N. 157 SENTENZA 28 aprile - 6 maggio 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Disposizioni sulla competenza penale  del  giudice  di
  pace  -  Pena  della  reclusione  fino  ad  un  anno  in  caso   di
  inosservanza degli obblighi concernenti la  permanenza  domiciliare
  ed il lavoro di pubblica utilita' - Prevista inapplicabilita' delle
  sanzioni sostitutive di cui agli artt. 53 e seguenti della legge n.
  689  del  1981  -  Denunciata  irragionevolezza,  nonche'  asserita
  ingiustificata disparita'  di  trattamento  sanzionatorio  rispetto
  alle fattispecie di evasione  dagli  arresti  domiciliari  o  dalla
  detenzione  domiciliare  -  Esclusione  -  Non   fondatezza   della
  questione. 
- D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 56, comma 3. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.19 del 12-5-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                               Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  56,  comma  3,
del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468), promosso dalla Corte  di  cassazione
con ordinanza del 3 marzo 2009,  iscritta  al  n.  243  del  registro
ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 40, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Udito nella camera di consiglio del 14  aprile  2010  il  Giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - La Corte di cassazione, con ordinanza del 3 marzo  2009,  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  56,  comma  3,  del  decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468). 
    La norma censurata preclude, quanto alla  pena  della  reclusione
inflitta per i reati previsti dai due commi precedenti  dello  stesso
art. 56, l'applicazione delle sanzioni sostitutive di cui agli  artt.
53 e seguenti della legge 24 novembre  1981,  n.  689  (Modifiche  al
sistema penale). 
    Secondo quanto riferito dalla Corte rimettente, l'imputato, nella
fase di merito del  giudizio  a  quo,  ha  chiesto  ed  ottenuto  una
sentenza di applicazione della  pena,  ai  sensi  dell'art.  444  del
codice di procedura penale, relativamente ad un delitto di violazione
degli obblighi connessi alla sanzione  della  permanenza  domiciliare
(art. 56, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000). La  pena,  concordata
nella misura di dieci giorni di reclusione, e' stata  sostituita  con
la pena pecuniaria di specie corrispondente, e cioe' con la multa per
380 euro. 
    Il provvedimento e' stato impugnato dal pubblico ministero, e  la
Corte rimettente osserva che il ricorso dovrebbe essere  accolto,  in
quanto  il  terzo  comma  dell'art.  56  espressamente  preclude   la
sostituzione della pena inflitta per i delitti  di  violazione  degli
obblighi connessi alle sanzioni,  cosiddette  «paradetentive»,  della
permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilita'. 
    Al tempo stesso, la Corte di  cassazione  ritiene  che  la  norma
preclusiva contrasti con l'art. 3 Cost.  La  disposizione  censurata,
infatti,  delinea  un  caso   di   esclusione   su   base   oggettiva
dell'applicazione di pene sostitutive, che nel contesto originario si
accordava con casi analoghi, regolati dall'art. 60 della legge n. 689
del 1981, ove la sostituzione delle  pene  detentive  brevi  era  tra
l'altro inibita per il delitto  di  evasione  (art.  385  del  codice
penale). Tale ultima norma, pero', e' stata successivamente abrogata,
con conseguente eliminazione di tutti i casi di esclusione  oggettiva
in essa contemplati (art. 4 della  legge  12  giugno  2003,  n.  134,
recante «Modifiche al  codice  di  procedura  penale  in  materia  di
applicazione della pena su richiesta delle parti»). 
    In conseguenza della riforma, le pene inflitte per il delitto  di
evasione sono ormai suscettibili di sostituzione a norma degli  artt.
53 e seguenti della legge n. 689 del 1981, e cio' vale  anche  per  i
fatti concernenti la detenzione  domiciliare,  di  cui  al  primo  ed
all'ottavo comma dell'art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle  misure
privative e limitative della liberta'), che sono appunto sanzionati a
norma dell'art. 385 cod. pen. 
    Il  perdurante  divieto  di  sostituzione   per   le   violazioni
concernenti  la  permanenza  domiciliare  o  il  lavoro  di  pubblica
utilita' sarebbe privo di giustificazione, in quanto retaggio di  una
ratio che il legislatore ha sconfessato con  l'abrogazione  dell'art.
60 della legge n. 689 del 1981. 
    In altre parole, il rimettente considera irragionevole  che,  per
effetto della preclusione  posta  dalla  norma  censurata,  il  reato
contestato nel giudizio a quo sia trattato piu' severamente di quanto
non accada per condotte  di  gravita'  analoga,  se  non  addirittura
maggiore, come quelle di evasione dal luogo degli arresti domiciliari
o della detenzione domiciliare. 
    2. - Nel presente giudizio non e' intervenuto il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ne' vi e' stata costituzione delle  parti  del
procedimento principale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento all'art.
3  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 56, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468). 
