N. 10 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 17 marzo 2009

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato in cancelleria il 16 marzo 2010 . 
 
Parlamento - Immunita' parlamentari  -  Procedimento  civile  per  il
  risarcimento del danno nei confronti dell'on. Costantino  Belluscio
  a seguito delle dichiarazioni rese  nei  confronti  del  magistrato
  Salvatore Senese - Deliberazione della Camera dei deputati in  data
  22 febbraio 2000 di insindacabilita' -  Ricorso  per  conflitto  di
  attribuzione proposto dalla Corte Suprema  di  Cassazione  -  prima
  sezione civile - Denunciata  mancanza  di  nesso  fra  la  condotta
  addebitata al deputato e l'esercizio delle funzioni parlamentari. 
- Deliberazione della Camera dei deputati 20 febbraio 2000 [recte: 22
  febbraio 2000]. 
- Costituzione, art. 68, primo comma. 
(GU n.15 del 14-4-2010 )
 
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
iscritto al n. 24436-2004 del  Ruolo  Generale  degli  affari  civili
dell'anno  2004,   proposto   da:   Senese   Salvatore,   domiciliato
elettivamente in Roma, alla via  G.  Gesmundo  n.  4,  presso  l'avv.
Giuseppe  Zupo,  che,  con   l'avvocato   Giuseppina   Bevivino,   lo
rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso; ricorrente; 
    Contro Belluscio  Costantino,   elettivamente   domiciliato   nel
giudizio d'appello presso il difensore avv. Massimo Bersani in  Roma,
alla piazza Cola di Rienzo n. 69; intimato, avverso la sentenza della
Corte d'appello di Roma, 1ª sez. civ., n. 4091/03, del 17  gennaio  -
29 settembre 2003; 
    Uditi, all'udienza del 17 marzo  2009,  la  relazione  del  Cons.
dott. Fabrizio Forte, l'avv. Giuseppe Zupo, per il ricorrente,  e  il
p.m. dott. Antonio Martone, che ha chiesto di sollevare il  conflitto
di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. 
 
                          Premesso in fatto 
 
    1. - La vicenda. 
    Il dott. Salvatore Senese, magistrato  componente  del  Consiglio
superiore  della  magistratura  all'epoca  dei  fatti,  querelava  il
parlamentare on.  Costantino  Belluscio  per  avere  pubblicato,  tra
l'agosto e il novembre 1982, tre articoli prima sul periodico  Ordine
Pubblico,  dal  titolo,  rispettivamente,  «Prima  compagni   e   poi
giudici»,  «Polizia?  No,  grazie»  e  «Ma  quale   giustizia...»   e
successivamente sui giornali L'Umanita' e  Ragionamenti,  nei  quali,
riportando in modo alterato e incompleto alcune frasi estrapolate  da
un suo scritto contenuto nel volume dal titolo «Crisi istituzionale e
rinnovamento della giustizia» edito  nel  1978,  ne  aveva  stravolto
completamente il senso in modo da far trasparire una sua posizione di
favore e sostegno a gruppi eversivi e terroristici, con grave lesione
della sua immagine di magistrato. 
    In particolare,  il  Belluscio  aveva  riportato  una  frase  del
Senese: «Il (nostro) disprezzo per le istituzioni e' ormai entrato in
molte coscienze democratiche», inserendovi  l'aggettivo  nostro,  non
esistente  nel  testo  originale,  che  anzi  esprimeva   una   forte
preoccupazione dell'autore per  il  processo  di  deterioramento  del
rapporto di fiducia tra cittadini  e  istituzioni,  ed  omettendo  la
conclusione: «non si puo' far finta di niente», cosi'  da  attribuire
al querelante un atteggiamento  di  disprezzo  verso  le  istituzioni
stesse. Aveva inoltre trasformato la sua attenzione  verso  le  lotte
sociali   «non   eversive,   non   violente   e   nemmeno   illegali»
nell'esaltazione di «forme di  violenza  che  si  erano  espresse  in
scioperi selvaggi, in occupazione di case,  nella  spesa  proletaria,
nell'autoriduzione delle tariffe, cioe' in pratica i primi fuochi  di
guerriglia», mai condivise ne' approvate dal magistrato. Aveva ancora
commentato, in uno di detti articoli: «Che cosa significa tutto cio',
se non una copertura,  ammantata  da  motivazioni  sociologiche,  del
fenomeno terroristico? Le Brigate Rosse  hanno  forse  una  filosofia
diversa alla base delle loro gesta?», omettendo di riportare la netta
e non rituale condanna  del  terrorismo  e  della  violenza  politica
che l' esponente aveva ribadito nel suo scritto. 
