N. 70 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 novembre 2009

Ordinanza del 5 novembre 2009, emessa dal Giudice di pace  di  Albano
Laziale nel procedimento penale  a  carico  di  Osemwngie  Osakpamwan
Francis. 
 
Straniero  -  Soggiorno  illegale  nel  territorio  dello   Stato   -
  Configurazione  della  fattispecie  come  reato  -   Disciplina   -
  Violazione dei principi di solidarieta' - Lesione del principio  di
  ragionevolezza - Disparita' di trattamento di situazioni analoghe -
  Parita' di trattamento di situazioni diverse - Lesione del  diritto
  di  difesa  -  Violazione  del  principio  di  personalita'   della
  responsabilita'  penale  -  Contrasto  con  il  principio  di  buon
  andamento della pubblica amministrazione - Violazione del principio
  del contraddittorio -  Contrasto  con  i  principi  in  materia  di
  immigrazione  affermati  dal   diritto   internazionale   e   dalle
  convenzioni internazionali. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.  10-bis,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 4, 10, 24, 27, 102, 111 e 112. 
(GU n.11 del 17-3-2010 )
 
                         IL GIUDICE DI PACE 
 
    Avv. M. Rigel Langella, alla  udienza  del  5  novembre  2009  ha
pronunciato la seguente ordinanza  nel  processo  penale  242/09  nei
confronti di: Osemwngie Osakpamwan Francis, nato in  Nigeria,  il  20
ottobre 1985, imputato del reato art. 10-bis della  legge  15  luglio
2009, n. 94 elett.te dom.to in Albano Laziale, Via  Donizetti  n.  6,
contumace; 
    Premesso: 
        che l'imputato e' stato presentato a giudizio all'udienza del
5 novembre 2009 per il reato previsto e punito dall'alt. 10-bis della
legge 15 luglio 2009, n. 94, disposizione  che  introduce  due  nuove
figure di reato, la prima di natura istantanea  (ingresso  illegale),
la seconda di natura permanente (soggiorno illegale); 
        l'art. l, comma 16 della legge 15  luglio  2009,  n.  94,  ha
introdotto, nel testo del d.lgs. n. 286/1990, l'art. 10-bis, il quale
prevede la nuova fattispecie  criminosa  dell'«ingresso  e  soggiorno
illegale nel territorio dello Stato», sanzionando  con  l'ammenda  da
5.000 a 10.000 euro «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene
nel territorio dello  Stato  in  violazione  delle  disposizioni  del
presente testo unico nonche' di quelle di cui all'art. 1 della  legge
28 maggio 2007 n. 68», e la nuova figura di reato  si  attaglia  alla
condotta dell'imputato dall'entrata in vigore della legge  alla  data
in cui e' stato fermato a seguito di controllo di polizia. 
        che   tale   reato,   introdotto   per   la    prima    volta
nell'ordinamento   italiano   dopo   l'entrata   in   vigore    della
Costituzione, appare in  palese  contrasto  con  alcuni  fondamentali
principi  accolti  dalla  carta  costituzionale,  e  non  puo'  dirsi
palesemente infondata la questione di costituzionalita'  della  norma
che lo prevede sotto vari profili, di seguito illustrati; 
    Il  GdP,  sollevando  d'ufficio   eccezioni   di   illegittimita'
costituzionale, ritiene di non poter pronunciare sentenza  in  quanto
l'introduzione della nuova figura di reato introdotta dalla legge  15
luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni  in  materia  di  sicurezza
pubblica» contiene molteplici elementi che rendono non manifestamente
infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
10-bis del TU in relazione ad alcuni principi costituzionali basilari
come  di  seguito   specificato.   Indubbiamente   e'   compito   del
legislatore, come ribadito dalla nota sentenza della C.  cost.  n.  5
del 2004: regolare la materia dell'immigrazione  in  correlazione  ai
molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi  problemi
connessi a flussi miratori incontrollati, ma, come rilevato  da  piu'
parti in  relazione  alla  norma  in  oggetto,  il  legislatore  deve
comunque attenersi al rispetto dei principi fondamentali del  sistema
penale. 
    I rilievi sollevati sia in relazione ai valori fondamentali della
persona umana  sotto  il  profilo  giuridico  (penale-costituzionale)
appaiono non manifestamente  infondati.  In  sintesi  l'art.  10-bis,
nella parte in cui prevede il soggiorno illegale dello straniero  nel
territorio italiano come reato, appare contrastante con i principi  e
norme costituzionali seguenti. 
