ma neanche di pregiudicarlo nel fatto indirettamente, perche', incidendo in un diritto fondamentale, la pubblica amministrazione agisce nel fatto, dal momento che, non essendo giuridicamente configurabile un suo potere in materia, essa per il diritto non provvede, ma esplica comunque e soltanto attivita' materiale illecita». E certamente vale ad evidenziare ulteriormente la sussistenza di un indirizzo, pressoche' unanime, delle Sezioni Unite in tal senso, il rilievo che - pure in epoca successiva alla menzionata sentenza n. 27187/07 - la Cassazione ha ribadito che il diritto alla salute non e' suscettibile di essere affievolito dall'esercizio di poteri discrezionali da parte della pubblica amministrazione, in quanto diritto incomprimibile, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario, allorquando ne venga dedotta in giudizio la lesione (cfr. la recentissima Cass. S.U., n. 6 febbraio 2009, n. 2867). Ne' appare convincente il riferimento, operato da Cass. S.U. n. 27187/07 alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo che, in materia di discariche, sarebbe ancorata alla previsione dell'art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (come modificato dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205), vertendosi in ipotesi di gestione del territorio. Va rilevato, infatti, che il menzionato art. 34 del d.lgs. n. 80/1998 e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede la devoluzione al giudice amministrativo, in via di giurisdizione esclusiva, anche dei meri «comportamenti» della p.a., e non soltanto dei provvedimenti amministrativi emessi in materia urbanistica ed edilizia, estendendo tale giurisdizione (in violazione degli artt. 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113 Cost.) anche a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita, pertanto, alcun pubblico potere (Corte cost. 28 aprile 2004, n. 204). Siffatta forma di giurisdizione esclusiva - come ha insegnato la stessa Suprema Corte in altre pronunce - sussiste, dunque, quando venga sottoposto al giudice il nesso tra atti e provvedimenti della p.a., dei quali si censura l'illegittimita', e la gestione del territorio, ossia quando il privato si duole dell'esercizio, da parte dell'amministrazione, dei poteri autoritativi, in conformita' a quanto affermato da Corte cost. n. 204/2004. Per converso, nelle controversie nelle quali - come nel presente giudizio - non vi sono provvedimenti della p.a., o di soggetti ad essa equiparati, che siano stati impugnati o dei quali si chieda l'annullamento, ma solo comportamenti dell'amministrazione, che non possono incidere negativamente sulle posizioni soggettive dei privati, atteso il loro rango di diritti costituzionalmente garantiti, la giurisdizione non puo' che appartenere al giudice ordinario, secondo il menzionato principio del cd. petitum sostanziale (Cass. S.U., 8 novembre 2006, n. 23735; Cass. S.U., 21 marzo 2006, n. 6218; Cass. S.U., 22 ottobre 2007, n. 22057). Da quanto suesposto consegue, pertanto - con riferimento al caso concreto - che, avendo il Comune di Serre agito per la tutela, dapprima in via cautelare, poi nel giudizio di merito, del diritto alla salute ed all'ambiente salubre, senza censurare in alcun modo singoli atti o provvedimenti amministrativi, e sul presupposto che tali atti debbano considerarsi, in subiecta materia, tamquam non essent, deve ritenersi che l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in ordine al presente giudizio, non possa considerarsi palesemente fondata. 2. - L'improponibilita' della domanda di merito. L'Avvocatura dello Stato ha sollevato, poi, l'eccezione di improponibilita' della domanda di merito, a suo dire inammissibile, avendo tale domanda ad oggetto - secondo quanto dichiarato dallo stesso Comune ricorrente in sede cautelare - l'inibizione ad installare la discarica nella zona in premessa, indicata ed individuata con ordinanza n. 14 del 24 gennaio 2007 dal Commissario di Governo per l'emergenza rifiuti in Campania, ed oggi dall'art. 9, comma 1 del d.lgs. n. 90/2008 (convertito in legge n. 123/2008), nonche' il risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla collettivita'» (p. 10 del ricorso cautelare). Ebbene, a parere dell'Avvocatura, la pretesa inibitoria costituirebbe una domanda di merito improponibile, atteso che nel nostro ordinamento l'inibitoria non configura un'azione di carattere generale, essendo consentita nelle sole ipotesi tipiche previste dalla legge (es. artt. 844 c.c., art. 1170 c.c., art. 1469-sexies c.c., art. 1561. dir. aut., ecc.). L'assunto non puo' essere condiviso. Invero, in tema di pericolo per la salute ex art. 32 Cost. - non attagliandosi ai diritti personali, come quello in considerazione, il disposto dell'art. 844 c.c., relativo ai rapporti inerenti al diritto di proprieta' sugli immobili - la tutela per la denunciata lesione di tale diritto si esplica nelle forme ripristinatorie ed inibitorie di cui agli artt. 700 c.p.c. e 2058 c.c., ferma restando la tutela risarcitoria nelle forme di cui agli artt. 2043 e 2058 c.c., ossia per equivalente o in forma specifica. In altri termini, la tutela sia preventiva, in caso di pericolo per il diritto alla salute, che sanzionatoria e riparatoria, ben possono essere esercitate attraverso l'inibitoria, ex artt. 700 c.p.c. (in sede cautelare) e 2058 c.c. (nel giudizio di merito), costituente una modalita' di tutela in forma specifica che particolarmente si attaglia alla lesione del diritto in parola (cfr. Cass. 19 luglio 1985, n. 4263, Cass. 11 settembre 1989, n. 3921, Cass. 27 luglio 2000, n. 9893, Cass. 8 novembre 2006, n. 23735). In particolare, si e' affermato che «la tutela giudiziaria del diritto alla salute in confronto della pubblica amministrazione puo' essere preventiva e dare luogo a pronunce inibitorie, se prima ancora che l'opera pubblica venga messa in esercizio nei modi previsti sia possibile accertare, considerando la situazione che si avra' una volta iniziato l'esercizio, che nella medesima situazione e' insito un pericolo di compromissione per la salute di chi agisce in giudizio (Cass., 27 luglio 2000, n. 9893). Ebbene, non v'e' chi non veda che l'installazione di una mega-discarica in un sito che - come meglio si dira' in prosieguo - e' antropizzato, esistendo in loco numerose abitazioni, e si trova nelle immediate vicinanze di un'oasi naturale, costituisce una situazione nella quale e' immanente il pericolo di una grave compromissione del diritto alla salute ed all'ambiente salubre. Ne discende che, nel caso di specie, non sussiste la dedotta improponibilita' della domanda, spiegata dal Comune di Serre nel presente giudizio di merito, ai sensi degli artt. 2043 e 2058 c.c. 3. - La legittimazione attiva del ricorrente. La difesa delle amministrazioni attrice ha eccepito, inoltre, il difetto di legittimazione attiva del Comune di Serre sotto tre specifici profili: a) la posizione fatta valere dal Comune per effetto del menzionato esercizio dei poteri pubblicistici del Commissario, avrebbe consistenza di interesse legittimo, come tale invocabile solo dai singoli cittadini portatori, e non di diritto soggettivo alla salute dell'intera collettivita', deducibile anche dall'ente territoriale; b) gli eventuali effetti pregiudizievoli della discarica si produrrebbero soltanto in danno dei singoli, con conseguente carenza di potere sostitutivo, al riguardo, da parte dell'ente territoriale, ex art. 81 