    Nonostante  la  richiesta  del  Senese  di   rettificare   quanto
pubblicato su Ordine pubblico e di eliminare  le  falsificazioni,  il
Belluscio aveva  proseguito  nella  sua  condotta,  giustificando  la
propria segretaria per «aver  copiato  fedelmente  una  frase  da  un
contesto  tale  per  cui  anche  quel   nostro   si   giustifica»   e
successivamente inviando gli articoli, senza alcuna correzione,  alle
redazioni de L' Umanita' e Ragionamenti. 
    2. - Il processo penale e la causa civile. 
    Negata nell'anno 1987 dalla Camera dei deputati  l'autorizzazione
a procedere all'epoca prevista, all'esito  del  mandato  parlamentare
del Belluscio il processo penale in precedenza sospeso  era  definito
con sentenza della Corte di cassazione, sez. V penale, 3 giugno 1993,
n. 8375 che, respinta  la  censura  di  carenza  motivazionale  sulla
colpevolezza dell' imputato affermata in grado di appello, dichiarava
estinto il reato di diffamazione per prescrizione. 
    Il  Senese  adiva  quindi  il  giudice  civile,   con   citazione
notificata il 27 dicembre 1995, al fine di ottenere  il  risarcimento
del danno. Tale domanda  era  respinta  dal  Tribunale  di  Roma  con
sentenza del 4 aprile 2000. 
    Proposto appello dal Senese ed appello incidentale dal Belluscio,
la Corte di appello di Roma con sentenza del 29  settembre  2003,  in
parziale riforma della decisione impugnata, compensava tra  le  parti
le spese del primo grado di giudizio e confermava nel resto,  ponendo
peraltro a fondamento del  rigetto  della  domanda  risarcitoria  una
diversa motivazione, in ragione  della  sopravvenuta  delibera  della
Camera dei deputati del 22 febbraio 2000 - prodotta dal Belluscio con
la costituzione in  appello  -  di  insindacabilita'  delle  opinioni
espresse dal parlamentare negli scritti in oggetto. 
    La Corte di appello, premesso che l'art. 68, primo  comma,  Cost.
prevede un'esimente  di  natura  sostanziale  dalla  responsabilita',
condivideva la delibera di insindacabilita' sopra richiamata, secondo
la quale i fatti per i quali era in  corso  il  processo  «concernono
opinioni espresse dall'on. Belluscio  ...  nell'esercizio  delle  sue
funzioni, ai sensi del primo comma dell'art. 68 della Costituzione». 
    Detta  Corte  disattendeva  quindi  la  richiesta  di   sollevare
conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale formulata
dall'appellante, il quale aveva dedotto che  l'atto  parlamentare  lo
aveva privato  del  diritto  di  ottenere  una  sentenza  di  merito,
comprimendo il potere  dei  giudici  di  decidere  sulla  domanda  ed
esorbitando  dalle  prerogative  costituzionali  del  Parlamento,  in
assenza del necessario collegamento  funzionale  tra  l'attivita'  di
parlamentare e gli articoli di stampa in esame: osservava al riguardo
il Collegio che nella  «delibera  viene  posto  in  evidenza  che  il
deputato  Belluscio,  all'epoca  dei  fatti,  a   prescindere   dalle
manifestazioni di parlamentari  organizzate  dinanzi  al  carcere  di
Peschiera ove erano ristretti i poliziotti dei N.O.C.S. arrestati, ha
presentato una interrogazione parlamentare» di censura dell'emissione
dei mandati di cattura di  appartenenti  alle  forze  dell'ordine  da
parte dei magistrati di Padova, chiedendo testualmente «in  che  modo
il Governo si  propone  di  contenere  l'azione  di  noti  magistrati
politicizzati la cui azione contrasta con i principi costituzionali e
determina legittimi  dubbi  nella  certezza  del  diritto»;  rilevava
inoltre che dalla stessa delibera risultava che «nella  replica  alla
risposta del rappresentante del Governo 1' onorevole  Belluscio  ebbe
ancora a soffermarsi sulle  «idee  politiche»  e  sulle  «convinzioni
filosofiche» dei magistrati associati a  magistratura  democratica  e
agli atti congressuali che ne contenevano l'esposizione.  Sempre  nel
quadro  delle  suddette  manifestazioni  l'onorevole  Belluscio   fu,
altresi', incaricato dai gruppi parlamentari  di  acquisire  elementi
per  effettuare  un'inchiesta  giornalistica  sulle  tesi   di   tale
associazione e sul loro rapporto  con  il  corretto  esercizio  della
funzione  giudiziaria.  Sulla  base  di  tale  incarico   l'onorevole
Belluscio  pubblico'  gli  articoli  di  cui  si   e'   fatto   sopra
riferimento». 
