N. 77 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 novembre 2009

Ordinanza del 18 novembre 2009 emessa dal Giudice di pace di Fabriano
nel procedimento penale a carico di Njimi Rachid. 
 
Straniero  -  Soggiorno  illegale  nel  territorio  dello   Stato   -
  Configurazione  della  fattispecie  come  reato  -  Violazione  del
  principio di ragionevolezza - Disparita'  di  trattamento  rispetto
  alla ipotesi di reato analoga di cui all'art. 14, comma 5-ter,  del
  d.lgs. n. 286 del 1998 - Contrasto con i principi di uguaglianza  e
  di personalita'  della  responsabilita'  penale  -  Violazione  del
  principio di solidarieta' - Contrasto con i principi in materia del
  diritto internazionale  generalmente  riconosciuto  -  Inosservanza
  degli obblighi internazionali in materia. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.  10-bis,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 10,  25,  secondo  comma,  e  117,  primo
  comma, in relazione agli artt. 5, 6 e 16 del Protocollo addizionale
  della Convenzione  Nazioni  Unite  contro  il  crimine  organizzato
  transnazionale ratificata e resa esecutiva  dalla  legge  16  marzo
  2006, n. 146. 
(GU n.12 del 24-3-2010 )
 
                         IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nel processo penale a carico di Njimi Rachid, nato in Marocco  il
25 novembre 1974, residente in Treia, C. da Piangiano n.  12,  libero
contumace, imputato del reato di cui all'art. 10-bis  del  d.P.R.  n.
286/1998, in relazione alla legge 15  luglio  2009,  n.  94,  perche'
straniero si  tratteneva  nel  territorio  dello  Stato  italiano  in
violazione delle disposizioni sopra dette. 
    In Fabriano il giorno 9 novembre 2009. 
    Ha emesso la seguente ordinanza. 
 
                          Premesso in fatto 
 
    L'imputato veniva tratto a giudizio  per  i  fatti  di  cui  alla
rubrica. Veniva escusso quale teste  il  Maresciallo  Orru  il  quale
riferiva le circostanze nelle  quali  aveva  sorpreso  l'imputato  in
territorio di Serra San Quirico sprovvisto  di  titolo  autorizzativo
alla permanenza in Italia. Riferiva altresi' che  nell'anno  2007  il
Rachid  era   stato   raggiunto   da   provvedimento   questorile   e
successivamente da decreto di espulsione dal territorio dello Stato e
che  successivamente  detti  provvedimenti  erano   stati   annullati
dall'autorita' giudiziaria a seguito di ricorso proposto dall'odierno
imputato. Il p.m. ha concluso  chiedendo  la  condanna  dell'imputato
alla pena di € 5.000,00 di ammenda mentre  il  difensore  istava  per
l'assoluzione dell'imputato con ampia formula e  sollevava  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  in   quanto   in
contrasto con gli artt. 2, 3,10, 27 e 117 della Carta  costituzionale
riportandosi a quanto gia' sul punto  argomentato  nell'ordinanza  di
rimessione del giudice  monocratico  di  Pesaro,  e  nelle  eccezioni
sollevate dalla Procura della Repubblica di Bologna  e  di  Agrigento
che produceva. 
    Osserva poiche' non risulta  agli  atti  alcun  provvedimento  di
espulsione  a  carico  del  prevenuto  ed  anzi   dalla   deposizione
testimoniale del  m.llo  Orru  e'  emerso  che  detto  provvedimento,
seppure in passato emesso, e' stato annullato, deve ritenersi che  la
condotta  dell'imputato,  il  quale  si  tratteneva  nel   territorio
italiano privo di titoli autorizzativi, configuri  il  reato  di  cui
all'art. 10-bis introdotto con la legge n. 94/2009. 
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dalla
difesa, seppure non organicamente argomentata in quanto, espressa con
riferimento a quelle analoghe gia' sollevate ed in parte gia' inviate
per  il  vaglio  alla   Corte   costituzionale,   non   si   appalesa
manifestamente infondata ed appare degna di approfondimento. 