Violazione  art.  3,  quale  principio  di  ragionevolezza  che  deve
presiedere a ogni normativa; art. 97, comma  1  quale  principio  del
buon  andamento  della  P.A.  esteso  anche  alla  giurisdizione,  in
relazione all'art. 62-bis, d.P.R. n. 275/2000 e  art.  16,  comma  l,
d.P.R. n. 286/1998. 
      
    La competenza del Giudice  di  pace  e  lo  speciale  rito  della
«presentazione immediata (articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis d.lgs.  28
agosto 2000, n. 274). I1 reato e' stato affidato alla competenza  del
giudice di pace ed il suo accertamento allo speciale rito  introdotto
dall'art. 1, comma 17, della novella nel d.lgs. 28  agosto  2000,  n.
274. 
    Piu' esattamente il comma 3 del nuovo art. 10-bis del  d.lgs.  25
luglio 1998, n. 286 stabilisce che  al  procedimento  penale  per  il
reato in esame si applichino le disposizioni  di  cui  agli  articoli
20-bis, 20-ter e 32-bis del d.lgs. sopra indicato. 
    La norma comporta: la violazione  del  principio  di  uguaglianza
davanti alla legge sia come necessita'  di  diverso  trattamento  per
situazioni differenti sia come necessita'  di  pari  trattamento  per
situazioni simili. In particolare,  si  rileva  la  violazione  degli
artt.  102  e  112  cost.  in  relazione  all'applicazione  estensiva
dell'art. 20 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, con l'introduzione  delle
disposizioni di cui agli artt. 20-bis e 20-ter, con la  richiesta  di
citazione contestuale  per  l'udienza  da  parte  della  PG  qualora:
«ricorrono gravi e comprovate ragioni di urgenza che  non  consentono
di attendere la fissazione dell'udienza ai  sensi  del  comma  3  del
medesimo articolo, ovvero se l'imputato si trova a  qualsiasi  titolo
sottoposto a  misure  di  limitazione  o  privazione  della  liberta'
personale, la  polizia  giudiziaria  formula  altresi'  richiesta  di
citazione contestuale per l'udienza». 
    Dette disposizioni  delineano  in  sostanza  un  nuovo  rito,  il
giudizio a presentazione immediata (art.  20-bis),  prevedendone  una
variante per i casi di urgenza o per gli imputati sottoposti a misure
restrittive della liberta', il cd. giudizio a  citazione  contestuale
(art. 20-ter). Tale procedura unica nell'ordinamento,  configura  una
sorta di tertium genus  tra  reati  procedibili  a  querela  e  reati
procedibili d'ufficio,  rispetto  all'originaria  formulazione  della
norma procedurale avanti il GdP (art. 20, d.lgs. 28 agosto  2000,  n.
274), prevista solo per reati non perseguibili d'ufficio  e  lasciata
all'impulso di parte in alternativa  alla  proposizione  di  querela.
L'art.  20-ter,  mutuando  parzialmente  le  modalita'  del  giudizio
immediato ex art. 453 cpc, con la previsione normativa del termine di
presentazione dell'imputato. elevato a gg.  15,  introduce  un  «rito
dedicato» per una singola fattispecie. Il  vulnus  rappresentato  dal
delegare  a   una   autorita'   amministrativa   (quindi   dipendente
dall'Esecutivo,  alla  quale  rimane  comunque  in  capo   anche   la
possibilita' di espulsione in via amministrativa: ordine del Questore
di allontanamento dal territorio nazionale, di  cui  alla  previgente
normativa della cd. L. Bossi/Fini non abrogata), l'inizio dell'azione
penale obbligatoria, peraltro per un reato contravvenzionale che piu'
che far riferimento alla malia criminis fa riferimento a uno  status,
sembra riportare a epoca non solo  antecedente  la  Costituzione  (il
Codice   Rocco,   delineava   comunque   un'architettura    giuridica
coordinata), ma forse antecedente la Rivoluzione francese  (principio
della divisione dei poteri) o addirittura la Magna Charta  Libertatum
(principio  dell'imputazione:  habeas  corpus  ad  subjiciendum).   E
storicamente, accertato che nel XIV secolo (a.D. 1305) ripugnava alla
cultura  giuridica   europea   la   sovrapposizione   di   differenti
giurisdizioni in capo a un'unica persona/reo. 
