N. 12 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 19 novembre 2009

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato in cancelleria il 7 maggio 2010. 
 
Parlamento - Immunita' parlamentari  -  Procedimento  penale  per  il
  reato di diffamazione a mezzo stampa a carico dell'allora  senatore
  Francesco Storace per le opinioni da questi espresse nei  confronti
  del   magistrato   Henry   John   Woodcock   -   Deliberazione   di
  insindacabilita'  del  Senato  della  Repubblica  -  Conflitto   di
  attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal  Giudice  per  le
  indagini preliminari presso  il  Tribunale  di  Roma  -  Denunciata
  mancanza di nesso funzionale tra le opinioni espresse e l'esercizio
  dell'attivita' parlamentare. 
- Deliberazione del Senato della Repubblica del 22 luglio 2009. 
- Costituzione, art. 68, primo comma. 
(GU n.20 del 19-5-2010 )
    Letti gli atti  del  procedimento  penale  a  carico  di  Storace
Francesco  nato  a  Cassino  il  25   gennaio   1959,   elettivamente
domiciliato c/o il difensore di fiducia avv. Giosue' Bruno  Naso  con
studio in Roma alla via Cola Di Rienzo n. 111; 
    Imputato del delitto di diffamazione aggravata  commessa  con  il
mezzo della stampa (articoli 595, comma 2 e comma 3 c.p., 13, legge 8
febbraio 1948, n. 47), perche', nel corso di un'intervista pubblicata
sul quotidiano «La Repubblica» in da 19 giugno 2006,  offendeva,  con
attribuzione di fatti determinati, la reputazione di  Woodcock  Henry
John, magistrato in servizio presso la Procura  della  Repubblica  di
Potenza con funzioni di sostituto, mettendo in dubbio, in relazione a
indagini   condotte   dal   predetto   Woodcock,   la    correttezza,
l'imparzialita' e la serenita' di giudizio del medesimo, rendendo  le
dichiarazioni di seguito riportate: 
    «Sapete cos'e' tutta questa roba? Una  gran  puttanata  (...)  In
tutta l'inchiesta non c'e' niente. Quando si tirano le cose di sesso,
allora vuol dire che nulla e' illegale. E' solo il piu' schifoso  dei
gossip. E' solo accanimento contro Alleanza Nazionale.»; 
        alla  domanda  «l'inchiesta  ha   un   obiettivo   politico?»
rispondeva: «Certo. Guardi, martedi' prossimo festeggio 100 giorni da
quando mi sono dimesso da Ministro per il "Laziogate" eppure non sono
stato  raggiunto  da  nessun  atto  giudiziario.  Se  questo  non  e'
accanimento.»; 
        alla domanda «Ma perche' proprio contro An?» rispondeva: «Per
vendetta. Woodcock gia' lo fece qualche tempo fa contro di me. E' una
specie di complotto. Prima, quando stavamo al governo, avevano  paura
e ora...». 
    Fatto commesso in Roma in data 19 giugno 2006. 
    Querela del 14 settembre 2006. 
    Parte civile: Woodcock Henry John, nato  a  Taunton  (GB)  il  23
marzo 1967, difeso di fiducia dall'avv. Bruno La  Rosa  del  Foro  di
Napoli, costituitosi parte civile. 
 
                            O s s e r v a 
 
    Il  procedimento  penale e'  stato  instaurato  a  seguito  della
querela sporta da Henry John Woodcock, magistrato in servizio  presso
la Procura della Repubblica di Potenza, per il reato di  diffamazione
a  mezzo  stampa,  in  relazione  ad  una  intervista  rilasciata  da
Francesco Storace, all'epoca dei fatti  senatore,  e  pubblicata  sul
quotidiano «La Repubblica» in data 19 giugno 2006, dal titolo «Gossip
e vendetta contro di noi». 
