N. 161 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 novembre 2009

Ordinanza dell'11 novembre 2009 emessa dalla  Commissione  tributaria
provinciale di Terni sui ricorsi riuniti proposti da  S.A.O.  Servizi
Ambientali Orvieto S.p.a. ed altra contro  Agenzia  delle  entrate  -
Ufficio di Orvieto. 
 
Imposte sui redditi  -  Redditi  tassabili  -  Determinazione  -  Non
  deducibilita' dei costi o delle spese riconducibili a fatti, atti o
  attivita'  qualificabili  come  reato  -   Operativita'   di   tale
  previsione per i fatti ipotizzati come reato, pur se non sia ancora
  intervenuta sentenza definitiva di  condanna  -  Contrasto  con  la
  presunzione  di  innocenza  in  materia  punitiva  -  Irragionevole
  discriminazione rispetto agli illeciti civili e  amministrativi  (i
  cui costi sono deducibili) - Ripresa  a  tassazione  di  componenti
  negative di reddito in aggiunta ai proventi da reato -  Conseguente
  violazione del principio di proporzionalita' dell'imposizione  alla
  capacita' contributiva. 
- Legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14,  comma  4-bis,  introdotto
  dall'art. 2, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289. 
- Costituzione, artt. 3, 27, secondo comma, e 53. 
(GU n.23 del 9-6-2010 )
 
                LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE 
 
    La commissione, composta dai sigg.ri Guerrini Massimo, presidente
e relatore, Catanese Salvatore, giudice e Ciurnelli Enrico,  giudice,
sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 30  settembre  2009,
rilevato  che  esiste  connessione  soggettiva  ed  oggettiva  tra  i
procedimenti n. 67/2009 R.G.R. e n. 68/2009  R.G.R.,  promossi  dalla
societa'  S.A.O.  -  Servizi   Ambientali   Orvieto   nei   confronti
dell'Agenzia delle entrate, Ufficio di Orvieto, avverso due avvisi di
accertamento ad essa notificati per le annualita' di imposta  2004  e
2005  in  seguito  al  recupero  di  costi  non  deducibili   perche'
riferibili  ad  atti  qualificabili   come   reato   compiuti   dagli
amministratori, dispone la  riunione  dei  procedimenti  anzidetti  e
pronuncia la seguente ordinanza; 
    Ritenuto che la societa' ricorrente  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 4-bis della legge  24
dicembre 1993, n. 537, introdotto dall'art. 2,  ottavo  comma,  della
legge 27 dicembre 2002, n. 289, per contrasto con gli artt. 3, 27,  e
53 della Costituzione; 
    Premesso che: 
        1. - Sotto un primo profilo la societa' ricorrente  prospetta
il contrasto della norma con gli artt. 3 e 27,  secondo  comma  della
Costituzione, ponendo in evidenza come la stessa  preveda  che  nella
determinazione dei redditi di cui all'art. 6, primo comma del T.U.I.R
i costi e le spese riconducibili a condotte penalmente rilevanti  non
sono deducibili quando le condotte stesse  sono  «qualificabili  come
reato» e non gia' quando sia  stata  accertata  nel  giudizio  penale
l'esistenza del reato e la sua commissione ad opera del soggetto  cui
lo stesso e' stato contestato (cioe' in seguito a giudizio definitivo
di colpevolezza). 
    Al riguardo  pone  altresi'  in  evidenza  che  l'Amministrazione
finanziaria, nel fare applicazione della norma  al  caso  di  specie,
sostiene - uniformandosi a quanto  chiarito  sul  punto  dall'Agenzia
delle entrate, Direzione Centrale  Normativa  e  Contenzioso  con  la
circolare n. 42 del 26 settembre 2005, in merito all'applicazione del
comma 8, dell'art. 2 della legge 27 dicembre 2002,  n.  289,  che  ha
introdotto la disposizione di cui al comma 4-bis nell'art.  14  della
legge 24 dicembre 1993, n. 537  -  che  la  norma  in  esame  farebbe
riferimento a fattispecie «potenzialmente qualificabili come reato» e
che  tale  qualificabilita'  sorgerebbe  gia'   nel   momento   della
trasmissione al Pubblico ministero della notizia di  reato  a  carico
del contribuente (nel caso di societa', enti o associazioni a  carico
degli amministratori o  legali  rappresentanti),  non  richiedendosi,
quindi, che l'azione penale sia stata avviata  o  che  il  fatto  sia
stato gia' accertato con sentenza di condanna. 
    Sostiene  la  societa'  ricorrente  che  siffatta  tesi,  desunta
dall'espressione letterale usata dal legislatore,  e'  inaccettabile,
in  quanto  gli  effetti  tributari  negativi  per  il  contribuente,
derivanti dalle  condotte  penalmente  sanzionate  non  deriverebbero
dalla accertata esistenza ed attribuzione del reato  al  contribuente
stesso (cioe' dal presupposto su cui si  basa  l'indeducibilita'  dei
costi  sostenuti  per  la   commissione   del   reato   stesso),   ma
scaturirebbero   dalla   mera   possibilita'   dell'affermazione   di
colpevolezza, in un momento anteriore a questa, quando, cioe',  opera
la presunzione di innocenza posta dall'art. 27, secondo  comma  della
Costituzione. 
    Il   che   comporterebbe   una   violazione   di   detta    norma
costituzionale,   in   quanto,   pur   non   potendosi    considerare
l'indeducibilita' dei  costi  come  sanzione  penale,  tuttavia  essa
costituisce  un  effetto   sanzionatorio   ed   afflittivo   per   il
contribuente, incidente sulla sua  sfera  patrimoniale  e  sulla  sua
soggezione ad imposizione, effetto che verrebbe ad essere  anticipato
rispetto al momento della sentenza definitiva di colpevolezza. 
    Invero, nel caso di specie, pur essendo stata  iniziata  l'azione
penale nei confronti di amministratori della societa' per concorso in
reati di falsita' ideologica e materiale in atti pubblici ed in abuso
di ufficio, nonche' per reati ambientali  nell'ambito  dell'attivita'
di trasferimento e trattamento di rifiuti provenienti dalla Campania,
tuttavia, come risulta dagli  atti,  il  procedimento  in  questione,
pervenuto alla fase del dibattimento avanti il Tribunale di  Orvieto,
e' regredito alla fase delle indagini preliminari, per effetto  dalla
sentenza pronunciata il 24 gennaio 2008, con la quale quel  tribunale
ha dichiarato la  propria  incompetenza  per  territorio  per  essere
competente il Tribunale di Perugia ed  ha  disposto  la  trasmissione
degli atti al p.m. presso il giudice competente. 
    Dunque,  secondo   la   ricorrente,   allo   stato   e   all'atto
dell'emissione degli avvisi di accertamento impugnati, fondati  sulla
ripresa a tassazione dei costi riferibili ai reati anzidetti,  questi
erano bensi' ipotizzabili,  ma  non  erano  stati  accertati  in  via
definitiva con sentenza di condanna irrevocabile. 
    Donde la lamentata violazione dell'art. 27, secondo  comma  della
Costituzione  della  norma  su  cui  se'  stata  fondata  la  pretesa
tributaria,  norma  che  si  presta,  tenuto  conto  del  suo  tenore
letterale, ad essere interpretata nel senso attribuitole dall'Ufficio
resistente. 
    La societa' ricorrente pone altresi' in evidenza  che  la  norma,
valutata  nella  sua  necessaria  correlazione  con  la   coesistente