    Il punto di diritto,  attuale,  e'  che  il  legislatore  non  ha
abrogato il sistema di cui agli art. 13 e ss. del d.P.R. n. 286/1998,
per il dovuto contrasto al  fenomeno  dell'immigrazione  clandestina.
Oggi, nei confronti del medesimo straniero, una volta che l'Autorita'
di - che riveste anche la qualita' di P.G. - accerti la condizione di
soggiorno illegale, si aprono contestualmente ed automaticamente  due
distinti procedimenti: 
        uno amministrativo, destinato a  sfociare  nel  provvedimento
prefettizio di espulsione (art. 13, d.P.R. n. 286/1998) da  eseguirsi
a cura del Questore e autonomo rispetto a  quello  penale  (art.  13,
d.P.R. n. 286/1998), al quale si e' dato  corso  anche  nel  caso  di
specie, essendo esclusa  l'autorizzazione  dell'AG  per  l'esecuzione
dell'espulsione amministrativa in costanza di procedimento penale; 
        l'altro penale, nelle forme del richiamato art. 20-bis e ter,
d.P.R.  n.  275/2000.  La  previsione  esplicita   della   prevalenza
dell'espulsione amministrativa, rispetto al processo penale  comunque
instaurato,  emerge  anche  dall'introduzione  del   «non   luogo   a
procedere» in qualsiasi fase del giudizio (art. 10, comma  5,  d.P.R.
n. 286/1998), a modifica  dell'istituto  generale,  che  limita  tale
declaratoria alla fase antecedente l'inizio  dell'azione  penale,  fa
emergere una evidente duplicazione di procedimenti. 
    La duplicazione in sede penale della procedura esistente  in  via
amministrativa,  pertanto,   oltre   all'indicato   principio   della
ragionevolezza ex art. 3 Cost., lede il principio di cui all'art.  97
Cost., del buon  andamento  della  pubblica  amministrazione,  esteso
anche alla giurisdizione, con un inutile dispiego di carenti  risorse
strutturali e umane, a scapito peraltro dei processi ordinari. 
Violazione art.  3  della  Costituzione,  inteso  come  principio  di
uguaglianza davanti alla legge: inteso  come  necessita'  di  diverso
trattamento per situazioni diverse e necessita' di uguale trattamento
per situazioni  uguali;  art.  27  principio  di  personalita'  della
responsabilita'  penale  in  relazione  all'art.  10-bis,  d.P.R.  n.
286/1998. 
    Appare violata l'esigenza che l'accusa a una determinata  persona
sia per un fatto specifico (e non con sanzioni comminate a  un'intera
categoria tout court), senza avere  riguardo  all'accertamento  della
capacita' o meno a stare in giudizio, alla presenza  di  giustificato
motivo o meno', etc. Nel caso de quo  l'imputato  non  risulta  avere
precedenti  penali  e  dagli  atti  non  si  evince  una  particolare
pericolosita' sociale, ma solo uno stato di  indigenza  (mancanza  di
fissa dimora) e l'inottemperanza a ordine d'espulsione precedente (ma
senza che venisse depositato e senza che  l'Autorita'  procedente  ne
indicasse le ragioni della mancata esecuzione) di cui al rapporto CC,
che fa ritenere sussistere una obbiettiva difficolta'  a  ottemperare
alla  introdotta  modifica  del  sistema  penale   (possibilita'   di
sostenere le spese di viaggio fuori dai confini dello  Stato),  anche
in relazione all'interpretazione orientata della stessa Consulta:  in
questo  caso   l'osservanza   del   precetto   appare   concretamente
«inesigibile» per i piu' svariati motivi, ma  comunque  riconducibili
«a situazioni ostative di particolare pregnanza», che incidano  sulla
stessa  possibilita',   soggettiva   od   oggettiva,   di   adempiere
all'intimazione,  «escludendola  ovvero  rendendola  difficoltosa   o
pericolosa», come  la  «condizione  di  assoluta  impossidenza  dello
straniero» (cf. sentenza n. 5 del 2004). 