    L'intervista rilasciata dall'allora senatore Storace si  inseriva
nel contesto del grande clamore suscitato  dalla  divulgazione  delle
risultanze di  una  indagine  penale  condotta  dal  sostituto  della
Procura della Repubblica di  Potenza  Woodcock  che  aveva  coinvolto
Vittorio  Emanuele  di  Savoia  e  che  aveva  poi   determinato   la
trasmissione degli atti  alla  Procura  di  Roma  per  competenza  in
relazione alle indagini  che  interessavano  a  vario  titolo  alcuni
esponenti del  partito  di  Alleanza  Nazionale  (Salvatore  Sottile,
Francesco Proietti Cosimo, Daniela Di Sotto,  moglie  del  presidente
del partito Gianfranco Fini) per pretesi scambi  di  favori  sessuali
con aspiranti  soubrettes  interessate  a  partecipare  a  spettacoli
televisivi, per la vicenda  relativa  all'esclusione  dalle  elezioni
regionali del Lazio della lista concorrente di Alessandra  Mussolini,
e per presunte  irregolarita'  nella  gestione  di  alcune  strutture
sanitarie. 
    Intervistato da  un  cronista  del  quotidiano  «La  Repubblica»,
l'allora senatore Francesco Storace dichiarava: «Sapete cos'e'  tutta
questa roba? Una gran puttanata... vogliono tirare dentro pure me, ma
io sono tranquillo. Non c'e'  niente...  quando  si  tirano  cose  di
sesso, allora vuol dire che  nulla  e'  illegale.  E'  solo  il  piu'
schifoso dei gossip. E' solo accanimento contro AN. 
    Ed  alla  domanda  del  giornalista:  Cioe'  l'inchiesta  ha   un
obiettivo politico? Cosi' rispondeva: Certo. Guardi martedi' prossimo
festeggio i cento giorni da quando mi sono dimesso  da  Ministro  per
Laziogate eppure non sono stato raggiunto da nessun atto giudiziario.
Se questo non e' accanimento. Ed ancora,  all'ulteriore  domanda  del
giornalista: Ma perche' proprio contro AN?  Il  senatore  rispondeva:
«Per vendetta. Woodcock gia' lo fece qualche tempo fa contro  di  me.
E' una specie di complotto. Prima, quando stavamo al governo  avevano
paura e ora... 
    Infine, all'ultima domanda del cronista «Non teme che l'inchiesta
possa coinvolgere anche lei e Fini?» Il  senatore  cosi'  concludeva:
«Le fantasie degli inquirenti sono gia' andate oltre ogni limite». 
    Il sostituto Henry Woodcock in data 14  settembre  2006  sporgeva
querela contro il senatore Francesco Storace, reputandosi leso  nella
sua reputazione di magistrato  dalle  affermazioni  che  attribuivano
alla sua indagine un obiettivo politico, ovvero di colpite un partito
politico (AN) per spirito di parte e per  sentimenti  di  vendetta  e
avversione politica, lamentandosi per la  implicita  accusa  di  aver
violato i doveri di imparzialita' e serenita' di giudizio,  e  quindi
per l'attribuzione ingiusta della colpa piu' gravemente offensiva  ed
infamante che si possa muovere ad un magistrato. 
    Sull'eccezione sollevata dalla difesa ai sensi dell'art. 3  legge
n.  140/2003,  questo  giudice  non   ravvisando   negli   atti   del
procedimento elementi che potessero suffragare  la  esistenza  di  un
nesso funzionale tra le opinioni espresse nell'articolo pubblicato  e
la carica di  senatore  rivestita  all'epoca  del  fatto  da  Storace
Francesco, disponeva, previa sospensione del procedimento penale,  la
trasmissione degli atti al Senato della  Repubblica  in  applicazione
del disposto di cui comma 4 dell'art. 3 della citata legge 20  giugno
2003, n. 140. 
    L'Assemblea del Senato all'udienza pubblica del  22  luglio  2009
approvava la proposta della Giunta delle elezioni e  delle  immunita'
parlamentari nel senso di ritenere  che  le  dichiarazioni  rese  dal
signor Storace, senatore all'epoca dei fatti, costituiscono  opinioni
espresse  da  un  membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue
funzioni e ricadono pertanto nell'ipotesi di cui all'art.  68,  primo
comma, della Costituzione. 