c.p.c.; c) il potere del Sindaco di adottare provvedimenti a tutela della salute dei cittadini sarebbe stato temporaneamente trasferito, dalla normativa emergenziale di cui al d.lgs. n. 263/2006, convertito in legge n. 290/2006, al Commissario governativo. Cio' posto, per quanto attiene al profilo sub a), non puo' che rinviarsi a quanto si e' gia' rilevato in ordine alla natura di diritto incomprimibile propria del diritto alla salute, che non degrada mai ad interesse legittimo. Quanto ai profili sub b) e c), deve anzitutto osservarsi che, in questa sede, non viene in alcun modo in considerazione il potere di ordinanza del Sindaco in materia di diritto alla salute o alla sicurezza dei cittadini, bensi' l'esercizio da parte del Comune, quale ente esponenziale della collettivita' locale, di un'azione volta a tutelare il diritto alla salute ed all'ambiente della collettivita' di riferimento. Ebbene, non puo' negarsi che debba essere riconosciuto al Comune, «che rappresenta la propria comunita', ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo» (art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000), l'accesso alla tutela giurisdizionale allorche' venga dedotta, come nella specie, la lesione - ad opera di altra autorita' - di interessi riconducibili nella sfera della fruizione della comunita' locale, che nell'ente territoriale in questione trova la prima e immediata occasione di aggregazione ed omogeneizzazione (Cons. St., 18 marzo 2003, n. 1407). Pertanto, deve ritenersi - ad avviso del giudicante - che al Comune vada riconosciuta, in quanto ente esponenziale della comunita' territoriale, la legittimazione a far valere, dinanzi al giudice ordinario, il diritto alla salute ed all'incolumita' fisica dei cittadini, ex art. 32 Cost. (cfr., in termini, Cass. S.U., 17 novembre 1992, n. 12307, che ha riconosciuto la legittimazione del Comune proprio con riferimento all'istallazione, da parte di un altro ente pubblico, di una discarica di rifiuti; Cass. S.U., 17 gennaio 1991, n. 400; Cass. S.U., 12 febbraio 1988, n. 1491). E, d'altra parte, seppure fosse da ritenersi - in via di mera ipotesi - in discussione il potere di ordinanza del Sindaco, provvisoriamente trasferito al Commissario, va rilevato che tale potere di ordinanza deve comunque conformarsi ai principi dell'ordinamento ed ai precetti costituzionali (v. Corte cost., 2 luglio 1956, n. 8; Corte cost., 23 maggio 1961, n. 26; Cons. St., 1° giugno 1994, n. 467), come, in subiecia materia, prevede anche l'art. 1 del d.lgs. n. 263/2006. Sicche' il menzionato potere di ordinanza del Commissario Straordinario non potrebbe, in ogni caso, precludere al Comune la tutela di diritti costituzionali propri e dei cittadini. Un discorso piu' articolato va fatto per l'altro diritto azionato dal Comune di Serre, ossia quello all'ambiente, in ordine al quale l'ente ha richiamato (nel ricorso cautelare) il diritto collettivo all'ambiente salubre, ancorandolo, peraltro, al disposto dell'art. 18, terzo comma, della legge n. 349/1986, che prevedeva la legittimazione anche degli enti territoriali, sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo, all'azione per il risarcimento del danno ambientale. Va osservato, infatti, che la menzionata disposizione e' stata abrogata dall'art. 318 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (cd. codice dell'ambiente), che ha lasciato in vigore solo il quinto comma dell'art. 18, legge n. 349/1986 (relativo al diritto di intervento delle associazioni ambientaliste nei giudizi per il risarcimento del danno ambientale). Lo stesso d.lgs. n. 152/2006 ha previsto, quindi, la legittimazione esclusiva del Ministro dell'ambiente a far valere in giudizio il danno ambientale (art. 311), attribuendo al medesimo anche penetranti poteri di intervento e di tutela dell'ambiente, sia in via preventiva e ripristinatoria (artt. 304-310), che in via sanzionatoria e riparatoria (artt. 311-316). Per il che, e' venuta meno la legittimazione degli enti territoriali (Regioni, Province e Comuni) a promuovere l'azione risarcitoria - e, quindi, la connessa tutela preventiva cautelare - per il risarcimento del danno ambientale, essendo stata conferita agli stessi una mera funzione di collaborazione con lo Stato (v. art. 299, comma 2). Tuttavia, ai fine di chiarire l'effettiva portata di detta legittimazione esclusiva del Ministro dell'ambiente, deve farsi riferimento alla nozione di danno ambientale enunciata dall'art. 300, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006, a tenore del quale tale pregiudizio si concreta in «qualsiasi deterioramento significativo o misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilita' assicurata da quest'ultima». A titolo esemplificativo, tale pregiudizio puo' concernere, ai sensi del comma 2 della norma summenzionata, il deterioramento alle specie e agli habitat naturali - protetti dalla normativa nazionale e comunitaria - alle acque interne, a quelle costiere e al terreno. Si tratta, dunque, com'e' del tutto evidente, di un danno all'ambiente, inteso come bene comune, dell'intera collettivita', nelle sue componenti fisiche, in relazione al quale puo' - forse - comprendersi il perche' il legislatore abbia inteso accentrane la tutela in capo allo Stato. E, non puo' revocarsi in dubbio, pertanto, che il Comune di Serre sarebbe sfornito di legittimazione attiva a far valere un siffatto pregiudizio, ove questo fosse stato dedotto sub specie del deterioramento delle risorse naturali, o delle utilita' assicurate dalle stesse. Ma l'ente - al di la' dell'improprio richiamo all'abrogato art. 18, terzo comma della legge n. 349/1986 - ha piu' volte ribadito e sottolineato nel ricorso cautelare la sua intenzione di far valere i diritti, costituzionalmente garantiti, alla salute ed all'ambiente salubre. Orbene, va rilevato in proposito che quella del pregiudizio all'ambiente e' nozione complessa, che ricomprende nel suo ambito una triplice dimensione, e che non puo', pertanto, considerarsi come pertinente esclusivamente allo Stato, e precisamente una dimensione: a) personale, quale lesione del fondamentale diritto all'ambiente salubre, facente capo a ciascun individuo; b) sociale, quale lesione del diritto all'ambiente nelle articolazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalita' umana; c) pubblica, quale lesione del diritto-dovere pubblico (funzione) sui bene ambientali, spettante alle istituzioni centrali e periferiche (cosi' Cass. pen. 10 giugno 2002, n. 22539), ed oggi esclusivamente allo Stato ai sensi del d.lgs. n. 152/2006. Stando cosi' le cose, e' chiaro che, se il Comune di Serre - come detto - sarebbe sfornito di legittimazione attiva a far valere il danno ambientale nella dimensione sub c), - in verita' neppure dedotto nel presente procedimento - all'opposta conclusione deve pervenirsi per le altre due dimensioni del pregiudizio all'ambiente. Ed, invero, e' del tutto evidente che compete ai Comuni, come - del resto - a ciascun cittadino, la legittimazione ad agire in giudizio per far valere, anche in via cautelare e d'urgenza ex art. 700 c.p.c., il danno non solo alla salute dei cittadini, ma anche all'ambiente salubre (v. Cass. S.U., 21 dicembre 1990, n. 12133, Cass. S.U., 17 gennaio 1991, n. 400), attesa il riflesso che quest'ultimo puo' avere sul primo, costituendo l'ambiente la dimensione spaziale della vita e delle attivita' personali e sociali dei singoli cittadini. Ma vi e' di