    Pertanto, assume rilievo in questa sede, non la costituzionalita'
della incriminazione della condotta illecita del migrante, ma  quello
della assenza, nella fattispecie propria del reato contravvenzionale,
e per la sola ipotesi di  illecito  trattenimento,  della  previsione
della causa  di  giustificazione  «senza  giustificato  motivo»,  che
invece e' prevista dalla fattispecie di delitto di cui  all'art.  14,
comma 5-ter, d.lgs. n. 286. Tale differenza  di  trattamento  non  e'
giustificata dalla maggiore gravita' del fatto  punito  a  titolo  di
contravvenzione (come invece avviene nella nuova ipotesi di reato  di
trattenimento  ulteriore,  prevista  dal  comma  5-quater,  anch'essa
introdotta con la legge 15 luglio 2000, n. 94). 
    Non  appare  quindi  comprensibile   la   ragione   del   diverso
trattamento delle  due  fattispecie,  entrambe  omissive  e  tali  da
realizzare in concreto una stessa condotta di illecito trattenimento.
Su tale scelta del legislatore, di  non  attribuire  rilevanza  nella
nuova fattispecie ad eventuali motivi  che  possano  giustificare  il
trattenimento  illegale,  appare  non  manifestamente  infondata   la
questione sollevata, proprio ai  sensi  di  quanto  la  stessa  Corte
costituzionale ha statuito nelle sentenze  n.  5  del  2004  e  nella
successiva n. 22 del 2007. 
    Per cui appare,  di  conseguenza,  non  manifestamente  infondata
anche la violazione del principio di uguaglianza e del  principio  di
personalita' della responsabilita' penale (artt. 3  e  27  Cost.)  in
quanto il  reato  equipara  ope  legis  la  condizione  di  soggiorno
illegale del clandestino  a  una  posizione  soggettiva  di  presunta
pericolosita' sociale che, invece, deve essere obbiettivarnente e  in
concreto accertata in relazione a determinati  fatti,  circostanze  e
persone. 
Violazione artt. 24 e 111 Costituzione, in relazione all'art. 10-bis,
commi 1 4 e 5 d.P.R. n. 286/1998. 
    Da piu' parti, altri giudici di merito e insigni giuristi,  hanno
gia' sollevato il problema,  non  secondario,  della  violazione  del
diritto di difesa, cosi' come sollevato nel presente  giudizio  (art.
24, anche in relazione all'art. 111); la violazione del principio  di
ragionevolezza della legge,  del  principio  per  cui  la  pena  deve
tendere alla rieducazione del condannato, e cosi' via.  A  fronte  di
tutte queste obiezioni, in parte giuridiche e in parte  sociologiche,
appare, in particolare,  all'odierno  Giudicante  non  manifestamente
infondata la  violazione  del  diritto  di  difesa  e  ad  un  giusto
processo, che non significa  solo  «celere»  e  tale  da  colpire  il
crimine  in  maniera  possibilmente   esemplare   ma   non   colpisca
indiscriminatamente una mera condizione  sfavorevole,  di  bisogno  e
disagiata che il legislatore costituente voleva, invece, tutelata, in
forza dei principi estesi di solidarieta' sociale (artt.  2,  3  e  4
Cost.). 
    Non appare conforme all'art. 111 cost. il processo  che  non  sia
basato   sui   contraddittorio,   che   non   garantisca   l'adeguata
predisposizione del diritto di difesa (anche in relazione all'art.  6
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, recepita
nell'ordinamento italiano con legge n. 848/1955). Tale diritto appare
leso in modo particolare nella possibilita' di eseguire  l'espulsione
in pendenza del processo, come stabilito dall'all'art. 10-bis,  c.  4
(«Ai fini dell'esecuzione dell'espulsione dello straniero  denunciato
ai sensi del comma 1 non e' richiesto il rilascio del nulla  osta  di
cui  all'art.  13,  comma  3,  da  parte  dell'autorita'  giudiziaria
competente all'accertamento del medesimo reato. Il questore  comunica
l'avvenuta esecuzione dell'espulsione ovvero del respingimento di cui
all'art.  10,   comma   2,   all'autorita'   giudiziaria   competente
all'accertamento del reato). E, soprattutto, perche'  voler  iniziare
comunque, a tali condizioni un'azione penale che deve concludersi, in
caso di espulsione con un non luogo a procedere,  in  qualunque  fase
del giudizio (cf. art. 10-bis,  comma  4)?  Tanto  che  la  Corte  di
Cassazione  nella  relazione  n.  III/09/09  fa  riferimento   a   un
«singolare» profilo sanzionatorio; «ambigua formulazione  normativa»,
«problemi sul versante  processuale»;  «perplessita'»  (in  relazione
alla  mancata  previsione  di  qualsivoglia   giustificato   motivo),
«evidente,   irragionevolezza   della   disparita'   di   trattamento
determinata  sul  punto  dal  legislatore»,  tale  da  richiedere  un
necessario  intervento   correttivo   in   senso   costituzionalmente
orientato: «provocare l'intervento  del  Giudice  delle  leggi»  (sub
paragrafo n. 26). 