    All'odierna udienza  preliminare  questo  giudice,  ritenendo  di
dover sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato,  ha
disposto la sospensione del procedimento nei confronti  di  Francesco
Storace al fine di richiedere l'annullamento della indicata  delibera
del  Senato  della  Repubblica   che   determina   l'improcedibilita'
dell'azione penale. 
    Nella relazione della Giunta in  cui  si  illustrano  le  ragioni
della proposta di ritenere insindacabili  le  opinioni  espresse  dal
senatore Cossiga, viene richiamata  la  linea  difensiva  del  Senato
seguita  in  precedenti  controversie  relative  all'insindacabilita'
delle opinioni espresse extra moenia nell'esercizio delle funzioni di
parlamentare, facendosi osservare che la difesa del Senato auspica un
salto interpretativo  della  giurisprudenza  costituzionale  volto  a
ritenere sussistente il nesso funzionale in tutte le occasioni in cui
il parlamentare,  raggiunga  il  cittadino,  illustrando  la  propria
posizione. Cio' alla luce  dell'evoluzione  che  ha  subito  piu'  in
generale l'attivita'  e  la  piu'  ampia  attivita'  di  politico  ed
espressione, per quanto atipica, del relativo ruolo istituzionale. In
questo senso depone anche l'art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140
che nel  dichiarare  applicabile  l'art.  68  ad  ogni  attivita'  di
denuncia  politica  connessa  alla  funzione  parlamentare,   avrebbe
recepito la esigenza di adeguare  la  garanzia  dell'insindacabilita'
alle nuove caratteristiche assunte  dallo  svolgimento  di  attivita'
politica. 
    Inoltre nel merito del caso specifico la  Giunta  osservava  che:
«e'  opportuno  collocare  il  fatto  ed  comportamento,  ascrivibili
all'allora senatore Storace, nel contesto  politico-parlamentare  nel
quale  sono   avvenuti.   L'inchiesta   cosiddetta   gossip   investi
pesantemente l'intero panorama politico  italiano:  rappresento'  nei
giorni della divulgazione delle notizie ad essa relative il fatto del
giorno, oggetto di commenti nella sfera politica italiana, nonche' di
considerazioni  che  si  espressero  anche  all'interno  delle   sedi
parlamentari con interventi nelle Assemblee. Non e' pensabile  che  a
fronte di tali  circostanze,  il  parlamentare  Storace  -  il  quale
interpellato, come risulta dagli atti, da un giornalista su un  fatto
oggetto di dibattito anche parlamentare, abbia espresso, sia pure con
ruvidezza, alcune considerazioni a lui richieste, sul fatto  politico
del giorno, proprio in quanto parlamentare - non veda ricondotta alla
sua funzione ed  al  suo  mandato  di  rappresentante  della  Nazione
l'espressione di tali opinioni». 
    Di contro  questo  giudice  rileva  che  non  risulta  che  alcun
dibattito in sede  parlamentare  si  sia  svolto  in  relazione  alla
indagine in questione e ne' che siano state discusse mozioni o  altre
iniziative parlamentari sempre con riferimento a tale vicenda. 
    Il clamore suscitato dalla inchiesta giudiziaria  non  basta  per
ritenere che l'opinione espressa  da  un  membro  del  Parlamento  in
merito a quello che viene definito «il fatto politico del giorno» sia
da  assimilare  alle  opinioni  espresse  nell'esercizio  delle   sue
finzioni istituzionali, a meno di non voler ritenere che  il  clamore
di una notizia diventi il parametro per stabilire se ricorra  o  meno
l'insindacabilita' delle opinioni espresse da un  parlamentare  senza
quindi alcuna verifica circa la correlazione di quelle  opinioni  con
l'esercizio di attivita' proprie della carica di parlamentare. 