piu'. Non puo' revocarsi in dubbio, a parere del giudicante, che un evento pericoloso per la salute dell'intera comunita' territoriale, come l'installazione di una discarica, per le possibili ripercussioni sul territorio e per le potenziali devastazioni ambientali che possono scaturirne, - e la cui ricorrenza in concreto va considerata, come meglio si dira' piu' avanti, con specifico riferimento alle peculiarita' geo-morfologiche del Comune di Serre - possa configurare una lesione allo stesso diritto costituzionale dell'ente territoriale esponenziale alla propria identita' culturale, politica ed economica, alla cui tutela il Comune e' sicuramente legittimato (Cass. 15 aprile 1998, n. 3807). Deve, pertanto, concludersi per la sussistenza della piena legittimazione del Comune di Serre nel presente giudizio di merito, peraltro proposto dalle amministrazioni resistenti in sede cautelare, a tutela del diritto alla salute ed all'ambiente salubre della collettivita' dei cittadini. La rilevanza della questione di costituzionalita'. Sgombrato il campo dalle questioni pregiudiziali e preliminari proposte dal Commissario straordinario e dalla Presidenza del Consiglio, ritiene il giudicante che la rilevanza della questione di costituzionalita' che si intende sollevare sia del tutto palese. Al fine di evidenziare tale presupposto, si procede ad un esame separato delle due norme degli artt. 4, comma 2 e 9, comma 1 del d.lgs. n. 90/2008, convertito in legge n. 123/2008. Con la prima norma il legislatore - fermo restando che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e' prevista per le controversie instaurate dopo l'entrata in vigore della legge, non essendo stata introdotta alcuna disposizione transitoria che la renda applicabile ai giudizi in corso - ha previsto come detto, una forma di conferma dei provvedimenti cautelari resi da altra autorita' giudiziaria, da parte del giudice amministrativo, e segnatamente dal TAR del Lazio, pena la perdita di efficacia («cessano di avere effetto») delle misure cautelari gia' emesse. Orbene, e' di tutta evidenza la rilevanza che la diposizione in parola e, di conseguenza, la verifica della sua legittimita' costituzionale, rivestono nel presente giudizio. Invero, benche' il giudizio di merito, instaurato ai sensi dell'art. 669-octies dopo l'adozione di un provvedimento cautelare, non si atteggi come un vero e proprio giudizio di convalida (come in passato era previsto per i sequestri) della misura cautelare, tuttavia e' innegabile che esso investa anche il provvedimento cautelare, le cui vicende sono strettamente connesse al giudizio di merito. Se, infatti, il giudice del merito dichiara - ed a tal fine non e' necessario che la sentenza sia passata in giudicato - l'insussistenza del diritto provvisoriamente tutelato con il provvedimento cautelare, questo deve essere dichiarato inefficace, ai sensi dell'art. 669-novies, terzo comma c.p.c., ed il giudice del processo di merito, e' tenuto altresi' a dare «le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente». Ma lo stretto raccordo tra cautela e merito sussiste anche laddove la sentenza che definisce il giudizio accolga la domanda proposta dal ricorrente in sede cautelare, ancorche' tale ipotesi non sia normativamente prevista. Un consistente indirizzo - sia dottrinale che giurisprudenziale - e', invero, nel senso che la misura cautelare, nell'ipotesi in cui venga affermata la sussistenza del diritto azionato, sopravvive e non viene assorbita dalla decisione di merito favorevole al ricorrente cautelare, sia per l'esigenza di tenere conto dell'eventualita' che l'efficacia esecutiva della sentenza di merito venga sospesa nel corso del giudizio di appello, sia per non lasciare la parte priva di tutela cautelare nelle more della formazione del giudicato, nei casi in cui la cautela risulti strumentale ad una sentenza di mero accertamento o costitutiva (App. Torino, 29 maggio 2002, in Giur. it., 2003, 1838). La conclusione, tuttavia, non muta laddove volesse accedersi al diverso indirizzo (Cass., 4 giugno 2008, n. 14765), secondo cui anche in caso di accoglimento della domanda di merito il provvedimento cautelare deve essere dichiarato inefficace dal giudice del merito, ai sensi dell'art. 669-novies c.p.c., giacche' in questa ipotesi si finisce con l'assimilare l'inesistenza del diritto alla declaratoria della sua esistenza, ai fini dell'incidenza di tale pronuncia sul cautelare gia' concesso. Ne' va tralasciata l'ipotesi di parziale accoglimento della domanda di merito, nella quale la sentenza dovra' del pari contenere, ai sensi dell'art. 669-novies, terzo comma c.p.c., la declaratoria di inefficacia della misura, con i conseguenti provvedimenti ripristinatori, attesa la parziale declaratoria di inesistenza del diritto azionato. Come risulta evidente da quanto suesposto, dunque, ai fini della decisione del presente giudizio e' decisivo stabilire se il provvedimento ex art. 700 c.p.c., emesso da questo giudicante in data 28 aprile 2007, sia stato caducato per effetto della mancata conferma da parte del giudice amministrativo, nel qual caso andrebbero emessi, in questa sede di merito - ed a prescindere dall'esito del giudizio - i provvedimenti di cui all'art. 669-novies c.p.c., oppure se - stante l'illegittimita' costituzionale, per i motivi che si esporranno in prosieguo, della norma che prevede siffatta, anomala, forma di conferma - il provvedimento in parola debba considerarsi ancora operante. Tanto piu' che entrambe le parti hanno espressamente richiesto, nel presente giudizio, emettersi opposte pronunce sul provvedimento cautelare del 28 aprile 2007, avendone il Commissario Straordinario e la Presidenza del Consiglio chiesto la caducazione, ai sensi dell'art. 669-novies, terzo comma c.p.c., mentre il Comune di Serre ne ha chiesto la definitiva conferma. Del tutto evidente, poi, ad avviso del giudicante, e' la rilevanza nel presente giudizio della questione di costituzionalita' dell'art. 9, comma 1 del d.lgs. n. 90/2008, nella parte in cui consente espressamente la «realizzazione» di una discarica - tra altri siti individuati dalla medesima norma - in localita' «Valle della Masseria» del Comune di Serre. Si tratta, invero, della localita' nella quale il Comune di Serre ha chiesto - dapprima in sede cautelare, poi nel presente giudizio di merito - inibirsi l'installazione e la messa in opera di una discarica, attivita' certamente ricomprese - come ha rilevato anche il Consiglio di Stato nell'ordinanza del 13 gennaio 2009 - nel concetto di «realizzazione» espresso dalla suindicata norma del d.lgs. n. 90/2008. E, per converso, il Commissario Straordinario e la Presidenza del Consiglio hanno chiesto accertarsi l'inesistenza del diritto del Comune di Serre di impedire l'installazione di una discarica nella medesima localita' «Valle della Masseria» del Comune di Serre. Ed e' chiaro che, vertendosi in ipotesi di tutela preventiva, mediante inibitoria dell'attivita' di installazione e messa in opera della discarica, a tutela del diritto alla salute ed all'ambiente salubre - pienamente ammissibile nel nostro ordinamento, per i motivi suesposti - la mera previsione legislativa dell'autorizzazione all'allestimento del sito da destinare a discarica, in quella specifica localita', rileva ai fini della decisione del presente giudizio. Invero, laddove dovesse affermarsi - da parte della Corte adita con la presente istanza - l'illegittimita' costituzionale della disposizione in parola, per le ragioni che si passa ad esporre, e' del tutto evidente che il giudicante non dovrebbe tenere conto alcuno dell'autorizzazione legislativa alla realizzazione della discarica nella suddetta localita'. La non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. Esposte, dunque, le ragioni di rilevanza della questione di costituzionalita' degli artt. 4, comma 2 e 9, comma 1 del d.lgs. n. 90/2008, si passa - a questo punto - ad evidenziare i motivi per i quali, ad avviso del giudicante, le suindicate disposizioni devono considerarsi affette da incostituzionalita' sotto diversi profili. A tal fine, le due disposizioni vanno considerate separatamente, onde procedere, per ciascuna di esse, alla corretta individuazione dei parametri costituzionali che si ritengono violati. Art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 90/2008, convertito in legge n. 123/2008. 