    Non secondaria la disparita' di trattamento che si rinviene nella
non concedibilita' dell'ammissione all'oblazione ai  sensi  dell'art.
162 cp (art. 10-bis, comma 1) o della sospensione condizionale  della
pena ovvero di una riduzione di pena conseguente all'adozione  di  un
rito alternativo (per l'espresso divieto di applicazione dei predetti
istituti al rito davanti al giudice di pace ex artt. 2 e  60,  d.lgs.
n. 74/2000), originariamente previsto  a  scopo  deflattivo  comunque
conciliativo  (qui  precluso),  il  cui  sistema   organico   risulta
stravolto dalla novella. 
    Infine  con   la   previsione   di   una   sanzione   sostitutiva
(l'espulsione) piu' grave di quella principale (l'ammenda). 
    Il fatto che l'azione penale  si  possa  concludere  prima  dello
svolgimento del processo, durante o  anche  alla  fine,  purche'  sia
intervenuta  l'esecuzione   della   pena   voluta   dal   legislatore
(espulsione dello straniero) appare obbiettivamente in contrasto  con
un efficace diritto di difesa e i principi del giusto processo. 
Violazione art. 10 Costituzione, sui diritti degli  stranieri  e  gli
obblighi internazionali assunti dall'Italia in materia di trattamento
dei migranti. 
    Ne' appare  palesemente  infondata  la  paventata  illegittimita'
costituzionale  della  norma  in  relazione  all'art.  10  cost.  con
riguardo ai principi affermati in materia di immigrazione dal diritto
internazionale e dalle convenzioni internazionali (in primo luogo  la
Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo,  la  Convenzione  OIL
sui lavoratori migranti n. 143/1975, ratificata con legge  158/1981).
La norma contrasta con i trattati internazionali e  l'art.  10  Cost.
sui diritti degli stranieri e  gli  obblighi  internazionali  assunti
dall'Italia in materia di trattamento dei migranti. 
    Tutto  quanto  sopra  premesso,  rilevato  che  le  questioni  di
costituzionalita' sollevate e sopra enunciate, sia pur succintamente,
appaiono serie e comunque  non  manifestamente  infondate.  Rilevato,
altresi', che appaiono peraltro rilevanti ai fini della  prosecuzione
e definizione del processo, in quanto in caso di  accoglimento  della
Corte, la conseguente declaratoria  di  illegittimita'  della  norma,
comporterebbero l'assoluzione dell'imputato dal reato di cui all'art.
10-bis, d.P.R. n. 286/1998 e successive modifiche e, di  conseguenza,
il giudizio non puo' essere definito a prescindere dalla  risoluzione
delle suddette questioni. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 137 della Costituzione, 1 legge Cost. n. 1 del  9
febbraio 1948, 23 legge n. 87 dell'11 marzo1953; 
    Ritenuta la  rilevanza  delle  questioni  poste  e  la  loro  non
manifesta infondatezza cosi provvede; 
    Solleva l'eccezione di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.
10-bis, d.P.R. n. 286/1998 introdotto dall'art.  1,  comma  16  della
legge n. 94/2009 nella parte in cui prevede come reato il fatto dello
straniero che si trattiene nel territorio dello Stato  in  violazione
delle disposizioni del medesimo TU, con riferimento agli artt. 2,  3,
4, 10, 24, 27, 102, 111 e 112 della Costituzione nonche' al principio
di ragionevolezza della legge penale; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso. 
    Manda la cancelleria per la notifica della presente ordinanza  al
Presidente del Consiglio dei  ministri  e  per  la  comunicazione  ai
Presidenti della Camera e del Senato. 
        Albano Laziale, addi' 5 novembre 2009 
 
                 Il Giudice di pace: Rigel Langella