    Recita  l'art.  10-bis  del  decreto  legislativo  n.   286/1998,
introdotto dalla legge n. 94/ 2009,  entrata  in  vigore  in  data  8
agosto 2009: «Salvo che il fatto non costituisca piu' grave reato, lo
straniero che fa ingresso ovvero si trattiene  nel  territorio  dello
Stato, in violazione delle  disposizioni  del  presente  testo  unico
nonche' dl quelle di cui all'art. 1 della legge 28  maggio  2007,  n.
68, e' punito con l'ammenda da € 5.000,00 a 10.000 euro». 
    Si tratta di una disposizione che introduce due nuove fattispecie
contravvenzionali, la prima di natura istantanea  (ingresso  illegale
nel  territorio  dello  Stato),  la  seconda  permanente   (soggiorno
illegale nel territorio dello Stato). 
    La condotta dell'odierno imputato, cosi' come contestata nel capo
di imputazione configura la seconda ipotesi di  cui  all'art.  10-bis
integrandone tutti gli  elementi:  il  trattenersi  illegalmente  nel
territorio dello Stato in violazione  delle  disposizioni  del  testo
unico,  precisamente  dell'art.  5  che  prevede  la  necessita'  del
permesso di soggiorno o di altro titolo legalmente rilasciato. 
    Ritiene questo giudice che la norma si  ponga  in  contrasto  con
alcuni   principi   fondamentali   sanciti   dalla    nostra    Carta
costituzionale di talche'  non  appare  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale della norma  medesima  sotto
diversi profili: 
Contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione   sotto   il   profilo
dell'irragionevolezza della scelta di far discendere una sanzione  di
tipo penale della condotta di  chi  si  introduce  o  si  intrattiene
clandestinamente nel territorio nazionale. 
    Nel  corso  dei  lavori  preparatori   e   successivamente   alla
promulgazione della legge sono state sollevate osservazioni  critiche
nei confronti della legge ed in particolare  delle  nuove  figure  di
reato di cui al predetto art. 10-bis ritenuto contrario  ai  principi
della   Carta   costituzionale   ed   altresi'   in   contrasto   con
l'orientamento gia' espresso dal giudice  delle  leggi.  Nell'appello
sottoscritto da un nutrito gruppo di giuristi  italiani  in  data  30
giugno  2009  si  sottolinea  l'irragionevolezza  e  la  carenza   di
fondamento giustificativo della  nuova  figura  di  reato.  Ne'  tale
giustificazione  puo'   essere   ricercata   nella   valutazione   di
pericolosita' sociale delle condotte  penalmente  perseguite  che  si
risolvono in un «modo di essere», in una  condizione  della  persona:
quella di migrante irregolare. 
    La Corte costituzionale nell'ambito del pronunciamento n. 78  del
2007 ha escluso che possa dedursi  la  pericolosita'  sociale  di  un
soggetto sulla sola scorta di un dato «estrinseco e formale» quale il
difetto di titolo abilitativo alla permanenza  nel  territorio  dello
Stato. Per tale ragione appare non individuabile  il  bene  giuridico
che il legislatore intende tutelare con tale  sistema  sanzionatorio.
Inoltre  la  norma  appare   lesiva   della   fondamentale   garanzia
costituzionale in materia penale, in base alla quale si  puo'  essere
puniti solo per fatti materiali e cioe' per cio' che si fa e non  per
cio' che si e'. Va altresi' ricordato che la Corte costituzionale con
il pronunciamento n.  5/2004,  pur  riconoscendo  al  legislatore  il
potere di «regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione  ai
molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi  problemi
connessi a flussi migratori incontrollati» nell'ambito della  propria
sfera di discrezionalita', tuttavia afferma  che  tale  potere  trova
limite  insuperabile  nel  rispetto  dei  principi  fondamentali  del
sistema penale stabiliti dalla Costituzione ed ispirati a criteri  di
ragionevolezza e di razionalita'. 
    La finalita' perseguita dal legislatore appare con tutta evidenza
essere l'allontanamento dello straniero irregolare.  L'espulsione  e'
infatti prevista come sanzione sostitutiva irrogabile dal giudice  ai
sensi del decreto legislativo n.  286/87,  che,  all'uopo  modificato
comprende ora tra i suoi presupposti la sentenza di condanna  per  il
reato di cui all'art. 10-bis. 