1) Violazione degli artt. 100, 101, 102, 103, 104 e 113 Cost. La norma dell'art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 90/2008, appare in contrasto con l'art. 101 Cost. Tale disposizione costituzionale, a tenore della quale «i giudici sono soggetti soltanto alla legge», enuncia, invero, il fondamentale principio dell'indipendenza funzionale dei giudici, sia nei confronti di organi esterni all'ordine giudiziario, ed in tal senso la previsione e' rinforzata dal successivo art. 104 Cost., secondo cui «la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», sia all'interno dell'ordine giudiziario, ossia nei confronti degli altri giudici. In tale ultima accezione, sembra evidente che il principio espresso dalle suddette disposizioni costituzionali si traduca in un divieto per il legislatore di consentire che l'attivita' di un giudice possa risultare lesa dall'attivita' di un altro giudice, beninteso al di fuori dell'ipotesi - dianzi menzionata - dei diversi gradi di giudizio all'interno del medesimo processo. E, tuttavia, e' del tutto evidente che la cognizione nei suddetti gradi del giudizio non puo' che essere affidata a giudici appartenenti allo stesso plesso giurisdizionale cui appartiene il giudice di prime cure. Va, per vero, tenuto conto al riguardo della previsione dell'art. 102 Cost., che enuncia il principio della tendenziale unita' della giurisdizione, stabilendo che la funzione giurisdizionale debba essere esercitata, di regola, dalla magistratura ordinaria, ossia dai magistrati istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. La disposizione in parola distingue, invero, nettamente i giudici ordinari, cui sono riservate la maggior parte delle disposizioni costituzionali in materia di giustizia (artt. 104, 105, 106 e 107 Cost.), dai giudici speciali, per i quali la regolazione dello status giuridico loro spettante e' demandata dall'art. 108 Cost. alla legge. Orbene, appare del tutto evidente che una disposizione di legge che demandi ad un organo appartenente ad un diverso plesso giurisdizionale (giudice amministrativo) - cui sono affidate, in via di eccezione rispetto alla regola dell'esercizio della funzione giurisdizionale da parte dei giudici ordinari, determinate e specifiche attribuzioni il cui ambito e' costituzionalmente delimitato (artt. 100-103 Cost.) - il riesame di un provvedimento emesso dal giudice ordinario, si traduca in una palese violazione del disposto degli artt. 101, 102 e 104 Cost. L'art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 90/2008, inoltre, - ad avviso del giudicante collide con il disposto degli artt. 100, 103 e 113 Cost., nella parte in cui - sul presupposto che la funzione giurisdizionale debba essere esercitata, di regola, dalla magistratura ordinaria (art. 102 Cost.) individuano l'ambito di giurisdizione del Consiglio di Stato e degli «altri organi di giustizia amministrativa», istituiti in ogni regione ex art. 125 Cost. Per vero, le attribuzioni del plesso dei giudici speciali costituenti la «giustizia amministrativa», secondo le norme costituzionali di riferimento, sono limitate alla «consulenza giuridico-amministrativa» ed alla «tutela della giustizia nell'amministrazione» (art. 100 Cost.), che l'art. 103 Cost. specifica ed individua nella «tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie previste dalla legge, anche di diritti soggettivi». Ora, e' di tutta evidenza che tale ultima forma di giurisdizione che da' luogo alla cd. giurisdizione esclusiva - stante il chiarissimo tenore letterale della norma, che non puo' dare luogo ad equivoci, e' limitata alla «tutela» di diritti ed interessi dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione. Essa, pertanto, non puo' certo essere estesa - come ha fatto la norma censurata di incostituzionalita' - al riesame di provvedimenti emessi da giudici appartenenti ad un diverso plesso giurisdizionale (giudici ordinari), e che, tra l'altro, hanno percorso tutti i gradi di giudizio che la legge prevede per siffatti provvedimenti (fino al giudizio di cassazione). 2) Violazione degli artt. 3 e 111, settimo comma, Cost. E', inoltre, evidente che l'art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 90/2008, nel rimettere la «conferma» dei provvedimenti cautelari, emessi da qualsiasi altra autorita' giudiziaria diversa dal TAR del Lazio, a tale ultimo organo giurisdizionale, viola il disposto dell'art. 111, settimo comma della Costituzione, che - nella parte in cui ammette il ricorso per cassazione per «violazione di legge» - implicitamente riserva alla Corte di cassazione la funzione di organo di vertice delle giurisdizioni. Il che, del resto, e' reso palese altresi' dalla sottoposizione anche delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, a loro volta organi di vertice delle rispettive magistrature, al riesame della Cassazione, sia pure limitatamente ai motivi inerenti alla giurisdizione. Siffatta posizione di vertice della Corte di cassazione e', per vero, diretta a garantire l'espletamento, da parte della medesima, della funzione di nomofilachia e di unificazione della giurisprudenza, che - recependo a livello costituzionale indicazioni gia' desumibili dall'ordinamento giudiziario - il costituente ha inteso attribuire ad un organo supremo unico. E non e' superfluo aggiungere che tale compito, attribuito dalla Costituzione alla Corte suprema, e' strumentale alla tutela della certezza del diritto, e, di conseguenza, dell'uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3 Cost.). Orbene, l'avere il legislatore ordinario indiscriminatamente attribuito al TAR del Lazio, con l'art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 90/2008, il riesame di tutti i provvedimenti emessi da qualsiasi altra autorita' giudiziaria, quand'anche abbiano - come quello reso da questo giudicante in data 28 aprile 2007 - superato il vaglio anche della Corte suprema di Cassazione, si traduce in una palese violazione del principio costituzionale che individua nella Cassazione l'organo di vertice dell'intero sistema giurisdizionale, a garanzia dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. 