    Dalla  lettura  della  relazione  della  Giunta  e  del   verbale
dell'Assemblea del Senato  che  ha  deliberato  l'approvazione  della
relativa proposta non e' dato riscontrare alcuna precisa  indicazione
- aldila' di generici riferimenti a dibattiti parlamentari non meglio
specificati -  ad  attivita'  parlamentari  svoltesi  anche  solo  in
coincidenza   temporale   con   la   divulgazione    delle    notizie
sull'inchiesta giudiziaria della Procura di Potenza e  sulle  vicende
giudiziarie che hanno interessato alcuni  esponenti  del  partito  di
Alleanza Nazionale. 
    La  questione  se  il  senatore  Storace  potesse  legittimamente
esprimere la propria opinione sul «fatto politico del giorno» non  in
discussione, essendo sicuramente suo diritto, come per  un  qualunque
cittadino, manifestare pubblicamente il suo pensiero,  come,  d'altra
parte, e' indubbio che fosse assolutamente rilevante  ai  fini  della
pubblica  informazione  conoscere  quale  fosse  l'opinione  di   una
personalita' di spicco del medesimo  partito  politico  dei  soggetti
interessati  dalle  indagini  giudiziarie  in  corso,  anche  per  la
maggiore autorevolezza che una tale opinione  avrebbe  avuto  per  la
carica di senatore rivestita dall'uomo politico intervistato. 
    Cio' che invece assume rilievo ai fini  della  valutazione  della
sussistenza  dell'insindacabilita'  prevista   dall'art.   68   della
Costituzione riguarda non la  legittimita'  della  manifestazione  di
opinione del parlamentare, ma unicamente la  verifica  se  l'opinione
espressa debba essere sottratta all'ordinario sistema di  garanzie  a
tutela dell'altrui reputazione personale - che rappresenta anche esso
un  valore  costituzionalmente  protetto  -  per  la  tutela  che  la
Costituzione  assicura  all'esercizio  delle  funzioni  proprie   dei
componenti del Parlamento. 
    La valutazione  della  legittimita'  dell'opinione  espressa  dal
parlamentare e' questione che non  rileva  in  questa  sede,  poiche'
competenza dell'Autorita'  giurisdizionale  stabilire  attraverso  lo
svolgimento  del  processo  se  le  opinioni  espresse  siano   state
manifestate nell'esercizio del legittimo diritto critica. 
    La verifica che andava operata dalla Camera di  appartenenza  del
parlamentare era e doveva essere soltanto quella di individuare se vi
fossero delle correlazioni con attivita' parlamentari e non esprimere
giudizi sulla legittimita' della critica espressa  dal  parlamentare,
fondati unicamente sul generico richiamo al contesto  politico  della
vicenda e sulla rilevanza della notizia definita enfaticamente, sulla
base di opinabili apprezzamenti soggettivi, come «il  fatto  politico
del giorno». 
    Ritiene,  invece,  il  giudicante  che   le   opinioni   espresse
dall'allora senatore Storace attengano unicamente alla sua  veste  di
uomo politico  e  non  anche  all'esercizio  delle  sue  funzioni  di
senatore, inquadrandosi  perfettamente  nella  linea  di  difesa  del
partito politico di  appartenenza,  che  si  assume  nello  specifico
ingiustamente aggredito da una  inchiesta  giudiziaria  asseritamente
mossa da finalita' ed obiettivi politici, ma  senza  che  rispetto  a
tali opinioni esista la benche' minima correlazione  con  l'esercizio
delle funzioni parlamentari. 
    Nel  merito  della  giurisprudenza  costituzionale  in  tema   di
insindacabilita' ex art. 68 Cost., questo giudice  ritiene  di  poter
condividere  l'auspicato  salto  giurisprudenziale,  ma  ritiene   di
aderire  alla   ormai   consolidata   giurisprudenza   costituzionale
formatasi sul punto. 