    I motivi indicati nella delibera giustificavano, ad avviso  della
Corte di merito, la esenzione da responsabilita', non  rilevando  che
nell' interrogazione non fosse riportato il  nome  del  Senese  o  di
altri esponenti della corrente associativa della magistratura cui  il
medesimo apparteneva, sulla  quale  il  parlamentare  aveva  espresso
un'opinione fortemente critica. Stante la ravvisata correttezza della
delibera parlamentare, la Corte di appello rigettava  la  domanda  di
risarcimento   del   danno,   affermando   conclusivamente   che   il
comportamento dell'on. Belluscio,  «sebbene  illecito,  non  comporta
responsabilita' dell'autore del fatto», ai sensi dell'art. 68,  primo
comma, Cost. 
Il ricorso per cassazione del Senese. 
    Per  la  cassazione  di  tale  sentenza  il  Senese  ha  proposto
tempestivo ricorso notificato l'8 novembre 2004, con unico articolato
motivo illustrato da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. 
    Il Belluscio non ha svolto attivita' difensiva. 
    Con il ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione  degli
artt. 68, primo comma, 24, 111, sesto comma, 134 Costa,  e  dell'art.
6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, resa esecutiva in Italia con
legge 4 agosto 1955, n. 848, e omessa o insufficiente motivazione  su
punti decisivi della controversia,  ai  sensi  dell'art.  360,  primo
comma, n. 3 e 5, c.p.c. 
    Si deduce che la sentenza della Corte di appello di Roma lede  il
«diritto di accesso  alla  giustizia»  del  ricorrente,  riconosciuto
dall'art. 24 della Cost. e dall'art. 6,  par.  1,  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo, nell'  interpretazione  fornita  dalla
Corte europea  di  Strasburgo  (da  ora  C.E.D.U.),  che  costituisce
diritto  vivente  sovranazionale:  si  osserva  al  riguardo  che  la
insindacabilita' delle opinioni espresse dal parlamentare, a garanzia
del pieno e libero svolgimento delle sue funzioni, sia per  la  Corte
costituzionale che per la C.E.D.U. puo' legittimamente incidere sulla
giustiziabilita' delle situazioni soggettive di terzi soltanto se  il
comportamento illecito sia legato da nesso funzionale all'  attivita'
parlamentare. 
    Si rileva sul punto che la Corte costituzionale ha reiteratamente
affermato che il nesso tra attivita' parlamentare e opinione espressa
al di fuori degli atti tipici del Parlamento e' ravvisabile  solo  se
1'opinione manifestata extra moenia sia sostanzialmente  riproduttiva
di quella esposta nella sede parlamentare. 
    Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale, nel rifiutare  di
sollevare il conflitto di attribuzione e nel qualificare «esatta»  la
delibera liberatoria del Parlamento, si e'  attribuita  funzioni  che
non le spettano ed ha erroneamente ritenuto la insindacabilita' degli
scritti diffamatori e  l'esonero  dalla  responsabilita'  civile  del
Belluscio, con un'adesione completa alle ragioni della decisione  del
Parlamento,  adottata  in  contrasto   con   i   costanti   indirizzi
ermeneutici della Corte costituzionale. 
