N. 140 SENTENZA 14 - 16 aprile 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale -  Giudizio  abbreviato  -  Reati  connessi  a  norma
  dell'art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. - Possibilita' per
  il pubblico ministero di effettuare contestazioni suppletive  anche
  in assenza di integrazioni probatorie disposte dal giudice e  sulla
  base di fatti e circostanze gia' in  atti  e  noti  all'imputato  -
  Mancata previsione - Eccepita inammissibilita' della questione  per
  insufficiente  descrizione   della   fattispecie   e   difetto   di
  motivazione sulla rilevanza - Reiezione. 
- Cod. proc. pen., artt. 441 e 441-bis. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 97, 111 e 112. 
Processo penale -  Giudizio  abbreviato  -  Reati  connessi  a  norma
  dell'art. 12, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. - Possibilita' per
  il pubblico ministero di effettuare contestazioni suppletive  anche
  in assenza di integrazioni probatorie disposte dal giudice e  sulla
  base di fatti e circostanze gia' in  atti  e  noti  all'imputato  -
  Mancata previsione  -  Eccezione  di  inammissibilita'  relative  a
  singole censure - Reiezione, stante la loro attinenza a profili  di
  merito. 
- Cod. proc. pen., artt. 441 e 441-bis. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 97, 111 e 112. 
Processo penale - Giudizio abbreviato - Contestazioni  suppletive  di
  reati connessi a norma dell'art. 12, comma 1, lett. b), cod.  proc.
  pen.  -  Possibilita'  per  il  pubblico  ministero  di  effettuare
  contestazioni  suppletive  anche   in   assenza   di   integrazioni
  probatorie disposte dal giudice e sulla base di fatti e circostanze
  gia' in atti e noti all'imputato - Mancata  previsione  -  Ritenuta
  violazione  del  diritto  di  difesa  nonche'   dei   principi   di
  uguaglianza, di obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione  penale,
  buon andamento dell'amministrazione della giustizia  e  del  giusto
  processo - Esclusione - Non fondatezza della questione. 
- Cod. proc. pen., artt. 441 e 441-bis. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 97, 111 e 112. 
(GU n.16 del 21-4-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA; Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 441 e 441-bis
del codice di procedura  penale  promosso  dal  Giudice  dell'udienza
preliminare del Tribunale di Lecce nel procedimento penale  a  carico
di F. P. ed altro con ordinanza del 10 luglio 2009,  iscritta  al  n.
264 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 42, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del  24  marzo  2010  il  giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 10 luglio 2009,  il  Giudice  dell'udienza
preliminare del Tribunale di Lecce ha sollevato, in riferimento  agli
artt.  3,  24,  97,  111  e  112  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale degli artt. 441 e 441-bis del  codice  di
procedura penale, nella parte in cui non prevedono che, nel  giudizio
abbreviato, il  pubblico  ministero  possa  effettuare  contestazioni
suppletive, nei casi di cui all'art. 12, comma  1,  lettera  b),  del
medesimo  codice,  «anche  in  assenza  di  integrazioni   probatorie
disposte dal giudice e sulla base di fatti e circostanze gia' in atti
e noti all'imputato». 
    Il giudice a quo - chiamato a svolgere, nelle forme del  giudizio
abbreviato, un processo penale nei  confronti  di  trentuno  persone,
imputate del delitto di associazione avente  per  scopo  il  traffico
illecito di sostanze stupefacenti e di altri reati - riferisce che il
pubblico ministero aveva contestato in udienza a due  degli  imputati
un ulteriore reato in materia di  stupefacenti,  legato  dal  vincolo
della continuazione a quelli per cui si procede e, dunque, connesso a
norma dell'art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. I  difensori
avevano eccepito l'«irritualita'» di tale  contestazione  suppletiva,
ostandovi la disposizione combinata degli artt. 441  e  441-bis  cod.
proc. pen., in forza dei quali, nel giudizio abbreviato, la  modifica
dell'imputazione e' ammessa solo ove sia  stata  disposta  e  attuata
un'integrazione probatoria su richiesta di parte o d'ufficio. 
    Nel dubbio, tuttavia, circa  la  legittimita'  costituzionale  di
tale preclusione, il giudice rimettente  -  dopo  avere  disposto  la
separazione del processo relativo al reato oggetto  di  contestazione
suppletiva, al fine di «impedire la scadenza dei termini di  custodia
cautelare per gli altri imputati» - ha sollevato l'odierna questione. 
