N. 113 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 2009
Ordinanza del 9 dicembre 2009 emessa dal Giudice di pace di Citta' della Pieve nel procedimento penale a carico di Ike Kenneth. Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato - Configurazione della fattispecie come reato - Violazione dei principi di ragionevolezza, di proporzionalita' e di offensivita' - Contrasto con il diritto internazionale - Violazione dei principi di solidarieta' e di uguaglianza sostanziale - Violazione del principio di irretroattivita' della norma penale, in rapporto alla fattispecie dell'illegale trattenimento - Violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza, per la mancata previsione, a differenza dell'ipotesi di reato piu' grave di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, di cause di esclusione della configurabilita' del reato - Violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza per la prevista inapplicabilita' dell'art. 162 cod. pen. (oblazione nelle contravvenzioni). - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. - Costituzione, artt. 2, 3, 10 e 25, secondo e terzo comma, in relazione agli artt. 13, 27, 111.(GU n.17 del 28-4-2010 )
IL GIUDICE DI PACE Premesso in fatto Con atto del 7 settembre 2009, la Procura della Repubblica di Orvieto autorizzava la citazione a giudizio dinanzi al Giudice di pace di Citta' della Pieve del Sig. Ike Kennet, imputato del reato di cui all'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998, come introdotto dalla legge n. 94/2009; Che, all'udienza del 9 dicembre 2009, il Giudice di pace di Citta' della Pieve riteneva che l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998, come introdotto dalla legge n. 94/2009 presentasse profili di legittimita' costituzionale; Considerato in diritto La condotta dell'ingresso e soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello stato presenta, a parere del Giudicante, vari profili di illegittimita' costituzionale, che devono essere vagliati dalla Corte costituzionale. Innanzitutto, essa si sovrappone con la misura amministrativa dell'espulsione ed e', in realta', collegata a detto fine, sicche' il reato sembra apparire in contrasto con il principio di ragionevolezza e con il principio di proporzionalita' e di offensivita' in violazione degli arttt. 2, 3, 13, 25, comma 2 e 3, e 27 Cost. La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 78 del 2007, ha affermato che «il mancato possesso del titolo abilitativo alla permanenza nello Stato, da parte dello straniero non puo' considerarsi reato, in quanto non e' di per se' idoneo a produrre una particolare pericolosita' sociale; la mera condizione di clandestino non puo' considerarsi idonea a porre seriamente in pericolo la sicurezza pubblica», aggiungendo che, in quella normativa come nella contravvenzione in esame, «vengono ... ad essere irragionevolmente accumunate situazioni soggettive assai eterogenee quali ad esempio quella dello straniero entrato clandestinamente nel territorio dello Stato (per commettere un reato) e quella dello straniero che abbia semplicemente omesso di chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno» e quella di chi, in Italia, lavori seppure non sia munito di permesso di soggiorno per svariate ragioni. Infatti, la punizione di comnportamenti innocui sotto il profilo dell'offensivita' sarebbe in contrasto con il principio c. d. del doppio binario, in base al quale le misure di sicurezza sono destinate a contrastare i soggetti socialmente pericolosi, mentre l'inflizione di una pena corrisponde ad una serie di finalita', non limitate alla prevenzione generale e speciale. Ed invero, la locuzione «fatto commesso» di cui al secondo comma dell'art. 25 Cost., strettamente collegata con l'art. 27 Cost., il quale, al primo comma, sancisce il carattere personale della responsabilita' penale, prevedendo «un limite strutturale dell'illecito penale» ed imponendo il ricorso a differenti sanzioni, civili o amministrative, per realizzare esigenze di tutela incompatibili con quella di colpevolezza, al terzo comma attribuisce alla pena una funzione rieducativa, implicando «necessariamente una delimitazione della illiceita' penale ad una sfera selezionata di valori». Il principio predetto assume un significato limitativo e selettivo della rilevanza penale anche in relazione al principio di susidiarieta' di questo ramo del diritto e della configurazione della pena quale extrema ratio giacche', se il reato consiste in un atto tipo pocooffensivo e se il diritto penale non deve riguardare tutti gli aspetti della vita sociale, non si comprende per quale