    Piu' specificamente, si rileva che la motivazione della  sentenza
impugnata, anche ove intesa come recettiva della motivazione resa dal
Parlamento, e' insufficiente e comunque contrastante  con  i  criteri
adottati di regola dalla Corte costituzionale nella  risoluzione  dei
conflitti sorti tra poteri dello Stato a  seguito  dei  provvedimenti
scriminanti del Parlamento ai sensi dell'art.  68  Cost.,  in  quanto
negli atti parlamentari - interrogazione e replica del Belluscio -  i
riferimenti ai comportamenti dei giudici sono  astratti  e  generici,
pur  se  relativi  a  «magistrati  politicizzati»  appartenenti  alla
corrente Magistratura democratica;  per  contro,  negli  articoli  di
stampa  in  oggetto  le  espressioni  diffamatorie  sono  indirizzate
specificamente nei confronti del ricorrente, onde  deve  negarsi  che
esse si pongano come riproduttive o divulgative di manifestazioni del
pensiero gia' espresse in sede parlamentare  e  nell'esercizio  delle
funzioni di deputato. 
    Si  osserva  altresi'  che  la  C.E.D.U.  ha  in  piu'  occasioni
precisato che il sacrificio del diritto di  agire  del  cittadino  e'
giustificato solo se  proporzionato  alla  esigenza  di  salvaguardia
delle liberta' del Parlamento  ed  ha  ritenuto  ingiustificato  tale
sacrificio allorche' il giudice nazionale, sollecitato  dalla  parte,
abbia rifiutato di sollevare il  conflitto  di  attribuzione  dinanzi
alla Corte costituzionale, cosi' impedendo a  questa  di  pronunciare
sulla compatibilita' tra la deliberazione del Parlamento,  contestata
come esorbitante dalla parte, e le  attribuzioni  costituzionali  del
potere giudiziario. 
    Si  prospetta  quindi  violazione  dell'art.  6,  par.  1,  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo,  come  interpretato  dalla
C.E.D.U., e dell'art. 24 Cost., per avere la Corte di merito respinto
la domanda risarcitoria in base ad una delibera parlamentare  la  cui
legittimita' egli aveva contestato, senza interpellare  l'organo  cui
spettava verificarne la correttezza e quindi surrogandosi nei  poteri
del giudice delle leggi, unico legittimato alla  valutazione  di  cui
sopra. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Come e'  noto, l'art.  68,  primo  comma,  Cost.  detta  una
scriminante di natura sostanziale per le opinioni espresse dai membri
del Parlamento, applicabile anche direttamente dal giudice,  in  caso
di  mancata  delibera  della  Camera   di   appartenenza   circa   la
sindacabilita' delle condotte poste  in  essere  (cfr.,  di  recente,
Cass. 19 dicembre 2008 n. 28859;  18  settembre  2007  n.  18689;  12
aprile 2006 n. 8626, tra altre), dovendo  invece  lo  stesso  giudice
negare l'applicazione di tale esimente, salvo sollevare conflitto  di
attribuzione, allorche' la camera di appartenenza abbia espressamente
affermato la sindacabilita' della condotta del  suo  membro  posta  a
base dell'azione giudiziaria (Cass. Sez. V pen., 14 dicembre 2007  n.
46663). 
    Nel caso di specie, come rilevato nella esposizione in fatto  che
precede, il Belluscio ha prodotto nel corso del giudizio  di  appello
la delibera adottata dalla Camera dei deputati nella  seduta  n.  678
del 22 febbraio 2000, che ha approvato la proposta della  Giunta  per
le autorizzazioni di ritenere insindacabili le opinioni dal  medesimo
espresse negli  scritti  in  oggetto,  considerate  diffamatorie  dal
Senese. 
    La Camera dei deputati ha esteso esenzione a tutti  gli  articoli
pubblicati dal Belluscio tra l'agosto e il novembre 1982 sui giornali
sopra richiamati, rilevando che nella seduta del 30 giugno di  quello
stesso  anno  il  deputato  aveva   presentato   una   interrogazione
parlamentare per conoscere come il  Governo  intendeva  «tutelare  il
lavoro degli appartenenti  alle  forze  di  polizia  esposti...  alle
conseguenze di gesta di disinvolti magistrati, come e'  il  caso  dei
mandati di cattura e di quelli di comparizione spiccati»  da  «alcuni
magistrati padovani» nei confronti dei liberatori del generale Dozier
e che nella replica del 6 luglio  1982  alla  risposta  del  ministro
aveva continuato a censurare gli effetti «dell'azione dei giudici  di
Padova», per  avere  questi  accusato  i  poliziotti  di  torture  ai
terroristi. La delibera parlamentare ha giustificato  l'esenzione  da
responsabilita' del Belluscio richiamando anche la motivazione  posta
a base del diniego della autorizzazione a procedere in data 25  marzo
1987 dalla Giunta per le autorizzazioni, allora esistente,  la  quale
aveva affermato che le critiche del Belluscio «ad un  magistrato  non
riguardano le sue funzioni o il suo operato  giurisdizionale,  bensi'
un indirizzo politico di parte della  magistratura,  all'interno  del
quale il dottor Senese e' notoriamente impegnato quale  esponente  di
magistratura democratica», e che le conseguenti polemiche risultavano
«pienamente ammissibili, non potendosi sottrarre nessuno alle  regole
dello scontro politico, per quanto acceso possa dimostrarsi». 