    In particolare e' stato ripetutamente affermato che «nel precetto
dell'art.  68,  primo  comma,  Cost.,  circa  l'insindacabilita'   di
opinioni espresse di  cui  i  parlamentari  siano  stati  chiamati  a
rispondere davanti all'autorita' giudiziaria, la linea di confine fra
la tutela dell'autonomia e della liberta'  delle  Camere,  e,  a  tal
fine, della liberta' dei loro membri, - da un lato - e la tutela  dei
diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti,  suscettibili
di  essere  lesi  -  dall'altro  lato  -  e'  fissata  attraverso  la
delimitazione «funzionale» dell'ambito della  prerogativa,  senza  la
quale  l'applicazione  della  prerogativa  si  trasformerebbe  in  un
privilegio personale con possibili distorsioni anche del principio di
eguaglianza  e  di  parita'  di  opportunita'  fra  cittadini   nella
dialettica politica. 
    E poiche' la regola per cui, nel linguaggio e nel  sistema  della
Costituzione,  le  «funzioni»  riferite  agli  organi  non   indicano
generiche  finalita'  ma  riguardano  ambiti  e  modi  giuridicamente
definiti, vale anche per funzione  parlamentare,  ancorche'  essa  si
connoti per il suo carattere non «specializzato», mentre e'  pacifico
che costituiscono opinioni  espresse  nell'esercizio  della  funzione
quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera di  appartenenza
e dei suoi vari organi, in occasione di una qualsiasi fra le funzioni
svolte dalla Camera  medesima,  ovvero  manifestate  in  atti,  anche
individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta'  proprie  del
parlamentare in quanto membro  dell'assemblea,  l'attivita'  politica
svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non puo'  dirsi,
invece, di per  se  esplicazione  della  funzione  parlamentare.  Nel
normale svolgimento della vita democratica e del dibattito  politico,
le opinioni che il parlamentare esprima fuori  dai  compiti  e  dalle
attivita' propri delle assemblee  rappresentano  infatti  l'esercizio
della liberta' di espressione comune a tutti i consociati, cosicche',
a precisazione - anche in vista  di  esigenze  di  certezza  -  della
precedente  giurisprudenza  della  Corte  in  materia,  se  ne   deve
concludere  che  il  nesso  funzionale  da  riscontrarsi,  per  poter
ritenere  l'insindacabilita'  tra  la  dichiarazione  e   l'attivita'
parlamentare non puo' esser visto come un  semplice  collegamento  di
argomento o contesto fra l'una e l'altra, ma  come  identificabilita'
della dichiarazione  quale  espressione  dell'attivita'  parlamentare
(Sent. n. 10 del 2000 Presidente: Vassalli, Relatore: Onida; Sent. n.
134 del 2008 Presidente: Bile, Redattore De Siervo). 
    Inoltre e' stato affermato che non assumono rilievo ne' gli  atti
riferibili ad altri parlamentari, ancorche' del medesimo gruppo,  ne'
quelli posti in essere dal medesimo parlamentare in epoca  successiva
alle dichiarazioni incriminate,  e  non  valendo  il  mero  «contesto
politico» o comunque l'inerenza a temi di rilievo generale  dibattuti
in Parlamento, entro cui le dichiarazioni del parlamentare si possano
collocare, a connotare di per se' tali dichiarazioni quali espressive
della funzione parlamentare «vedi sentenze nn. 152 e 302 del  2007  e
n. 260/2006). 
    Con  riferimento  all'esistenza  del  nesso  funzionale  tra   le
dichiarazioni rese extra  moenia  e  la  funzione  parlamentare  sono
necessari i due requisiti del legame temporale  e  della  sostanziale
corrispondenza di significato tra le opinioni espresse nell'esercizio
delle funzioni e  gli  atti  esterni,  addome,  nella  specie,  nella
proposta della Giunta delle elezioni e delle immunita'  parlamentari,
cui rinvia la delibera di insindacabilita',  non  si  rinviene  alcun
riferimento ad  atti  tipici  del  parlamentare.  Il  mero  «contesto
politico», infatti, o comunque l'inerenza a temi di rilievo generale,
entro cui le dichiarazioni si possono collocare, non vale  in  se'  a
connotarle quali espressive della funzione, ove esse, non costituendo
la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal
parlamentare nell'esercizio delle  proprie  attribuzioni,  siano  non
gia' il riflesso del peculiare  contributo  che  ciascun  deputato  e
ciascun senatore apporta alla vita democratica  mediante  le  proprie
opinioni e i propri voti, ma una ulteriore e diversa articolazione di
siffatto contributo, elaborata  ed  offerta  alla  pubblica  opinione
nell'esercizio della libera manifestazione del pensiero o  assicurata
a tutti dall'art. 21 della Costituzione. (Sent. n. 0152 del 2007). 