    Inoltre,  l'effettiva   espulsione   dello   straniero   in   via
amministrativa costituisce causa di non procedibilita' per  il  reato
di  cui  all'art.  10-bis.  Se  e'  vero,  come,  per  quanto   sopra
evidenziato, e' vero, che la previsione della  norma  e'  strumentale
all'allontanamento   dello   straniero,    essa    appare    vieppiu'
irragionevole anche perche' del tutto inutile nella  vigenza  di  una
normativa atta a raggiungere il medesimo scopo. 
    L'art. 13, comma 4, decreto legislativo  286/98  prevede  infatti
l'espulsione coattiva dello straniero irregolare. I presupposti  sono
i medesimi poiche' anche l'espulsione disposta dal  giudice  di  pace
come  sanzione  sostitutiva  all'ammenda  e'  condizionata  alla  non
ricorrenza dei motivi ostativi previsti dall'art. 14,  comma  1,  del
richiamato decreto legislativo. 
    Pertanto, essendo l'ambito di  applicazione  delta  nuova  figura
contravvenzionale identico  a  quello  della  preesistente  normativa
sull'espulsione per esser identici i soggetti destinatari e la  ratio
che ad entrambe le norme sottende, l'adozione dello strumento  penale
si appalesa del tutto privo di qualsivoglia giustificazione. 
    E' di tutta evidenza che la norma e' destinata a restare priva di
effetti concreti nei confronti  della  stragrande  maggioranza  degli
immigrati irregolari. Non  e'  infatti  pensabile  che  essi  possano
essere in grado  di  fare  fronte  al  pagamento  della  pesantissima
sanzione prevista (di gran lunga la piu' alta  nel  minimo  edittale,
prevista per le contravvenzioni di competenza del giudice  di  pace).
Non puo' pertanto seriamente pensarsi ad un effetto deterrente  della
pena. In realta' appare verosimile che la ratio della norma  consista
nella volonta' di predisporre strumenti tali da rendere difficile  la
vita   all'immigrato   irregolare   emarginandolo   ulteriormente   e
frapponendo  ostacoli  a  qualsiasi  attivita'  di  solidarieta'   ed
accoglienza nei suoi confronti. 
    L'irragionevolezza, oltre all'inutilita',  come  sopra  rilevata,
della nuova fattispecie penale, emerge anche sotto un  altro  profilo
sempre   relativamente    al    sistema    sanzionatorio    adottato.
L'attribuzione della competenza al giudice di  pace  penale  ha  come
conseguenza, non essendo il decreto legislativo  274/2000  modificato
su questo punto, l'impossibilita'  per  il  condannato  di  usufruire
della sospensione condizionale della  pena.  ll  decreto  legislativo
274/2000   e'   stato   invece    modificato    con    l'introduzione
dell'art.62-bis che consente al  giudice  di  applicare  la  sanzione
sostitutiva dell'espulsione in luogo dell'ammenda prevista  dall'art.
10-bis. 
    Orbene, appare evidente che questo  rappresenta  l'unica  ipotesi
nella quale una sanzione sostitutiva e'  piu'  afflittiva  di  quella
sostituita. A ben vedere la sanzione sostitutiva appare  l'unica  che
possa avere effetti concreti per quanto sopra si  e'  detto  riguardo
l'inesigibilita'  in  concreto  dell'ammenda.  Il  che   rivela   con
chiarezza la vera ratio della norma: l'allontanamento dello straniero
dallo Stato. E ne conferma l'irragionevolezza nella  vigenza  di  una
normativa che gia' prevede  la  possibilita'  di  espulsione  in  via
amministrativa e la sanzione penale  per  la  violazione  dell'ordine
questorile di allontanamento. 
Contrasto con l'art. 3 della  Costituzione  sotto  il  profilo  della
disparita' di trattamento di medesime condotte. 