    La delibera della Camera dei deputati riporta altresi' l'atto  di
citazione  del  Senese  con   i   riferimenti   alle   manipolazioni,
alterazioni e omissioni di parti del suo scritto poste in essere  dal
Belluscio allo scopo di evidenziare la contiguita' delle opinioni del
magistrato con l'ideologia dei terroristi e in particolare del gruppo
delle brigate rosse, richiamando anche i rilievi mossi  dal  deputato
alla richiesta di rettifica,  volti  a  giustificare  l'errore  della
segretaria per aver inserito l'attributo «nostro»  prima  dell'inciso
«disprezzo per le istituzioni», che  risultava  cosi'  attribuito  al
Senese, con grave alterazione del  suo  pensiero.  Nessuna  rilevanza
peraltro il Parlamento  ha  attribuito  al  fatto  che  gli  articoli
diffamatori erano stati nuovamente pubblicati sui giornali L'Umanita'
e Ragionamenti senza le rettifiche richieste dal Senese. 
    La medesima delibera, recependo le argomentazioni  della  Giunta,
ha  in  conclusione  ravvisato  «un  pregnante  collegamento  tra  le
opinioni  espresse  dall'onorevole  Belluscio   negli   articoli   in
questione  e  la  sua  attivita'  parlamentare...   esplicitata   sia
attraverso la presentazione dell'interrogazione,  sia  attraverso  un
intervento in aula, sia, infine, attraverso una  serie  di  ulteriori
iniziative politiche da farsi  risalire  comunque  all'attivita'  del
gruppo parlamentare in quanto tale». 
    La Corte di appello non ha sollevato il conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato sollecitato dal Senese, ma facendo propria  la
motivazione della delibera  del  Parlamento  che  aveva  ravvisato  i
presupposti richiesti  per  il  giudizio  di  insindacabilita'  delle
opinioni ha ritenuto  che  il  comportamento  denunciato  si  ponesse
sebbene «illecito», in «stretta connessione con l'espletamento  delle
funzioni tipiche e delle finalita' proprie del mandato  parlamentare»
e pertanto non comportasse responsabilita' del suo autore (pag. 7 e 8
della sentenza). 
    2. - La scriminante sostanziale riconosciuta dal Parlamento,  che
ha indotto la Corte di appello al rigetto della domanda  risarcitoria
del Senese, impedisce a questa Corte di legittimita' di esercitare la
propria funzione giurisdizionale con  esiti  diversi  dalla  conferma
della sentenza impugnata ovvero  da  quello  della  proposizione  del
conflitto di attribuzione davanti alla Corte  costituzionale,  sempre
che nella delibera del Parlamento il Collegio ravvisi una  arbitraria
compressione delle attribuzioni giurisdizionali, in base ai  principi
elaborati nella risoluzione di altri conflitti analoghi  dalla  Corte
costituzionale (v. sul punto, di recente,  Cass.  27  marzo  2009  n.
7539). 
    La Corte ritiene di non poter decidere il ricorso senza sollevare
conflitto di attribuzione tra poteri  dello  Stato,  in  applicazione
degli artt. 134 Cost. e 37 della legge 11 marzo 1953 n. 87. 
    Il conflitto va sollevato contro la  delibera  della  Camera  dei
deputati assunta nella seduta n. 678 del 22  febbraio  2000,  che  ha
approvato la proposta  della  Giunta  per  le  autorizzazioni  del  9
febbraio 2000, doc. IV-quater, n. 111, secondo la  quale  i  fatti  a
base della domanda di risarcimento del danno del Senese - consistenti
negli articoli a firma del Belluscio pubblicati  tra  l'agosto  e  il
novembre 1982 richiamati in precedenza - concernono opinioni espresse
dal predetto, deputato all'epoca in cui essi furono posti in  essere,
nell'esercizio delle sue funzioni di parlamentare ai sensi  dell'art.