    Al riguardo, egli rileva come le sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione, con la sentenza 28 ottobre  1998-11  marzo  1999,  n.  4,
abbiano affermato che, nel giudizio ordinario, il pubblico  ministero
puo' procedere alla contestazione suppletiva di un reato  concorrente
o di una circostanza aggravante,  non  soltanto  a  fronte  di  nuove
risultanze dibattimentali, ma  anche  sulla  base  di  elementi  gia'
acquisiti nella fase delle  indagini  preliminari.  Se  da  un  lato,
infatti, la contestazione  suppletiva  rappresenta  una  eventualita'
«fisiologica» in un sistema processuale ispirato alla centralita' del
dibattimento, che e' sede naturale  della  rappresentazione  e  della
elaborazione probatoria (dalla  quale  possono  sorgere  esigenze  di
modifica   dell'imputazione);   dall'altro   lato,   tuttavia,    una
interpretazione  letterale  della  locuzione  «nel  corso»,  presente
nell'art. 517 cod. proc. pen. (cosi' come nell'art. 423 con  riguardo
all'udienza preliminare), si risolverebbe - secondo il  rimettente  -
in  «un  formalismo  esasperato  ed  ingiustificato»,   non   essendo
ravvisabile, neppure nell'ipotesi di nuova  contestazione  basata  su
elementi acquisiti  nel  corso  delle  indagini  preliminari,  alcuna
violazione del diritto di difesa dell'imputato, messo comunque  nelle
condizioni di conoscere gli atti raccolti dalla pubblica accusa. 
    A fronte di cio', sarebbe dunque  «comprensibile»  l'emergere  di
una  giurisprudenza  di  legittimita'   che,   fornendo   una   certa
interpretazione dell'art. 441-bis cod. proc. pen., ha  ritenuto  che,
anche nel giudizio abbreviato, una volta  disposta  una  integrazione
probatoria, le contestazioni suppletive siano possibili non  soltanto
se derivanti dalle nuove  prove  assunte,  ma  anche  quando  trovino
fondamento in «fatti e circostanze gia' in  atti»  (sono  citate,  in
particolare, le sentenze della Corte di  cassazione,  sezione  II,  9
giugno 2005-22 giugno 2005,  n.  23466,  e  sezione  V,  27  novembre
2008-18 febbraio 2009, n. 7047): e cio' -  stando  alla  prima  delle
pronunce ora ricordate - persino laddove  l'integrazione  probatoria,
disposta dal giudice, non  abbia  avuto  concretamente  luogo  (nella
specie, per sopravvenuto decesso del testimone da escutere).  Secondo
le medesime sentenze, inoltre, allorche' le  nuove  contestazioni  si
basino su dati precedentemente  acquisiti,  l'imputato  non  potrebbe
neppure chiedere che il procedimento prosegua nelle forme  ordinarie,
giacche' la facolta' di rinuncia al giudizio abbreviato  gli  sarebbe
accordata dall'art. 441-bis cod. proc. pen. unicamente  a  fronte  di
contestazioni scaturenti dalle integrazioni probatorie. 
    La  ratio  della  richiamata  disposizione  si  coglierebbe,   in
effetti, agevolmente: la scelta del giudizio abbreviato non  potrebbe
rimanere vincolante ove emergano fatti non conosciuti  o  conoscibili
dall'imputato, mentre tale esigenza non si manifesterebbe  quando  la
contestazione suppletiva derivi da una semplice rivalutazione di dati
probatori gia' in atti e, dunque, noti all'imputato al momento  della
scelta del rito. 
    A seguito delle riforme  degli  anni  1999-2000,  d'altronde,  il
giudizio abbreviato - ormai svincolato dai presupposti  del  consenso
del pubblico ministero e della definibilita' del processo allo  stato
degli  atti  -  non  sarebbe  piu',  come  in  origine,  un  giudizio
«cristallizzato»,  ma  avrebbe  assunto  opposte  caratteristiche  di
«fluidita'»,  tanto   sul   versante   probatorio   che   su   quello
dell'imputazione. L'imputato che opti per  il  rito  alternativo  sa,
infatti,  che  potrebbe  essere   comunque   disposta   dal   giudice
un'integrazione probatoria, che abiliterebbe il pubblico ministero ad
operare contestazioni suppletive. 
    In   tale   cornice,   risulterebbe,    tuttavia,    inspiegabile
l'inapplicabilita', sancita dall'art. 441, comma 1, cod. proc.  pen.,
della disciplina sulla modifica dell'imputazione recata dall'art. 423
cod. proc. pen., fuori dei casi di integrazione  probatoria  indicati
nell'art. 441-bis. Se, alla stregua delle sentenze citate, persino in
presenza  di  un'integrazione  probatoria,  disposta  ma  «priva   di
seguito», e' possibile una contestazione suppletiva basata solo sulla
rivalutazione  di  elementi  gia'   acquisiti,   purche'   conosciuti
dall'imputato,   non   si   comprenderebbe   perche'   la    medesima
contestazione  non  sia  ammessa  anche   quando   una   integrazione
probatoria non venga «formalmente disposta» dal giudice. 