    L'art.  14,  comma  5-ter,  del   d.lgs.   n.   286/98,   prevede
l'allontanamento  dello  straniero   inottemperante   all'ordine   di
allontanamento  del  questore  solo  quando  il   trattenimento   nel
territorio dello Stato superi il tempo stabilito e  non  si  adducano
«giustificati motivi». La nuova fattispecie  di  reato  non  consente
all'imputato di giustificare la propria  permanenza  ne'  concede  al
medesimo un  tempo  per  sottrarsi  al  processo  allontanandosi,  ad
esempio, volontariamente dal territorio dello Stato  una  volta  che,
per qualsiasi motivo venga meno il permesso  di  soggiorno.  Ne'  gli
sara' possibile usufruire di un periodo di tempo per regolarizzare la
propria posizione presentando la  relativa  domanda  in  forza  della
nuova  normativa  entrata  in  vigore   dopo   l'art. 10-bis.   Oltre
all'irrazionale disparita' di  trattamento  tra  le  due  fattispecie
criminose, come rilevato, tese  entrambe  a  sanzionare  la  medesima
condotta (ingresso o trattenimento clandestino) va  stigmatizzato  il
loro insanabile contrasto. I presupposti richiesti  per  l'emanazione
del provvedimento del questore sono: 
        esistenza di un provvedimento prefettizio di espulsione; 
        impossibilita' di eseguire l'espulsione coattivamente; 
        impossibilita' di trattenere lo  straniero  nei  CPT  per  la
decorrenza del termine massimo. 
    Prima dell'introduzione  della  nuova  figura  di  reato  di  cui
all'art.  10-bis,  la  sanzione  penale   conseguiva   alla   mancata
esecuzione dell'ordine di allontanamento del questore a meno  che  lo
straniero non adducesse giustificati motivi. Ora, in  presenza  della
previsione  del  nuovo  reato,  lo  straniero  viene   immediatamente
sanzionato, senza che possa addurre giustificati motivi  per  la  sua
condotta ed a prescindere dalla sussistenza di quei presupposti sopra
richiamati.  La  sperequazione  e'  evidente.   Lo   straniero   che,
nonostante sia stato raggiunto da un decreto di espulsione  e  da  un
ordine di allontanamento del questore,  continui  a  trattenersi  nel
territorio dello Stato senza permesso di soggiorno puo' sfuggire alla
sanzione penale di cui  all'art.  14,  comma  5-ter,  d.lgs.  286/98,
adducendo «giustificati motivi» e non puo' essere perseguito  per  il
reato  di  cui  all'art.  10-bis,  mentre  quello  che  sia  divenuto
irregolare, in quanto si trova, per i piu' svariati, e a quanto  pare
irrilevanti, motivi, con il permesso di soggiorno  scaduto  anche  da
pochi giorni e' immediatamente sanzionabile e sostanzialmente privato
di ogni possibilita' di difesa non  essendo  ammesso  a  motivare  la
propria condotta. 
    Va ricordato che il Presidente  della  Repubblica  nella  lettera
inviata al Presidente del Consiglio dei  Ministri  ed  ai  Presidenti
delle  Camere  in  data  15  luglio  2009,  immediatamente  dopo   la
promulgazione della legge n. 94/2009 ha evidenziato, come  motivo  di
preoccupazione:  «...  la  circostanza  che  la  nuova   ipotesi   di
trattenimento  indebito  non  preveda  l'esimente  della   permanenza
determinata da "giustificato motivo"». 
    La Corte costituzionale con le sentenze n. 57/2004 e 22/2007)  in
relazione alla previsione di cui all'art.  14,  comma  5-ter,  d.lgs.
286/98, ha sottolineato il rilievo che l'esimente puo' avere ai  fini
della «tenuta costituzionale di disposizioni del genere di quella ora
introdotta». Essa e' stata  considerata  atta  ad  evitare:  «che  la
sanzione penale scatti allorche' - anche al di fuori  della  presenza
di vere e proprie cause  di  giustificazione  -  l'osservanza  appaia
concretamente inesigibile», per motivi  riconducibili  «a  situazioni
ostative  di  particolar  pregnanza,  che   incidano   sulla   stessa
possibilita', soggettiva od oggettiva, di adempiere  all'intimazione,
escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa». 
Contrasto con l'art. 3 e l'art. 25, secondo comma della Costituzione. 