3) Violazione degli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, Cost. L'anomala forma di riesame dei provvedimenti cautelare di altre autorita' giudiziarie, demandato dall'art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 90/2008 al TAR del Lazio, si traduce, infine, in un vulnus del diritto di difesa, nonche' dei principi di uguaglianza e di parita' delle parti nel processo, previsti dagli arti. 3, 24 e 1111, secondo comma Cost. La censura che si intende muovere, al riguardo, puo' essere articolata in due diversi profili. Sotto un primo profilo, invero, la violazione dei parametri costituzionali suindicati si concreta in una chiara violazione del principio della parita' delle parti del processo (art. 111, secondo comma, Cost.), inteso come principio della parita' delle opportunita' e degli oneri difensivi (artt. 3 e 24, Cost.), piu' volte ribadito anche dalla Corte di Strasburgo (principe de l'egalite' des armes). Siffatto principio se non si sostanzia, invero, in un'assoluta identita' di diritti e di doveri delle parti, e' tuttavia a presidio di un giusto equilibrio tra le stesse sul piano processuale (ex plurimis, C. Edu, 28 settembre 2001, F.R. c/o Svizzera, § 34; C. Edu, 24 aprile 2003, Yvon c/o Francia, § 31). Ebbene, non v'e' chi non veda che si pone in diretto contrasto con i parametri costituzionali suindicati un meccanismo processuale che impone ad una sola delle parti, per di piu' a quella che abbia gia' esperito con successo la tutela cautelare in tutti i gradi previsti dalla legge per il giudizio dinanzi al giudice ordinario, l'onere di richiedere - perfino dopo che il provvedimento ha superato il vaglio della Corte suprema - la conferma dello stesso da parte di un giudice appartenente ad un diverso plesso giurisdizionale. Tale anomala conferma, poi, appare del tutto in contrasto con il principio di intrinseca ragionevolezza della legge, piu' volte enunciato dalla Corte adita con la presente istanza di incostituzionalita' (Corte cost., n. 39/2006; Corte cost., 5 luglio 2006, n. 341; Corte cost., 4 giugno 2007, n. 220; Corte cost., 22 maggio 2007, n. 237). Per vero, piu' volte la Corte ha avuto modo di ribadire che il limite invalicabile della discrezionalita' del legislatore e' segnato dalla ragionevolezza di una determinata previsione normativa, nel senso che questa non deve essere in contrasto - pena l'incostituzionalita' della previsione per violazione dell'art. 3 Cost. - con il «principio di razionalita', che implica l'esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita'» (Corte cost., 18 novembre 1991, n. 421). Ora, non puo' revocarsi in dubbio - a sommesso avviso del giudicante - che la previsione dell'art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 90/2008 sia del tutto in contrasto con il suddetto principio di ragionevolezza, se solo si consideri che la previsione di legge in parola non si e' limitata a prevedere una competenza specifica di un'autorita' giurisdizionale, per esigenze di specializzazione derivanti dalla straordinarieta' di una determinata situazione di emergenza, ma pur sempre nell'ambito del medesimo ordine giurisdizionale (giudice amministrativo). Il che e' accaduto, ad esempio, per l'art. 3, comma 2-bis del d.lgs. n. 245/2005 (convertito in legge n. 21/2006), con il quale e' stata prevista la competenza esclusiva del TAR del Lazio (anche per l'emissione delle misure cautelari), in ordine alla legittimita' dei provvedimenti amministrativi emessi dal Commissario Straordinario per l'emergenza rifiuti, ma su un presupposto specifico, ossia che si tratti di provvedimenti emessi «nelle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225». Ed e' proprio sotto il profilo della straordinarieta' della situazione nella quale vengono emessi i provvedimenti commissariali, che la norma in questione e' stata dichiarata costituzionalmente legittima (da Corte cost. 22 maggio 2007, n. 237). In relazione ai provvedimenti di tal fatta, poi, il comma 2-quater della stessa norma ha altresi' previsto che l'efficacia dei provvedimenti cautelari emessi dagli altri TAR «permane fino alla loro modifica o revoca da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata puo' proporre ricorso). Si tratta, com'e' del tutto evidente, di una previsione che si limita ad individuare un foro speciale competente per la valutazione di legittimita' di determinati provvedimenti, emessi dall'autorita' amministrativa sul presupposto di una situazione straordinaria di emergenza. E la conferma o la revoca delle misure cautelari, in materia, e' limitata a quelle emesse da autorita' giurisdizionali appartenenti allo stesso ordine giurisdizionale. Ben oltre e' andato, invece, il legislatore con l'art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 90/2008, atteso che tale previsione: a) non si e' limitata a prevedere una competenza speciale, ma ha introdotto una nuova forma di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (individuandolo, mediante il richiamo all'art. 3 del d.lgs. n. 245/2005, nel TAR Lazio), per le sole cause instaurate dopo l'entrata in vigore di tale normativa (non contendo la legge di conversione alcuna disposizione transitoria, che la renda retroattivamente applicabile anche ai giudizi in corso); b) ha, pero', sottoposto, in modo del tutto incongruo, alla conferma del TAR anche le misure cautelari gia' emesse, e perfino quelle rese dal giudice ordinario appartenente ad un diverso plesso giurisdizionale, stante la genericita' della previsione, che fa riferimento alle misure cautelari «adottate da un'autorita' giudiziaria diversa da quella di cui al comma 1» (TAR del Lazio); c) non contiene - a differenza dell'art. 3 d.lgs. n. 245/2005 - alcuna previsione che limiti tale forma di improprio riesame ai provvedimenti giurisdizionali che incidano su atti amministrativi adottati nella situazione emergenziale. In altri termini, a differenza dell'art. 3 del d.lgs. n. 245/2005, il riesame da parte del TAR Lazio e' stato esteso dal legislatore a tutti i provvedimenti cautelari, anche se emessi dal giudice ordinario, ed ancorche' - come quello oggetto del presente giudizio - non incidano in alcun modo su atti emanati dal Commissario nella situazione emergenziale, si' che possa, in qualche modo, giustificarsi una «concentrazione» del riesame degli stessi presso un giudice specializzato, ma siano stati resi a tutela diretta ed immediata di diritti costituzionalmente garantiti. Per il che il giudicante non ha neppure dovuto attivare il potere di disapplicazione concesso dalla legge al giudice ordinario, determinando la collisione con le previsioni costituzionali, una carenza assoluta di potere dell'autorita' amministrativa che - in subiecta materia - pone, in buona sostanza, in essere dei meri comportamenti materiali. Ebbene, a parere del giudicante si pone in stridente il contrasto con il principio di ragionevolezza una normativa che sottrae al giudice del merito - che resta, per i giudizi in corso, quello ordinario - qualsiasi potere di intervento (modifica o revoca ex art. 669-decies c.p.c.) di un provvedimento cautelare da lui emesso, demandandolo ad un giudice che appartiene ad un diverso ordine giurisdizionale, senza neppure circoscrivere temporalmente o per categorie di provvedimenti siffatta anomala forma di conferma. Per di piu', ad accrescere l'irragionevolezza della previsione normativa in esame, contribuisce altresi' la considerazione che tale impropria forma di controllo non e' stata limitata ai soli provvedimenti cautelari emessi in prime cure, che non siano stati oggetto di gravame, ma e' stata estesa a tutti i provvedimenti, anche a quelli - come il provvedimento oggetto del presente giudizio - contro i quali sono stati esperiti tutti i rimedi processuali previsti. Inoltre, il riesame non e' costruito come una forma