    La norma censurata preclude, quanto alla  pena  della  reclusione
inflitta per i delitti previsti dai primi due commi dello stesso art.
56 (inosservanza degli obblighi concernenti la permanenza domiciliare
ed il lavoro di pubblica  utilita'),  l'applicazione  delle  sanzioni
sostitutive di cui agli artt. 53 e seguenti della legge  24  novembre
1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), e cio' sebbene un analogo
divieto, gia' operante riguardo a  condotte  di  evasione  sanzionate
dall'art. 385 del codice penale, sia stato  rimosso  dal  legislatore
mediante l'abrogazione dell'art. 60 della citata  legge  n.  689  del
1981 (art. 4 della legge 12 giugno 2003, n. 134,  recante  «Modifiche
al codice di procedura penale in materia di applicazione  della  pena
su richiesta delle parti»). 
    2. - La questione non e' fondata. 
    2.1. - La norma censurata dal rimettente costituisce  espressione
di  una  scelta  legislativa  volta  a  conferire  effettivita'  alle
sanzioni  cosiddette  «paradetentive»  previste  per   i   reati   di
competenza del giudice di pace. 
    Allo scopo di valutare la ragionevolezza  della  norma,  si  deve
innanzitutto osservare che la permanenza domiciliare ed il lavoro  di
pubblica utilita' colpiscono i piu' gravi tra i fatti attribuiti alla
competenza del predetto magistrato, e che  vengono  irrogati  solo  a
seguito  del  fallimento,  nel  caso  concreto,  dei  meccanismi   di
riparazione  e   conciliazione   che   caratterizzano   il   relativo
procedimento penale. D'altra parte non e' sufficiente, per  integrare
il reato di cui all'art. 56 d.lgs. n. 274  del  2000,  una  qualsiasi
violazione delle prescrizioni connesse  all'esecuzione  delle  citate
sanzioni  «paradetentive».  Difatti  il  comma  1  dispone   che   la
ricorrenza di un «giusto motivo» per  il  comportamento  trasgressivo
esclude la rilevanza penale del medesimo,  assicurando  in  tal  modo
un'area di non punibilita'  piu'  ampia  di  quella  derivante  dalle
esimenti a carattere generale. A cio' si deve aggiungere che,  mentre
l'allontanamento ingiustificato dai luoghi in cui  il  condannato  e'
obbligato a permanere o a prestare il lavoro  di  pubblica  utilita',
anche se compiuto una tantum, e' sufficiente ad integrare  il  reato,
non cosi' e' stabilito per gli altri obblighi e divieti inerenti alle
due pene di cui sopra,  che  devono  essere  violati  «reiteratamente
senza giusto motivo» (comma 2) perche' la  norma  incriminatrice  sia
applicabile. 
    L'ordinamento   riserva   dunque   una   risposta   graduata   ai
comportamenti trasgressivi posti in  essere  dai  condannati  a  pene
«paradetentive», ricorrendo alla pena detentiva  solo  nelle  ipotesi
piu' gravi, per le quali il legislatore  ha  ritenuto  di  non  dover
consentire l'applicazione di pene sostitutive. L'oggetto del presente
giudizio di legittimita' costituzionale e'  dunque  la  rigidita'  di
tale estremo esito sanzionatorio, anche in rapporto a quanto disposto
dalla legge per la generalita' delle pene detentive brevi. 
    3. - Il fulcro  del  ragionamento  del  rimettente  poggia  sulla
abrogazione - ad opera dell'art. 4 della legge  n.  134  del  2003  -
dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981, che prevedeva una serie  di
esclusioni  oggettive  dall'applicabilita'  delle  pene  sostitutive,
riguardanti  specifici  reati  in  esso  elencati.  Tale  innovazione
legislativa e' avvenuta in occasione dell'introduzione nel codice  di
procedura penale del cosiddetto «patteggiamento  allargato»,  con  il
chiaro intento di incentivare la scelta del rito premiale,  favorendo
la conclusione di accordi su pene detentive brevi, con la contestuale
previsione che le stesse possano essere sostituite, quale che sia  il
reato in contestazione, ai sensi dell'art. 53 della legge n. 689  del
1981. La sopravvivenza di un'esclusione oggettiva per il  solo  reato
di inosservanza delle pene  inflitte  dal  giudice  di  pace  avrebbe
determinato, secondo il rimettente, una illegittimita' costituzionale
sopravvenuta,  essendo  irragionevole  che  tale  ultimo  reato   sia
soggetto ad un trattamento piu' rigoroso di quello riservato a  fatti
di indole analoga, ed anche piu' gravi, come l'evasione, per i  quali
invece le pene sostitutive sono ammesse. 
    3.1. - L'illegittimita' costituzionale ravvisata  dal  rimettente
sussisterebbe solo  se  vi  fosse  una  identita'  di  ratio  tra  le
esclusioni oggettive previste dall'abrogato art. 60  della  legge  n.