    Codesta  limitazione  -  costituente,  secondo   il   rimettente,
l'ultimo residuo elemento di «rigidita'» del giudizio abbreviato - si
porrebbe segnatamente in  contrasto  con  il  «principio  del  giusto
processo» (art. 111 Cost.), implicante «la lealta' processuale  delle
parti»: principio a fronte del quale il pubblico ministero,  che  non
abbia formulato correttamente  l'imputazione,  non  dovrebbe  vedersi
inibita la possibilita' di integrarla sulla base  di  atti  contenuti
nel fascicolo processuale e percio' noti all'imputato. 
    La  circostanza  che,  in   base   alle   norme   censurate,   la
contestazione suppletiva radicata su  elementi  «gia'  in  atti»  sia
permessa  o  meno  a  seconda  che  sia   stata   o   meno   disposta
un'integrazione probatoria, anche a  prescindere  dal  suo  effettivo
espletamento, comporterebbe, altresi', la violazione dei principi  di
eguaglianza e di obbligatorieta'  dell'esercizio  dell'azione  penale
(artt. 3 e 112 Cost.). La situazione sarebbe, infatti,  identica  nei
due  casi,  giacche'  in  entrambi   la   necessita'   di   integrare
l'imputazione sorge a seguito di un'omissione del pubblico ministero. 
    Il denunciato divieto di  contestazione  del  reato  concorrente,
impedendo l'esame  congiunto  delle  regiudicande,  si  rifletterebbe
negativamente anche sull'efficienza dell'accertamento processuale, e,
dunque, sul buon andamento dell'amministrazione della giustizia,  con
conseguente lesione dell'art. 97 Cost. La separazione dei processi  -
specialmente quando venga in rilievo, come nel  caso  di  specie,  il
rapporto tra delitto associativo e reati fine, o  tra  singoli  reati
fine - comporterebbe, infatti, una  reiterazione  degli  «esperimenti
probatori», potenzialmente foriera di decisioni contraddittorie. 
    Risulterebbe violato, infine,  il  diritto  di  difesa  (art.  24
Cost.), giacche' - posto che la preclusione censurata  non  impedisce
comunque al pubblico ministero di agire separatamente per il reato di
cui e' stata omessa la contestazione - l'imputato  potrebbe  trovare,
di  contro,   piu'   vantaggioso   difendersi   contestualmente,   in
particolare quando si  tratti  di  fatti  legati  dal  vincolo  della
continuazione a quelli gia' contestati. 
    La questione sarebbe altresi' rilevante nel giudizio  a  quo,  in
quanto dal suo accoglimento dipenderebbe la possibilita' di  decidere
sulla contestazione  suppletiva  formulata  dal  pubblico  ministero,
relativamente  alla  quale  e'  stata  disposta  la  separazione  del
processo,  che,  peraltro  -  ove  la  decisione  sull'incidente   di
costituzionalita' intervenisse «tempestivamente» - non  precluderebbe
neppure  una  successiva  riunione  del  processo  stesso  a   quello
«principale». 
    2.  -  Nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto   il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il  quale  ha  chiesto  che  la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata. 
    Ad  avviso  della   difesa   erariale,   la   questione   sarebbe
inammissibile per carente descrizione da  parte  del  giudice  a  quo
della fattispecie concreta, la quale non consentirebbe di  verificare
l'effettiva rilevanza del dubbio di  costituzionalita'  nel  giudizio
principale. Secondo quanto  riferito  nell'ordinanza  di  rimessione,
difatti, il  rimettente  ha  disposto  la  separazione  del  processo
relativo   al   reato   oggetto   della   contestazione    suppletiva
inammissibilmente formulata dal pubblico ministero  per  impedire  la
scadenza dei  termini  di  custodia  cautelare,  «cosi'  evidenziando
l'esistenza attuale nell'ordinamento  di  una  strada  alternativa  a
quella che [il rimettente stesso] censura». 
    Inammissibile per difetto di rilevanza risulterebbe, altresi', la
censura basata sull'assunto per cui la contestazione  suppletiva  nel
giudizio abbreviato potrebbe risultare gradita all'imputato in  vista
dell'applicazione dell'art. 81 cod. pen., trattandosi di  valutazione
rimessa in via esclusiva all'imputato medesimo; come pure l'ulteriore
doglianza  connessa  alla  considerazione  che  la  rimozione   della
preclusione censurata eviterebbe la duplicita' di giudizi e,  quindi,
l'eventuale contrasto di  giudicati,  posto  che  l'ordinamento  gia'
contempla strumenti idonei ad evitare il rischio paventato. 