di impugnazione, tanto vero che interessato a provocarlo e' la parte vittoriosa nella fase cautelare; sicche' l'onere di evitarne la caducazione, mediante tale ulteriore specie di controllo, cede a carico della parte che ha gia' ricevuto tutte le verifiche di fondatezza che l'ordinamento predispone per il giudizio dinanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria. Ma non basta. L'irragionevolezza della disciplina in parola, e la palese violazione degli artt. 3 e 111, comma 2 Cost. che essa integra, si evince anche dal fatto che il rimedio in questione e concesso solo in caso di misura cautelare adottata, laddove in caso di diniego di tutela cautelare non e' previsto riesame alcuno della decisone negativa da parte del TAR. Il che si traduce in un'innegabile privilegio processuale per le amministrazioni che si occupano della gestione dei rifiuti, evidentemente controinteressate all'adozione di provvedimenti che inibiscano la realizzazione di discariche; con buona pace del principio di parita' tra le parti in causa. Da ultimo va ancora considerato, sotto un profilo diverso da quello della parita' tra le parti nel giudizio, che la norma dell'art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 90/2008 e' altresi' lesiva del principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, laddove impone, per i soli provvedimenti cautelari adottati in materia di gestione dei rifiuti, e - come detto - senza alcuna limitazione temporale o per categorie di provvedimenti, l'esperimento di un ulteriore - anomalo - grado di giudizio, mentre tutte le altre misure cautelari sono soggette ai soli rimedi previsti dalla legge per i procedimenti dinanzi al giudice ordinario. Esaurita la disamina delle censure di incostituzionalita' che si intendono muovere alla norma suindicata, deve altresi' precisarsi che alla menzionata disposizione dell'art. 4, comma 2 d.lgs. n. 90/2008, ad avviso del giudicante, non puo', in alcun modo, darsi un'interpretazione che la ponga in linea con le menzionate norme della Costituzione. Non si ignora, infatti, il costante orientamento della Corte (da ultimo, Corte cost., 21 giugno 2006, n. 299; Corte cost., 6 febbraio 2007, n. 85), secondo cui sul giudice incombe un preciso dovere: quello di interpretare le norme di legge alla luce della Costituzione. Invero, le leggi - stando al suddetto costante insegnamento - «non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perche' e' impossibile darne interpretazioni costituzionali» (Corte cost. n. 85/2007). Senonche', a parere di chi scrive, alla norma censurata non e' possibile attribuire altro significato, se non quello che collide - come si e' cercato di dimostrare - con le norme costituzionali suindicate. Ed invero, non e' certo possibile interpretare il comma 2 dell'art. 4 del d.lgs. n. 90/2008 come limitato alla conferma dei soli provvedimenti emessi da TAR diversi dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma. La norma, infatti, - ben diversamente da quanto ha operato l'art. 3 del d.lgs. n. 245/2005, che si riferisce testualmente alle sole misure emesse da altri TAR, diversi da quello previsto come solo competente - prevede, in maniera del tutto generica ed onnicomprensiva, la necessita' di conferma da parte del TAR Lazio di tutte le misure cautelari «adottate da un'autorita' giudiziaria diversa da quella di cui al comma 1». Il che equivale a dire - dal momento che il comma 1 prevede una giurisdizione esclusiva, oltre che una competenza - tutte le misure adottate, non solo da TAR diversi da quello competente (TAR Lazio), ma anche da autorita' giurisdizionali diverse da quella che ha giurisdizione esclusiva in materia, ossia dal giudice ordinario. Ed in tal senso si sono, infatti, orientati il TAR Lazio ed il Consiglio di Stato nella presente vicenda processuale, avendo entrambi gli organi giurisdizionali provveduto nel merito, denegando la conferma del provvedimento cautelare reso da questo giudicante in data 28 aprile 2007, senza declinare la giurisdizione per il fatto che si trattava di un provvedimento emesso da un giudice appartenente ad un diverso ordine giurisdizionale. Sicche', anche il limitato «diritto vivente» formatosi dall'entrata in vigore della normativa censurata di incostituzionalita' (non consta, infatti, l'emissione di altri provvedimenti da parte del giudice amministrativo), si e' espresso in modo difforme dai suesposti principi costituzionali. Art. 9 del d.lgs. n. 90/2008, convertito in legge n. 123/2008. 1) Violazione degli artt. 2, 32, 117, primo comma, Cost. L'art. 9 del d.lgs. n. 90/2008 (convertito in legge n. 123/2008), poi, ha provveduto all'individuazione di una serie di siti da destinare a discarica, al fine di consentire lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nella regione Campania, autorizzandone espressamente la «realizzazione», col solo limite del «rispetto della normativa comunitaria tecnica di settore». E tra questi siti e' ricompreso anche quello ubicato nel Comune di Serre, localita' «Valle della Masseria», costituente oggetto del provvedimento cautelare del 28 aprile 2007, in discussione nel presente giudizio. Orbene, a norma dell'art. 117, primo comma, Cost., la potesta' legislativa dello Stato (che nella specie interessa) deve espletarsi «nel rispetto della Costituzione». E non puo' revocarsi in dubbio che nel catalogo dei diritti della persona costituzionalmente garantiti (art. 2, Cost.), e percio' intangibili da parte del legislatore, un posto di primo piano sia occupato - come si e' gia' argomentato - dal diritto alla salute, la cui lesione - per effetto del combinato disposto degli artt. 2043 e ss. c.c. e 2 e ss. Cost. - va incontro alla sanzione risarcitoria ex art. 2059 c.c., anche per equivalente, mediante l'azione inibitoria preventiva proposta nel caso concreto, quale danno non patrimoniale, per il fatto in se' della lesione, indipendentemente da possibili ricadute sul patrimonio, ed anche a prescindere da previsioni specifiche di legge ordinaria, in quanto lesione di valori costituzionalmente protetti e garantiti da norme costituzionali cogenti (nella specie, dall'art. 32 Cost.) (cfr., ex plurimis, Corte cost. 11 luglio 2003, n. 233; Cass. 20 febbraio 2004, n. 3399; Cass. 27 luglio 2006, n. 17144; e, da ultimo, Cass. S.U., 11 novembre 2008, n. 26972). Ebbene, e' di tutta evidenza che l'installazione e l'esercizio di una discarica concreta, di per se', un'attivita' altamente pericolosa per il diritto alla salute dei cittadini, per i mezzi adoperati e per l'inquinamento che puo' derivarne (v. Cass. 1° settembre 1995, n. 9211). Ed, in tal senso, va rilevato che studi condotti - anche all'estero - sull'impatto della prossimita' a discariche sulla salute umana (allegati anche agli atti di causa) hanno evidenziato una maggiore incidenza del rischio di patologie cardiovascolari, urogenitali ed al sistema nervoso, nonche' dei tumori, derivanti dalla vicinanza a discariche, siano esse autorizzate o meno (v., in particolare, lo Studio Pilota sull'impatto sulla salute umana, relativo al trattamento dei rifiuti in Campania per il periodo 1996-2002, e il Notiziario dell'Istituto Superiore di Sanita' n. 6/05). Nel caso concreto, poi, il pericolo di una negativa incidenza della localizzazione, per legge, di una megadiscarica in localita' «Valle della Masseria» del Comune di Serre sul diritto alla salute dei cittadini, e' tanto piu' reale e concreto, in quanto - come si desume dalle attestazioni del Comune di Serre del 30 gennaio 2007 in atti - in prossimita' della prevista discarica insistono circa 80 abitazioni private, con altrettanti nuclei familiari residenti. Inoltre, a distanza di circa 700 m. dalla discarica sono in corso di ultimazione i lavori di realizzazione di insediamenti produttivi relativi ai settori «artigianale» ed «agroalimentare», a basso impatto ambientale, ed a circa 100 m dalla progettata discarica e' in atto la realizzazione di un campo da golf a 36 buche, per un investimento complessivo di circa 50.000.000,00 di euro. Si ritiene, pertanto, che la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' della norma censurata, con riferimento agli artt. 2 e 32 Cost., non richieda ulteriori evidenziazioni. 