    Infine, va evidenziato come la legge n. 140/2003 non ha natura di
legge costituzionale e,  pertanto,  non e'  idonea  a  stravolgere  i
limiti  delineati  dalla  Corte   in   relazione   all'applicabilita'
dell'art. 68, comma primo, della Costituzione. 
    Conseguentemente anche il riferimento alle attivita' di critica e
denuncia politica espletate fuori dal  Parlamento,  contrariamente  a
quanto  sostenuto  nella  proposta  della  Giunta  delle  elezioni  e
immunita' parlamentari ed approvato dal Senato della Repubblica, deve
essere interpretato nel rispetto dei criteri  delineati  dalla  Corte
costituzionale a meno di non voler seguire una interpretazione  della
legge n. 140/2003 in contrasto con l'art. 68 della  Costituzione  con
le inevitabili censure di illegittimita' costituzionale. 
    Si rende, pertanto, necessario  e  doveroso  per  questo  giudice
sollevare conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  nei
confronti del Senato della  Repubblica  in  relazione  alla  delibera
adottata nella seduta del 22  luglio  2009,  con  la  quale  e  stato
dichiarato che i fatti  oggetto  del  procedimento  penale  a  carico
dell'allora senatore  Francesco  Storace  per  diffamazione  a  mezzo
stampa concernono opinioni  espresse  da  un  membro  del  Parlamento
nell'esercizio delle sue funzioni, insindacabili ai  sensi  dell'art.
68, primo comma, della Costituzione. 
    Sussistono, infatti, i requisiti soggettivo e  oggettivo  per  un
conflitto di attribuzione: per  un  verso,  sia  questo  giudice,  in
quanto  organo  giurisdizionale,   in   posizione   di   indipendenza
costituzionalmente   garantita,   e'    competente    ad    esprimere
definitivamente la volonta' del  potere  cui  appartiene,  e  sia  il
Senato della Repubblica, in quanto  organo  competente  a  dichiarare
definitivamente la  propria  volonta'  in  ordine  all'applicabilita'
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione,  sono  legittimati  ad
essere parti del conflitto; per altro verso, questo giudice  denuncia
la    menomazione    della    propria    stima    di    attribuzione,
costituzionalmente garantita, in conseguenza dell'adozione, da  parte
del Senato della indicata deliberazione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 134 Cost. e 37, legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dispone  la  sospensione  del  processo  in  corso  pendente  nei
confronti di Francesco Storace e l'immediata trasmissione degli  atti
alla Corte costituzionale; 
    Solleva conflitto di attribuzione nei confronti del Senato  della
Repubblica e chiede che la Corte  dichiari  ammissibile  il  presente
conflitto,  adottando  ogni  conseguente   provvedimento   ai   sensi
dell'art. 37 e seguenti della legge n. 87/1953, e  dichiari  che  non
spettava al Senato della Repubblica affermare  l'insidacabilita',  ai
sensi dell'art. 68, primo comma, Cost., delle opinioni  espresse  dal
senatore Francesco Storace in relazione ai fatti per i quali e' stata
esercitata nei suoi confronti l'azione  penale  e,  conseguentemente,
annulli la delibera adottata dal Senato nella seduta  del  22  luglio
2909. 
    Manda  alla  cancelleria  per  le  necessarie   comunicazioni   e
notificazioni. 
    Cosi' deciso in Roma il 19 novembre 2009. 
 
                         Il giudice: Amoroso 
 
__________ 
Avvertenze 
    L'ammissibilita' del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza n. 130/2010 e pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  -  1ª
serie speciale - n. 15 del 14 aprile 2010.