    Quanto  al  merito  della  questione,  l'Avvocatura  dello  Stato
osserva come  il  giudice  a  quo  abbia  evocato  impropriamente,  a
fondamento delle  proprie  doglianze,  la  sentenza  della  Corte  di
cassazione, sezione V, 27 novembre 2008-18 febbraio  2009,  n.  7047,
trattandosi di decisione attinente all'ammissibilita',  nel  giudizio
abbreviato,  di  una  diversa  qualificazione  giuridica  del   fatto
contestato, e non gia' della contestazione suppletiva di un ulteriore
reato. Parimenti inconferente sarebbe la  richiamata  sentenza  delle
sezioni unite 28 ottobre 1998-11 marzo 1999, n. 4,  che  ha  ritenuto
ammissibile, bensi', la contestazione suppletiva basata su atti  gia'
acquisiti nel corso delle indagini preliminari, ma  con  riguardo  al
dibattimento,  nel  quale  all'imputato  e'  assicurato  «il  massimo
livello di difesa»: laddove, invece, nella fattispecie in  esame,  la
contestazione suppletiva  formulata  nel  giudizio  abbreviato  «allo
stato degli atti», non consentendo all'imputato stesso di  rinunciare
al rito semplificato, ne comprimerebbe le garanzie difensive. 
    La  giurisprudenza,  «pressoche'  consolidata»,  della  Corte  di
cassazione deporrebbe, in realta', in senso contrario alla  tesi  del
rimettente. Da essa emergerebbe, infatti, come  la  cristallizzazione
del quadro processuale, sia dal punto  di  vista  probatorio  che  da
quello dell'imputazione, rappresenti un connotato «ineliminabile» del
giudizio abbreviato: e cio' nella considerazione che la contestazione
suppletiva, anche se basata  su  elementi  acquisiti  in  precedenza,
costituisce fattore idoneo a mutare gli equilibri fra le parti  e  le
strategie difensive dell'imputato. Come rilevato,  difatti,  in  piu'
occasioni  dalla  stessa   Corte   costituzionale,   le   valutazioni
dell'imputato  circa  la  convenienza  del  rito  speciale  dipendono
anzitutto dalla concreta impostazione data al processo  dal  pubblico
ministero. 
    La previsione dell'art. 441-bis cod. proc. pen. - per  la  quale,
in  deroga  al  principio  dettato  dall'art.  441,   comma   1,   la
contestazione  suppletiva  e'  possibile   ove   sia   disposta   una
integrazione probatoria su richiesta dell'imputato (art.  438,  comma
5, cod. proc. pen.) o per iniziativa del giudice (art. 441, comma  5,
cod. proc. pen.) - troverebbe giustificazione nel fatto che, in  tali
casi, possono emergere nuovi reati da contestare: ipotesi nella quale
il  legislatore  ha  comunque  lasciato  all'imputato  la  scelta  se
proseguire con il rito speciale o chiederne la riconversione nel rito
ordinario. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale  di  Lecce
dubita, in riferimento  agli  artt.  3,  24,  97,  111  e  112  della
Costituzione, della legittimita' costituzionale  degli  artt.  441  e
441-bis del codice di procedura  penale,  nella  parte  in  cui,  nel
giudizio  abbreviato,  non  consentono  al  pubblico   ministero   di
effettuare  contestazioni  suppletive  di  reati  connessi  a   norma
dell'art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. «anche in  assenza
di integrazioni probatorie disposte dal giudice e sulla base di  atti
e circostanze gia' in atti e noti all'imputato». 
    Il dubbio di costituzionalita' trova il suo presupposto  fondante
nell'indirizzo interpretativo che si asserisce accolto,  in  tema  di
modifica dell'imputazione nel giudizio abbreviato,  da  due  sentenze
della Corte di cassazione (sezione II, 9 giugno 2005-22 giugno  2005,
n. 23466, e sezione V, 27 novembre 2008-18 febbraio 2009,  n.  7047):
un indirizzo i cui approdi vengono  evocati  dal  giudice  rimettente
come  tertia  comparationis   al   fine   di   desumerne   l'esigenza
costituzionale  di  una  (ulteriore)  dilatazione  del  perimetro  di
ammissibilita' delle contestazioni suppletive  nell'ambito  del  rito
alternativo. 
    Alla stregua dell'indirizzo in questione,  una  volta  che  venga
disposta dal giudice una integrazione probatoria - e  (stando  almeno
alla prima delle citate pronunce) indipendentemente dal suo effettivo
espletamento - il pubblico ministero sarebbe  abilitato  a  procedere
alla contestazione suppletiva di reati connessi, non solo in rapporto
a nuovi elementi emersi a seguito dell'integrazione  probatoria  (che
appunto potrebbe non essere neppure attuata), ma anche sulla base  di
circostanze gia' risultanti dagli atti e, dunque,  note  all'imputato
al momento della formulazione della richiesta di giudizio abbreviato.