68 della Costituzione. 
    Non  e'  invero  configurabile,  nella  fattispecie,   il   nesso
funzionale  tra  attivita'   illecita   extra   moenia   e   funzioni
parlamentari che costituisce (secondo l'espressione  usata  da  Corte
Cost. 2004 n. 246) «l'unico saldo criterio desumibile dal primo comma
dell'art. 68 Cost.». 
    Come  e'  noto,  tale  requisito  postula,   secondo   le   linee
ermeneutiche da  tempo  adottate  dalla  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale, la presenza di due elementi oggettivi: il  primo,  di
natura temporale, in forza del quale l'atto esterno deve  seguire  di
poco tempo il compimento degli atti parlamentari,  cosi'  assumendone
natura  e  funzione  divulgativa,  ed   il   secondo,   a   carattere
sostanziale,  che  impone  la  corrispondenza  di  contenuto  tra  le
opinioni espresse dal parlamentare nell'esercizio delle funzioni e le
dichiarazioni esterne dal medesimo rese, non essendo sufficiente  ne'
una comunanza di argomenti ne' il mero contesto politico cui  possano
riferirsi le esternazioni  extraparlamentari  (cfr.  di  recente,  ex
multis, C. cost. 12 dicembre 2008 n. 410; 14 maggio 2008 n.  135;  13
novembre 2007 n. 388; 20 luglio 2007 n. 302). 
    Ed  invero  nella  vicenda  in  esame  lo  stretto   collegamento
temporale che assicura il carattere divulgativo dell'attivita'  extra
moenia non appare ravvisabile, atteso che  gli  articoli  diffamatori
furono pubblicati tra l'agosto ed il novembre 1982, mentre  gli  atti
parlamentari   di   riferimento,    costituiti    dall'interrogazione
parlamentare del Belluscio  sopra  riportata  e  dalla  replica  alla
risposta del Ministro dell'interno, risalgono rispettivamente  al  30
giugno e al 6 luglio 1982. 
    Deve anche e soprattutto negarsi che gli  scritti  sui  quali  la
pretesa risarcitoria si  fonda  siano  sostanzialmente  connessi  con
1'attivita' svolta dal Belluscio  in  sede  parlamentare:  ed  invero
nella interrogazione parlamentare si  fa  espresso  riferimento  alle
gesta di disinvolti magistrati,  come  e'  il  caso  dei  mandati  di
cattura e di quelli  di  comparizione  emessi  da  alcuni  magistrati
padovani che avevano ristretto in carcere i poliziotti dei N.O.C.S. e
all'azione di noti magistrati  politicizzati,  ma  non  vi  e'  alcun
passaggio che possa ricondurre specificamente alla  persona  e  tanto
meno all'attivita' giurisdizionale del Senese, il  quale,  all'epoca,
era componente del Consiglio superiore della magistratura. 
    Ed anche il piu' ampio riferimento, contenuto nella replica  alla
risposta del Ministro dell'interno,  alle  idee  filosofiche  o  alle
convinzioni politiche di magistrati  appare  pur  sempre  rivolto  ai
giudici padovani, quali autori delle «improvvide iniziative»  innanzi
richiamate, assunte in  adesione  alle  ideologie  ed  ai  valori  di
riferimento  della  corrente  Magistratura  democratica,  e  non   e'
automaticamente collegabile alla persona del Senese, che pure di quel
gruppo associativo era autorevole esponente. 
    Gli scritti  per  i  quali  si  e'  riconosciuta  l'esenzione  da
responsabilita' non possono pertanto considerarsi  ne'  riproduttivi,
ne' divulgativi, ne' ripetitivi delle opinioni espresse dal Belluscio
in detta sede ne'  in  alcun  altro  atto  parlamentare,  tra  quelli
indicati nell'art. 3 della legge 30 giugno 2003  n.  140.  Ed  invero
tale disposizione, ritenuta legittima da C. Cost. 16 aprile  2004  n.
120 e 6 aprile 2005 n. 136  e  inapplicabile  ratione  temporis  alla
fattispecie in esame, ma utilizzabile sul piano esegetico, individua,
specificandoli, gli atti parlamentari cui  1'art.  68,  primo  comma,
della Costituzione e'  applicabile,  ai  quali  non  sono  certamente
riconducibili le manifestazioni di protesta  dinanzi  al  carcere  di
Peschiera e l'inchiesta giornalistica delle quali  e'  pure  menzione
nella delibera della Giunta approvata dalla Camera dei deputati. 