2) Violazione degli artt. 2, 9, 32, 114, 117, primo comma e 118, Cost. Ad identica conclusione deve pervenirsi, peraltro, per quanto concerne il diritto all'ambiente salubre, tutelato dal combinato disposto degli artt. 2, 9 e 32 Cost. A tal riguardo, giova invero rilevare che, con decreto del Presidente della Giunta Regionale della Campania n. 4060 del 10 novembre 1976, e' stata istituita - in localita' Persano del Comune di Serre - un'Oasi di protezione e di raduno per la fauna migratoria, denominata «Oasi di Penano»; e tale oasi - come risulta dagli atti di causa, e' esattamente a ridosso del sito individuato come discarica dall'art. 9, comma 1 del d.lgs. n. 90/2008. Con successivo decreto del Ministro dei beni culturali (decreto Ronchey), in data 29 novembre 1993, l'area in questione e' stata, inoltre, dichiarata «di notevole interesse pubblico», ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 e del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Del tutto significativa - ai fini che ci occupano - appare la motivazione del suddetto provvedimento: «considerato che la zona suddetta dominata dalla presenza del Sete e dalla straordinaria quinta scenografica dei Monti Alburni, presenta una sua suggestiva bellezza dovuta alla presenza di ambienti diversi: il lago colonizzato per circa 1/3 dalla vegetazione acquatica, prevalentemente canneti che trattengono e compattano i detriti fluviali fino alla comparsa dei primi salici, e lo spettacolare bosco idrofilo composto da pioppi, salici ed ontani che circonda la parte alta dell'invaso e prosegue a tratti per alcuni chilometri di fiume, fondendosi con esso durante la piena». Si tratta, davvero, di un riconoscimento dell'eccezionale rilevanza paesaggistica della zona in questione, che si commenta da se', e non richiede ulteriori sottolineature ed evidenziazioni. Con decreto del Ministro dell'ambiente del 5 maggio 2003, l'Oasi del Sele-Serre-Persano» e' stata, poi, addirittura dichiarata «zona umida di importanza internazionale», ai sensi e per gli effetti della Convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971. E, del pari, particolarmente significativa anche la motivazione del provvedimento in parola: «considerato l'eccezionale valore naturalistico del biotopo, costituito da ambienti altamente significativi sotto gli aspetti floristico-vegetazionali»; «considerato, altresi', l'importante ruolo che la zona umida riveste nel suo complesso per l'avifauna acquatica, soprattutto quale habitat di sosta e alimentazione per durante il periodo delle migrazioni per numerose specie di uccelli acquatici»; e ancora, «considerato che la restante componente faunistica e' rappresentata da specie di elevato valore scientifico e naturalistico, sia per la loro localizzazione, che per la rarita' oggettiva». Non mancano, infine, i riconoscimenti dell'area a livello comunitario, ottenuti con il decreto del Ministro dell'ambiente in data 25 marzo 2005, con il quale il medio corso del fiume Sele e l'Oasi di Persano sono stati inseriti nell'elenco dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografia mediterranea, ai sensi della direttiva n. 92/43 CEE, e nell'elenco delle zone (ZPS), ai sensi della direttiva n. 79/409 CEE. Ebbene, non puo' revocarsi in dubbio che l'individuazione legislativa di tale sito, di eccezionale valore ambientale, come sede di una discarica si ponga in netto contrasto con gli artt. 2, 9 e 32 Cost. Come ha, infatti, incisivamente rilevato la medesima Corte investita della questione di costituzionalita', «l'ambiente e' protetto come elemento determinativo della qualita' della vita. La sua protezione non persegue astratte finalita' naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che e' necessario alla collettivita', e per essa ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; e' imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario e assoluto» (Corte cost. n. 641/1987). Come si evince in modo del tutto palese dalla pronuncia suesposta, la locuzione costituzionale dell'art. 9 Cost., che fa riferimento alla tutela del «paesaggio», non va intesa - come la dottrina meno recente suggeriva - in senso «statico», ossia con riferimento esclusivo alle bellezze naturali di cui alla legge n. 1497/1939, bensi' in senso «dinamico», come interazione continua tra forze naturali e la vita dell'uomo. In altri termini, il paesaggio come forma e immagine dell'ambiente, comprensiva, cioe', di «ogni elemento naturale e umano attinente alla forma esteriore del territorio» (Corte cost. n. 39/1986). In tale prospettiva, dunque, il riferimento alla tutela paesaggistica si evolve - attraverso la considerazione dell'art. 9 in combinato disposto con gli artt. 2 e 32, Cost. nella riconsiderazione globale ed assidua del territorio e dell'ambiente, cosi' come creati dalla comunita' umana che vi si e' insediata, con una continua interazione della natura e dell'uomo. Dal complessivo quadro costituzionale di riferimento si desume, pertanto, che la localizzazione, prevista dall'art. 9 del d.lgs. n. 90/2008, di una discarica in una localita' come quella in discussione, la quale presenta caratteristiche tali da dare vita, per un verso, ad un biotopo «di eccezionale valore naturalistico», riconosciuto a livello comunitario ed internazionale, per altro verso, ad un'area connotata da insediamenti industriali «a basso impatto ambientale» (v. attestazione 30 gennaio 2007 del Comune di Serre), con produzione agroalimentare e casearia insignita del marchio D.O.P., e nota e rinomata in tutta Italia e finanche all'estero, viene ad incidere su un unicum che sottende un'identita' storie culturale ed economica di eccezionale valore. Tale identita', costituzionalmente protetta, ai sensi degli artt. 2, 9, comma 2, 32 (ambiente salubre come interesse della collettivita'), 114 e 118, Cost., sicuramente messa in pericolo dalla previsione normativa di una megadiscarica, con le intuibili immissioni acustiche (traffico veicolare continuo), di polveri e di miasmi conseguenti al trattamento dei rifiuti, e con la prevedibile comparsa di animali infesti e nocivi (ratti, scarafaggi, insetti vari) (v. la valutazione di incidenza ambientale «VIA» redatta dal prof. Sauli, del 14 marzo 2007, spec. pp. 172 e ss.). E' di certo altamente significativo quanto rileva, in proposito, la stessa VIA del prof. Sauli, effettuata su richiesta del Commissario per l'emergenza rifiuti: «uno sversamento incontrollato, sia pure accidentale e di scarsa entita', dei liquami di percolamento della discarica che dovesse riversarsi nel corso del fiume Sele sarebbe la causa di un vero disastro ambientale» (p. 173). E - si badi - a detta dello stesso