In  quest'ultima  ipotesi,  d'altro  canto,  l'imputato  non  sarebbe
neppure legittimato a chiedere che il processo prosegua  nelle  forme
ordinarie, rinunciando al rito alternativo, giacche',  in  base  alla
lettera  dell'art.  441-bis  cod.  proc.  pen.,  tale  facolta'   gli
competerebbe unicamente a fronte  di  contestazioni  scaturite  dalle
integrazioni probatorie effettivamente intervenute. 
    A questo punto - sempre secondo  il  giudice  a  quo  -  sarebbe,
tuttavia, del tutto incongruo  e  contrario  agli  evocati  parametri
costituzionali  non  permettere  la  contestazione  suppletiva  anche
quando  una  integrazione  probatoria  non  sia  stata   «formalmente
disposta» dal giudice (come avvenuto nel caso di specie): trattandosi
di situazione che non  presenta  elementi  differenziali  di  rilievo
rispetto a quella dianzi indicata (contestazione suppletiva basata su
circostanze gia' in atti, e non su nuove  risultanze  probatorie,  in
presenza di  una  integrazione  probatoria  disposta,  anche  se  non
attuata), posto che pure in tale  caso  la  necessita'  di  integrare
l'imputazione sorge a seguito di un'omissione del pubblico ministero. 
    Sotto tale profilo, le norme impugnate  violerebbero,  dunque,  i
principi  di  eguaglianza  (art.  3  Cost.)  e   di   obbligatorieta'
dell'esercizio dell'azione penale (art. 112 Cost.). 
    Risulterebbe leso, altresi', il «principio del  giusto  processo»
(art. 111 Cost.), avente come  corollario  la  «lealta'  processuale»
delle parti: principio alla luce del quale  non  si  giustificherebbe
che, anche in assenza di integrazioni probatorie, venga  preclusa  al
pubblico ministero la rivalutazione di atti contenuti  nel  fascicolo
processuale e, percio', noti all'imputato, al fine di  porre  rimedio
ad una lacuna dell'imputazione. 
    L'assetto  normativo  censurato  violerebbe,  ancora,  l'art.  97
Cost., in quanto la  preclusione  della  contestazione  di  un  reato
concorrente nel caso considerato, impedendo l'esame  congiunto  delle
regiudicande, provocherebbe una duplicazione di attivita' processuali
e il rischio di contrasto  di  giudicati,  con  pregiudizio  al  buon
andamento dell'amministrazione della giustizia. 
    Da ultimo, apparirebbe compromesso anche  il  diritto  di  difesa
(art. 24 Cost.), potendo risultare piu'  vantaggioso  per  l'imputato
difendersi contestualmente, anziche'  separatamente,  in  rapporto  a
reati legati fra loro dal vincolo della continuazione. 
    2.  -  L'eccezione  di  inammissibilita'  della   questione   per
insufficiente descrizione della fattispecie  concreta  e  difetto  di
motivazione sulla rilevanza, formulata dall'Avvocatura generale dello
Stato, non e' fondata. 
    Dall'ordinanza di rimessione emerge, infatti, che  il  rimettente
e'  chiamato  a  svolgere,  con  rito  abbreviato,  un  processo  nei
confronti di numerose persone, imputate di vari reati, nel corso  del
quale il pubblico ministero ha contestato a due degli imputati, sulla
base di elementi gia'  risultanti  dagli  atti,  un  ulteriore  reato
connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen.;
iniziativa, questa, che ha incontrato l'opposizione dei difensori,  i
quali   hanno   eccepito   l'inammissibilita'   della   contestazione
suppletiva,  non  essendo  stata   nella   specie   disposta   alcuna
integrazione probatoria. 
    La rilevanza della questione non viene meno, d'altro  canto,  per
il fatto che il giudice a quo - allo scopo di evitare che nelle  more
del giudizio di costituzionalita' scadessero  i  termini  massimi  di
custodia cautelare -  abbia  disposto  la  separazione  del  processo
relativo al reato oggetto  della  contestazione  suppletiva,  la  cui
ammissibilita' resta ancora da stabilire. La contestazione suppletiva
di un reato connesso - che nel  vigente  codice  di  rito,  volto  ad
«attuare nel processo penale i  caratteri  del  sistema  accusatorio»
(art. 2, comma 1, della  legge  16  febbraio  1987,  n.  81,  recante
«Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione  del
nuovo codice di procedura penale»), e' affidata non certo al giudice,
ma al pubblico ministero - integra esercizio  dell'azione  penale  e,
dunque, da' vita ad un processo suscettibile di essere  separato,  in
base alle regole  generali,  da  quelli  relativi  ai  reati  oggetto
dell'imputazione originaria. Anche dopo la  separazione,  d'altronde,
l'esito dello scrutinio di costituzionalita' continua a  condizionare
la sorte dello stesso giudizio principale separato: giacche',  se  la
questione  fosse  accolta,  il  rimettente   dovrebbe   ritenere   la
contestazione   suppletiva   validamente   effettuata   e,    quindi,
pronunciarsi - sempre nelle  forme  del  giudizio  abbreviato  -  sul
merito della stessa nell'ambito di detto processo  separato;  mentre,
in caso contrario, dichiarata inammissibile la  nuova  contestazione,
dovrebbe restituire gli atti al pubblico ministero affinche'  proceda
per il reato connesso nei modi ordinari. 