    Ed ancora, il richiamo contenuto nella delibera in discorso  allo
scontro politico e alle sue conseguenze,  ripreso  dall'atto  con  il
quale  l'Assemblea  nel  1987  aveva  rifiutato  l'autorizzazione   a
procedere, vale ad adombrare una non consentita estensione  dell'area
della garanzia che compete al membro del Parlamento  per  1'esercizio
delle sue funzioni verso una generica liberatoria per ogni suo  atto,
purche' connesso  allo  scontro  meramente  politico,  e  quindi  una
erronea valutazione dei presupposti  richiesti  per  il  giudizio  di
insindacabilita'. 
    L'assenza del nesso funzionale necessario per ritenere coperta da
immunita' la  condotta  illecita  appare  tale  da  integrare  quella
sproporzione tra garanzia per la liberta' d'opinione del parlamentare
a tutela delle  sue  funzioni  ed  il  diritto  dei  terzi  di  adire
l'autorita' giudiziaria che e'  stata  posta  a  fondamento  di  piu'
sentenze della C.E.D.U. di condanna  del  nostro  Paese,  su  domanda
delle parti danneggiate alle quali era stata negata una  risposta  di
giustizia, per essersi il giudice adeguato alle delibere parlamentari
di insindacabilita' (v, di recente, sent. 24 febbraio 2009 su ricorso
n. 46967/07, C.G.I.L. e  Cofferati  c.  Italia;  20  aprile  2006  su
ricorso n. 10180/04, Patrono e Cassini c. Italia; 3  giugno  2004  su
ricorso n. 73936/01, De Jorio c. Italia). 
    La  ritenuta  carenza  del  nesso  funzionale  tra  gli  articoli
diffamatori volti a qualificare il Senese come persona collaterale  o
vicina ai movimenti terroristici e  l'attivita'  parlamentare  svolta
dal Belluscio induce a ravvisare  una  illegittima  interferenza  del
Parlamento nelle attribuzioni dell' autorita' giudiziaria e  comporta
che questa Corte, previa sospensione del giudizio, sollevi  conflitto
di  attribuzione  tra  poteri  dello   Stato   dinanzi   alla   Corte
costituzionale  avverso  la  delibera  della  Camera   dei   deputati
approvata nella seduta n. 678 del 22 febbraio 2000. 
 
                              P. Q. M. 
 
 
                       LA CORTE DI CASSAZIONE 
 
    Letti gli articoli 134 Cost. e 37 della legge 11 marzo  1953,  n.
87; 
    Dispone  la  sospensione  del  giudizio  civile  iscritto  al  n.
24436/04 del R.G. degli affari civili di questa Corte su  ricorso  di
Salvatore Senese  nei  confronti  di  Costantino  Belluscio,  solleva
conflitto di attribuzione tra  poteri  dello  Stato  in  ordine  alla
delibera della Camera dei deputati del 20 febbraio  2000  di  cui  in
motivazione ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla  Corte
costituzionale; 
    Chiede che la Corte costituzionale: 
        Dichiari ammissibile il conflitto, adottando i  provvedimenti
consequenziali; 
        Dichiari che non spettava alla Camera dei deputati deliberare
che gli articoli pubblicati tra  l'agosto  e  il  novembre  1982  sui
giornali di cui  in  motivazione  a  firma  del  deputato  Costantino
Belluscio, posti a base  della  domanda  di  risarcimento  del  danno
proposta nei confronti del predetto da Salvatore  Senese,  concernono
opinioni espresse da un membro del  Parlamento  nell'esercizio  delle
sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost; 
        Ordina che la presente ordinanza, a cura  della  cancelleria,
sia notificata alle parti in causa e al pubblico  ministero,  nonche'
al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  sia  comunicata  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in Roma, il giorno 17 marzo 2009,  nella  camera  di
consiglio  della  prima  sezione  civile  della  Corte   Suprema   di
Cassazione. 
 
               Il Presidente: Maria Gabriella Luccioli 
 
    Avvertenza 
    L'ammissibilita' del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza n. 62/2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª  serie
speciale, n. 9 del 3 marzo 2010.