    A  ben  vedere,  come  sopra  accennato,  e  come   da   qualcuno
opportunamente   rilevato    (v.    eccezione    di    illegittimita'
costituzionale sollevata  dalla  Procura  di  Torino),  cio'  che  la
fattispecie di nuova introduzione intende sanzionare  penalmente  e',
solo  apparentemente   una   condotta,   mentre   il   vero   oggetto
dell'incriminazione e' la semplice condizione personale, di  per  se'
non suscettibile di concreta rilevanza penalistica in quanto  non  di
per se' lesiva di un bene giuridicamente tutelato  o  tutelabile.  La
nuova   fattispecie   di   reato   si   risolve   pertanto   in   una
criminalizzazione ingiustificata e, per quanto si e'  detto,  inutile
sotto il profilo della deterrenza  e  dell'afflizione,  del  migrante
economico cosi' da apparire in contrasto con l'art. 3 della Carta che
vieta  ogni  discriminazione  fondata,  tra  l'altro,  su  condizioni
personali e sociali, sia con la fondamentale garanzia  costituzionale
di cui all'art. 25 della Costituzione secondo la quale si puo' essere
puniti soltanto per fatti materiali. La gia' ricordata sentenza n. 78
del 2007, oltre ad affermare il principio secondo il quale lo  status
di clandestino  non  costituisce  di  per  se'  presupposto  per  una
diagnosi di pericolosita' sociale, precisa che in tale condizione non
puo' ravvisarsi la giustificazione per  escludere  il  soggetto,  tra
l'altro,  dal  percorso  rieducativo  cui  tende  la  concessione  di
eventuali misure alternative alla  detenzione.  Detto  pronunciamento
risulta vanificato sul piano applicativo dal tenore della nuova norma
proprio perche' il solo «essere clandestino» comporta una presunzione
di pericolosita', peraltro non superabile con prova contraria che non
appare  ammessa,  non  essendo  rilevanti,  come  sopra  evidenziato,
eventuali  «giustificati  motivi»  dello  status  di  clandestinita'.
L'orientamento  della  Corte  costituzionale  espresso  nella  citata
sentenza conferma una posizione gia' in passato ripetutamente assunta
dal  giudice  delle  leggi:  in  occasione  della   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale: 
        dell'art. 708 c.p. proprio nella parte  in  cui  venivano  in
rilievo le condizioni personali del  condannato  per  mendicita',  di
ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale e a  cauzione
di buona condotta (sent. 110/1968); 
        dell'art. 707 c.p. limitatamente alla  parte  in  cui  faceva
riferimento alle  medesime  condizioni  personali  (sent.  14/71)  ed
infine con la censura di incostituzionalita' delle residue previsioni
di cui all'art. 708 c.p. sent.  370/96).  Qui  la  Corte  stigmatizza
«l'irragionevolezza della  limitazione  delle  condizioni  soggettive
punibili ad una sola categoria di persone» che attribuisce  rilevanza
a circostanze di per se' neutre (come il  possesso  di  denaro  o  di
oggetti di valore) solo in quanto riferibili ad un soggetto che fosse
pregiudicato per alcune categorie di reati. 
Contrasto con l'art. 2 della  Carta  che  riconosce  e  garantisce  i
diritti inviolabili dell'uomo e  richiede  l'adempimento  dei  doveri
inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale. 