    3.  -  Vanno  del  pari  disattese  le  ulteriori  eccezioni   di
inammissibilita' della difesa erariale relative a singole censure, in
quanto attengono, in realta', a profili di merito. 
    4. - Nel merito, la questione non e' fondata. 
    4.1. -  Innanzi  tutto,  non  e'  possibile  considerare  le  due
decisioni della Corte di cassazione, su  cui  il  rimettente  basa  i
propri rilievi, come espressione di un orientamento giurisprudenziale
consolidato  (lo  stesso  giudice  a  quo  riconosce  l'esistenza  di
precedenti di segno contrario): e cio', tanto piu' ove  si  consideri
che - come rimarcato anche dall'Avvocatura  dello  Stato  -  la  piu'
recente fra tali decisioni ha, in realta', ad oggetto  non  gia'  una
fattispecie di contestazione suppletiva, ma di diversa qualificazione
giuridica del fatto (passaggio dal furto tentato al  furto  consumato
sulla base di elementi descrittivi  gia'  racchiusi  nell'imputazione
originaria). 
    L'orientamento desunto da  dette  sentenze,  d'altra  parte,  non
soltanto non  appare  incontrovertibile  sul  piano  ermeneutico,  ma
conduce addirittura  ad  un  assetto  in  se'  incompatibile  con  la
Costituzione. 
    Con  riferimento   al   giudizio   ordinario,   e'   in   effetti
predominante, nella giurisprudenza di legittimita', la tesi per cui -
nonostante la formulazione letterale, apparentemente contraria, degli
artt. 516 e 517 cod. proc. pen. - le nuove contestazioni  considerate
da tali articoli possono essere basate, oltre che su elementi  emersi
per la prima volta nel corso  dell'istruzione  dibattimentale,  anche
sui soli atti gia' acquisiti dal pubblico ministero nel  corso  delle
indagini  preliminari:  in  tal  modo,  traducendosi  anche  in   uno
strumento per porre rimedio ad inesattezze o lacune  dell'imputazione
originaria. 
    A prescindere, peraltro, dalla validita' degli argomenti  addotti
a supporto di siffatta soluzione interpretativa (sentenza n. 333  del
2009), essa non puo' essere comunque estesa  al  giudizio  abbreviato
senza tenere conto delle peculiarita' di questo rito. 
    L'assetto normativo che il giudice a quo  sottopone  a  scrutinio
ha, in effetti, una sua intrinseca razionalita'. 
    In   parallelo   all'originaria   configurazione   del   giudizio
abbreviato  come  rito  «allo  stato  degli   atti»,   senza   alcuna
possibilita' di integrazioni probatorie, l'art. 441,  comma  1,  cod.
proc. pen. -  nell'operare  un  generale  rinvio,  nei  limiti  della
compatibilita', alla disciplina dell'udienza preliminare -  escludeva
in  assoluto  l'applicabilita'  dell'istituto   della   modificazione
dell'imputazione, quale regolato dall'art. 423 cod. proc. pen. 
    La preclusione rispondeva - e tuttora risponde - ad una  funzione
di garanzia  per  l'imputato,  oltre  che  ad  una  logica  premiale.
L'imputato accettava, cioe', di essere  giudicato  sulla  base  degli
atti raccolti nel corso  delle  indagini  preliminari  con  esclusivo
riferimento all'accusa gia' formulata  dal  pubblico  ministero,  che
segna i limiti della sua rinuncia  alla  formazione  della  prova  in
contraddittorio: tanto piu' che, di fronte a contestazioni suppletive
di reati concorrenti o di circostanze  aggravanti,  egli  si  sarebbe
trovato   nell'impossibilita'    di    difendersi    dall'ampliamento
dell'accusa stessa chiedendo l'ammissione di corrispondenti  prove  a
discarico. Prospettiva nella quale la scelta legislativa fu  ritenuta
da questa Corte  immune  da  vizi  di  costituzionalita',  in  quanto
«coerente con la struttura e le finalita' del rito» (sentenza n.  378
del 1997). 
    Introdotta,  con  la  legge  16  dicembre  1999,   n.   479,   la
possibilita' di arricchimenti della piattaforma  probatoria  -  tanto
per  iniziativa  dell'imputato  (richiesta  di  giudizio   abbreviato
«condizionato»: art. 438, comma 5, cod. proc. pen.), che del  giudice
(nel caso di impossibilita' di decidere allo stato degli  atti:  art.