ragione, potendosi raggiungere la finalita' dell'espulsione in via ministrativa, si preveda in reato, punito con l'ammenda, nonostante il controllo dei flussi migratori e la disciplina dell'ingresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale costituisca un grave problema sociale, umanitario ed economico che implica valutazioni di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze generali di ordine e sicurezza pubblica ne' sovrapponibili o assimilabili a problematiche diverse, legate alla pericolosita' di alcuni soggetti e di alcuni comportamenti che nulla hanno a che fare con il fenomeno dell'immigrazione, come peraltro affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 5 del 2004 e sentenza n. 22 del 2007. Peraltro, la Corte costituzionale, nel ribadire la discrezionalita' del legislatore nelle scelte di incriminazione, ne condiziona la legittimita' costituzionale al non essere irrazionali ed irragionevoli (sentenza n. 225 del 2008), mentre sembra escludere che il reato possa assumere i tratti di quello di autore, in cui una determinata qualita' trasforma un fatto, che per la generalita' dei soggetti non costituisce illecito penale, in reato (Corte costituzionale, sentenza n. 370 del 1996, sentenza n. 354 del 2002, in cui si esclude che tutto il carico della lesivita' possa accentrarsi su condizioni e qualita' individuali). L'ingresso o la permanenza illegale del singolo straniero, dunque, non rappresentano, di per se', fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono espressione di una condizione individuale - quella di migrante - che trova tutela in numerose convenzioni internazionali, cui l'Italia ha aderito, donde pure la violazione dell'art. 10 Cost., sicche' la relativa incriminazione non solo assume un connotato discriminatorio ratione subiecti, ma contrasta anche con il diritto internazionale, ove non venga correlato ad ulteriori violazioni. Del resto «gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le societa' avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, si' che non si puo' non cogliere con preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze, o anche soltanto di tentazioni, volte a nascondere la miseria e a considerare le persone in condizione di poverta' come pericolose e colpevoli, perche' disperate e senza speranza ed in altri paeesi senza democrazia giungono in Italia» (Corte costituzionale, sentenza n. 519 del 1966). Ed invero, il principio di solidarieta' «e' posto dalla Costituzione trai valori fondanti dell'ordinamento giuridico, tanto da essere solennemente riconosciuto e garantito, insieme ai diritti inviolabili dell'uomo, dall'art. 2 Cost. come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal costituente» (Corte costituzionale, sentenza n. 75 del 2002). L'art. 2 Cost. configura la solidarieta' non solo come dovere, ma anche quale principio ispiratore della nostra Costituzione, espressione di piu' diretta realizzazione del principio di solidarieta' sociale, per il quale la persona e' chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un'autorita', ma per libera e spontanea espressione della profonda socialita' che caratterizza la persona stessa. La solidarieta', quindi, diviene un valore in se' considerato ed una coscienza di partecipazione al vincoli della comunita' statuale in formazione, affrancandosi dalla connessione della disciplina dei doveri per assurgere ad un insieme di comportamenti, che ogni soggetto, singolo o associato, pone in essere per la realizzazione dell'attivita' collettiva altruistica e disinteressata, con scopi di pura solidarieta', nozione radicalmente estranea alle categorie codicistiche tradizionali». La dimensione della solidarieta', pero', supera il limite dei doveri e degli obblighi imposti e costituisce un modo per concorrere a realizzare l'eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, secondo comma, Cost., sicche' il principio di solidarieta' e' strettamente connesso al principio di eguaglianza. La dimensione solidaristica e' «un'istanza dialettica volta al superamento del limite atomistico della liberta' individuale, nel senso che tale liberta' e' una manifestazione che conduce il singolo sulla via della costruzione di rapporti sociali e di legami tra gli uomini, al di la dei vincoli derivanti dai doveri pubblici o da comandi dell'autorita'» (Corte costituzionale, sentenza n. 500 del 1993), ricollegando la solidarieta' alla sfera di liberta', mentre la solidarieta', interferendo anche con l'uguaglianza sostanziale, va oltre la dimensione locale e nazionale e diventa transnazionale. La norma, poi, oltre alla condotta di