    Il rilievo e' contenuto altresi' nella questione di  legittimita'
costituzionale sollevata in relazione al nuovo art. 10-bis introdotto
con la legge 15 luglio 2009, n. 94, sollevata dalla Procura di Torino
ed e' pienamente condivisibile. Si osserva infatti che  in  occasione
della declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  670
c.p., la Corte costituzionale con sentenza 519/95 ebbe  ad  affermare
testualmente: «Gli squilibri e le forti tensioni  che  caratterizzano
le  societa'  piu'   avanzate   producono   condizioni   di   estrema
emarginazione, si' che ... non si puo' non cogliere  con  preoccupata
inquietudine l'affiorare di tendenze, o  anche  soltanto  tentazioni,
volte  a  nascondere  la  miseria  e  a  considerare  le  persone  in
condizioni  di  poverta'  come  pericolose  e  colpevoli...»  Ma   la
coscienza  sociale  ha  compiuto  un   ripensamento   a   fronte   di
comportamenti un tempo ritenuti pericolo incombente  per  un'ordinata
convivenza e  la  societa'  civile -  consapevole  dell'insufficienza
dell'azione  dello  Stato  -  ha  attivato  autonome  risposte,  come
testimoniano le organizzazioni di volontariato che  hanno  tratto  la
loro ragion d'essere, e la loro  regola,  dal  valore  costituzionale
della solidarieta'». Il ragionamento perfettamente si attaglia  anche
alla situazione dei migranti economici, che sono i nuovi poveri e  le
cui condizioni soggettive non possono di per se'  costituire,  in  un
paese civile, presupposto per l'attivazione dello strumento penale. 
Contrasto con l'art. 10 della Carta costituzionale in quanto viola  i
principi  affermati  in   materia   di   immigrazione   nel   diritto
internazionale  generalmente  riconosciuto  e  con  l'art.  117   con
riferimento  agli  obblighi  internazionali  assunti  dall'Italia  in
materia di trattamento dei migranti. 
    La regolamentazione dei fenomeni  di  immigrazione  di  massa  e'
un'esigenza legittima non negata dalle convenzioni internazionali  ed
affermata nelle legislazioni nazionali.  Tuttavia  nelle  convenzioni
internazionali, la condizione dello straniero, anche  di  quello  non
«regolare» viene approcciata con comprensione e senso di solidarieta'
nella consapevolezza che queste persone  lasciano  il  proprio  paese
poiche' oppressi dalla poverta' e dal bisogno.  Louise  Arbour,  alto
commissario ONU  per  i  diritti  umani,  il  18  giugno  2008,  dopo
l'approvazione da parte del Parlamento Europeo  della  direttiva  sui
respingimenti e sulle espulsioni ha  affermato:  «e'  il  momento  di
concedere gli stessi benefici anche a  coloro  che  vivono  sotto  la
minaccia  di  un'estrema  poverta',  della  fame,   delle   malattie,
soprattutto quelle epidemiche, pericoli dai quali  hanno  diritto  di
tentare di fuggire».  Le  convenzioni  OIL  e  ONU  riconoscono  come
persone e soggetti di diritti tutti i migranti, sia regolari che  non
regolari (art. 24 ONU). L'art. 1 della conv. OIL dichiara  che  «ogni
membro per cui la presente convenzione  sia  in  vigore  s'impegna  a
rispettare i diritti fondamentali dell'uomo  di  tutti  i  lavoratori
migranti». Tra questi deve comprendersi il diritto al lavoro ed  alla
possibilita'  di  assicurare  a  se'   ed   alla   propria   famiglia
un'esistenza conforme alla dignita'  umana,  solennemente  proclamato
dall'art.  23  della  Dichiarazione  Universale.  L'art.   19   della
convenzione ONU, oltre all'enunciazione del  principio  di  legalita'
della legge penale, al 2° comma, formulando come  un  suggerimento  a
legislatori e giudici nei processi penali contro stranieri  migranti,
regolari e non regolari, recita  testualmente:  «Si  dovrebbe  tenere
conto di considerazioni umanitarie relative  alla  condizione  di  un
lavoratore emigrante, in  particolare  rispetto  al  suo  diritto  di
residenza o lavoro, nell'emanare una sentenza per un  reato  commesso
da un lavoratore emigrante o da un membro della  sua  famiglia».  Dal
tenore  delle  convenzioni  internazionali  emerge  una   figura   di
migrante, anche  se  non  regolare,  come  persona  dotata  di  piena
dignita' umana e degna del massimo  rispetto  nella  sua  ricerca  di
condizioni di vita piu' umane. Cio' non  esclude  che  gli  stranieri
debbano assoggettarsi alla normativa dello Stato che li accoglie,  la
quale  stabilisce  e  disciplina  i  criteri  in  base  ai  quali  la
permanenza del migrante puo' essere regolarizzata. 