redattore della VIA, i fiumi Sele e Tanagro e l'Oasi di Persano «distano poche centinaia di metri dal sito della discarica» (p. 176). Ora, e' di tutta evidenza che nella possibilita' - immanente in un'opera del genere - di possibili ed estesi contagi di infezioni e patologie varie in danno dei cittadini del Comune di Serre, e nel rischio di una devastazione ambientale dell'ecosistema che si e' creato - mediante l'attivita' di generazioni di cittadini - nei dintorni del paese, e' certamente insito il pericolo di una lesione del suddetto diritto di identita' storico-culturale-economica del Comune convenuto (v. Cass. 15 aprile 1998, n. 3807), che, di per se', merita adeguata tutela, a fronte di una normativa - come quella censurata - che lo ponga in serio e concreto pericolo. Il tutto in violazione del menzionato disposto dell'art. 117, primo comma, Cost., che - come si e' gia' evidenziato impone che l'attivita' legislativa dello Stato (e delle Regioni) venga esercitato nel rispetto dei principi e delle norme costituzionali. Ne' ad escludere il paventato vulnus dei suindicati principi costituzionali puo' valere - ad avviso del remittente - la mera previsione, contenuta nel comma 1 dell'art. 9 del d.lgs. n. 90/2008, secondo cui la realizzazione della discarica dovra' avvenire «nel pieno rispetto della normativa comunitaria tecnica di settore». Va difatti, per intanto, osservato che la previsione fa riferimento alla mera normativa «tecnica», da applicarsi nella fase esecutiva di installazione della discarica. E, di certo, non vale a preservare da pregiudizi al diritto alla salute dei cittadini il mero rispetto di disposizioni tecniche di settore, laddove la stessa realizzazione, in se' e per se', sia lesiva di tale fondamentale diritto delle persone. Per altro verso, poi, le norme comunitarie non potrebbero, in ogni caso, consentire il pregiudizio di beni fondamentali garantiti dalle norme della nostra Costituzione, e segnatamente dei diritti inalienabili della persona umana, come ha ormai chiaramente evidenziato la Corte adita da questo remittente (Corte cost. n. 170/1984; Corte cost. n.102/2008). Ad ogni buon conto - sia pure per mera completezza, trattandosi di questione che puo' comportare una disapplicazione della norma in questione nel presente di giudizio di merito, ma che non da' luogo a questione di costituzionalita' (Corte cost. n. 102/2008) - la realizzazione di una discarica nella zona in questione appare addirittura in contrasto con specifiche norme comunitarie. Ed invero, il disposto dell'art. 1.1., comma 1, dell'allegato 1 al d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, di attuazione della direttiva 1999/31/CE, dispone che i siti idonei alla realizzazione di un impianto di discarica per i rifiuti non devono ricadere - senza che sia applicabile neppure la clausola di salvaguardia prevista dal comma 2 dello stesso articolo per le mere aree protette - nei territori sottoposti a tutela ai sensi dell'art. 146 del d.lgs. n. 490/99, che alla lett. i) fa riferimento proprio alle zone umide di importanza internazionale (come quella di Persano, a ridosso dell'area individuata per la realizzazione della discarica), incluse nell'elenco di cui al d.P.R. n. 448/1976. 3) Violazione degli artt. 3, 9 e 32, Cost. Dagli atti di causa - e, del resto, sul punto non vi e' controversia tra le parti - si evince, inoltre, che nel Comune di Serre - e precisamente in localita' Macchia Soprana - e' gia' in funzione un'altra discarica, che recepisce i rifiuti solidi di tutta la Regione. A tale discarica dovrebbe affiancarsene un'altra, sovraccaricando, quindi, una zona - gia' fortemente penalizzata - di un'ulteriore installazione pregiudizievole per la salute degli abitanti e per l'ambiente; per di piu' in un'area - come sopra evidenziato di particolare pregio sul piano paesaggistico. Ebbene, si e' gia' rilevato come la stessa Corte adita da questo remittente abbia piu' volte evidenziato la necessita' della ragionevolezza di una determinata previsione normativa, nel senso che questa non debba essere in contrasto - onde evitare la violazione dell'art. 3 Cost. - con il «principio di razionalita'», inteso come esigenza di conformita' dell'ordinamento a «valori di giustizia e di equita'» (per tutte, v. Corte cost., 18 novembre 1991, n. 421). E non puo' certo dubitarsi del fatto che la previsione in esame, nel prevedere una doppia discarica di rifiuti nella stessa zona, con gli intuibili, gravi, pregiudizi che ne conseguirebbero, si ponga in chiaro contrasto con le menzionate esigenze di ragionevolezza e di equita', oltre che di eguaglianza sostanziale tra i cittadini, che si pongono come limite insormontabile alle scelte discrezionali del legislatore. Tanto piu' che la localizzazione di una nuova discarica nella medesima zona appare in palese contrasto con le valutazioni gia' operate dal legislatore, nella medesima materia, e precisamente nell'art. 5 del d.lgs. n. 263/2006 (nel testo introdotto dalla legge di conversione, legge n. 290/2006). Da tale norma si desume, infatti, che, nella localizzazione delle discariche, dovra' tenersi conto «del carico e degli impatti ambientali gravanti sulle aree su cui gia' insistono discariche», e che, nel disporre l'apertura di nuovi impianti, si dovra' valutare «prioritariamente» la possibilita' di localizzare le discariche in siti diversi. Ne' a giustificare - sul piano della ragionevolezza della previsione normativa - una collocazione della discarica in parola in un'area di siffatto valore ambientale, ed in prossimita' di abitazioni e di aziende agroalimentari, potrebbe valere la situazione di emergenza del settore rifiuti, che imporrebbe scelte drastiche. Per vero, anche in situazioni di emergenza che richiedono l'apertura di una discarica, l'ubicazione della stessa non puo' mai essere disposta in deroga alle prescrizioni poste a specifica garanzia di quegli stessi interessi pubblici (salute pubblica ed ambiente salubre), prioritari e non disponibili, cui gli interventi urgenti per lo smaltimento dei rifiuti dovrebbero ovviare (v. Cons. St., 12 ottobre1999, n. 5). Per tutte le ragioni suesposte, dunque, ritiene il giudicante che la previsione di' cui all'art. 9, comma 1 del d.lgs. n. 90/2008, convertito in legge n. 123/2008, nel determinare - del tutto irragionevolmente - una sovraesposizione del diritto alla salute degli abitanti del Comune di Serre, rispetto a quello dei cittadini di altre localita', integri una violazione del combinato disposto degli artt. 3, 9 e 32, Cost.
P. Q. M. 1) Chiede che la Corte costituzionale adita voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 4, comma 2 e 9, comma 1 del d.lgs. 23 maggio 2008, n. 90, convertito dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, nella parte in cui autorizza la realizzazione di una discarica nel Comune di Serre, localita' «Valle della Masseria», per tutte le ragioni esposte nella motivazione della presente ordinanza; 2) Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti del presente giudizio, recante il n. 6393/07 R.G., e dell'allegato procedimento cautelare, siano trasmessi alla Corte costituzionale, disponendo, altresi', la sospensione del processo in corso; 3) Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; 4) Dispone che la presente ordinanza sia comunicata, a cura della cancelleria, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Salerno, addi' 11 maggio 2009 Il giudice unico: Valitutti