ingresso irregolare, punisce lo straniero che si trattiene nel territorio dello Stato in modo irregolare, con cio' violando il secondo comma dell'art. 25 della Costituzione (irretroattivita' della norma penale), in quanto punisce un soggetto anche per condotte poste in essere prima dell'entrata in vigore della legge n. 94/2009. Va peraltro osservato in proposito che nel d.lgs. 286/1998 e' gia' prevista, nel comma 5-ter dell'art. 14, un'ipotesi del reato consistente nel trattenersi nel territorio dello Stato a seguito di provvedimento del Questore: tale ipotesi e' certamente piu' grave di quella prevista dall'art. 10-bis, in quanto la condotta e' posta in essere da chi ha ricevuto un espresso provvedimento di allontanamento e lo viola volutamente, tanto vero che e' stata configurata come delitto. Per tale delitto, tuttavia, e' espressamente prevista una causa di esclusione della configurabilita' dei reato costituita dal giustificato motivo che, come ha avuto modo di precisare tanto la giurisprudenza della Consulta quanto quella della Cassazione, va individuato in tutte quelle circostanze concrete che rendono oggettivamente inesigibile l'ottemperanza all'ordine. Nell'ipotesi disciplinata dalla norma in esame, che e' sicuramente meno grave (sia ontologicamente che giuridicamente, essendo stata configurata come contravvenzione punita con la sola ammenda) rispetto a quella di cui al comma 5 dell'art. 14, non e' prevista alcuna causa di esclusione, il che costituisce una ulteriore, evidentissima violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza. Altra norma sospetta di incostituzionalita', per violazione dell'art. 3 della Costituzione, e' quella contenuta nell'ultimo inciso del primo comma dell'art. 1 della legge n. 94/2009, secondo cui «Al reato di cui al presente comma non si applica l'articolo 162 del codice penale. Al riguardo il giudice Osserva che nessuna norma dell'ordinamento giuridico discrimina il cittadino dallo straniero irregolare, per cui l'esclusione di quest'ultimo dalla possibilita' di utilizzare l'istituto dell'oblazione, creando una sorta di regime speciale che riguarda un'intera categoria di soggetti (gli stranieri clandestini) viola il principio di uguaglianza sancito, appunto, dall'art. 3 della Costituzione. ll ricorso all'oblazione costituisce un diritto soggettivo per l'imputato di contravvenzione punita con la sola pena dell'ammenda, con conseguente estinzione del reato: ebbene, tale diritto viene negato immotivatamente al migrante clandestino solo perche' tale. Sotto il profilo sanzionatorio, vi sono poi dubbi sui caratteri della pena prevista per questa contravvenzione. In effetti, la norma non tiene affatto conto della ratio che deve rivestire la sanzione penale che, nel rispetto dei principio di proporzionalita', dev'essere utilizzata solo in mancanza di altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo mentre, nel caso di specie, la nuova figura di reato si sovrappone integralmente a quella dell'espulsione quale misura amministrativa, il che mette in luce la sua assoluta irragionevolezza. Alla luce di questi principi varie volte espressi dalla Corte Costituzionale, l'art. 10-bis T.U.IMM. appare contrastare con gli arti 2, 3, 25, secondo e terzo commi , in relazione agli artt. 10,13 e 27 Cost. Sulla rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale va rilevato che la questione di legittimita' costituzionale di tali norme si pone come una vera e propria questione pregiudiziale, un antecedente logico-giuridico necessario per la decisione della causa, ed e', pertanto, palesemente rilevante nei giudizio in esame.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 e ss. Cost; Visti gli artt. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta, per i motivi sopra indicati, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998, come introdotto dalla legge n. 94/2009; Ritenuta altresi' rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998, come introdotto dalla legge n. 94/2009, in quanto nel caso di specie deve applicarsi la predetta norma; Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286/1998, come introdotto dalla legge n. 94/2009, con riferimento agli artt. 2, 3, 10, 25, secondo e terzo comma Cost., in relazione agli artt. 13, 27 e 111 Cost; Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953, Sospende il presente procedimento; Manda alla cancelleria per la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza alla Presidenza del Consiglio dei ministri nonche' al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Citta' della Pieve, addi' 9 dicembre 2009 Il giudice di pace: Nicchi