disposizione di cui al quarto comma della stessa legge  n.  537/1993,
darebbe vita ad una disparita' di trattamento fiscale tra i  soggetti
responsabili di illeciti civili e amministrativi, rispetto ai quali i
costi riferibili a tali tipi di illeciti resterebbero deducibili,  ed
i soggetti  responsabili  di  illeciti  penali,  rispetto  ai  quali,
invece, i costi correlati a reati sono indeducibili. 
    Disparita' che non puo' trovare un ragionevole fondamento in  una
graduazione della gravita' tra le tre categorie  di  illeciti  ed  in
un'amplificazione della sanzione tributaria per i  soli  contribuenti
autori di reati. Funzione punitiva, questa,  che  e'  riservata  agli
organi  di  giustizia  penale.  Donde  la  configurabilita'  di   una
violazione dell'art. 3 della Costituzione  e  l'irragionevolezza  del
diverso trattamento riservato alle due categorie di contribuenti. 
        2. -  Sotto  un  ulteriore  profilo  la  societa'  ricorrente
prospetta il contrasto della  norma  con  gli  artt.  3  e  53  della
Costituzione, sostenendo che l'indeducibilita',  con  essa  prevista,
nella determinazione dei redditi di cui all'art. 6, primo  comma  del
T.U.I.R. (nella specie reddito di impresa), dei costi e  delle  spese
riconducibili a fatti, atti e  attivita'  qualificabili  come  reato,
comporta la ripresa a tassazione di dette componenti negative, con la
conseguenza che vengono ad essere assoggettate ad imposta  somme  che
non sono espressione della capacita' contributiva dell'impresa, cioe'
di quella potenzialita' economica  cui  deve  essere  commisurato  il
prelievo fiscale, e  che  vengono  incluse  nel  reddito  imponibile,
sommandole  alle  componenti  positive,  ivi  compresi   i   proventi
derivanti  dalle  stesse  attivita'  penalmente  rilevanti   cui   si
riferiscono i costi indeducibili. 
    Invero il quarto comma della stessa  legge  n.  537/1993  prevede
che, in assenza di sequestro o confisca penale (non operati nel  caso
di specie) dei proventi  derivanti  da  condotte  qualificabili  come
illecito penale (oltre che civile ed  amministrativo)  tali  proventi
devono intendersi  ricompresi  nelle  categorie  di  reddito  di  cui
all'art.  6,  primo  comma  del  T.U.I.R.  Tale  disposizione   resta
applicabile, nonostante l'introduzione successiva  del  comma  4-bis,
come riconosce la stessa amministrazione finanziaria e come  e'  dato
desumere dalla mancata previsione,  in  quest'ultima  norma,  di  una
deroga alle disposizioni contenute nel precedente quarto comma. 
    Orbene, sempre secondo la ricorrente, mentre la  disposizione  di
cui  al  quarto  comma  risulta  coerente  con  il  principio   della
proporzionalita'  della  tassazione  alla   capacita'   contributiva,
sancito dall'art. 53 della  Costituzione,  in  quanto  il  reddito  -
ancorche' comprensivo  di  proventi  riferibili  a  fatti  integranti
illeciti  penali  -  e'  espressione  della  capacita'   contributiva
dell'impresa, viceversa la maggiore imposizione che scaturisce  dalla
indeducibilita' dei costi «da illecito penale» ex  comma  4-bis,  non
puo' essere considerata tale, poiche' il reddito si accresce non gia'
in virtu' di maggiori proventi conseguiti,  ma  per  effetto  di  una
sostanziale  equiparazione  di  costi  effettivamente  sostenuti   ai
proventi, che vengono a sommarsi tra loro, attraverso  un  meccanismo
normativo indiretto che, per di piu' e' in contrasto con  i  principi
generali del sistema tributario in base ai quali il prelievo  fiscale
opera su imponibili determinati al  netto  dei  costi  sostenuti  per
conseguirlo. 
    In particolare  la  artificiosa  equiparazione  e  sommatoria  di
ricavi e costi non puo', secondo la societa' ricorrente,  basarsi  su
una presunzione che troverebbe il suo  fondamento  in  una  finalita'
punitiva perseguita dallo Stato di fronte alla commissione di  reati,
realizzata  mediante  l'introduzione,  per  via  tributaria  di   una
«sanzione indiretta» (come peraltro sostenuto dall'ufficio impositore
nelle proprie deduzioni). Cio'  in  quanto,  come  sostenuto  con  le
argomentazioni di cui al punto 1  che  precede,  sarebbe  ravvisabile
comunque un contrasto con l'art. 27, secondo comma della Costituzione
e la presunta sanzione  resterebbe  espressione  di  un  giudizio  di
disvalore non espressivo di alcuna capacita' contributiva. 
    Tanto premesso in ordine ai termini ed ai motivi dell'istanza con
la quale e' stata sollevata la questione, e ritenuto: 
        che il giudizio non puo'  essere  definito  indipendentemente
dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale,  in
quanto la pretesa tributaria avanzata dall'Ufficio delle  Entrate  di
Orvieto  e'  fondata  sull'applicazione  della  norma  denunciata  di
incostituzionalia'; 
        che,   inoltre,   la   questione   sollevata    non    appare
manifestamente infondata, ma al contrario meritevole di attento esame
da parte della Corte costituzionale, considerato anche  che  cospicua
parte  della  dottrina  ha   manifestato   forti   dubbi   circa   la
costituzionalita' della norma in esame per  motivi  corrispondenti  a
quelli rassegnati dalla societa' ricorrente, auspicando un intervento
del giudice delle leggi. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dispone  l'immeditata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale a cura della  segreteria  di  questa  commissione  che
provvedera', altresi', alla notificazione  della  presente  ordinanza
alle parti, al Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
    Sospende il giudizio in corso. 
        Terni, addi' 11 novembre 2009 
 
                  Il Presidente relatore: Guerrini