    La norma di cui all'art. 117 della Carta pone «l'obbligo  per  il
legislatore ordinario di rispettare le norme  poste  dai  trattati  e
dalle convenzioni internazionali, con la  conseguenza  che  la  norma
nazionale incompatibile  con  gli  obblighi  internazionali»  di  cui
all'art. 117 primo  comma,  viola  per  cio'  stesso  tale  parametro
costituzionale. Ne consegue che spetta  al  giudice  interpretare  la
norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale,  ove
cio' sia possibile ed ove non lo sia e ove il  giudice  dubiti  della
compatibilita' della norma interna con la disposizione  convenzionale
egli  dovra'  doverosamente  proporre   questione   di   legittimita'
costituzionale (sent. Corte costituzionale n. 349/2007). 
    Correttamente,  a  parere  di  questo  giudice,  la  Procura   di
Agrigento,   nel   sollevare   la   questione    di    illegittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis ha rilevato la  sua  incompatibilita'
con i parametri di cui al citato art. 117 della Costituzione  ponendo
in  rilievo  quanto  si  legge  nel  Protocollo   addizionale   della
Convenzione delle Nazioni Unite contro  la  criminalita'  organizzata
transnazionale per combattere il traffico di migranti. In particolare
l'art. 6 del Protocollo prevede  che  «ogni  Stato  Parte  adotta  le
misure legislative... per conferire il carattere di  reato  ai  sensi
del suo diritto interno...» ad alcune condotte (traffico di migranti,
fabbricazione di falsi documenti di viaggio, fatto di  permettere  ad
una persona che non e' cittadina o residente permanente  di  rimanere
nello Stato interessato senza soddisfare i  requisiti  necessari  per
permanere legalmente nello Stato, etc.), mentre l'art.  5  stabilisce
che «i migranti non diventano assoggettati all'azione penale  fondata
sul presente Protocollo per il fatto di essere  stati  oggetto  delle
condotte di cui all'art. 6» e l'art. 16 obbliga gli Stati  contraenti
a prendere «misure adeguate, comprese quelle di carattere legislativo
se necessario, per preservare e tutelare i diritti delle persone  che
sono state oggetto delle  condotte  di  cui  all'art.  6»  nonche'  a
fornire «un'assistenza adeguata ai migranti la cui vita o incolumita'
e' in pericolo dal fatto di essere stati oggetto  delle  condotte  di
cui all'art. 6». 
    Appare evidente che la norma di cui all'art. 10-bis,  comportando
l'incriminazione di persone che si trovano in una condizione rispetto
alla quale si e'  assunto  l'impegno  di  assisterle  e  proteggerle,
rappresenti un'aperta violazione delle disposizioni  sopra  enunciate
specie laddove non ammette che l'accertata «clandestinita'» possa  in
alcun modo essere  «giustificata»  da  situazioni  particolari  anche
indipendenti dalla volonta' dell'irregolare. 
    In conclusione,  per  le  ragioni  sopra  esposte,  che  appaiono
rilevanti e non manifestamente infondate, e' da ritenersi che  l'art.
10-bis introdotto con la legge 15 luglio 2009 n. 94, nella  parte  in
cui prevede come reato il soggiorno  illegale  nel  territorio  dello
Stato appare in contrasto con la Carta  costituzionale  in  relazione
agli artt. 2, 3, 10, 25 e 117 della Carta Costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti  gli  artt.  137  della   Costituzione,   1   della   legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11  marzo  1953,
n. 87, ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza; 
    Solleva  d'ufficio  questione  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 10-bis del decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286,
introdotto dall'art. 1, comma 16 a) della legge 15  luglio  2009,  n.
94, nella parte in cui prevede come reato il  fatto  dello  straniero
che si trattiene nel  territorio  dello  Stato  in  violazione  delle
disposizioni del medesimo testo unico, con riferimento agli artt.  2,
3, 10, 25, comma 2, 117 della Costituzione; 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e dispone la sospensione del processo in corso. 
    Manda alla cancelleria per la notifica della  presente  ordinanza
alla Presidenza del Consiglio dei  ministri  e  la  comunicazione  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Pronunciata in Fabriano all'udienza del 18 novembre 2009. 
 
                      Il giudice di pace: Gatti