689 del 1981 e la preclusione disposta dalla norma censurata. L'esame
delle fattispecie in oggetto, e del contesto in cui le singole  norme
spiegano i loro effetti, induce tuttavia a concludere che dette norme
non  esprimano  rationes  sovrapponibili,  con  la  conseguenza   che
l'evocazione di altre fattispecie penali, come termini  di  confronto
ai fini di un giudizio di irragionevolezza, non vale a dimostrare  la
fondatezza della questione. 
    Giova innanzitutto notare che  le  sanzioni  «paradetentive»  non
sono pene sostitutive, ma principali, e  costituiscono  l'effetto  di
un'apertura fiduciaria verso i condannati - assente invece quanto  al
reato di evasione, almeno nell'ipotesi della restrizione in carcere -
che l'ordinamento ha voluto esprimere  mediante  la  loro  previsione
come  pene  edittali.  La  misura  domiciliare  che,  anche  in   via
cautelare,  sostituisce  la  detenzione  intramuraria,  implica   una
valutazione fiduciaria che il giudice puo' dare caso per caso, e che,
nell'eventualita' di trasgressioni, viene revocata,  con  conseguente
ripristino della restrizione  in  carcere.  Nell'ipotesi  delle  pene
«paradetentive» - che consistono in partenza in misure limitative non
carcerarie - il  comportamento  trasgressivo  non  puo'  determinare,
invece,  alcun  inasprimento   del   regime   originario.   L'effetto
dissuasivo si connette, dunque, unicamente alla sanzione  applicabile
per  la  violazione  degli   obblighi   concernenti   la   permanenza
domiciliare o il lavoro di pubblica utilita',  e  sarebbe  fortemente
ridotto se detta sanzione fosse attenuabile con la pena  sostitutiva,
in quanto il trasgressore verrebbe a trovarsi in una situazione molto
vicina a quella iniziale. 
    Questa  Corte  -  in  tema  di  applicabilita'   delle   sanzioni
sostitutive - ha gia' messo in rilievo che l'elemento cui deve essere
attribuito  un  ruolo  centrale  nel  giudizio  di  eguaglianza,  per
giustificare o non  il  differente  trattamento  tra  reati,  non  e'
l'entita'  della  pena  edittale,   bensi'   l'efficacia   deterrente
ragionevolmente esercitabile dalla pena sostitutiva  in  rapporto  ai
caratteri oggettivi della condotta (ordinanza n. 184 del 2001). 
    Nel  caso  di  specie,  l'efficacia  deterrente  di   una   pena,
potenzialmente convertibile in un trattamento simile a quello proprio
della sanzione «paradetentiva» inflitta ab  initio,  sarebbe  minima,
con la conseguenza di rendere scarsamente effettivo il sistema  delle
pene irrogabili dal giudice di pace, ispirato a particolare  mitezza,
sul presupposto di una fiducia che l'ordinamento accorda al reo. 
    3.2. - Va  anche  considerato,  d'altra  parte,  che  il  massimo
edittale  della  pena  detentiva  irrogabile  per   le   ipotesi   di
trasgressione di cui al comma 1 dell'art. 56 del d.lgs.  n.  274  del
2000 e' la reclusione per un anno. E' appena il caso di ricordare che
la pena in concreto applicata  puo'  essere  soggetta  a  sospensione
condizionale e che non e' precluso al condannato l'accesso  a  misure
alternative in fase di esecuzione. Il necessario rigore «astratto»  -
volto ad  evitare  che  le  pene  «paradetentive»  siano  considerate
trascurabili - puo' quindi essere attenuato nei casi concreti, avendo
riguardo alle caratteristiche specifiche  della  condotta,  alle  sue
motivazioni ed alla personalita' del soggetto. 
    In definitiva, la norma censurata  non  e'  irragionevole  per  i
profili denunciati in quanto bilancia, con il divieto di  conversione
della pena  per  i  trasgressori  degli  obblighi  nascenti  da  pene
«paradetentive»,  l'impossibilita'  di   aggravare   il   trattamento
concernente la sanzione  originariamente  irrogata,  come  invece  e'
previsto  riguardo  alle  fattispecie  evocate  in  comparazione  dal
rimettente. Riguardo a queste ultime, il  comportamento  trasgressivo
incontra una doppia risposta  sanzionatoria,  il  che  giustifica  la
possibilita' che per la seconda delle risposte in questione, cioe' la
pena  irrogata  per  la  trasgressione,  possa  eventualmente  essere
applicata una sanzione sostitutiva, secondo  la  disciplina  generale
dei reati che comportano pene detentive brevi. 
    Si tratta  di  sistemi  diversi,  ispirati  a  logiche  in  parte
differenti e quindi non del tutto omologabili,  come  invece  sarebbe
necessario per rilevare una violazione dell'art. 3 Cost. 
 
                          Per Questi Motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 56, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevata, in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte di  cassazione
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 28 aprile 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                       Il redattore: Silvestri 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 6 maggio 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola