N. 91 ORDINANZA 24 febbraio - 5 marzo 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e  pene  -  Atti  contrari  alla  pubblica  decenza  -  Mancata
  abrogazione  o  depenalizzazione   limitatamente   all'ipotesi   di
  condotta  colposa  -   Denunciata   irragionevole   disparita'   di
  trattamento sanzionatorio  rispetto  al  delitto  di  atti  osceni,
  nonche' asserita lesione  dei  principi  di  colpevolezza  e  della
  finalita' rieducativa della pena  -  Contraddittorieta'  e  carente
  descrizione   della   fattispecie   concreta,    con    conseguente
  impossibilita' di verifica della rilevanza  -  Formulazione  di  un
  petitum  oscuro  o,  comunque,  segnato  dalla  prospettazione   di
  soluzioni alternative - Manifesta inammissibilita' della questione. 
- D.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, art. 44; legge 25 giugno 1999,  n.
  205, artt. 1 e 7, comma 1, lett. c); cod. pen., art. 726. 
- Costituzione, artt. 3 e 27. 
(GU n.10 del 10-3-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 44 del  decreto
legislativo 30 dicembre 1999,  n.  507  (Depenalizzazione  dei  reati
minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell'articolo  1
della legge 25 giugno 1999, n. 205) e degli artt. 1  e  7,  comma  1,
lettera c) della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo  per
la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale  e
tributario), in relazione all'art. 726 del  codice  penale,  promosso
dal Giudice di pace di San Severino Marche, nel procedimento penale a
carico di F.T., con ordinanza del 20 luglio 2009, iscritta al n.  270
del registro ordinanze 2009 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 20, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 10 febbraio 2010  il  giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
    Ritenuto che il Giudice di  pace  di  San  Severino  Marche,  con
ordinanza del 20 luglio 2009, ha  sollevato  -  in  riferimento  agli
artt.  3  e  27  della  Costituzione  -  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999,
n. 507 (Depenalizzazione dei  reati  minori  e  riforma  del  sistema
sanzionatorio, ai sensi dell'articolo 1 della legge 25  giugno  1999,
n. 205) e degli artt. 1 e 7, comma 1,  lettera  c),  della  legge  25
giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per  la  depenalizzazione  dei
reati  minori  e  modifiche  al  sistema  penale  e  tributario),  in
relazione all'art. 726 del codice penale,  nella  parte  in  cui  non
prevedono  la  «eliminazione»  o  la   trasformazione   in   illecito
amministrativo   degli   atti   contrari   alla   pubblica   decenza,
limitatamente all'ipotesi di condotta tenuta per colpa; 
        che il rimettente procede nei confronti di  persona  accusata
del reato di cui all'art. 726 cod. pen., in quanto sorpresa da agenti
di polizia giudiziaria mentre urinava in una  pubblica  via,  esposta
alla vista dei passanti e degli abitanti delle case prospicienti; 
        che il difensore dell'interessato,  nelle  more  dell'udienza
dibattimentale,  ha  depositato  un  atto  contenente  «dichiarazioni
spontanee»  del  proprio  assistito,  ed  una  memoria  nella   quale
eccepisce  l'illegittimita'  costituzionale  della   norma   cui   si
riferisce l'imputazione; 
        che secondo il rimettente «risulta» - tanto  dalle  relazioni
della polizia giudiziaria (acquisite agli atti con il consenso  delle
parti), quanto dalle dichiarazioni difensive  -  che  l'imputato  «ha
commesso il fatto per colpa»; 
        che, sempre secondo l'opinione del giudice  a  quo,  dovrebbe
comunque  pervenirsi   ad   una   affermazione   di   responsabilita'
dell'interessato, poiche' la fattispecie contestata,  «in  base  alla
sua attuale formulazione», sanzionerebbe anche  fatti  commessi  «per
colpa e negligenza»; 
        che  la  conclusione  pare  al   rimettente   produttiva   di
conseguenze non compatibili con i principi fissati all'art. 3 Cost.; 
        che infatti, ed  in  primo  luogo,  andrebbe  considerato  il
rapporto di genere a specie esistente tra l'ipotesi contravvenzionale
prevista dall'art. 726 cod. pen. e  la  figura  delittuosa  delineata
all'art. 527 cod. pen. (Atti osceni), la cui condotta tipica «offende
piu' intensamente ed in modo piu' grave il pudore sessuale»; 
        che,  nonostante  la  maggior  gravita'   della   fattispecie
delittuosa,   il   legislatore,   con   le   censurate    norme    di
depenalizzazione, ha degradato ad illecito  amministrativo  l'ipotesi
colposa di «atti osceni» gia' sanzionata dal secondo comma  dell'art.
527 cod. pen., preservando invece, in assenza di  analogo  intervento
sull'art. 726 cod. pen., la rilevanza penale degli atti «colposi»  di
offesa alla pubblica decenza; 
        che dunque, poiche'  l'autore  d'un  fatto  colposo  di  atti
osceni andrebbe esente da pena, e sarebbe punito invece con  sanzione
penale l'autore di atti contrari alla  pubblica  decenza  tenuti  per
colpa,   il   rimettente   censura   la   scelta   legislativa   «per
irragionevolezza e per disparita' di trattamento»; 
        che, «per gli stessi motivi», sarebbe violato anche l'art. 27
Cost. in relazione ai principi  di  «colpevolezza»  e  di  «finalita'
rieducativa della pena»; 
        che, secondo quanto precisato dal giudice a quo  nella  parte
finale dell'ordinanza  di  rimessione,  l'intervento  richiesto  alla
Corte costituzionale consisterebbe  nella  «eliminazione  della  sola
ipotesi colposa della contravvenzione per cui e'  processo»,  essendo