441, comma 5, cod. proc. pen.) - e' emersa  l'esigenza  di  prevedere
meccanismi di adeguamento dell'imputazione alle  nuove  acquisizioni.
In via di eccezione rispetto alla  regola  enunciata  dall'art.  441,
comma 1, cod. proc. pen. - rimasta immutata - si e' quindi consentito
al pubblico ministero di procedere a  nuove  contestazioni.  Ma  cio'
unicamente nei casi di modificazione della base cognitiva  a  seguito
dell'attivazione  dei  meccanismi  di  integrazione   probatoria,   e
riconoscendo, in pari tempo, all'imputato - quando  si  tratti  delle
contestazioni previste dall'art. 423, comma 1, cod. proc. pen. (fatto
diverso, reato connesso a norma dell'art. 12, comma 1, lettera b),  o
circostanza aggravante) - la facolta' di chiedere che il procedimento
prosegua nelle forme ordinarie, o, in  alternativa,  l'ammissione  di
nuove  prove  (art.  441-bis  cod.  proc.  pen.,  aggiunto  dall'art.
2-octies  del  decreto-legge  7   aprile   2000,   n.   82,   recante
«Modificazioni alla disciplina  dei  termini  di  custodia  cautelare
nella fase del giudizio abbreviato», convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 5 giugno 2000, n. 144:  nel  caso  di  contestazione  del
fatto nuovo, a  norma  dell'art.  423,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,
l'imputato resta per converso tutelato  dalla  circostanza  che  tale
contestazione presuppone il suo consenso). 
    Da tale quadro -  che  contraddice  la  visione,  propugnata  dal
rimettente,  del  giudizio  abbreviato  come  rito  ormai  totalmente
«fluido» sul piano probatorio e dell'imputazione - si  deve  inferire
che  le  eccezioni  introdotte  restano  strettamente   legate   alle
fattispecie che  le  giustificano:  vale  a  dire,  che  il  pubblico
ministero possa effettuare le nuove contestazioni solo quando affiori
la  necessita'  di  adattare   l'imputazione   a   nuove   risultanze
processuali, scaturenti da iniziative probatorie assunte  nell'ambito
del rito alternativo; rimanendo con cio' escluso che dette iniziative
- tanto piu' se rimaste «prive di seguito»  -  possano  rappresentare
una patente di legittimazione per rivalutare, a scopo di  ampliamento
dell'accusa, elementi gia' acquisiti in precedenza  e,  fino  a  quel
momento, non posti ad oggetto di azione penale. 
    4.2. - L'indirizzo giurisprudenziale su cui poggiano  le  censure
del  rimettente  conduce,  d'altro  canto,  a  risultati  addirittura
contrari a Costituzione allorche' assume - appellandosi qui  soltanto
alla lettera dell'art. 441-bis, comma 1, cod. proc. pen. -  che,  nel
caso di contestazione suppletiva fondata su elementi «gia' in  atti»,
e dunque noti all'imputato, costui  non  potrebbe  neppure  avvalersi
della facolta' di chiedere che il procedimento prosegua  nelle  forme
ordinarie. 
    Questa  Corte  ha  avuto  modo  di  rilevare,  difatti,  in  piu'
occasioni,  che  «le  valutazioni  dell'imputato   in   ordine   alla
convenienza dei riti alternativi al dibattimento» dipendono anzitutto
«dalla  concreta  impostazione  data   al   processo   dal   pubblico
ministero».  Con  la   conseguenza   che   quando,   per   «evenienze
patologiche», quali gli errori o le omissioni del pubblico  ministero
sulla individuazione del fatto o del titolo del reato,  l'imputazione
subisce una variazione sostanziale, l'imputato deve essere rimesso in
termini per compiere le  suddette  valutazioni,  pena  la  violazione
tanto del diritto di difesa che del principio di eguaglianza,  stante
la discriminazione che verrebbe altrimenti a determinarsi  a  seconda
«della maggiore o minore esattezza o completezza della  discrezionale
valutazione delle risultanze delle indagini preliminari  operata  dal
pubblico ministero nell'esercitare l'azione penale» (sentenze n.  333
del 2009 e n. 265 del 1994). 
    Tale principio e' stato  affermato  con  riferimento  alle  nuove
contestazioni dibattimentali e alla  possibilita'  di  passaggio  dal
rito ordinario a riti alternativi (giudizio abbreviato e applicazione
della pena su richiesta): ma non potrebbe evidentemente  non  operare
anche  nella  direzione  inversa.  Con  la  richiesta   di   giudizio
abbreviato  l'imputato  accetta  di   essere   giudicato   con   rito
semplificato in rapporto ai reati  gia'  contestatigli  dal  pubblico
ministero, rispetto ai quali solo egli esprime l'apprezzamento  della
convenienza del rito stesso: sicche' non  sarebbe  costituzionalmente
accettabile che egli venisse a trovarsi vincolato  dalla  sua  scelta
anche in relazione agli ulteriori  reati  concorrenti  che  -  stando
all'indirizzo interpretativo in  discussione  -  potrebbero  essergli
contestati a fronte delle «evenienze patologiche» di cui si e' detto. 