emerso, nel caso di specie, che l'imputato «non ha commesso il  fatto
con coscienza e volonta'»; 
        che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato il 1° dicembre 2009; 
        che, secondo la difesa erariale, la questione dovrebbe essere
dichiarata   manifestamente   inammissibile    per    l'insufficiente
descrizione della fattispecie concreta, posto che il giudice a quo si
e' limitato  ad  enunciare  la  natura  colposa  del  fatto  ascritto
all'imputato, o la mancanza  di  «coscienza  e  volonta'»  del  fatto
medesimo (e' citata, quale  precedente  conforme,  l'ordinanza  della
Corte costituzionale n. 228 del 2005, relativa alla stessa  questione
sollevata dall'odierno rimettente); 
        che la questione sollevata sarebbe  comunque  infondata,  non
potendosi comparare, nella prospettiva del principio di  uguaglianza,
norme preposte alla tutela di beni giuridici diversi (nel caso  degli
atti osceni la «verecondia sessuale»,  e  cioe'  un  interesse  «piu'
specifico» di  quello  concernente  il  sentimento  collettivo  della
costumatezza e della compostezza). 
    Considerato che il Giudice di pace di San  Severino  Marche,  con
ordinanza del 20 luglio 2009, ha  sollevato  -  in  riferimento  agli
artt.  3  e  27  della  Costituzione  -  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999,
n. 507 (Depenalizzazione dei  reati  minori  e  riforma  del  sistema
sanzionatorio, ai sensi dell'articolo 1 della legge 25  giugno  1999,
n. 205) e degli artt. 1 e 7, comma 1,  lettera  c),  della  legge  25
giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per  la  depenalizzazione  dei
reati  minori  e  modifiche  al  sistema  penale  e  tributario),  in
relazione all'art. 726 del codice penale,  nella  parte  in  cui  non
prevedono  la  «eliminazione»  o  la   trasformazione   in   illecito
amministrativo   degli   atti   contrari   alla   pubblica   decenza,
limitatamente all'ipotesi di condotta tenuta per colpa; 
        che sarebbe infatti irragionevole e  discriminatorio,  dunque
in contrasto con l'art. 3 Cost., il perdurante regime di  punibilita'
con sanzione penale delle condotte contrarie  alla  pubblica  decenza
che siano tenute per colpa, posto che e' stata  attuata,  invece,  la
depenalizzazione delle  condotte  colpose  qualificabili  come  «atti
osceni»,  le  quali  oltretutto  esprimono  una   maggior   capacita'
offensiva, perche' lesive del senso del pudore sessuale; 
        che, «per gli stessi motivi», sarebbe violato anche l'art. 27
Cost. in relazione ai principi  di  «colpevolezza»  e  di  «finalita'
rieducativa» della pena; 
        che la questione sollevata  e'  manifestamente  inammissibile
per piu' ragioni concomitanti; 
        che il rimettente ha infatti precluso  alla  Corte  qualunque
verifica di rilevanza del quesito proposto, omettendo  di  descrivere
la  fattispecie  concreta  e  di  indicare,  in  particolare,   quali
circostanze l'abbiano indotto a qualificare colposa  la  condotta  in
contestazione; 
        che  la  circostanza  e'  tanto  piu'  significativa  se   si
considera che, nel campo dei reati contro la pubblica decenza  od  il
senso comune del pudore,  l'atteggiamento  negligente  od  imprudente
attiene  in  genere   alla   potenziale   percezione   pubblica   del
comportamento, piu' che all'attuazione dello stesso; 
        che, nondimeno, il rimettente si e' limitato ad enunciare  la
propria valutazione del  fatto  contestato,  esprimendo,  per  altro,
indicazioni contraddittorie; 
        che infatti il giudice a quo,  mentre  nella  parte  iniziale
dell'ordinanza di  rimessione  assume  che  il  fatto  sarebbe  stato
commesso «per colpa», successivamente afferma che l'imputato «non  ha
commesso il fatto con  coscienza  e  volonta'»,  cosi'  evocando  una
condotta incolpevole, come tale  penalmente  irrilevante  secondo  il
disposto del primo e del quarto comma dell'art. 42 cod. pen.; 
        che concorre  a  determinare  la  manifesta  inammissibilita'
della questione anche la struttura del quesito sottoposto alla Corte,
poiche'  il  rimettente  sembra   sollecitare   sia   una   pronuncia
manipolativa  che  «trasformi»  la   fattispecie   colposa   compresa
nell'art. 726 cod.  pen.  in  un  illecito  amministrativo,  sia  una
pronuncia ablativa che «elimini» il precetto  impartito  dalla  norma
codicistica nella  sua  configurazione  colposa,  dando  vita  ad  un
petitum oscuro o, comunque, segnato dalla prospettazione di soluzioni
alternative per il superamento del denunciato vizio di legittimita'. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 44 del decreto  legislativo  30
dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati  minori  e  riforma
del sistema sanzionatorio, ai sensi dell'articolo 1  della  legge  25
giugno 1999, n. 205) e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c),  della
legge  25  giugno  1999,  n.  205   (Delega   al   Governo   per   la
depenalizzazione dei reati minori e modifiche  al  sistema  penale  e
tributario), in relazione all'art. 726 del codice penale, sollevata -
in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione - dal Giudice  di
pace di San Severino Marche con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 2010. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                       Il redattore: Silvestri 
 
 
                      Il cancelliere: Fruscella 
 
    Depositata in cancelleria il 5 marzo 2010. 
 
                      Il cancelliere: Fruscella