    4.3. - Alla luce di quanto precede, si deve dunque escludere  che
la lettura delle  norme  censurate  operata  attraverso  le  pronunce
giurisprudenziali richiamate e  interpretate  dal  giudice  a  quo  -
lettura  non  apprezzabile  in  termini  di  «diritto  vivente»,  non
incontestabile sul piano ermeneutico e comunque incompatibile con  la
Costituzione  -  possa  essere  utilmente  invocata   quale   tertium
comparationis  al  fine  di  alterare  l'assetto,  viceversa  in  se'
ragionevole e coerente, delineato dal legislatore in materia. 
    Non ricorre la prospettata violazione dell'art. 3 Cost.,  essendo
le due ipotesi poste a raffronto - giudizio abbreviato  con  e  senza
integrazione  probatoria  -  tra  loro  non  equiparabili   ai   fini
considerati: soltanto nella prima, e non nella seconda, si  prospetta
l'esigenza   di   rendere   possibile   un   eventuale    adeguamento
dell'imputazione a nuove acquisizioni, che il pubblico ministero  non
aveva potuto in precedenza considerare. D'altro canto, e  proprio  in
tale  logica,  il  vigente  assetto  normativo  consente  -  se   non
addirittura impone, anche ad evitare un diverso vulnus costituzionale
-  di  ritenere  che,  nel  caso  di  integrazione   probatoria,   la
contestazione suppletiva possa derivare solo dalle  nuove  risultanze
di essa, e non anche da quanto era  gia'  precedentemente  noto  alle
parti: donde l'insussistenza  della  stessa  ipotizzata  esigenza  di
omologazione, su quest'ultimo versante, della disciplina relativa  al
giudizio abbreviato  rimasto  privo  di  arricchimenti  del  panorama
probatorio. 
    4.4. - Parimenti infondate risultano le restanti censure. 
    Nessuna violazione dell'art. 112 Cost. appare configurabile,  per
l'assorbente ragione che il pubblico ministero conserva  comunque  la
possibilita' di esercitare l'azione penale per il reato connesso, non
«tempestivamente» contestato, nei modi  ordinari  e  in  un  processo
separato. 
    Ne' si comprende sotto quale profilo i principi e i connotati del
«giusto processo» (art. 111 Cost.) - tantomeno quello della  «lealta'
processuale delle parti», che il giudice a quo  assume  insito  negli
enunciati  costituzionali  -  possano   ritenersi   vulnerati   dalla
preclusione in esame,  la  quale  risulta  anzi  coerente  con  essi,
impedendo ad una delle parti di mutare e imporre  unilateralmente  il
tema del giudizio abbreviato. 
    Inconferente e' il riferimento al principio di buon andamento dei
pubblici uffici (art. 97 Cost.), trattandosi di  principio  che,  per
costante   giurisprudenza   di   questa    Corte,    e'    riferibile
all'amministrazione  della  giustizia   solo   per   quanto   attiene
all'organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari  e  non
all'attivita'  giurisdizionale  in  senso  stretto  (tra  le   molte,
sentenze n. 64 del 2009 e n. 117  del  2007,  ordinanza  n.  408  del
2008). 
    Neppure e' ravvisabile, infine, una  violazione  del  diritto  di
difesa (art. 24 Cost.). La disciplina censurata e' posta, infatti,  a
garanzia dell'imputato (tanto che, nel giudizio a quo, i difensori si
sono opposti alla contestazione suppletiva); in ogni caso - come gia'
rilevato da  questa  Corte  -  il  diritto  di  difesa  non  potrebbe
considerarsi  compromesso  dal  mero   «aggravio»   derivante   dallo
svolgimento di processi separati per reati in continuazione. Cio' non
impedisce che l'imputato  possa  esplicare  il  diritto  stesso,  con
pienezza di garanzie, in tutte  le  diverse  sedi  processuali  nelle
quali vengono  esaminati  i  reati  esecutivi  del  medesimo  disegno
criminoso (sentenza n. 64 del 2009; nonche', con  riguardo  ad  altra
ipotesi di connessione di procedimenti, sentenza n.  198  del  1972),
fino ad ottenerne il riconoscimento in sede di esecuzione,  nel  caso
di separate pronunce (art. 671 cod. proc. pen.). 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
degli artt. 441 e 441-bis del codice di procedura penale,  sollevata,
in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 111 e  112  della  Costituzione,
dal Giudice dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di  Lecce  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2010. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                         Il redattore: Frigo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 16 aprile 2010 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola